Into The Great Wide Open (Addio a Tom Petty) – di Stefano Piccagliani

3 Ott

Ho chiesto a Picca di scrivere due righe a proposito della dolorosa dipartita di Tom Petty, tra i miei amici è quello più indicato visto che non volevo pubblicare le solite banalità scritte da uno, il sottoscritto, che non ne sa abbastanza. Certo, comprai anche io DAMN THE TORPEDOS all’epoca, ebbi fin da subito una fascinazione particolare per HERE COMES MY GIRL, ma non posso certo dire di avere su Petty la stessa preparazione del mio amico, così meglio lasciare a lui la parola, conoscenza, lucidità e schiettezza non gli mancano di certo. Buon viaggio Tom, grazie di tutto.

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 Comprai Damn The Torpedoes nell’80, al negozio Rock Dreams di Modena in viale Medaglie D’Oro. Me lo ricordo benissimo, Tom era biondo e quindi si trattava di un acquisto rischioso perché quei capelli avrebbero complicato l’eventuale processo di identificazione tra il me 15enne e questo nuovo artista che mi accingevo a scoprire. Un paio di ascolti a casa e poi subito via a cercare i primi due lp (Torpedoes era il terzo).

Tom Petty

Petty mi conquistò subito, il minimo comune denominatore era il suono alla Byrds che era indiscutibile. Ma c’era molto di più, anche se non era del tutto evidente. Un pizzico di glam, che allora non sapevo neanche cosa fosse, una sorta di sfacciataggine pop che usciva dagli schemi seriosi del cantautorame rock dell’epoca. Un briciolo di sudismo, nel senso del Southern Rock, con l’aggiunta di una bella dose di sole losangeleno. In più c’erano gli Heartbreakers, una band che aveva un sound inconfondibile, dalle mille derivazioni certo, ma un sound tutto suo.

Tom Petty & The Heartbreakers

Petty, come altri, arrivò sui nostri giradischi quando negli scaffali c’erano pochi dischi da portare a casa per noi che amavamo quello che poi si sarebbe chiamato ‘classic rock’. Springsteen, DeVille, Dire Straits … Petty riassumeva tutto quello che mi piaceva della musica americana, le 12 corde Jingle Jangle, il ritorno ai padri fondatori, qualche riferimento ‘garage’, i Creedence, una puntina di psichedelia. Gli Heartbreakers erano bravissimi e misuratissimi, consumati eppure ancora sbarbini.

Poi uscì Hard promises (preso da Mati in via Farini) e il mio fanatismo controllato si consolidò. Petty era una rock star particolare, attraversò gli anni ‘80 con poche paturnie, riuscì benissimo a gestire l’era MTV producendo video godibilissimi, non si snaturò mai e mantenne sulla faccia un sorrisetto ironico che significava ‘Divertiamoci baby, è solo rock ‘n roll’. Con Mike Campbell, il suo chitarrista, sfoggiò tour dopo tour la più fantastica collezione di chitarre mai vista. Gli piaceva suonare agli Heartbreakers, mica infinocchiare il pubblico. Non si fece mai spennare da modelle, si sparò un po’ di pere senza pubblicizzare la cosa, collaborò con molti, sopportò il bizze del suo amico e idolo Bob Dylan, fu amico di George, di Paul, di Ringo, di Bruce, di Lindsey & Stevie, di Jackson, di Cash, di Crosby, di Stills, di Neil, di Roy, di Chris, di Roger, di tutti.

Quando cominciò artisticamente a bollire – inevitabile – riformò la sua band del liceo, i Mudcrutch, e la portò in tour, alternandola agli Heartbreakers. Just for fun. Lascia un catalogo di canzoni invidiabile, costruito tutto in punta di piedi, senza mai sbracare. La carriera perfetta. Mi mancherà moltissimo. Into the great wide open.

©Stefano Piccagliani 3 ottobre 2017

5 Risposte to “Into The Great Wide Open (Addio a Tom Petty) – di Stefano Piccagliani”

  1. Paolo Barone 04/10/2017 a 08:58 #

    È incredibile il peso che Petty ha in America. Forse ne avevamo già parlato da queste parti, ma è il vero eroe nazionale-popolare americano. Una cosa pazzesca, le sue canzoni sono ovunque praticamente non puoi uscire di casa senza sentirle. Ho visto maniaci delle sonorità più underground, punk rockers, amanti del Classic rock più scontato, tutti uniti da Tom Petty. L’America è sua, gli altri vengono tutti dopo.

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  2. Tom 04/10/2017 a 14:01 #

    …uno umile e sincero, anche lui nel paradiso della nostra musica!1

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  3. bodhran 04/10/2017 a 17:08 #

    Non cambia niente alla faccenda, ma sono andato a controllare su setlist, è morto esattamente 30 anni dopo il live visto a Roma con Dylan (e Roger McGuinn), 3 ottobre ’87. E l’articolo centra esattamente anche il ricordo che ho del concerto, schietto e senza fronzoli ma sfacciato come si deve essere sul palco.

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  4. Francesco 04/10/2017 a 18:34 #

    E già, tutto quello che amiamo del Rock sta in quel sorrisetto, in quel caschetto biondo, in quell’abbigliamento vagamente glam ma senza esagerare, in quell’attitudine degli Heartbreakers di stare sul palco (io purtroppo non li ho mai visti in concerto, ma del resto da queste parti non sono passati molto), così, senza fronzoli, come a dire “Noi siamo questi e suoniamo Rock’n’Roll”, punto e basta. E poi quel suo essere trasversale e sempre pronto a tuffarsi ovunque ci fosse da “menare le mani” sulla chitarra: Dylan, i Traveling Wilburys, Johnny Cash (notevole il contributo suo e di Mike Campbell alle “American Recordings” dell’Uomo in nero). E per una volta la definizione “Nazional-popolare” non è un’offesa, sta a indicare la strada di un’artista che ha sempre tenuto la sua musica dalla parte della gente, come Springsteen, Mellencamp, Seger, senza preoccuparsi di sembrare banale ma anche senza svendersi. Ci mancherà Tom, ci mancherà tanto, grazie Picca per questo bellissimo ricordo.

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  5. mikebravo 05/10/2017 a 08:12 #

    Penso che il brano I SHOULD HAVE KNOW IT dimostri quanto tom petty
    e i suoi ragazzi amassero i led zeppelin.
    Un bel riffone degno di page e tutto il resto…………………..

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