BIG STAR di Paolo Barone

20 Set

Il nostro Polbi alle prese con un’altra storia di outsider, di quei beautiful loser di cui il Rock è fonte, purtroppo, inesauribile.

Torino, prima meta’ degli anni ’70, nel Golf Club, grande ed elegantissima proprieta’ della famiglia Agnelli, e’ in corso una festa. Ci sono molti invitati, perlopiu’ industriali, banchieri, gente che muove i soldi e le leve del mondo. Ma anche artisti, uomini di cultura, politici di livello internazionale.

C’e’ anche un giovane manager americano, David Bell,  che in quel periodo sta collaborando alla Fiat. In quei giorni di fine estate e’ venuto a trovarlo suo fratello Chris, che sta passando un brutto periodo di depressione. E’ un musicista e sembra non trovare un minimo di equilibrio esistenziale, cosi il fratello ha deciso di stargli vicino per un po’, offrendogli anche l’opportunita’ di una vacanza in Europa e magari la possibilita’ di incidere qualcosa in Francia o in Inghilterra. Senza forzature e impegni pressanti, giusto per vedere di tirarlo fuori dal vortice di negativita’ che lo stava ingoiando a casa, a Memphis nel Tenessee. Fra gli invitati si sparge presto la voce che tra loro c’e’ un musicista americano, uno bravo che sembra abbia anche inciso un disco, come non chiedergli di suonare qualcosa. Lui non se la sente, non vuole, non e’ a suo agio, ma loro insistono, gli mettono una chitarra in mano, solo una canzone che sara’ mai. Sperano di aver trovato il giullare che possa animare la serata. Chris Bell alla fine si convince e suona un pezzo che ha scritto per la sua band i Big Star.

Chris Bell

Chris Bell

Ma nel giro di pochi secondi tutti si stancano di lui e tornano al loro chiacchiericcio, non degnandolo piu’ nenche di uno sguardo, no, decisamente non era il buffone di corte che speravano. In un analoga circostanza qualcuno sarebbe andato via sbattendo la chitarra al muro, De Andre’ si sarebbe ubriacato e avrebbe partorito Amico Fragile, ma lui non fa niente di tutto questo. Semplicemente ricambia la scortesia cantando People’s Parties di Joni Mitchell.

Peccato soltanto che lo fa in inglese e nessuno capisce il senso e l’ironia della cosa. O almeno, quasi nessuno. Un ragazzo giovanissimo, figlio di un diplomatico presente alla festa ha visto e sentito, e la cosa gli ha suscitato un diluvio di emozioni contrastanti, al punto che lascia tutto e tutti per andarsene via da solo, non volendo piu’ rimanere in quella rozza compagnia. Il giorno dopo trovera’ il modo di incontrare Chris e suo fratello, ricevendone il primo disco dei Big Star in regalo e stabilendo una relazione emotiva che in qualche modo dura tuttora.

Ma perche’, per parlare dei Big Star ho scelto di partire da qui, da questo piccolo episodio della vita di uno dei membri fondatori del gruppo?

Per tanti motivi, ma soprattutto perche’ mi sembra che condensi nello spazio di una serata il destino di una delle piu’ straordinarie band di sempre: Essere ignorata praticamente da tutti, e colpire nel profondo il cuore e la sensibilita’ di pochi, di qualcuno, tanto da cambiargli in qualche modo la vita. E rimanere per sempre con lui.

Parte subito strana la storia dei Big Star.

big star

big star

Alex Chilton, Jody Stephens, Andy Hummell e Chris Bell sono quattro ragazzi di Memphis accomunati dalla stessa passione per il rock inglese di fine anni sessanta. Un po’ anomalo trovare un gruppo innamorato del Beat anglosassone nella citta’ che e’ come la patria del Rock & Roll e del Soul Americano….Ma tant’e’, e questa sara’ la molla che mettera’ insieme i nostri quattro, ancora molto giovani ed indecisi se diventare studenti normali ed integrati della classe media che suonano per puro passatempo, o tentare l’avventura e dedicarsi alla musica a tempo pieno. A dire il vero Alex un esperienza come musicista professionista alle spalle gia’ la poteva vantare. Era stato parte dei Box Tops, una specie di boy band americana anni sessanta, e aveva anche avuto il suo momento di celebrita’ mandando un singolo in cima alle classifiche. Ma non era pane per i suoi denti, non tanto e non solo artisticamente, ma soprattutto per come la gestione della band era affidata ad un manager dispotico e al controllo assoluto della casa discografica. Cose che non andavano bene per il suo carattere sensibile, ribelle e indipendente. Mentre sembrava andare benissimo questa nuova esperienza, in particolare il rapporto artistico con Bell, che li porto’ in breve tempo a scrivere una manciata di brani, lavorando con lo stile di Lennon/McCartney dove uno andava ad integrare le composizioni dell’altro in un continuo scambio creativo in maniera assolutamente naturale.

Grazie anche al prezioso contributo di produttori, tecnici e manager, i ragazzi riuscirono ad ottenere un abbondante disponibilita’ di tempo presso i prestigiosi studi della Ardent a Memphis con John Fry alla consolle, tirando fuori due cose: Un primo disco fenomenale e un nome per la band, rubandolo a una piccola catena cittadina di supermercati, Big Star.

Big Star - il primo album

Big Star – il primo album

Un nome impegnativo da portare certo, ma efficace e di grande impatto nella grafica della loro prima splendida copertina.

I brani del disco, da subito, dalle primissime note e parole, segnavano una differenza sostanziale con la roba che girava in America in quel periodo. E’ una musica molto particolare quella che i Big Star incidono nei solchi del loro primo album. Una cosa forte, che tocca le corde dell’anima, che parla di sogni desideri e nostalgia, suonata con gran classe e decisione. Gli intrecci di voci e  chitarre, il ritmo di basso e batteria, sono messi insieme con un gusto tutto personale, creando atmosfere e colori inediti e delicati. Molto emotive e mai, nenche per un istante, scontate sono le loro canzoni. Che ti viene da chiederti come abbiano fatto, come abbia fatto Alex Chilton a poco piu’ di vent’anni a scrivere un pezzo come Thirteen che parla di amore adolescenziale con le parole che escono direttamente dal cuore di un tredicenne, ma con la poesia che solo un adulto puo’ avere. Come hanno fatto a fare un disco cosi bello? E come ha fatto il mondo ad ignorarlo totalmente?!?

Perche’ si, e’ cosi che e’ andata, il primo disco dei Big Star, complice anche una disastrosa distribuzione da parte della Stax che lo aveva fatto uscire, non e’ mai andato da nessuna parte. Ma proprio nessuna, nonostante abbia da subito ricevuto delle ottime recensioni, sia sulle riviste che nel giro di critici e musicisti americani ed europei, per il pubblico del rock il disco e’ passato del tutto inosservato. Come se non fosse mai stato fatto. Ora a distanza di tanti anni, nonostante la band non abbia mai raggiunto un vero successo, sembra comunque impossibile che un lavoro del genere sia stato un fiasco di vendite totale. Ma la storia del rock che amiamo e’ fatta anche di questi misteri, e la band rimase tramortita dalla frustrazione del risultato deludente, al punto che Bell, dopo aver messo tutto se stesso nella realizzazione del disco,  scivolo’ in una spirale di crisi esistenziale e lascio’ il gruppo, iniziando un rapporto lungo e devastante con alcol, eroina e tranquillanti. Ai restanti componenti del gruppo non restava altro da fare che unirsi intorno al talento creativo di Alex Chilton e ritentare.

Alex Chilton - Big Star

Alex Chilton – Big Star

Ripartirono da dove avevano lasciato, Ardent Studios in Memphis con John Fry di nuovo alla cabina di regia. Stavolta le composizioni erano tutte di Alex, cosi come le chitarre e gran parte degli arrangiamenti. Radio City, il secondo disco, ne e’ il bellissimo risultato. Pur nella linea creativa del primo, se ne discosta in favore di un suono forse piu’ asciutto, piu’ diretto.

Big Star Radio City

Diciamolo subito: Anche il secondo disco dei Big Star non ebbe il benche’ minimo successo commerciale. Oggi per molti di noi e’ un classico, al pari del precedente e del successivo, ma per la band fu un ulteriore delusione: Zero vendite, pochi concerti, il futuro incerto. E questa volta anche il morale e la psiche di Alex ne risentirono seriamente. E non e’ difficile capirlo, se hai scritto pezzi come September Gurls, Back of a Car o Life is White, e non riesci a mettere insieme il pranzo con la cena.

No, non deve essere facile trovarsi incensati dalla critica ma senza il benche’ minimo riscontro di pubblico. Sicuramente non lo fu per Andy Hummell che a disco appena uscito decise di lasciare la band, per non farci piu’ ritorno nemmeno dopo tanti anni di distanza dai fatti in questione. Alex e Jody andarono ancora una volta in giro per qualche show promozionale, ma nonostante la qualita’ dei concerti, documentata anche da un paio di registrazioni live uscite di recente, nulla di particolare accadde, e si ritrovarono di nuovo in studio di registrazione.

Questa volta le cose sarebbero andate in un altra direzione. la band di fatto era diventata un duo in cui Alex Chilton era l’unico motore propulsivo in tutto e per tutto, e ora che non aveva piu’ nulla da perdere, non voleva nemmeno avere piu’ vincoli artistici ne’ filtri di qualsiasi tipo. John Fry questa volta rimase molto in disparte, limitandosi di fatto ad assecondare il flusso della coscienza creativa e tormentata di Chilton, affiancato e supportato dal produttore J. Dickinson. Ne venne fuori un disco straordinario, per molti il vertice creativo della breve storia dei Big Star.

Big Star 3rd

Big Star 3rd

Dentro ci si poteva trovare di tutto, senza una vera unita’ di insieme se non come unico filo conduttore i tormenti e i sussulti dell’anima del suo autore. Ci sono cover, come Femme fatale dei Velvet Underground, brani sperimentali, sonorita’ pop, invocazioni religiose, disincanto e tensione. E poi Blue Moon, che con la sua dolcezza sembra venire da un altro pianeta per calmarci dopo gli alti e bassi della vita, a darci ancora una finestra di speranza.

E’ un percorso difficile e bello al tempo stesso quello che ci propone il terzo disco dei Big Star. Cosi singolare che all’epoca nessuno volle pubblicarlo e rimase negli scaffali per annni, senza nemmeno un titolo definitivo o una copertina certa. Ancora una volta sembra impossibile che un disco di tale portata abbia subito un simile trattamento, specialmente se pensiamo che negli anni settanta il mondo della discografia era molto disponibile a rischiare. Eppure ando’ cosi, e per la band fu la fine. In molti sensi. Hummell aveva lasciato il mondo della musica per sempre, Stephens suonava un po’ qua e un po’ la’ senza particolare convinzione, Chris Bell era sprofondato nella depressione e nella dipendenza farmacologica, riuscendo a registrare una manciata di canzoni bellissime che resteranno pero’ inedite per molti anni, per poi morire in uno strano incidente stradale nel ’78. Alex Chilton, nauseato,  aveva preso progressivamente le distanze dal mondo della musica di massa, e si era dato da fare nell’underground, fra le altre cose producendo il debutto, per certi versi epocale, dei Cramps. Poi di fatto aveva lasciato perdere del tutto ogni ambizione artistica, e si era messo a fare il lavapiatti e il giardiniere a New Orleans. I dischi dei Big Star erano stati anche ristampati, compreso il terzo inedito con il titolo incerto di Third/Sister Lovers, ma, oltre all’interesse di un ristrettissimo gruppo di addetti ai lavori, ancora una volta non successe niente.

Fra la fine degli anni ottanta e i primi novanta, qualcosa pero’ inizio’ a prendere la giusta direzione…I dischi avevano continuato a passare di mano fra gli appassionati, e gira gira qualche voce importante aveva iniziato a citarli come fonte di ispirazione. I R.E.M., Jeff Buckley, alcune riviste internazionali, nuove band underground, le canzoni dimenticate dei Big Star arrivarono per la prima volta a toccare un livello di fama, se pur certamente non di massa, importante e in continua crescita. I dischi vennero ristampati in cd, e la cosa si espanse ulteriormente. Finche’ un bel giorno milioni di spettatori televisivi americani del telefilm That ‘70s Show, si trovarono a sentire canzoni come September Gurls e Thitrteen come colonna sonora della loro trasmissione preferita. E, per un attimo, fu un vero successo. L’interesse nei confronti della band raggiunse un livello senza precedenti, convincendo Alex Chilton e Jody Stephens a rimettere in piedi il progetto con dei nuovi musicisti aggiunti. Usci addirittura un nuovo disco, logicamente lontano dallo splendore dei tre originali, ma soprattutto la band si mise a fare tour americani ed europei con una certa frequenza e con finalmente un buon riscontro di pubblico. Un inatteso ritorno molto bello, ma le vecchie ferite specialmente per Chilton non si erano chiuse definitivamente.

Mai avuto un carattere facile il nostro, ulteriormente inasprito col passare degli anni e le delusioni della vita, Alex ha rifiutato per anni di parlare pubblicamente dei Big Star. Anche quando era in tour con la band riformata, non ha mai piu’ voluto rilasciare interviste sull’argomento, e le poche volte che lo ha fatto e’ stato sempre con un carico di amarezza e risentimento. Il dolore del fallimento e della perdita di Chris Bell sono stati per lui insuperabili, ed e’ con una nota di profonda tristezza che abbiamo appreso della sua morte per complicazioni cardiache nel 2010. Seguita da pochi mesi dalla scomparsa di Andy Hummell, e di fatto calando cosi definitivamente il sipario sui destini di questa strana band.

Ho chiesto in giro ad amici comuni che negli anni hanno avuto occasione di conoscere e lavorare con Alex Chilton, e il ritratto che ne viene fuori unendo i loro ricordi e’ quello di una persona buona e positiva. Sorprendentemente allegro, concentrato sul presente qualunque esso fosse e totalmente indisponibile a qualsiasi accenno all’esperienza dei Big Star. Come se non ci fossero mai stati. Tutti hanno conservato un ricordo in qualche modo riconoscente nei suoi confronti, e sembra che abbia fatto sempre il possibile per aiutare i musicisti che incontrava nel suo cammino artistico e professionale. Poi pero’a un certo punto semplicemente spariva, e non era piu’ possibile ricontattarlo. Tutte le persone con cui ho parlato mi hanno confermato questa cosa, come un incapacita’ o una volonta’ precisa di non mantenere una relazione umana oltre il tempo dell’esperienza condivisa. Senza un litigio, senza un motivo particolare, Alex Chilton usciva dalla vita delle persone con cui ho parlato prima di scrivere queste note, senza ritornare mai piu’, ma lasciando a tutti un qualcosa in dono, un momento di umanita’ che  rimane per sempre impresso nei loro ricordi piu’ cari.

Ho la sensazione che si parlera’ ancora molto dei Big Star, della loro storia e della loro musica. Un documentario e’ stato realizzato da poco e a giorni verra’ distribuito in DVD. Sulle riviste per un motivo o per un altro il loro nome salta fuori sempre piu’ spesso. Ogni giorno qualcuno, garzie anche alla disponibilita’ di materiale in rete, li scopre e si innamora della loro musica. Credo che tutto questo andra’ avanti a lungo, chissa’ forse per sempre. I loro dischi sono tutti di facilissima reperibilita’ in qualsiasi formato, cosi come il bellissimo disco solista di Chris Bell “I am the Cosmos” ed esiste anche un cofanetto ricco di inediti, versioni alternative, live e quant’altro.

Sono sicuro che la fiammella dei Big Star non si spegnera’ mai, ma anche al tempo stesso che rimarra’ sempre una cosa per pochi.

Se con queste righe sono riuscito ad incuriosire qualcuno che non li ha mai ascoltati, o magari ho fatto venir voglia a qualcun’altro di riascoltarli dopo un bel po’ di tempo….Beh…allora, come dire… Ne sarei proprio felice.

Paolo Barone ©2013

7 Risposte to “BIG STAR di Paolo Barone”

  1. mikebravo 20/09/2013 a 19:47 #

    Gran bella dichiarazione d’amore per i Big Star.
    Io possiedo il primo disco in vinile colorato e diversi dischi di Alex Chilton
    stampati dal fan club francese.
    Ho anche un greatest hits dei Box Tops.

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  2. Picca 22/09/2013 a 17:10 #

    Conosco e apprezzò Big Star, che hanno pagato il prezzo di essere o in anticipo o in ritardo sui tempi.
    Ho avuto occasione di cenare con Gary Talley chitarrista dei Box Tops, il quale mi parlava di Chilton come di un talento ma pieno di insicurezze.

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  3. Danilo63 22/09/2013 a 23:16 #

    Grazie Polbi, gran bel pezzo. Mi hai fatto ricordare i Big Star e venire voglia di procurarmi il cofanetto.

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  4. Paolo Barone 23/09/2013 a 03:34 #

    Picca a cena col chitarrista di Box Tops! Che Blog ragazzi, ma dove le trovi ‘ste cose dico io….Certo che se ce la racconti questa cosa, direi che sarebbe cosa dovuta!
    Grazie Mike e Danilo, il cofanetto vale la pena, fidati, soldi spesi bene.

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    • picca 23/09/2013 a 17:43 #

      Gary Talley suonava la chitarra in una band abbastanza pulciosa chiamata Fish Heads & Rice. Registravano per una etichetta italiana, forse l’Appaloosa, non ricordo. Quando organizzavo il programma musicale del circolo Wienna di Modena mi furono proposti da un promoter di Cuneo, Umberto Tonello, specializzato in blues/rootsrock americano, roba da Buscadero insomma… Direi di averli chiamati due volte. La prima volta si presentarono, il cantante e bassista agiva da leader, gente molto simpatica, alla mano, veri outsiders. Una volta a cena prima dello show ho domandato al chitarrista, un signore gentile molto educato e sorridente, dei suoi trascorsi musicali e lui mi ha detto che da giovane suonava in una band che aveva fatto un 45 in italiano e me lo canticchiò. Riconobbi Cry Like A Baby e lui confermò che si trattava dei Box Tops e che il 45 in italiano era Mi Sento Felice. A quel punto gli dissi che ero felice io di essere al tavolo con una leggenda ma lui, molto umilmente, si mise a dire che l’unica leggenda era Chilton e che gli altri membri della band erano tre comprimari, lui compreso. Un paio di anni dopo tornarono e io evitai di parlare di Chilton per non metterlo in imbarazzo. Tutto qui.

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  5. picca 23/09/2013 a 18:08 #

    Sfagioliamo il topic ‘a cena con…’!
    Io cenato anche con John Hammond Jr, John Renbourn e Terry Cox (entrambi ex Pentangle, ma due occasioni diverse), Joe Ely & band (un after show demenziale al ristopizza Le Macine con il chitarrista da due quintali di Ely seminudo sdraiato sui tavoli e i camerieri che ci pregavano in ginocchio perché ce ne andassimo), Eric Andersen (per il quale il termine ‘ubriaco’ acquistò nuovi significati), Ani Di Franco, Gene Parsons dei Byrds e altri che adesso non mi ricordo.

    Lancio questa esca per vedere immortalata sul blog la mesta vicenda del nostro ospite Tim Tirelli alla pizzeria Vesuvio con Ian Gillan. Pura leggenda.

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  6. mikebravo 24/09/2013 a 07:58 #

    Spesso nomi altisonanti scelti dai componenti di un gruppo agli inizi, se vogliamo
    metterla sulla cabala, non portano bene.
    Un esempio i BiG STAR.
    Al contrario nomi legati a strumenti di morte come U2, ZEPPELIN ed IRON MAIDEN
    sono stati beneauguranti.
    Lo stesso quelli macabri come GRATEFUL DEAD o BLACK SABBATH o ZOMBIES.
    Anche il nome scelto dai fab four che giocava col termine inglese di scarafaggi,
    ha avuto buon gioco.
    Non parliamo poi dei nomi legati in qualche modo ai colori, PINK, VELVET, PURPLE,
    successo assicurato.
    Solo superstizione ?
    Un altro esempio i BLIND FAITH, supergruppo votato al rapido scioglimento.

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