Blues from Domus Saurea

28 Gen

Gennaio è ormai finito, il nuovo anno mi trova tutto sommato in forma, senonché la mia maruga continua a girare a ritmo di blues. Ci deve essere un modo per smettere di lambiccarsi il cervello, di giocar con la mente e i suoi tarli , per vivere qualche ora serenamente … eppure io non lo trovo. Cerco di distrarmi ma raramente trovo un po’ di pace. Non troppo tempo fa, nei weekend, bastava una Peroni e un bicchierino di Southern Confort per allentare i morsi del blues e per sprofondare un paio d’ore in quel dolce crepuscolo in cui riesci a sbarazzarti di te stesso, ma a forza di farlo tutti i weekend, ormai quel piccolo accorgimento non basta più ed io, non volendo esagerare con i miei liquori inquinati, non vado oltre. Non mi resta così che convivere con i diavoletti azzurri che sin dal primo mattino mi danno il buongiorno.

I’M NOT IN LOVE WITH MY CAR

Di punto in bianco rammento la mattina di natale, sono in tangenziale a Mutina, passo a prendere mia sorella per il pranzo tradizionale alla Domus Saurea. Sono di buon umore, ho fatto una buona colazione con la groupie, ho scartato i regali e ora sono in macchina che mi ascolto il white album dei Beatles. Davanti a me una station wagon, parecchi pacchi natalizi nel bagagliaio, immagino che le tre persone a bordo stiano raggiungendo i famigliari, sui loro visi però un’espressione tutt’altro che felice. Nella corsia opposta una macchina in panne. L’auto è vecchiotta, le persone che le stanno intorno sono male in arnese. Hanno sguardi rassegnati, così a occhio la vita non gli deve venire facile. Vivere in un paese occidentale (o meglio, accidentale) ad andamento capitalista già non è facile di per sé, figurarsi per gli ultimi della fila. Mi sento a disagio, non sono certo un benestante, ma lì dentro alla (Aor) blues mobile con i sedili riscaldati, vestito di nuovo, dopo aver aperto tanti di quei regali che la testa ancora mi gira, mi sento in colpa. Mi torna in mente I Believe In Father Christmas di Greg Lake, la disillusione contenuta nel testo, la critica al consumismo che già nel 1975 si era impossessato del natale. Valuto per un momento se uscire dalla tangenziale e poi rientrare dall’altra parte per dargli una mano, ma subito dopo rinuncio e continuo a seguire il programma della giornata. Mi sento un po’ un pusillanime.

LINUS gennaio 2007 – BOYS DONT CRY

Linus è da tempo il mio settimanale preferito, mi sono perfino abbonato, e mi stupisco ogni mese della qualità degli articoli (e fumetti) in esso contenuti. Nel numero di gennaio – in particolare –  ci sono due paginette di Antonio Pascale intitolate Boys Don’t Cry che ho trovato assai stimolanti. Qui sotto il pdf.

“Perché l’evoluzione non ha eliminato la depressione e l’ansia? Il modello modulare mostra che il nostro cervello moderno è in parte ancora al paleolitico: sei io provo ansia per un nonnulla sto attivando gli stessi meccanismi fisiologici che un cacciatore-raccoglitore attivava nel paleolitico, quando sfuggiva ad una tigre dai denti a sciabola”.

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IL ROCK NON STA BENE

Qualche settimana fa è arrivata la notizia che le edizioni Team Rock sono in amministrazione controllata dopo soli tre/quattro anni dall’aver acquistato il pacchetto di pubblicazioni della Future Publishing. Stiamo parlando delle riviste Classic Rock Magazine (UK), Metal Hammer e compagnia. In sintesi, Team Rock paga più di 10 milioni di sterline a Future Publishing per l’acquisto e dopo quattro anni si ritrova in amministrazione controllata, tanto che Future Publishing corre a sua volta in soccorso. Non so bene a che punto sia la situazione oggi, ma così ad occhio e croce direi che il momento non sia brillantissimo. Classic Rock Magazine è, insieme a Mojo, la rivista rock di riferimento in Europa, da quel che so vende tra le 53.000 e le 57.000 copie. Non sono tante visto il bacino d’utenza, ma dato il declino della carta stampata non sono nemmeno poche. Ogni numero dovrebbe generare un fatturato di circa 650.000 euro, cifra più che interessante. Metal Hammer vende circa 20.000 copie, anche in questo caso cifra più che dignitosa. E allora cosa è successo? Cattiva gestione? Forse; non credo infatti che insistere sulle riviste BLUES e PROG sia poi così salutare. Quanto potranno vendere? Qualche migliaio di copie? Sono sufficienti per garantire lo sforzo? E poi, chi le compra? Probabilmente gli assatanati dei generi in questione, o gli appassionati del Rock come me quando in copertina c’è qualcuno come, che so, Johnny Winter o Greg Lake, ma a parte questi, chi se le fila? Davvero sono interessanti tutti quegli articoli e recensioni su band sconosciute arrivate sulle pagine di queste riviste spesso senza il filtro di una casa discografica vera o di una esperienza degna di nota? Un tempo i gruppi facevano dei demo-tape, dei provini, oggi si fanno direttamente i cd in casa con cui poi si inondando riviste e spazi dedicati alla musica senza che nessuno lasci davvero traccia. E’ questa la strada giusta? E’ davvero blues quello che viene proposto? La gente pensa che io sia un esperto di blues, ma sbaglia, me ne guardo bene. Il 95% del blues che mi capita di sentire non ha proprio senso. Stessa cosa nel Prog, quante sono le nuove band che valgono davvero? Quelle che sanno suonare, scrivere, arrangiare, cercare una strada loro? E’ sufficiente far vedere che si ha la capacità di mettere insieme un pezzo di sei minuti su cui infilare qualche passaggio strumentale complicato per essere un nuovo nome del Prog? Non sarebbe meglio ridurre e far uscire ogni sei mesi uno special sul blues o sul prog?

E d’altro canto, per quanto ancora le riviste come Classic Rock potranno scrivere dei vecchi nomi? Non è già stato detto tutto? Cos’altro si potrà aggiungere? Quanti sono quelli delle giovani generazioni a cui eventualmente gioverebbe trovare articoli sui vecchi leoni dei rock? Pochi, la stragrande maggioranza dei giovani non è interessata. L’epopea del rock è morta e sepolta, senza ricambio il rock si avvia a diventare un genere di nicchia, come la classica.

Mi basta guardare le classifiche del 2016. Secondo Dischinpiazza di Mutina, ad esempio, i migliori dischi del 2016 sono l’album di Bowie e Blue & Lonesome dei RS, e chi gestisce il negozio in questione è attentissimo alle nuove uscite, ai nuovi nomi. Bowie e i Rolling. Non è già una sconfitta questa? Blue & Lonesome è arrivato nella top ten italiana e americana. Un disco di cover di blues, suonate in maniera sgangherata da un gruppo di settantenni , arriva tra le prime dieci posizioni. Sì, certo, siamo tutti contenti, il blues, i Rolling Stones, ma ha senso?

E intanto Eddie Van Halen va a giocare a golf, fatto che non avrà  lo stesso peso di quello che ha attaccato un adesivo dei Gratefull Dead sulla cadillac, come cantava Don Henley, però… Il Rock, come lo intendevamo noi (come fenomeno socio culturale), è morto da un pezzo.

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L’ARABA FELICE

E’ successo, non lo avrei mai creduto, eppure…sono andato a mangiare il kebab in un ristorante arabo.

Colei che gestisce il ristorante, una donna araba nata immagino nella seconda metà dei settanta. è indaffarata, seria e al contempo ben disposta e serena. Dà l’impressione di essere contenta del suo lavoro e della sua vita. Sembra felice. Bello incontrare una persona così ogni tanto. Ci sono fin troppi timtirelli in giro.

Arabian dinner - foto TT

Arabian dinner – foto TT

Ordino il “piatto del Pascià” e  me lo gusto tutto.

Il piatto del Pascià - foto TT

Il piatto del Pascià – foto TT

La groupie prova un piatto vegetariano e rimane soddisfatta.

Groupie & kebab (vegetariano) - foto TT.

Groupie & kebab (vegetariano) – foto TT.

Esperienza positiva, vincere i preconcetti è sempre molto salutare. Non è perché vivo nella regione dove secondo il New York Times c’è la cucina migliore del mondo io debba poi snobbare il resto. Così devo dire che non è niente male la cucina araba, meglio ad esempio della cucina britannica (non che ci voglia molto a dir la verità). Prima di lasciare il posto noto che nella pizzeria/focacceria lì accanto siede a cena una coppia araba. Noi quì al kebab e loro lì. Buffo.

FILM & TV:

SULLY – TTTT

Al cinema UCI di Regium Lepidi il martedì i biglietti costano 3,5 euro. Non perdiamo l’occasione per andare a vedere Sully, il film tratto da quella storia vera relativa all’ammaraggio di un aeroplano sul fiume Hudson successa qualche annetto fa. Il film è bello, fatto bene e per nulla noioso. Un po’ di retorica americana nel finale ma nulla di grave. Clint Eastwood colpisce ancora.

COLONIA – TTTT

Film acquistato su prima fila di Sky. Altra storia vera, questa ancora più allucinante. I fatti seguiti al colpo di stato del cile del 1973 mi interessano sempre molto, anche se l’indignazione cresce ogni volta di più. Il regno del terrore di pinochet (con la p minuscola) fu qualcosa di terribile, in questo film ne vengono a galla le nefandezze collegate alla “colonia” di paul schäfer (con le iniziali minuscole), un predicatore tedesco fuori di testa e fuori controllo.

REMEMBER – TTTTT+

Film acquistato su prima fila di Sky. La sinossi di wikipedia:  Zev è un anziano ebreo affetto da demenza senile che vive in un ospizio insieme al suo amico Max. Un giorno Max convince Zev a partire alla ricerca del nazista responsabile dell’uccisione delle loro famiglie ad Auschwitz; l’uomo vive in America sotto il falso nome di Rudy Kurlander, ma esistono altri tre uomini con lo stesso nome. Zev si imbarca quindi in un viaggio alla ricerca del vero Rudy Kurlander per vendicarsi.

Tra gli attori Christopher Plummer, Martin Landau e, uno dei miei preferiti, Bruno Ganz. Uno dei film più belli visti in questi ultimi anni. Da vedere a qualsiasi costo.

THE AMERICANS – TTTTT

Quarta stagione di The Americans. Nonostante questa serie TV sia in giro da un po’ e non sia più una novità, la qualità resta elevata, e questa quarta stagione riesce ancora a sorprendere.

FORTITUDE 

Ieri sera è iniziata la second stagione di Fortitide. Brividi e misteri negli avamposti umani vicini al circolo polo artico. Sono diventato un fan di film e serie TV girati tra cittadine e posti sperduti tra i ghiacci, Speriamo che questi nuovi episodi mantengano un buon livello.

FINO ALLA VITTORINA, SEMPRE

Ogni tanto mi capita di frequentare la Vittorina, l’unica zia rimasta alla groupie. Questa volta è capitato in occasione del pranzo di inizio anno a casa dei genitori della valentino rossi del rock and roll. Vittorina ha ottanta anni, li porta bene ed è ancora in gamba. Mi è molto simpatica e credo di esserle simpatico anche io, e mi piace molto parlare con lei. Fa parte della generazione che più identifico con il carattere della mia terra, e sto ad ascoltare divertito il suo eloquio che passa con una facilità disarmante dal dialetto emiliano all’italiano. Vittorina, che tutti chiamano la zia bionda, ha perso il marito qualche mese fa, ne parla con rassegnazione e dispiacere ma è possibile intravedere anche in lei la concretezza emiliana, concretezza che le permette di rimanere in piedi. Chiama il marito ancora per cognome, come ha sempre fatto, rendendo in dialetto e in una sillaba sola le due sillabe di cui il cognome (tipico delle nostre parti) sarebbe composto. Sono gli ultimi scampoli della emilianità di una volta, quella a cui sono così legato sentimentalmente, l’emilianità dei nonni, dei genitori, di una generazione ormai agli sgoccioli. Tra poco toccherà a noi prendere il testimone, ma la nostra preparazione non sarà all’altezza, tante sfumature della emilianità (e in generale delle culture ataviche delle varie regioni o zone d’Italia) andrà persa. Me ne dispiace, ma tutto cambia, nessuno può farci niente. Così cerco di godermi la zia bionda (e la madre della groupie).

Vittorina e Tim dic 2016 - foto Saura T.

Vittorina e Tim gennaio 2017 – foto Saura T.

HEAVY METAL TUNDRA

Per un paio di settimane viaggiamo sotto zero, dai -4 ai -8. Di nuovo l’effetto tundra. Peccato non sia venuta la neve. Sono pure circa tre mesi che non piove o quasi. Io a inverni così secchi fatico ad abituarmi.

Tundra alla Domus Saurea - foto TT

Tundra alla Domus Saurea – foto TT

La terra soffre, lo sento.

Tundra alla Domus Saurea - foto TT

Tundra alla Domus Saurea – foto TT

MISTY MOUNTAIN SHOP

Ci sono i saldi, vado un po’ in giro con la groupie. Fatico a trovare un negozio che mi si addica, la grande maggioranza vende zavagli, abbigliamento e scarpe di bassa qualità. Dopo un lungo peregrinare arrivo sulle sponde del Den Store, capisco subito che ho trovato il posto adatto a me. In breve acquisto due giubbotti, due maglioni, tre felpe, due pantaloni, un paio di guanti.

Al banco, la commessa accenna – contenta – allo shopping compulsivo che avrei appena portato a temine, non riesco a stare zitto. “No, guardi lo shopping compulsivo non c’entra, il fatto è che ho girato due grossi centri commerciali e ho constatato come siano pieni quasi esclusivamente di negozi che vendono capi economici e brutti. Anche catene una volta di un certo peso si sono vendute alla logica dell’outlet. Certo, ci sono anche un paio di negozi che vendono articoli costosissimi, ma prezzi folli a parte non è il mio stile. Il suo è l’unico negozio che ho trovato di mio gradimento. Roba di qualità, stile conforme all’uomo di blues che sono, prezzi abbordabili. So quello che mi serve, quello che mi piace, ergo compro. Tutto qui.”

In verità la groupie mi guarda con quell’espressione un po’ così che ha quando mi vede fare certe spese, tra un minuto mi dirà “sei un vogliosino”, chissà, forse è così, almeno in parte, ma tra noi due lo stylist sono io, dunque deve portare pazienza, venire con me, comprare quello che dico io ed evitare quei posti dove compri quasi tutto tra i 10 e i 20 euro. Perché poi se ci pensiamo bene, al di là del materiale scadente, per mantenere quei prezzi lì, usano schiavi o bambini. Sicuro, lo fanno anche le grandi marche, lo abbiamo visto, ma se non altro sono costrette dall’opinione pubblica ad un minimo di autocontrollo.

outlet - foto TT

outlet – foto TT

Lo shopping serve anche a riempire certi vuoti esistenziali, inutile nasconderlo, ma più che con i vestiti veri e proprio lo faccio con articoli musicali o con abbigliamento particolare. Vado ad esempio sul sito dell’Inter e mi compro una felpa ed un pigiama che trovo irresistibile. Ne avevo bisogno? Forse no, o forse sì visto che ogni volta che lo indosso la notte sogno Milito che fa i due goal al Bayern nella finale di Champions del 2010 o Maurito che uccella la Juve, dunque dormo sereno e mi sveglio in forma.

Pigiama Inter

Pigiama Inter

Oppure ci ricasco con Amazon. Dico sempre che smetto e poi…guarda qua, l’ennesimo libro in inglese sui Jimmy Poige (ma questo sembra ne valga la pena), il IV dei Mahogany Rush in versione digipack, l’ultimo dei Rolling, il primo degli Sky (roba per depravati, lo so), la colonna sonora rimasterizzata del film lo Squalo etc etc.

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CHINA CALDA ALLA PERLA

Venerdì sera, esco a cena con la groupie. 50 km per raggiungere quel localetto funk e blues che ci piace tanto. Stasera c’è il pienone. Ottima cena come sempre, una Weiss e un gruppo che suona. In uno dei tavoli si sta festeggiando un compleanno. Un ragazzo compie 26 anni. Lo osservo, è esuberante ma senza strafare, l’età è ancora quella dove tutto ti sembra possibile. Gli regalano una maglietta con su stampato il numero degli anni e tra parentesi la sigla cm … si scherza sulle misure del…beh, avete capito.

Faccio mente locale, dove ero io a 26 anni o giù di lì? Mi vedo là, sul finire degli anni ottanta, la fanzine che avevo iniziato da qualche anno, il mini studio 4 piste che avevo installato in casa, le canzoni che avo iniziato a scrivere e a registrare con Tommy, i primi articoli scritti per Metal Shock, le prime telefonate con Giancarlo Trombetti e Beppe Riva, l’Inter del Trap che si accingeva a vincere lo scudetto dei record, una groupie di cui il mio amico Pike dice ancora oggi che ricorda simpatica ma che io con gli occhi di adesso tutta quella simpatia non rammento, la musica che usciva e che mi avvolgeva in quegli anni…i Guns’n Roses, Outrider, Now And Zen, Permanent Vacation, Slippery When Wet e New Jersey, Hysteria, Talk Is Cheap, Nothing Shocking, The Mission, i Living Color, John Cougar Mellencamp, Whitesnake, Surfing With The Alien, Long Cold Winter e chissà cos’altro.

Ah, meglio non pensarci e andare andare a bere qualcosa. Ci trasferiamo nel locale del bancone del bar, chiedo all’Alda di prepararmi una china calda. Chiacchiero mezz’ora con Giorgia Jaded di Steven Tyler e Aerosmith e con Pelo di bassi e chitarre. Ho scrollato di dosso la nostalgia. Posso tornare verso il posto in riva al mondo.

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made in china – foto Saura T

GATTI

ARTEMIO IS BACK

Con grande sorpresa Artemio, un gatto forestiero che era solito frequentare la Domus Saurea la scorsa estate, si è rifatto vivo. Con soddisfazione lo abbiano trovato in carne e in buone condizioni.

Artemio - gennaio 2017 - foto TT

Artemio – gennaio 2017 – foto TT

Gli altri gatti lo hanno accettato da tempo, Artemio è un bonaccione, non importuna più di tanto le tre femmine che abbiamo e deve essere un gatto beta, perché è remissivo con Palmiro, che lo tollera senza problemi (o quasi).

Palmiro & Artemio - gennaio 2017 - foto TT

Palmiro & Artemio – gennaio 2017 – foto TT

Ormai Artemio staziona sempre nei paraggi, non gli rifiutiamo mai una ciotola di cibo, acqua fresca e qualche coccola. L’altra sera è venuto addirittura in casa.

Artemio in the house - foto TT

Artemio in the house – foto TT

E’ così legato a noi che non vuole più rinunciare alla posizione che ha acquisito, tanto che si ribella e combatte Maciste, l’altro gatto forestiero che bazzica da queste parti, quello che Palmir non può vedere e che scaccia sempre dal territorio con inseguimenti a perdifiato tra le vigne. Sono sempre curioso delle dinamiche feline, rimarrei a contemplare questi mammiferi per ore.

PALMIR E GLI INCONTRI RAVVICINATI DEL TERZO TIPO

Son lì che mi sto ascoltando la immersion edition di Dark Side Of The Moon (spero che scriverlo non mi metta in cattiva luce, sembra che adesso si debbano ascoltare solo i PF più esoterici, difficili e cupi) mentre mi mangio un pezzo di torta che recentemente ha fatto la groupie (non si direbbe, ma la groupie fa anche le torte). Mi beo ascoltando i PF a Wembley nel 1974, mi perdo nel tempo e nello spazio ma ad un certo punto trasalisco: “oh, ormai è buio, devo andare a cercare Palmiro!”. E’ un giorno feriale. sono a casa. Mi affaccio fuori dalla porta e chiamo il diavoletto nero della Tasmania reggiana. Di solito verso quest’ora è nei paraggi, basta chiamarlo che sale le scale di corsa. Ma stavolta niente da fare. Mi infilo scarpe e giubbotto e scendo. Chiamo ma lo stronzetto non risponde. Faccio un giro intorno a casa, batto palmo per palmo quel po’ di terra della Domus Saurea e quindi mi inoltro nelle vigne dei nostri vicini. Come al solito mi spingo fino alla casa diroccata. Palmir ne è ossessionato. E’ una vecchia casa da contadini che sta crollando, luogo ideale per topini, animaletti vari e anche fagiani. Lo chiamo ma non si fa vivo. Lo so che mi sente, ma è un gatto, risponde solo quando e se ne ha voglia. Torno a casa. Dopo un quarto dopo riscendo, non è ancora buio pesto, ma inizio a preoccuparmi. Giusto un anno fa abbiamo perso Pato, ucciso  – dopo una lotta selvaggia –  da una volpe (o da un lupo) mentre io cercavo di scendere nel viola profondo della mattina invernale per cercare di salvarlo. Ne ho parlato anche qui sul blog. Le urla e i lamenti di Pato ancora mi risuonano nell’animo. Ci sono diverse volpi qui in giro. Recentemente a tre chilometri da qui ne hanno uccisa una – dicono – grossa come un lupo. Chiamo la groupie. E’ ancora al lavoro. Torno in casa e poi torno giù di nuovo. Ora la sera è del color dell’inchiostro, nella nostra via non ci sono lampioni, giro con una torcia. Lo chiamo, ma niente. Dopo le sei arriva la groupie. Ci mettiamo in due a battere la zona. Freddo, buio, oscurità….temiamo per il nostro gatto. Ci facciamo un largo giro nella campagna, con la speranza di non cadere in fossi o buche. Niente. Rimaniamo calmi, ma è chiaro che siamo in apprensione. Torniamo verso la casa diroccata. Le torce illuminano la stradina e i dintorni. Vedo una macchia nera. E’ Palmir. Lo chiamo, cerco di avvicinarlo, ma è spaventato. Spegniamo le torce, non so come ma riesco a  prenderlo, tenerlo tra le braccia però è un’impresa. Strano, Palmir non si ribella mai a noi. E’ paziente oltre ogni limite, sa perfettamente che ogni cosa che facciamo è per il suo bene. Riusciamo a portarlo in casa. E’ guardingo, ha i sensi all’erta, cammina col ventre che sfiora il pavimento. I giorni seguenti non esce e in casa mi sta costantemente attaccato. Solo una settimana dopo trova il coraggio di uscire, ma se ne sta sulla balconata o corre in garage, guardandosi costantemente intorno. Immaginiamo abbia avuto un incontro ravvicinato del terzo con qualcosa che lo ha spaventato. Una volpe, forse più di una, animali che forse sono fuggiti quando mi/ci hanno sentito avvicinare, così Palmir è riuscito lasciare il suo rifugio e a venire verso di noi. Chissà.

Non è una novità quella di andare a cercare Palmir, lo abbiamo sempre fatto e lo faremo ancora, ma adesso siamo ancora più attenti.

Terry & Palmir - foto Tyrrell

La Terry va a riprendere Palmir – foto Tyrrell

Palmir dal canto suo è diventato ancora più affettuoso. Quando gli scatta il sentimental mood cerca il contatto totale con noi in maniera ancora più incisiva. Son lì che guardo le partite dell’Inter e lui viene a sdraiarsi sopra di me. Scatto, salto, gioisco per un goal o una vittoria ( cosa sempre più frequente in questi ultimi due mesi)? Palmir pazientemente si sposta, si stira e poi torna a mettersi su di me. Stamattina me lo sono trovato accanto a me nel letto, la sua testina sul cuscino e il corpo sotto alle coperte. Come direbbe la Terry: “Patato!”. Sono 20 anni che vivo con i gatti, è un’esperienza davvero notevole.

Sleeping Palmir - foto Tyrrell

Sleeping Palmir – foto Tyrrell

 

IL DECLINO DEGLI UOMINI DI BLUES OCCIDENTALI

Oltre a non riuscire ormai a fare a meno dei sedili riscaldati della Sigismonda (la mildly blues mobile insomma), adesso mi sono anche fissato con i dispensatori di essenze. Verso un po’ acqua nell’apparecchio, lascio cadere qualche goccia dell’essenza giusta, accendo il tutto e rimango incantato ad osservare la lampada cambiare tonalità e il filo dei vapori d’essenza che esce dal buchetto superiore. Respiro volentieri quegli aromi che sanno di fresco, e mi chiedo se non stia anche io scivolando nei trip new (p)age di quest’epoca, sì perché an s’è mai vest Johnny Winter con un lavòr dal gèner…non si è mai visto Johnny Winter con un diffusore d’essenze. Non vorrei trasformarmi da uomo di blues a metrosexual di blues, passare da Muddy Waters a Robert Cray o Keb’ Mo’, e finire in quei centri benessere dove ti mettono sassi caldi sulla schiena mentre nei locali vengono diffuse quelle musiche che non sono musiche, quelle melodie neutre suonate da finti zufoli infarcite di rumorini delle foreste. An s’un menga un fnoch! *

diffusore di essenze - foto TT

diffusore di essenze – foto TT

  • La battuta “suona” omofoba, ma l’omofobia non c’entra, “fnoch” in questo caso ha il valore di effeminato, metrosexual, uomo metropolitano moderno lontano dalla mascolinità tutta d’un pezzo di certi tempi andati. Il tutto è (auto) ironico naturalmente. Qui giochiamo a far finta di avere come riferimenti dei mannish boys come Muddy Waters, Howlin’ Wolf o Johnny Winter appunto.  Mi scuso se qualche lettore si è risentito.

 

3 Risposte to “Blues from Domus Saurea”

  1. lucatod 28/01/2017 a 12:55 #

    Bellissimo articolo Tim . Sarà che pure io non sono a digiuno di “blues” , ma me lo sono letto con vero piacere .

    Remember è stato uno dei pochi film recenti che mi hanno colpito . Hai ragione è assolutamente da vedere . L’altro giorno ho visto il nuovo di Denis Villeneuve – Arrival e mi ha deluso parecchio , anche perché questo regista sta facendo dei bei film . Il cinema mi da molto da pensare , oggi più che mai stanno andando di moda i sequel di film (brand) come Star Wars , Terminator , Alien , Blade Runner , Indiana Jones . Ridley Scott torna a girare Alien , Harrison Ford ai suoi tre film più popolari . Sono curioso ma anche perplesso .
    Il nuovo album degli Stones non mi ha detto nulla . Mi fa piacere che siano ancora una band in attività , però …

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  2. timtirelli 28/01/2017 a 16:59 #

    Grazie Luca. Fa piacere vedere una volta di più che io e te siamo spesso sintonizzati sulle lunghezze d’onda del blues. Il disco dei Rolling non ha detto nulla neppure a me. Prossimamente sul blog.

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  3. mikebravo 29/01/2017 a 07:48 #

    Io a 26 anni ero molto dazed & confused.
    Mi perdo il concerto di zurigo.
    Ancora adesso pensandoci mi chiedo quanto sia stato coglione a non organizzarmi
    e andare.
    Ma forse sarei stato tra quelli respinti alla frontiera per aver scordato la carta di
    identita’.
    A fine settembre mi telefona la mia ex e mi dice che bonham é morto.
    Ricordo che presi la notizia senza reazioni particolari……….
    Nel 1980, come adesso del resto, passavo molto tempo nei negozi di dischi.
    Favoleggiavo con gli amici di un libro su led zeppelin che stavo preparando.
    Non mi rendevo neanche conto che cosa volesse dire scrivere un libro sui led.
    Molti concerti in quel periodo.
    Mai come allora.

    Il libro che ha acquistato tim é stato sicuramente una sorpresa.
    In questi ultimi anni mi sono tolto lo sfizio di comprare tutto quello che potevo
    trovare sul dirigibile e correlati.
    Fermo restando che non comprando su e bay mi manca qualche libro fuori catalogo.
    Martin power ha avuto una bella idea.
    Non si é dovuto poi sforzare molto.
    Essendo gia’ stato scritto tutto, Martin avra’ pensato
    PERCHE’ NON SCRIVERE SUL PRIMISSIMO JIMMY PAGE?
    L’inattivita’ ormai secolare del nostro ex-chitarrista ha dato la direzione.
    io stesso mi sono rimesso a cercare su cd le sessions dei sixties di page.
    Cosi’ martin power ha scavato con profondita’ nel periodo meno conosciuto di
    page ma non meno fecondo.
    Nessun libro letto finora ha mai dedicato tanto spazio al pre-1968 di page.
    Un gran bel libro !

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