Addio a LOU REED di Marco Priulla

28 Ott

Ieri ero perso in una delle mie domeniche problematiche, non avevo tempo per internet, sky, e cose del genere. Verso sera ricevo un sms di Picca che mi informa della dipartita di LOU REED, in allegato un bella foto di lui vecchio con i ray ban. Io comunque non mi sorprendo più, gli artisti che abbiamo seguito ed amato oramai sono tutti sulla settantina, e tutti alle spalle hanno una vita a dir poco dissoluta, logico che s ne vadano con sempre maggior frequenza. Da ieri sera è tutto un proliferare sui social network e sui quotidiani online di tributi, articoli, post e di “ciao Lou”…d’improvviso tutti amano LOU REED e poi…quei “ciao” usati per salutare qualcuno che se ne va non mi sono mai piaciuti. Per fortuna su facebook  incappo in una considerazione (che tovate qui sotto) del mio amico Marco Priulla, finalmente scevra di isterismi e romanticume da strapazzo, considerazione molto simile a quella che avrei fatto io. Il mio LOU REED è quello del 1972/75..LOU REED, TRASFORMER, BERLIN, SALLY CAN’T DANCE, CONEY ISLAND BABY ma soprattutto quello di ROCK AND ROLL ANIMAL. Si potrà obiettare, come giustamente fece Picca tempo fa, che è un disco della band più che di LOU, lo so ma mi riconosco in toto nel frutto di quell’unione: rock and roll universale, patrimonio dell’umanità.  Il pezzo scelto da Marco è meno banale di quel che si possa pensare e comunque rimane (intro compresa) un brano imprescindibile: rock at its best. Addio LOU.

Lou reed giovane

Quanti Lou Reed ci sono stati!
Quello dei Velvet Underground, quello di Transformer, quello di Berlin, quello di Sally Can’t Dance, quello di Metal Machine Music, quello del disco coi Metallica…ora violento ora delicato, vizioso e pentito, minimalista e menefreghista, ammiccante e romantico.
Spesso, coraggioso.
Il mio rapporto con la sua musica è dei più controversi, certe cose mi irritano, altre mi sembrano sopravvalutate, certe altre mi sembrano più fortuna dipinta di nero che sangue lasciato sulla strada.
Altre, invece, le trovo irresistibili, sognanti, nel bene e nel male, dolci, anche nel rumore, nella morbosità, in quel senso di disfacimento, di lacerazione che si avverte nella sua musica.
Liricamente, il suo è stato vero decadentismo urbano, l’estetica del brutto elevata a comandamento rock.

Sono atterrito, anche se non è mai stato tra le mie prime preferenze.
Se ne va una colonna del rock, che piaccia o meno; un padre, anche di tanta musica che non mi piace o non mi appartiene, ma pur sempre un padre, riconosciuto, nonostante tutto.

Questo è il MIO Lou Reed: nessuna sorpresa.
Quello più fragoroso e compatto, quello più “animale” da palcoscenico, più rockstar, ambiguo e scintillante, col suo accattivante heavy rock che esplode assieme alle glorie di Steve Hunter e Dick Wagner.
Il Lou Reed di “Rock’n’Roll Animal”, uno dei tanti, quello mio.

Addio Lou, il rock è più solo, ancora una volta.

(Marco Priulla)

Lou-Reed vecchio

32 Risposte to “Addio a LOU REED di Marco Priulla”

  1. alexdoc 28/10/2013 a 14:40 #

    Neanche a me piacciono i “ciao” ai defunti, ancora meno su Facebook. Ma è veramente un (altro) pezzo della mia vita che se ne va. Essendo più giovane il “mio” Lou è quello, più maturo, lucido e saggio, ma per fortuna mai pacificato, della cosiddetta “Trilogia del Dolore” e dintorni (1989-92 con appendice fino al 96), della rinascita artistica e umana di un uomo dato per finito troppe volte, inaugurata da “New York”. Il suo primo disco che ho comprato “in diretta”, uno dei miei dieci album di musica preferiti in assoluto, uno dei cinque più importanti della mia vita. E’ un vero dispiacere doverlo salutare per sempre, anche se poi pensi che poteva andarsene tanti anni prima, molto più giovane, e per fortuna non è successo, altrimenti non avremmo avuto dischi imperdibili. Aveva la forza della semplicità, nei testi, nelle melodie e negli accordi, e intuizioni folgoranti, istintive e viscerali. In “Street Hassle” incontrò un giovane Springsteen che stava registrando “Darkness” nello stesso studio, e lui decise improvvisamente di invitarlo a “dire la sua” nel pezzo, dove entra al nono minuto per 30 secondi. Lewis Allan Reed è sempre stato così. “No, no, no. Here’s the record. Teach me how to play the chords for this record”, disse da ragazzo all’insegnante di chitarra, nell’unica lezione di chitarra che ha preso in vita sua. Ma sapeva scegliere i chitarristi come pochi, in studio e dal vivo: Steve Hunter & Dick Wagner, Bob Kulick, Robert Quine, Mike Rathke. L’ho ammirato in concerto, Modena Teatro Storchi ’92 (un’illuminazione, qualcosa di indescrivibile, e non era solo l’emozione di 15enne a parlare), la reunion dei Velvet underground Bologna ’93, poi ancora a Modena al Parco Novi Sad nel 2004. Mai abbastanza, invidio a chi c’era il tour del 1980, la sua prima volta in Italia, a Bologna e Firenze. Su “Rock’n’Roll Animal”, che stranamente, incomprensibilmente, ha rinnegato e definito “il peggiore della sua carriera”. Ma ognuno ha i suoi gusti (e motivi), anche lui quindi, perchè non avrebbe dovuto? Ho sempre pensato però che senza quest’album tante persone non avrebbero mai incontrato, conosciuto e amato quest’uomo e artista così unico e speciale. Peccato che abbia chiuso con “Lulu” (con i Metallica), simile a quel live nelle intenzioni ma non certo nei risultati, ma la storia, anzi la leggenda, resta per sempre. Grazie di tutto, N.Y.C. Man.

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  2. timtirelli 28/10/2013 a 15:31 #

    Ecco, che il blog abbia lettori così mi fa inorgoglire. Grazie Alex.

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    • alexdoc 28/10/2013 a 16:03 #

      Di niente, figurati. Grazie a te Tim, e naturalmente ancora e per sempre a Lou.

      Comunque anche Ritchie Blackmore rinnegò “Stormbringer”, Nick Cave “Henry’s Dream” (per me uno dei suoi migliori dischi), Lucio Dalla “1983” (idem), Fossati “La mia banda suona il rock” e Neil Young metà dei suoi capolavori, ma qui si parla di artisti per eccellenza e definizione, dunque umorali, i motivi li sanno solo loro (se ci sono), l’importante è che questi dischi esistano.

      “I’ve been playing so many years with so many great people. But there are moments in playing to me that stand out. I remember the first note played by the band for Lou Reed’s Rock ‘n’ Roll Animal. When I heard that note, I felt, “This is going to be great, historic, important”.” (Dick Wagner. Non si può non essere d’accordo.)

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  3. picca 28/10/2013 a 17:52 #

    Non lo dico io che RnR Animal è un disco in cui il gruppo ci ha messo del suo a pacchi, lo dice (più o meno) Bockris nella bio dedicata al Lurido. Mi trovo d’accordo col biografo in quanto fatico a immaginare Reed che dirige le parti di chitarra di Wagner (nessuna parentela) e Hunter che contribuirono in modo così definitivo al successo del disco.
    P.S. Il mio disco preferito di Lou Reed è ‘New York’.

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    • alexdoc 28/10/2013 a 18:04 #

      P.S. Anche il mio, per quel che può valere. “Faulkner ha il Sud, Joyce Dublino e io ho New York”, disse Lou.

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  4. The Ghost Of BR 28/10/2013 a 18:02 #

    Mi fa molto piacere leggere il commento di Marco Priulla, che in gran parte condivido. Anche per me il Lou Reed post-Velvet Underground si identifica principalmente con “R&R Animal”: vi suonavano chitarristi del calibro di Dick Wagner, già in leggendari hard rock combos come Frost e Ursa Major, e Steve Hunter (i due si ritroveranno con Alice Cooper). Invece l’album di Lou-Lou con i Metallica non ha significato nulla di rilevante, a mio avviso. Ottimo commento, molto documentato, di Alexdoc.

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    • alexdoc 28/10/2013 a 18:06 #

      Ti ringrazio Beppe, detto da te per me è un onore e un immenso piacere.

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  5. Francesco 28/10/2013 a 18:49 #

    E’ vero, di Lou Reed ce ne sono stati tanti ma ognuno di loro ha lasciato qualcosa di straordinariamente importante nella storia della musica, no, in generale dell’arte degli ultimi 50 anni. Il mio Lou è quello di Rock’n’Roll Animal, per me uno dei migliori live di sempre, con quella straordinaria intro chitarristica a Sweet Jane, poi il cambio di ritmo, quindi il riff e poi la sua voce mentre il pubblico va in delirio: che meraviglia! Che poi Lou lo abbia rinnegato, mah, ha ragione Alex, il mondo della nostra musica è pieno di queste contraddizioni, e forse è ciò che la rende così affascinante. A me per esempio piace da morire “Sally can’t dance”, disco considerato un capitolo minore nella produzione di Lou. Che altro dire? Che da oggi camminare sul lato selvaggio sarà un po’ più difficile, senza la sua guida. Grazie Lou per tutto quello che ci hai dato, ci mancherai.

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  6. timtirelli 28/10/2013 a 18:55 #

    Ricevo da PAOLO BARONE e volentieri pubblico:

    Anche io, come tanti della mia generazione specialmente in Italia, ho incontrato Lou Reed con Rock and Roll Animal. Ho amato per tanto tempo, ogni singola nota e ogni singola parola di quel fantastico disco, pensando che quelle canzoni fossero nate cosi, con quella musica, con quegli arrangiamenti. Poi un giorno, su una delle tante enciclopedie del rock, una tradotta da NME, vidi una foto di lui in compagnia di Nico e Cale su un palco a Parigi. Era alla voce Velvet Underground, e quella fotografia in bianco e nero mi presentava un Lou Reed molto diverso da quello che avevo conosciuto fino a quel momento. Non sapevo ancora che grazie a quel piccolo scritto, avrei iniziato uno dei miei piu’ grandi amori musicali ed artistici, quello con il mondo dei Velvet.
    Ho smesso da tempo di compilare improbabili e inutili classifiche degli artisti e dei dischi che piu’ hanno segnato la mia vita, ma i Velvet Undergound sono stati e restano per me uno di quei nomi, pochi in realta’, senza dei quali veramente la mia esistenza, il mio modo di essere, la mia sensibilita’, sarebbero state diverse. In quegli anni, in quel contesto, Lou Reed ha scritto alcune delle pagine piu’ importanti della storia di questa musica…di questo modo di essere che per convenzione, per capirci fra noi e definirci con gli altri, chiamiamo rock.
    Ora, dopo tanti anni di vita intensamente vissuta, Lou e’ morto.
    Qui in America, appassionati a parte, non gliene sta fregando un cazzo a nessuno. Le sue canzoni non passano per radio, ad eccezione della solita (e bella) Walk on the Wilde Side, I Velvet non sanno manco chi sono, la trilogia del dolore, le canzoni scritte per Nico, songs for Drella, totalmente ignorati. Non potrebbe essere diversamente. D’altronde lui e l’America non c’entravano proprio niente. Lou Reed era New York City, e quella citta’ non ha praticamente nulla a che spartire con gli Stati Uniti d’America. La NYC delle sue canzoni, fatta di tossici, amori disperati, transessuali, dolcezza, dolore e bellezza. Pensate cosa puo’ fregarliene all’americano medio, stravaccato in poltrona a bere birra mentre guarda Fox News che e’ morto quel mezzo frocio di Lou Reed.
    A me, a noi, invece dispiace. Tanto. Non solo umanamente, ma anche artisticamente, perche’ lui non era un musicista in pensione, come tanti anche giustamente alla sua eta’. No, Lou era ancora capace di spiazzarci con qualcosa che non ci aspettavamo, e sono sicuro che avrebbe potuto farlo ancora se non fosse finita cosi.
    Invece no, e’ finita cosi e ci possiamo pure stare.
    E’ stata una storia bellissima.
    (Paolo Barone – Detroit – 28 ottobre 2013)

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  7. mikebravo 29/10/2013 a 08:12 #

    Il piu’ grande regalo che LOU REED ha fatto a chi non ha potuto vivere gli anni
    sessanta, è stato quello di ricostituire i VELVET UNDERGROUND e portarli in
    tour mondiale.
    All’arena nord di bologna rimasi folgorato dalla musica del gruppo.
    Concerto indimenticabile.
    E per ricordare LOU ieri mi sono riascoltato la versione dal vivo
    degli Yardbirds di Jimmy Page che eseguono I’M WAITING FOR
    THE MAN dal tour negli usa del 1968.

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    • Paolo Barone 29/10/2013 a 14:09 #

      Caro Mike, mi farebbe tantissimo piacere ascoltare questa cosa. Yardbirds e Velevet suonarono insieme a due passi da casa mia qui a Detroit, e se ci penso mi gira la testa!

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      • mikebravo 29/10/2013 a 14:43 #

        Se vuoi ascoltare l’intero concerto tratto da due date 31 / 5 e 1 / 6
        Shrine auditorium L A ,ti consiglio su internet
        THE PHILIP COHEN COLLECTION chiamando LAST RAVE UP
        IN LOS ANGELES. yardbirds.

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  8. mikebravo 29/10/2013 a 14:33 #

    Caro Paolo, su internet chiama WAITING FOR MY MAN YARDBIRDS e sentirai il
    brano tratto da LAST RAVE UP IN LA ( bootleg triplo ) .
    Relf e Page brillano, ma anche mc carthy e dreja non scherzano.

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    • Paolo Barone 29/10/2013 a 18:33 #

      Grazie tantissimo Mike! la tua segnalazione sta facendo il giro fra NYC, Detroit, Londra, Roma, LA e hai fatto felici un bel po’ di appassionati, musicisti, e fan dei VU che come me ignoravano questa cover. Grazie ancora!

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  9. Giancarlo T. 29/10/2013 a 17:46 #

    Il web è una strana bestia. Quando muore qualcuno di importante la sofferenza ed il dolore dilagano. I quotidiani non perdono l’occasione, i critici improvvisati o meno, anche. Improvvisamente tutti amano, ricordano, soffrono, perdono il sonno, dicono “ciao”, battono le mani ai funerali. E’ un atteggiamento un patetico che non sopporto; lo trovo irrispettoso, ma sarà colpa mia. Ed è un atteggiamento cannibale, specialmente quando, forte del branco, il lupus criticans inizia ad aggredire chi non la pensa come il branco medesimo. In quel momento non puoi semplicemente esprimere neppure la tua modestissima opinione che vieni sbranato. Non ti è concesso esprimerti se non positivamente, molto positivamente, in posizione prona ed adorante. Di tutto e di tutti. Da ieri Max Stefani, mio amico e immagino anche di alcuni di voi, è sotto assedio; io stesso sono stato aggredito dal solito pagliaccio con la “sindrome di Billy the Kid” perché ho osato dire che, morto Lou Reed sarebbe partita la salva di peana, frase ripresa da Max.
    A questo mi sono limitato. E quel che è strano è che tutti coloro che ci avevano avuto a che fare, direttamente o meno, tutti quelli che oggi lo dipingono come un santo da beatificare ne avevano sempre detto peste e corna. Perché Reed era cafone e indisponente, maleducato e scorretto, irrispettoso e offensivo, un tipo cui avresti messo le mani sul muso dopo due minuti se non fosse stato Lou Reed. Perché Reed non era bisessuale o “felicemente accoppiato” con la sua compagna di una vita Laurie Anderson, era un omosessuale felice, dalla vita sessuale debordante, che non aveva mai toccato una donna, quantomeno la omosessuale Anderson, compagna sì, ma di solo appartamento.
    Perché Lou Reed non era – guardate che non sto scherzando, ne ho postato il link sulla mia pagina ieri – “il chitarrista che più ha cambiato la storia della chitarra elettrica dopo Hendrix” ma un rozzo mestierante che non aveva mai certo voluto o potuto competere neppure con un ragazzino col la sua prima acustica e che, dal tour di “Street Hassle” in poi, ricorreva a lezioni di chitarra a 40 dollari l’ora per farsi insegnare i suoi stessi riff. Perché Lou Reed non cantava, ma declamava e negli ultimi anni riusciva a stonare persino mugolando le sue canzoni più semplici; chi abbia mai visto o ascoltato il “Berlin at the Warehouse” sa di cosa stia parlando. E soprattutto perché quel “Rock and roll animal” – un disco prima amato dai soli rocchettari e oggi “patrimonio dell’umanità” – fu il disco più odiato e rinnegato da Reed perché lui non vi aveva posto mano e se solo coloro che oggi ne cantano le lodi andassero in rete a cercarsi su alcuni blog le dichiarazioni di Dick Wagner, avrebbero la conferma di come il cantante avesse cacciato l’intero gruppo dopo soli pochi concerti per gelosia perché il pubblico, giustamente, andava in delirio per gli arrangiamenti e i virtuosismi di Steve Hunter e di Wagner cui Lou non aveva contribuito in alcun modo. Wagner ci restò così male che servì, complice Ezrin, il gruppo su un piatto d’argento a Alice Cooper…Gelosia di Reed che sconfinò nell’odio quando la RCA (che ne aveva le palle piene del suo contratto perché le vendite di “Lou Reed” e “Berlin” erano state un disastro e che aveva mantenuto le promesse solo perché David Bowie aveva prodotto prima e pagato poi di tasca per le registrazioni di Berlin e il contratto di Bob Ezrin) aveva deciso di recuperare un po’ dei soldi investiti nel cantante pubblicando “R & R animal” prima e “Live” poi, mandandolo in bestia perché risultarono per sempre i suoi dischi di maggior successo. Perché con un po’ di onestà, potremmo dire che i Velvet Underground – un parto ideato, creato e voluto da Warhol che ne curò l’aspetto, le copertine, l’inserimento della cantante e la scelta dei brani, suscitando, anche lì la gelosia di Lou che licenziò Nico e Cale e si staccò dal pigmalione – sono stati nei 50 anni passati sopravvalutati. Termine “sopravvalutato” che non viene accettato oggi in rete e per cui puoi venir passato per le armi, quando in corretto italiano non significa, parlando linguaggio di strada, che “fai cacare”, ma che vieni, semplicemente valutato più di quello che tu possa onestamente valere. Che può anche essere molto, ma sempre più di quel che appare. Premesso questo – e mi scuso per la lunghezza dell’intervento – possiedo 14 album di Reed, tutti quelli dei Velvet, ho amato alcune sue composizioni e ho persino imparato ad amare Berlin che ho acquistato pure nella sua versione dal vivo. L’ho visto dal vivo tre volte e perso una, nel 1975, l’ho intervistato, se così vogliamo chiamare i 120 secondi per cui riuscii a reggere la situazione, ho avuto a che fare, professionalmente, con molte persone “scosse” dalle sue manie e richieste. Ho parlato con molti che mi hanno raccontato episodi imbarazzanti, conosco a memoria brani e concerti. Comprendo perfettamente che abbia attraversato la storia del rock, passando dalle mani di un creativo come Warhol, a quelle di un genio come Bowie, poi Iggy Pop, poi molti strumentisti e produttori e artisti di valore e ho il massimo rispetto per chi ha segnato 50 anni di musica popolare. Ma resto dell’opinione che tra lui e……un altro che sapeva cantare poco e suonare altrettanto poco come Bob Dylan, ci sia un abisso culturale, di linguaggio e di approccio alla musica, oltre che alle scelte musicali. Pure Dylan non è un simpaticone, tutt’altro, ma forse, lì, un giorno, saremo tutti d’accordo. Lou Reed, per come l’ho apprezzato io, muore artisticamente con “Street hassle”, e sceglie di suicidarsi la sera del licenziamento in tronco della band di Wagner/Hunter. E “R & R animal / Live” quelli sì che sono album che ascolterò fino all’ultimo dei miei giorni. Rispettando chi la pensa in tutt’altro modo. Scusatemi per la prolissità eccessiva.

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    • saurafumi 30/10/2013 a 09:47 #

      Concordo con quello che dice Giancarlo per quanto riguarda l’eccessivo dilagare mediatico delle sofferenze umane quando muore un artista. Ora tutti amano Lou Reed, e magari la metà manco sapeva chi fosse. Questa ipocrisia mi dà fastidio, specialmente perché adesso tutti, quotidiani, servizi televisivi, rete, incensano chi passa a miglior vita come il migliore di sempre, quello che “ha inventato”.

      Quando morì Freddie Mercury assistemmo all’effetto contrario, una sequela di malignità, bugie e falsità scritte sui quotidiani e trasmesse dalle televisioni, una campagna mediatica rivoltante contro un cantante gay e morto di Aids che non poté essere smentita perchè la rete non era ancora sviluppata come oggi, quindi giornali e tv scrivevano e dicevano quello che pareva loro, l’importante era il risvolto scandalistico.

      Adesso giornali e tv sono praticamente obbligati a scrivere sempre bene di qualcuno, o quanto meno a riportare fedelmente il fatto di cronaca senza lasciarsi andare a troppi giudizi, altrimenti verrebbero sommersi da cori di disapprovazione e ululati di smentite, con il conseguente rischio che il follower clicchi sul fatidico “unlike”…

      Ennesima potenza della rete…

      Con tutto ciò, mi tengo ben stretta quei tre o quattro dischi di Lou Reed che ritengo fondamentali per la mia cultura musicale, e penso allo scorrere inesorabile del tempo, che pian piano sta portando via tutti gli eroi della mia epoca preferita.

      So long, Lou.

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  10. The Ghost Of BR 29/10/2013 a 18:10 #

    Secondo me, Giancarlo, hai fatto un grandissimo intervento. Nemmeno giusto confinarlo in un post, ma hai scelto cosi. Non voglio dire che quello che hai scritto è oro colato e che tutti debbano assentire, ma sei stato estremamente efficace nell’esprimere il TUO pensiero. Come talvolta non ti nascondo il mio dissenso, in quest’occasione ti faccio i miei complimenti, anche se non sono in grado di valutare varie considerazioni giornalisticamente interessanti. Ho notato che hai voluto sottolineare di possedere numerosi dischi di Lou (anch’io, forse qualcuno in meno), e che stai parlando con cognizione di causa. Non ce n’era bisogno, si capisce benissimo da tutto il resto. A mio avviso non è prolissità aver qualcosa di valido da dire.

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  11. Paolo Barone 29/10/2013 a 23:30 #

    Caro Giancarlo, in questo Blog siamo fra amici, fra persone che si stimano a vicenda e quindi credo che possiamo parlare tranquillamente.
    Non capisco cosa ci sia di male nel fatto che quando muore un personaggio di primissimo piano come Lou Reed tutti si sentano di ricordarlo su internet. Lo abbiamo fatto anche noi, e anche su questo Blog no? E se a noi quella persona, quell’artista non piaceva magari possiamo non accodarci al coro, e’ successo anche a me e più di una volta, ma perché parlarne male? Era un musicista, un artista, mica Pinochet!
    Sicuramente nella vita Lou Reed era una gran testa di cazzo. E allora? Lo erano, lo sono, anche Picasso, John Bonham, Dylan, attori, scrittori, registi, e allora? La loro arte e’ per questo meno intensa, meno interessante? Era gay, il matrimonio con Laurie Anderson era di facciata…Ma che c’entra? Saranno fatti suoi o no? Vogliamo ricordarlo perché era uno scarso chitarrista o per le canzoni immortali che ha scritto? Aveva una voce particolare, perfetta per quelle canzoni, o vogliamo sentire una Sweet Jane cantata da Robert Plant?! Ho sempre amato, come tutti da queste parti e oltre, R’n’r’ Animal. Sicuramente il contributo dei musicisti e’ stato fondamentale, non ci piove, ma poi gli stessi cosa hanno fatto da soli? Il disco di Alice Cooper? E prima? I Frost? Per carità’, cose apprezzabili, ma direi imparagonabili alla loro breve stagione di gloria con Reed, o no? Warhol ha aiutato molto la nascita dei Velvet, lo sappiamo tutti, gli ha dato una copertina fantastica, una cantante meravigliosa da tutti i punti di vista e li ha inseriti in un contesto culturale. Ma le canzoni erano di Lou, e dal secondo disco Warhol non era più coinvolto in nessun modo. Aldila’ dei gusti personali, i VU sono universalmente considerati uno dei gruppi più importanti ed influenti della musica rock, magari per qualcuno no, ma io conosco anche persone che considerano i Beatles una delle prime boy band e niente più. E’ un punto di vista interessante, non esistono gli intoccabili nel rock per quanto mi riguarda, ma non sarebbe meglio parlarne argomentando il giudizio e magari in un altro contesto? Bowie, Iggy, hanno aiutato nel tempo Lou Reed. E in quanti hanno affiancato De Andre’ (tanto per dire uno che amiamo sia io che te) nel corso della sua carriera? Non per questo la sua opera e’ meno importante. Bowie ha prodotto Reed, ma quanto ha influenzato la musica dell’americano la prima parte della carriera di Ziggy? Dylan e’ un grande, come Lou o Springsteen. Punti di vista di americani diversi e complementari. Che toccano diversamente le sensibilità di ciascuno di noi.
    Ovviamente invio sul Blog queste mie riflessioni sul tuo intervento, senza vena polemica ma per il gusto di riflettere insieme su queste cose.

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  12. mikebravo 30/10/2013 a 08:07 #

    Sono completamente d’accordo con Barone.
    L’influenza di un gruppo come i Velvet Underground sul rock che
    nasce alla fine dei settanta e si sviluppa nei due decenni successivi
    é imprescindibile.
    Il gruppo piu’ influente nella storia del rock ?

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  13. timtirelli 30/10/2013 a 10:40 #

    Bella discussione. Sono d’accordo con Beppe quando dice che è un peccato relegare certe considerazioni a semplici commenti, ma credo sia inevitabile, anche perché avevo già chiesto a Picca di tornare sull’argomento LOU REED passata la pioggia torrenziale di commenti di questi ultimi giorni (l’articolo di Picca sarà pubblicato venerdì 1 nov).

    Ho gustato l’intervento deciso e senza tanti filtri di Giancarlo, per certi versi (se non offendo il leggendario Trombetti col paragone) è una cosa che avrei potuto scrivere anche io con quel mix di intelletto e pancia che tanto mi piace. Poi Trombetti scrive con cognizione di causa, qui in mezzo (a parte forse Riva) è quello che più ha vissuto in mezzo a certe cose.

    Molto bella però la risposta di Paolino Barone. Molto, molto bella. In pratica ha confermato le osservazioni di Giancarlo invitandoci a guardarle però da una angolazione diversa. Una angolazione che grazie a lui, io sto cercando – in senso generale – di trovare, altrimenti rischio di andare fuoristrada se analizzo il rock con la mia furia iper razionale.

    A fuoco anche la risposta della groupie (ahimè unica voce femminile)…

    Ragazzi, grazie a voi questo sta diventando un blog della madonna. Zio can, se siete toghi..

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  14. lucatod 30/10/2013 a 14:12 #

    Gran bella discussione , alcune vostre considerazioni meriterebbero di essere ulteriormente approfondite , e per quanto mi riguarda , nonostante i diversi punti di vista , (GT e PB) avete entrambi colto nel segno .

    Ho apprezzato parecchio l’intervento di Saura , oggi se ne parla poco , ma le cazzate che sono state dette dalla stampa quando è morto F.M rasentano l’assurdo . Al contrario di questi tempi c’è la tendenza a glorificare/santificare anche chi per anni è stato massacrato o semplicemente non considerato .

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  15. Giancarlo T. 30/10/2013 a 21:47 #

    Paolo, scordati che mi offenda o mi inalberi quando le discussioni sono impostate non solo tra amici, ma sull’educazione. Anche se i punti di vista non collimano. Chiarito quindi che nessuno si sentirà mai tirato per le parti basse, forse è il caso di scavare un minimo sotto la superficie. Di giustificare la mia posizione. Nei miei anni glam – non, non sono mai andato in giro con capelli colorati – ho apprezzato Reed e amato Bowie; ho apprezzato T.Rex e amato Slade…e così via. La differenza tra amare e apprezzare è evidente. Quando ami un soggetto cerchi sempre di andare oltre. E diciamo che limitandomi ad aver apprezzato i Velvet e Reed non abbia mai scavato più di tanto. Ma nel momento in cui si dice che i VU siano “la band più influente di sempre”, sono io che chiedo spiegazioni: come? Tecnicamente? A Livello compositivo? Di arrangiamenti? Come precursori? E qui attendo le vostre motivazioni. Perché io nel Bowie/Ziggy non ho mai visto – ma sopra ogni cosa sentito – Reed che mai ha scritto di argomenti similari e con tale liricità; Reed era il vero “scrittore da vicolo”, nel senso che lì nascevano le sue storie. I “ragni” erano tecnicamente decenni luce più avanti dei Velvet e da un punto di vista armonico incomparabili, ma onestamente anche qualsiasi altro gruppo di fine sessanta lo era. Avete mai dato un occhiata ai gruppi nati tra il 1966 ed il 1969 ? Trovato nulla di interessate? Tucker era una tragedia di batterista, Reed uno zero di chitarrista, Morrison un chitarrista pedestre. E il solo Cale, più in seguito che al tempo dei Velvet, mostrava una certa dimestichezza con gli strumenti. Nico, se guardiamo alle donne cantanti era affascinante, ma non di più e messa lì sappiamo perfettamente per quale ragione….per “far macchia”, contrasto. Reed cantava, o meglio “vocalizzava” le sue composizioni. Vogliamo dargli una assoluta originalità di timbro? Ok, fatto. Bene vogliamo dire che su sei album abbia scritto una decina di buone cose senza dubbio, una ventina di brani di comune livello ed il resto sia irrilevante? Mia opinione, ovvio, ma vorrei qualcosa di più di sentirmi dire (su fb da un acuto commentatore insegnante universitario) che : “I heard her call my name è un capolavoro chitarristico”. Perché a mio parere siamo lontani dal mio concetto di capolavoro, termine che uso ed ho usato ben poco nelle mie recensioni in passato; vi pregherei di farmi notare il contrario. Precursori…di cosa? Del punk e del suono scheletrico di certe correnti statunitensi o anglosassoni tardi anni settanta. Dell’uso provocatorio degli strumenti e della ritmica, della cacofonia ipnotica di certi brani che male ascoltavo da ragazzo e peggio digerisco oggi che i gusti si vanno ancor più affinando. Ecco, forse la chiave di lettura sta lì. Perché vorrei capire quali gruppi siano stati davvero influenzati dai Velvet e chi siano e quale la loro portata storica. Perchè nella musica, mio parere insisto, come nel calcio e nella politica, per questione di bandiera, si finisce col trascendere e dimenticare anche la logica: per pura passione. Io, nella seconda metà dei sessanta, non ascoltavo “Sister Ray” o l’intero “White Light”, non mi crogiolavo con “I’ll be your mirror” o “All tomorrow’s parties” e, provenendo da Beatles e Stones, avevo scoperto west coast e rock e blues inglese e nero…e se avessi potuto chiedere a Reed in punto di morte a chi si era ispirato per le parti vocali (…mi perdoni Iddio…) e delle armonie dei Velvet meno grondanti eroina, sono sicuro che mi avrebbe risposto : “Ai Beatles”…dove starebbe dunque la forza seminale di quel gruppo? Nei testi, sicuramente. Negli argomenti e nella loro ricorrenza sopra tutto. Perché nessuno, fino ad allora, aveva – con quella costanza – affrontato temi scomodi come omosessualità, fellatio, droga pesante, suicidio, elettroshock, violenza familiare e poi ancora droga, esaltazione della medesima, compiacimento dell’omosessualità. Tutti temi assolutamente autobiografici, per Reed. Ma se vi guardate intorno, mi pare che altrettanto coraggio se non molto di più si mostrava nello stesso tempo, da un punto di vista politico e culturale altrove. E, sarà una mia pecca, ma la rivoluzione sociale e politica io la vedo e sento in Ohio, in Masters of war, in Like a rolling stone, in Satisfaction, in My Generation… in qualsiasi altra cosa piuttosto che in Walk on the wild side o Waiting for my man, che, a dirla tutta, mi facevano solo sorridere…C’erano il Vietnam e la Corea, l’apartheid, i massacri studenteschi, il nazismo dietro l’angolo, la primavera culturale…avrei potuto eccitarmi ai pompini di Candy o alle gambe rasate di Holly ? Questione non solo di gusti ma di scelte sociali. Ho preferito farmi spiegare i crimini di un’America zoppa piuttosto che farmi acculturare sui 26 dollari necessari alla dose aspettando il tuo pusher. Ho preferito scoprire altrimenti che l’elettroshock sia un’esperienza turpe, ma scelto piuttosto di volteggiare nel metallo pesante dialettico di Masters of war. Ho sempre creduto molto più lirico un Dylan o un Cohen di un Reed. Ho sbagliato? Ho preferito scoprire come si è passati dalle battute ripetitive del blues di campagna o di quello elettrico di Chicago ai mondi inesplorati di Stones, Zep, Who, Tull, Taste, Jefferson, Dead, QMS e migliaia di altre coraggiose band che non avevano un creativo geniale che faceva sbucare un fallo da una banana rosa (questa la vera copertina di Warhol) o non erano stati messi su un palco con una miriade di luci ed il nulla tecnico tra le mani. Ho preferito affondare nel mare artistico interminabile di Jimmi e della sua decodificazione del blues nero. Valido, quello sì, per altre venti, cento generazioni. Chi ama Lou, ha mai avuto il coraggio di leggersi la bio di Jimmi/Jimi di Shapiro. Imparerebbe moltissimo sulle vere origini povere, sui veri vicoli, sulla vera vita di un nero nel dopoguerra…
    Questione di scelte. Mi dici, Paolino…”era una testa di cazzo, e allora?” . E allora io resto uno di quegli individui sbagliati che continueranno a farsi condizionare nel giudizio della personalità. Ho avuto la fortuna di conoscere Bowie, amandolo. L’ho adorato dopo averlo ascoltato parlare, muoversi, vivere. Moltiplicando per mille la stima per la sua opera dopo averne letto e averlo sentito personalmente affrontare argomenti molto più delicati del culo di Rachel. Mi dici : “Era gay, saranno fatti suoi?”. Certo, anzi: di più. Perché allora devo leggere da giorni del suo “raggiunto equilibrio” con il matrimonio con la Anderson omosessuale anch’ella dichiarata? Perché devo sentirmi dire da decenni che era “bisessuale” ? Se non c’è nulla di male, perché nasconderlo dietro cazzate, domando?
    Perché sostenere l’imprescindibilità dei Velvet o dell’opera di Reed se le classifiche che troviamo ovunque sul web ci dicono che non abbia mai venduto un disco? Tranne Rock and Roll Animal? Chi si sarebbe mai accorto della imprescindibilità di Reed? L’intellighenzia proto punk con un passaparola? Non il pubblico. E detto da uno che venera uno che di dischi ne ha sempre venduti pochissimi, potrebbe avere un senso.
    Io vedo una sola verità dietro tutto questo polverone su Reed, non tuo Paolo, sull’amplificatore stonato che è il web, sulla macchina del “tutti giudicano tutto”, sulla forza di due bloggers ignoti alla mamma, ma letti da venti ragazzini con i foruncoli : che gli appassionati di punk, pseudo punk , proto punk sono determinati a non accettare alcun genere di dubbio. Loro hanno solo certezze: loro il passato remoto, loro il passato prossimo, loro l’attuale ed il futuro del rock and roll. La penso anni luce diversamente. E ritengo di ascoltare musica es-tre-ma-men-te più evoluta della loro dove tra un basso, una chitarra ed una batteria c’è già uno strumento di troppo. Con un vantaggio : io potrò sempre scendere ad ascoltare la loro, e magari apprezzarla. Loro non ce la faranno mai ad ascoltare la mia: troppo complessa. Troppo evoluta.
    Chiedo umilmente scusa a Tim per avergli rubato dieci pagine di blog. Grazie per l’ospitalità, ci vuol pazienza con gli anziani.

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  16. mikebravo 31/10/2013 a 08:02 #

    Giancarlo si é infervorato di piu’ nello sminuire reed/velvet che, a suo tempo,
    nel criticare chi attaccava il grande frank.
    Non me l’aspettavo.
    Da grande fan dei velvet e da grande fan di frank.

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  17. timtirelli 31/10/2013 a 10:32 #

    Macché scusa Giancarlo, questi confronti sono vitali per il blog. Che tu poi abbia scritto in maniera così completa, conferma quello che vado dicendo da un po’, e cioè che tu hai e avresti ancora tanto da dire e che il potenziale degli special guest di questo blog è altissimo. E’ un peccato vedervi confinati in questo piccolo spazio (e poco altro). Se ci fosse un dio, MOJO sarebbe italiano e ci scrivereste voi.

    Come già scritto nel mio commento precedente, io tendo ad essere in linea con GIANCARLO…e nel contempo cerco di capire mood diversi dai miei come sono quelli di Paolo e di MikeBravo.

    Non è semplice però..quando LOU REED venne a Bologna nel 1980 io deliberatamente non lo andai a vedere, e feci bene…il Tim di allora si sarebbe annoiato a morte. La atmosfera modenese (e italiana ed europea in genere) di quegli anni è quella che descrive PICCA nell’articolo che pubblicherò domani: cupa, tossica, in bianco e nero. Avevo scoperto il Rock da pochi anni e già avrei dovuto rinnegarlo, accodarmi a questa nuova ondata di incerto spessore culturale e di infimo valore musicale. Ero un ragazzino, certo che ascoltavo quello che passavano i tempi…i DEVO, I DAMNED, I SEX PISTOLS, i CLASH, i POLICE, i BLONDIE…ma il mio animo voleva i colori sgargianti del film THE SONG REMAINS THE SAME.

    Venne LOU REED come dicevo, il concerto mi pare fosse organizzato da PCI, e poco dopo fu trasmesso dalla RAI un concerto di una delle date italiane. Non mi piacque nulla…LOU REED piantato sul palco, con un gruppo inadeguato, intonazione discutibile, chitarre lofi…ero un adolescente pieno di amore per la musica dei LZ, degli ELP, di MUDDY WATERS, di JOHNNY WINTER… come potevo immergermi in quello squallore e in quella pochezza musicale?

    Con gli occhi di oggi probabilmente guarderei quel concerto in modo diverso, ne coglierei la spinta intellettuale, troverei interessanti le storielle di vissuto newyorkese, potrei perfino dare un senso allo scarno impatto musicale.

    Con il cuore di oggi amo LOU REED, alcuni suoi dischi. e potrei uccidere per avere la possibilità di trovare una macchina del tempo che mi porti nel giorno del solstizio d’inverno del 1973 a NEW YORK per assistere al concerto che poi diventerà ROCK AND ROLL ANIMAL e LIVE. Ma probabilmente non sono uno di quelli che contempla i VELVET UNDERGROUND tra i gruppi più influenti ed importanti della storia del rock.

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  18. Paolo Barone 31/10/2013 a 14:26 #

    Carissimo Giancarlo alzo amichevolmente bandiera bianca!
    Mi riconosco pienamente nella tua definizione della differenza fra apprezzare e amare un artista e la sua opera. Ci sarà, sempre chi ama Pavese e apprezza Pasolini e viceversa nel totale rispetto reciproco. Il panorama culturale viene arricchito dai contributi appassionati e sinceri di tutt’e due le differenti sensibilità.
    Solo due parole sui VU. Non hanno venduto tanto, ma non potrebbe essere diversamente, la loro musica così come quella del tuo FZ non e’ fatta per piacere a tutti. Se datiamo il loro album di esordio 1966, anno in cui e’ stato completato, ci possiamo rendere conto di come quella musica fosse originale e, secondo me, avanti nel tempo. Puo’ piacere o no, questo e’ un altro discorso, ma ha influenzato tanto del rock a venire. Il che non vuol dire che sono fioriti mille cloni, come per esempio con i grandi Sabbath o con i Beatles, ma credo che abbia acceso la scintilla in molti artisti futuri. Per loro stessa palese ammissione, butto a caso i primi che mi vengono in mente, Stooges, Bowie (ricordi le cover velevettiane alla BBC), Big Star, Patti Smith. Fino a Antony and the Johnsons, che per me e’ stato una delle cose più belle degli ultimi anni.
    Mentre il mondo rock correva a Woodstock, i Velvet tiravano fuori li mostro nero Withe Light / Withe Heat, uno dei dischi più avventurosi e scomodi di sempre. Li si può amare, ma non si può non apprezzarli.
    Grazie tantissimo per i tuoi interessantissimi contributi, che meriterebbero riflessioni e risposte ben più complete e profonde di quelle che il tempo mi concede oggi.

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  19. mikebravo 31/10/2013 a 21:15 #

    Stasera al telefono il mio caro amico Stefano Bertolo di Pordenone mi ha
    raccontato del CONEGLIANO POETRY FESTIVAL.
    Nel 1996 per 2 giorni i fortunati presenti poterono gustarsi ERIC ANDERSEN,
    FERNANDA PIVANO, MASSIMO BUBOLA , LOU REED ed altri ancora per la
    presentazione della versione italiana del libro VELVET.
    Lou Reed lesse versi tratti da MAGIC & LOSS e da un altro suo disco.
    Rispose tranquillamente in teatro alle domande sui Velvet che il pubblico gli pose.
    Poi, per merito della Pivano,con l’acustica prestatagli da Andersen, suono’ alcune
    canzoni.
    Il mio amico Stefano ebbe autografati da LOU il libro Velvet e 2 Lp che si era
    portato dietro ( take no prisoners e r&r animal )..
    Bubola e Pivano, legatissimi a Fabrizio De André, ( era presente Cristiano )
    per quei 2 giorni furono sempre accanto a Lou Reed che apparve rilassato
    e tutto meno che rockstar.
    .

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  20. mikebravo 09/05/2016 a 08:26 #

    Il pomeriggio del 6 luglio 1993 mi ritrovo von il mio amico Luciano perché
    la sera andiamo ad un concerto al parco nord.
    Telefoniamo ad un amico comune, valerio, che abita vicino alla stadio dall’ara.
    Lui dice che non si unira’ a noi.
    Minacciamo di andarlo a svegliare dopo il concerto ma non c’è verso.
    Si è separato da poco e pratica una vita casta e monacale.
    Rifugge pure il rock.
    Cosicché ci dirigiamo verso l’arena parco nord dove è in programma il
    concerto dei riuniti velvet underground.
    Parcheggiamo in una laterale di via Stalingrado ed a piedi ci dirigiamo verso
    l’arena.
    Passiamo di fianco alla casbah, un palazzone dove vivono famiglie di magrebini.
    Ad ogni finestra una parabola e nel cortile ammassi di materassii gettati dai
    vari piani.
    Affrettiamo il passo per evitare qualche lancio e progettiamo una visita notturna
    all’amico Valerio che ha rifiutato l’invito.
    All’arena c’è tantissima gente.
    Quando i velvet salgono sul palco, è la prima volta che vedo lou reed.
    Per non parlare di cale, morrison e la tucker.
    Il concerto si snoda attraverso i classici dei velvet ma per me è un’esperienza
    nuova ed unica.
    Si’, ho ascoltato qualche loro disco, ma ritrovarmeli di fronte in quella serata
    magica mi lascera’ un ricordo indelebile.
    E non ho mai dimenticato la batterista che suona i tamburi in piedi. .
    insomma alla fine ci rendiamo conto che Reed e soci non potevamo perderli
    e tra tanti concert karaoke dei ’90 ( rolling, mc cartney, pink.etc ) quella serata
    velvettiana restera’ un’esperienza unica e purtroppo irripetibile.
    Ritorniamo alla macchina.
    Siamo molto contenti e soddisfatti.
    L’impressione da subito è di aver visto un gruppo leggendario.
    Ci dispiace per il nostro amico Valerio.
    E ci sentiamo in dovere di punirlo.
    Parcheggiamo nella via dove abita.
    Guardiamo le finestre del suo appartamento al terzo piano di uno stabile.
    Luci spente.
    Ci guardiamo ridendo ed io mi attacco al suo campanello.
    Sono le due di notte.
    Pensiamo a lui che si sveglia di soprassalto.
    Ridiamo.
    Ma il riso si spegne quando dal citofono una voce femminile risponde
    CIAO RAGAZZI! IO E VALERIO SIAMO OCCUPATI !!! BUONANOTTE!!!
    Noi rimaniamo sospesi e ci guardiamo come 2 fessi.
    Valerio con una donna ?
    Per quello ci ha dato buca !
    Ma io non sono convinto.
    Risuono.
    E la stessa voce
    CIAO! RAGAZZI! IO E VALERIO SIAMO OCCUPATI !!!! BUONANOTTE!!
    Le stesse parole.
    Io guardo il mio amico e dico E’ UNA VOCE METALLICA, UN PO’ SATANICA.
    PER ME E’ REGISTRATA!
    Risuono.
    STESSA VOCE E STESSE PAROLE.
    Ora ridiamo E’ UN NASTRO.
    Siamo col naso all’insu’ quando Valerio si affaccia in canottiera.
    Ha la faccia un po’ spiritata.
    Deve aver riso anche lui fino alle lacrime.
    E cosi’, mentre Valerio si ritrae, saliamo in macchina.
    E’ stata una serata eccezionale sotto ogni senso.

    Impareremo in seguito che Valerio aveva registrato al telefono le
    mitiche parole grazie ad un amica che si era prestata a giocare uno scherzo
    a 2 coglioni nottambuli.
    Io e Luciano.

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  21. Paolo Barone 09/05/2016 a 19:10 #

    Mikebravo sono felice per te che hai colto questa occasione unica.
    E’ uno dei concerti che più mi pesa di aver perso, hai voglia a dire che non erano più come negli anni sessanta, che lo fecero solo per soldi e via discorrendo…
    Che darei ora per vedere sul palco Reed, Cale, Morrison & Tucker suonare quella musica.
    Non ci posso pensare che all’epoca per mille ragioni non andai! Mah….Che ci vuoi fare…
    Almeno esiste un buon cd-dvd live del loro show a Parigi, come si dice a Roma “Ariconsolamose co l’ajietto.”
    Mi e’ anche piaciuta molto la tua storia personale del resto della serata! Grazie!
    P.S. Ho riletto i commenti che avevamo scritto dopo la morte di Reed. Avevamo fatto tutti un bel lavoro con punti di vista diversissimi, mica male…

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  22. mikebravo 09/05/2016 a 20:38 #

    Mi appendo al petto le medaglie dei concerti visti come un veterano.
    Della serie la vecchia guardia muore ma non si arrende………
    Soldato……dove hai combattuto ?
    Ero a Bologna per i velvet, comandante, nel 1993!
    Bravo soldato!
    Poi ero in piazza maggiore sempre a bologna coi Clash!
    Ah…bravo soldato!
    Poi alla fiera di Bologna nel 1982 coi Police!
    Sei un bravo soldato…..e dimmi….eri a Zurigo nel 1980 ?
    Comandante…..ehm…..ehm…..dovevo partire….ma poi…..insomma…
    …..non ho seguito la truppa…..
    Soldato……sei stato un rammollito!!!!
    Ha ragione comandante…..un vero rammollito….

    A parte gli scherzi tutti abbiamo perso il concerto della vita.

    Della reunion dei V. U. esiste un doppio cd ufficiale.

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  23. Paolo Barone 09/05/2016 a 21:15 #

    “Tutti abbiamo perso il concerto della vita.”
    Mikebravo 9/5/2016. Perfetto.

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  24. tiziano the V° cavaliere in Zianigo...naaaaa 10/05/2016 a 06:21 #

    …sorry, io no, ma ho perso quasi tutti gli altri…anche adesso che a piazzola sul Brenta, a pochi Km da casa fanno questo festival di progressive , con Soft Machine, Caravan, Procol Harum ecc. ,saranno tutti vecchietti , magari formazioni non più originali…o sarà solo per pigrizia…

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    • bodhran 10/05/2016 a 15:39 #

      a Piazzola sul Brenta c’è anche Adrian Belew: non puoi perderlo! E’ semivecchietto ma ancora completamente capace di intendere e di volere!

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