DON FELDER ” HEAVEN & HELL – My Life In The Eagle 1974-2001″ ( paperback edition 2009) – JJJJJ
Io gli Eagles li amo. Non m’importa un cazzo se sono mainstream, se rappresentano una America opulenta, ricca e senza scrupoli, e Don Henley è uno dei miei eroi. Bernie Leadon è un chitarrista che stimo da matti, Felder e Walsh mi piacciono tanto, come mi piacciono gli album DESPERADO, ON THE BORDER, HOTEL CALIFORNIA e THE LONG RUN. Negli anni settanta qualcuno regalò DESPERADO a mia sorella, e ci misi poco a fregarglielo ogni volta che potevo e immergermi in quell’immaginario da banditi western. Sempre in quegli anni tornavo da scuola, pranzavo e prima di non mettermi a studiare, entravo in camera sua, mi sdraiavo sul letto, le fregavo la cassetta di ON THE BORDER e la facevo girare sul suo sfigatissimo mangianastri. Dio canta, mi vengono i brividi se ci penso. Certo, ero più ingenuo, ma mi sembrava musica bellissima (e comunque lo era!). Titubante andai a vederli al forum di Assago di Milano un paio di anni fa, mi parevano diventati troppo pulitini, ma mi piacquero un casino. Insomma, tanto per capirci, io sono un fan degli Eagles. Detto questo non mi meraviglio dei resoconti di Felder, certo… nella nostra immacolata concezione i gruppi rock erano un insieme di esseri umani che suonavano buona musica in giro per il mondo, uniti da amicizia, amore per la musica e brotherhood; quando si diventa grandi si scopre però che non è quasi mai stato così. Peccato, ma il risultato di tanto cinismo, rapporti durissimi e scazzi a go-go, spesso è fenomenale. I tanti bei dischi rock sono lì a testimoniarlo. Lascio la parola a STEFANINO PICCAGLIANI, che come sempre in modo lucido e con prosa sopraffina, ci racconta uno spaccato gustoso di rock californiano.
(nella foto da sx a dx: Meisner, Frey, Henley, Felder, Walsh)
Macchina del tempo-rock: siamo nel 1973. Don Felder è un bravissimo chitarrista local hero di Gainsville, Florida, cresciuto nel culto di Duane Allman, che si guadagna da vivere dando lezioni di sei corde ai monelli del posto.
Tra i suoi allievi spicca anche un ragazzino scarsissimo di nome Tommy Petty. Da teenager Don ha militato per breve tempo nei Continentals assieme a Steve Stills, il quale poi è finito a L.A. e ha formato i Buffalo Springfield, poi CS&N, poi CSN&Y eccetera.
Don sa che L.A. è il ‘posto’ dove succedono le cose per i musicisti, ma non ha la stoffa dell’arrampicatore sociale. Uno dei suoi migliori amici è Bernie Leadon, uno degli Eagles, i quali hanno registrato un esordio di successo per poi realizzare un secondo disco Desperado che è andato malino e sono in una fase di stallo creativo, della serie ‘se sbagliamo il terzo disco siamo fuori’.
A questo punto le Aquile pescano l’asso di Denari (con briscola denari) e producono una pensata che li salva dall’ oblio: meno country rock, urbanizziamoci, il tempo dei banjos sta finendo, più pop e soul e meno cowboys. Per il nuovo lp On The Border servirebbe una chitarra slide, e Leadon organizza un paio di sessions con il vecchio amico Felder, che sta accompagnando Crosby & Nash.
Nel giro di sei mesi Don Felder diventa il quinto Eagle e incredibilmente viene subito inserito in quella che chiameremo Azienda-Eagles con un quinto di oneri e onori, alla pari degli altri.
Un bel colpo di culo, penserete voi. Fino a un certo punto, risponderebbe Don. Perché tra le pagine della sua bella autobiografia HEAVEN AND HELL si dipana un racconto a tratti terrificante di una band neurotica e sadica come poche, dove parole come amicizia, lealtà, rispetto non trovano posto, tutti occupati da altre parole come infamia, truffa, maldicenza.
Gli EAGLES sono una diarchia paranoica e dittatoriale, governata dalla premiata ditta Henley/Frey, il primo descritto come un intelligentissimo e coltissimo serpente a sonagli capace di ‘succhiare tutto il divertimento in una stanza semplicemente entrando’, il secondo come un bullo nevrotico di Detroit dalla sconfinata fame di dollari e femmine.
Il piano prevede l’apporto fondamentale del Richelieu del caso, il manager-squalo Irving Azoff, che per tenere insieme i due galletti nel pollaio manovra continuamente nell’ombra. Ogni altro membro del gruppo viene trattato da sottoposto (e qui il paradosso di prendere subito Felder in società per poi sodomizzarlo negli affari per un ventennio).
L’Azienda Eagles è l’emblema della fine definitiva dell’utopia musicale dei sixties; tutto è calcolato cinicamente, l’unico approdo esistenziale è il Conto Corrente, la benzina è data da montagne di coca sciacquata nel Brandy e pur di costruire un successo si calpesterebbe la propria madre morente.
Henley & Frey in fondo non si sopportano, ma si supportano a vicenda nella gestione del business, riconoscendosi fondamentali nelle funzionalità del progetto-eagles. Gli altri non rompano i coglioni, e chitarristi non improvvisino una nota dal vivo, eseguano gli ordini e via dalle balle. Leadon se ne va. Arriva Joe Walsh, simpatico, eccessivo, ubriacone, demolitore di alberghi, con il quale Felder costruisce incredibilmente una coppia chitarristica priva di vicendevoli gelosie.
Poi un bel giorno Don ‘Fingers’ Felder (ogni eagle ha un nickname) butta giù una specie di flamenco-bolero con la sua chitarra, lo fa sentire ai due tiranni, i quali lo requisiscono per svilupparlo. Nasce Hotel California, la canzone del botto definitivo, delle cifre a nove zeri, dell’immortalità rock.
Gli Eagles sono la band più cool d’America, rappresentano perfettamente il sogno californiano di metà seventies, qualcuno dice che ‘sembrano cinque Gesù Cristi dopo una settimana a Beverly Hills’.
La Warner è entusiasta, i dollari sono pronti per una super-promozione del disco, e Felder è talmente candido che si oppone all’idea di ‘Sonic Bat’ Henley (pipistrello sonico, nickname derivante dall’ossessiva attenzione rivolta ai dettagli sonori del gruppo) che Hotel California (da Felder firmato) debba essere il singolo dell’ album. Troppo lunga, troppo lungo l’intro, troppi assoli. Henley vince, e questo dà la misura di quanto la diarchia sia antipatica ma funzionale. Esce il disco: è il trionfo. Le Aquile se lo godono, ma fino a un certo punto. La gestione cinica e freddissima del business non prevede cameratismo o manifestazioni calorose di umanità. ‘Hey Fingers, fai l’ assolo e non rompere i coglioni’.
Gli Eagles tornano in sala per bissare HC, e la missione è troppo snervante. La coca, lo stress, le antipatie, gli scazzi, chiedono il triste tributo. Meisner non regge, lui ragazzo di montagna dal cuore semplice. Arriva Timmy Smith, colui che lo sostituì nei Poco e adesso lo sostituisce negli Eagles. Strano destino.
Esce The Long Run, ma gli Eagles non esistono più. La band si scioglie. Grazie e arrivederci. Passano gli anni e qualcuno fa uscire un tributo country-Nashville agli Eagles, con artisti vari impegnati in covers. Vende come il pane. E’ di nuovo Eagles-mania. Irving lo Squalo convince tutti a riunirsi. ‘Torneremo insieme quando ghiaccerà l’inferno’, aveva detto Henley dopo la rottura. ‘L’inferno è ghiacciato’ sarà lo slogan della reunion. Gli Eagles vengono inseriti nella RnR Hall Of Fame, e si presentano tutti e sette insieme, per la prima volta, a ritirare il premio. La mossa è orchestrata da Azoff, scorre pessimo sangue tra le Aquile di ieri e di oggi. Ci sono da sopportare di nuovo Henley & Frey, ma Fingers Felder è felice. I tempi sono cambiati, siamo nei nineties, e si respira aria nuova in cucina.
(nella foto da sx a dx: Frey, Felder, Henley,Walsh, Schmit)
Dagli ottimi guadagni degli anni ’70 si passa ad incassi mostruosi, i prezzi dei biglietti dei concerti sono decuplicati, il rock è diventato roba da ricchi. Gli Eagles registrano Hell Freezes Over, un concerto per MTV nel quale Henley & Frey appaiono come gli unici protagonisti, con gli altri nelle vesti di gregari. Walsh e Timmy Schmith si accontentano, Felder un po’ meno. Si sente defraudato e preso per il culo. Segue tour mega redditizio. Dai Motel a tre stelle dei ’70 si passa all’ Hilton (con Azoff che prenota camere separate su piani differenti per evitare risse o scazzi tra gli aquilotti), 5 limousines a servizio 24h su 24, fisioterapisti per le lombaggini, nannies per i figli, Frey addirittura si porta in tour il maestro di tennis, cosa che fa impazzire Felder perchè il coach viene pagato dall’Azienda, quindi per un quinto anche da Fingers.
In un clima di antipatica tensione il tour va alla grande, e i tecnici per ammazzare il tempo cominciano a filmare tutte quelle fans sgallettate che ai concerti si piazzano in spalla ad un amico e slacciano la camicia per far vedere le tette. Ne nasce un interessante video amatoriale: ‘The Eagles: Their Greatest Tits’. Felder comincia a guardare bene dentro ai conti della band, scopre cose poco piacevoli, capisce di essere manovrato da anni, ma non vuole abbandonare la nave. Si sente un Eagle, ama il suo lavoro e rispetta enormemente il talento di Henley & Frey. Un giorno Fingers riceve una telefonata di Azoff: Hey Don, mi dispiace, ma sei fuori dal gruppo. Il suo mettere il becco negli affari dell’ Azienda – Eagles non ha pagato, Henley & Frey non l’hanno mandata giù. Chiede disperato supporto a Smith e Walsh ma non ne riceve. L’inrganaggio non prevede colpi di testa. Fingers è un ex. Cita tutti in tribunale, trova un accordo soddisfacente per la buonuscita e scrive un libro sulla sua storia, facendo incazzare all’inverosimile i due ‘Gods’, Henley & Frey.
Simpatico Fingers. Ottima lettura questo Heaven & Hell comprato su internet in paperback. Appena finito di leggerlo, scopro che è pubblicato gratis su Googledocs.La mia solita fortuna. Cercatelo, ne vale la pena.
(Words and Music: Stefanino Piccagliani – Marzo 2011)
Grazie mille per il bell’articolo e per la “dritta” sul download del libro. Sono da sempre una fan del gruppo, fanno parte del mio “sogno californiano” che non si è mai esaurito… e se una band con vibrazioni tanto negative ha prodotto quella musica stupenda,forse l’inferno non è un posto tanto brutto… Viva gli Eagles!;-)
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Roberta Z mi manda il seguente messaggio e precisa che:
Oggetto: maestrina dalla penna rossa
volevo segnalarti che HEAVEN & HELL – My Life In The Eagle 1974-2001″ non si scarica da googledocs ma da googlebooks.
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Anche se notevolmente in ritardo , volevo dire la mia sulle memorie dell’ex aquilotto . Avendo visionato anche il più recente documentario sul gruppo , credo la verità tra le due parti stia nel mezzo .
Effettivamente non deve essere stato facile stare dietro a due “dittatori” come Henley & Frey , personaggi ingombranti e intrattabili con un ego sproporzionato . Allo stesso tempo il caro Felder ha avuto un culo della madonna ad essere stato inserito come membro effettivo in una band già discretamente avviata . Non tutti l’avrebbero concesso . Finger è stato decisivo per il cambio di rotta della band , ma allo stesso tempo non poteva pretendere gli stessi trattamenti riservati ai due titolari nonché prime voci e compositori della maggior parte dei pezzi .
Anche certe sue pretese , come ad esempio voler cantare Victim Of Love quando si ha a disposizione una voce come quella di Don Henley ? Non credo proprio .
Dopo quattordici anni di oblio dalle scene , avere l’opportunità di fare più soldi di quanti se ne possono spendere in un’intera vita e invece lamentarsi perché i fondatori e principali autori pretendono un compenso maggiore rispetto agli altri ? Mi sembra ridicolo .
Sarebbe facile ritenere Joe Walsh e Timothy B. Smith due codardi che hanno preferito il denaro piuttosto che cercare di ottenere più spazio , in realtà sono stati decisamente più furbi . Nel commento finale del documentario , Felder arriva quasi a commuoversi , lo credo bene …
Detto questo , la band senza Don “Finger” Felder , non è più la stessa cosa .
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Questa recensione l’avrò riletta svariate volte nel corso degli anni (generalmente quando mi riprende la eaglemania) e continuo a pensarla allo stesso modo. Purtroppo gli Eagles del 2017/2022 sono cambiati rispetto a meno di un decennio fa , peggiorati direi , ma non poteva essere altrimenti. Tornando a un discorso che mi preme molto , la rimozione storica operata da parte di una band nei confronti dei propri ex compagni d’armi , ecco che anche Don Felder è stato rimosso nella recente uscita : Live at the Forum ’76. Secondo Don Henley la band che incise e portò Hotel California in tour tra il 1976 e 1977 non era formata da cinque elementi ma quattro (Henley , Frey , Maisner e Walsh). Lo spilungone biondo che dal vivo suonava la title track con quella bella Gibson EDS-1275 bianca è sparito. Le immagini presenti nella cover del disco sono state ritoccate mostrando un quartetto mai esistito nella storia degli Eagles. Stranamente questa operazione non è stata fatta per la riedizione, sempre su 33 giri , del Millenium Concert del 1999.
Ovviamente siamo in pochi a notare queste “sciocchezze” , ma non acquisterò quest’album.
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L’80% del successo degli Eagles è dovuto a Hotel California, e l’80% del successo di Hotel California è dovuto all’assolo finale di Felder e Walsh
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E anche vero però che il loro album più venduto è la raccolta Their Greatest Hits 1971–1975 (oltre 45 milioni di copie) , contenente materiale precedente a Hotel California e vendutissimo fin da subito.
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