Pur non essendo un fan dei suoi ultimi lustri musicali, quelli della svolta “rock alternativo / afro / rock / roots / americana” son contento che Plant non sia diventato come David Coverdale o come Ian Gillan, costretti a recitare una parte che non possono più sostenere. Benché Robert sia stato il modello di tutti i cantanti del panorama hard & heavy, si è sempre distinto dalle imitazioni, non ha mai insistito con certe pantomime nei rapporti col pubblico. Una volta (nel 1972) si è autoproclamato “Golden God”, ma lo ha fatto con una certa autoironia e in ambito privato. Sul palco – negli anni settanta – ogni tanto andava sopra le righe con le sue “plantations” (le cose che diceva tra un pezzo e l’altro), ma niente di cui vergognarsi troppo, d’altra parte la cocaina produce un senso di onnipotenza a volte. Questo è un aspetto che ho sempre ammirato in Plant, il non “sbracare” mai, restare sempre con i piedi per terra, evitare certe grossolanità. Credo che sia anche per questo che i LZ si distinguono dagli altri. Intendiamoci, ho amato molto anche David Coverdale, uno che come atteggiamento sul palco è l’esatto contrario di RP, ma la differenza di stile è indubbia.
Detto questo devo ammettere che è molto ormai che non amo più tanto quello che fa. Ho tutti i suoi dischi, sono un fan, ma i suoi ultimi 5/6 album non fanno per me. Stimo la sua voglia di provare strade diverse, di adattarsi a nuove suggestioni sonore, ma ahimè, quel tipo di proposte mi lasciano indifferente.
Carry Fire è il suo nuovo capitolo musicale registrato insieme al gruppo che lo segue ormai da qualche anno, gruppo dove nessun emerge ma tutti danno il loro (piccolo) contributo alla causa.
La copertina dell’album è piuttosto brutta, in linea con la pochezza degli artwork dei dischi che escono adesso. L’arte delle copertine è davvero morta, e registrare questo fatto anche con uno dei miei miti porta molta amarezza.
Tutti i pezzi sono scritti da Robert e da vari membri dei Sensational Space Shifters a parte Bluebirds Over The Mountain che fu scritta nel 1958 da Ersel Hickey e che qui Plant canta con l’aiuto di Chrissie Hynde. L’album si è mosso bene nelle classifiche (teniamo presente però che le vendite di dischi al giorno d’oggi raggiungono cifre quasi irrilevanti.) 3° in UK, 14° in USA, persino 23° in Italia.
- The May Queen – 4:14
- New World… – 3:29
- Season’s Song – 4:19
- Dance with You Tonight – 4:48
- Carving up the World Again… A Wall and Not a Fence – 3:55
- A Way with Words – 5:18
- Carry Fire – 5:28
- Bones of Saints – 3:47
- Keep It Hid – 4:07
- Bluebirds over the Mountain (The Beach Boys cover) (feat. Chrissie Hynde) – 4:58
- Heaven Sent – 4:39
The May Queen riporta a galla suggestioni proprie del III album dei LZ e di Poor Tom. Il cantato di Plant in certi parti non è granché, quello strascicare un po’ buttato lì a mio parere non funziona. Più che un tempo di batteria ci sono dei simil-loop ritmici su cui si attorcigliano i vari strumenti. Nonostante tutto niente male.
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New World sembra uscito dritto dritto da Walking In To Clarksdale (1998), l’album che il biondo di Birmingham registrò con Jimmy Page. Brano di buona fattura.
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Season’s Song si affida ad un arpeggio di chitarra acustica su cui piano piano si inseriscono gli altri musicisti. Momento quieto e di una bellezza che sgorga liquida.
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Con Dance With You Tonight si inizia a sentire una certa ridondanza, troppo simile alla traccia precedente nella foggia. Carving up the World Again… A Wall and Not a Fence è un altro momento francamente inutile. Non si può dire che siano pezzi brutti, semplicemente sono neutri e nel contesto di un album del genere è facilissimo vederli passare senza lasciar traccia.
A Way With Words non si discosta molto dal mood dell’LP, se non altro però è presente un piano che lo caratterizza un po’.
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Carry Fire pesca nel bacino world-oriental-arabian music. Il cantato e la chitarra si chiamano a vicenda. E’ musica degna di nota, ma niente di nuovo per quel che riguarda l’artista in questione.
Bones Of Saints è ritmata e non si allontana per niente dalla concezione musicale su cui RP e gli SSS fanno affidamento da tanti (troppi) anni.
Keep It Hid è un altro episodio che si perde all’interno del disco.
Bluebirds Over the Mountains, cover di un vecchio pezzo del 1958 e presente anche nell’album postumo di da Ritchie Valens nel 1959, è trattato alla maniera di RP&SSS, nulla di indimenticabile per quanto mi concerne, seppur la presenza di Chrissie Hynde porti qualche brivido.
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Heaven Sent è l’ennesimo tentativo di destrutturare le canzoni e presentarle sotto nuove spoglie. Per quanto sia meritevole l’intento, i risultati non sono però poi così rilevanti.
L’album, pur essendo affrontato con professionalità, è concepito sulla parvenza di provvisorietà, sentimento che può aprire i portali del cosmo ma che spesso fa implodere il tutto. Carry Fire è un album abbastanza coraggioso di uno che fece parte di un gruppo che costituì, e costituisce, i principi fondanti della musica rock. Non gli si può dunque imputare troppo, è ragguardevole il fatto che il Golden God cerchi di non ripetere quello che fece nella sua giovinezza, ma nel farlo finisce per ripetere sentieri già percorsi troppo spesso negli ultimi anni. Per quanto – come dice il nostro amico Beppe Riva – si debba rispetto a Robert Plant, non credo che un album come Carry Fire riesca a passare su nostri giradischi e lettori più di un paio di volte.
Robert Plant solista sul blog:
https://timtirelli.com/2016/07/25/robert-plant-live-in-milano-20-7-2016/
Caro Tim, ad un primo ascolto ho avuto la tua stessa impressione. Successivamente peró mi sono ritrovato a riascoltarlo con più calma, accompagnato dai colori autunnali che ci stanno circondando e devo dire che l’ho rivalutato. Il problema è che stiamo parlando di Robert Plant e scindere il nome dal prodotto è sempre molto difficile con persoggi di questa portata. Un abbraccio
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Giuv, io lo ho ascoltato 4 volte perché non volevo incappare nell’errore di cui tu accenni, capisco ciò che intendi ma io credo che dovrebbe esserci più carne al fuoco per quanto riguarda le composizionie maggior varietà negli arrangiamenti. Poi è vero, inutile aspettarsi chissà che da un artista di 69 anni che incide dischi da 50 anni esatti, però sai è Robert Plant, mica uno qualunque, mica facile mettere da parte il lignaggio e la storia, va beh che i LZ erano più che la somma dei singoli componenti ma…
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“L’arte delle copertine è davvero morta”, mah, la copertina di suonare decimo piano, per esempio, a me sembra ricca di idee. ciao rembler bella recensione del nostro eroe.
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Tommy parlo in generale. Ci sono copertine di dischi autoprodotti che sono notevoli, ma se si vanno a vedere le vetrine dei negozio di dischi e ci si sofferma a guardare le copertine dei dischi che escono per le grandi etichette, non ci si può non accorgere come la situazione sia desolante. Le eccezioni ci sono, così come nicchie di resistenza, ma in termini generali l’arte di fare copertine si è completamente persa. Nessuno vuole investire più di tanto. Foto dell’artista manipolata con software grafici dai risultati grotteschi, foto tratte da image bank comprate per pochi euro e via.
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certo Tim d’accordissimo con te, la mia era una battuta alla sciubidiruuuu, mi prendevo un pò in giro, songs of Pòaaahhh and the super nocchia players. (poor Tom)
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Ne ho letto bene ma ho troppa roba da ascoltare.
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Sorry Rambler, non avevo capito. All in the name of Poahh Roggiah.
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…a proposito del nostro biondone: stò leggendo il libro di Max Stefani , quello sulle radio e i giornali musicali ( confesso, a fatica, la storia delle radio ecc. non mi appassiona più di tanto ), arrivo alla pagina dove si parla di lui in occasione della festa del 1° Maggio di anni fa …noooooooooooooooooo, Max, dimmi che non è vero…
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Tiziano, Max Stefani si confonde, parlando dell’episodio cita il 2002, ma la voce a cui alludi e che gira da tanto è relativa al tour italiano del 1993. E’ un pettegolezzo che ho sentito da un paio di fonti, non ti so dire se sia vera o no. Vado cauto a parlare perché non voglio che questo post diventi oggetto di discussione circa i gusti sessuali del Golden God, ne contribuire a dar peso ad una voce che potrebbe essere non vera.
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Grazie Tim, senz’altro sarà cosi. E con questo mettiamo un bel pietrone sopra. E chiuso quà.
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Trovo molto interessante il modo in cui affronti (raramente) su questo blog la carriera solista di Robert Plant . Il tuo distacco dal cantante della nostra band preferita è molto simile al mio e (credo) ad una grande fetta del pubblico zeppeliano . E’ riuscito ad allontanarsi dal gruppo in modo definitivo ma allo stesso tempo non riuscirà mai ad attirare il pubblico senza citare qualche bella “pagina” d’annata .
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Io sono fermo su Carry fire, la canzone,che ho avro’ ascoltato una ventina di volte.
E che amo molto.
Temo che il resto delle canzoni, che ho sfogliato a spizzichi e bocconi, sia al
livello dei 2 precedenti albums che non ho un po’ scordato.
Come ho scritto in precedenza, l’album mi conferma che il cinquantenario nel
2018 porterà forse a qualche riedizione di Led Zeppelin 1.
Per i ricorsi storici, nel 1993 Plant pubblicò un grande album e Page se ne usci’
con Coverdale.
L’anno successivo si risposarono.
Ora nel 2017 Plant è uscito con Carry fire e Page è uscito con Scarlet.
Chissa’ cosa succedera’ nel 2018………….
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Page è uscito con gli Yardbirds..per l’ennesimo remaster,che tra l’altro spero tim recensisca. Per il 50esimo anniversario stanno rimasterizzando qualcosa,ormai..
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Naturalmente ne parleremo Danav. Ho ordinato il Cd ma mi è arrivata la comunicazione che parla di un ritardo sulla data di uscita. E’ probabile che finisca nell’elenco delle cosette che mi autoregalo per Natale, dunque per le mie riflessioni dovrai avere un po’ di pazienza. Sì, stanno senza dubbio lavorando su qualcosa. Penso possa essere relativo alle registrazioni del 27/28/29 luglio 1973. L’uscita rimasterizzata del 2007 è stato un flop, plausibile che Page voglia metterci una pezza. Personalmente spero in un cofanetto contenente le tre date più o meno complete.
C’è anche la faccenda del Japan tour 71, How The East Was Won. Speriamo che Page si decida a farlo uscire.
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Si,suppongo anche io qualcosa live,secondo me (a essere ottimisti) potremmo avere una sorta di Led Zeppelin DVD Parte 2..magari in formato CD pechè è chiaro che il materiale video è scarso,l’unico nuovo ritrovamento è stato il nastro con i 30 minuti del festival di Bath. Per quanto riguarda Robert come pezzo ho apprezzato Bones of Saints perchè si ode un barlume di note acute del Plant di un tempo,per il resto banalità,spero solo di rivederlo dal vivo. Anche se alla BBC ha suonato una versione di WHole lotta love ancora più snaturata..ma in compenso ha inserito In The Light in scaletta (ovviamente spogliata dei riffoni di Page)
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Concordo pienamente con Tim…Però riascoltare la sua voce è sempre una magia e se uno pensa che questo forse sarà il suo ultimo disco ne accresce un po’ il valore…
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Leggendo l’ultima intervista su UNCUT, non sembrano parole di un artista a fine
carriera.
Tre giorni prima di incontrare il giornalista stava in Marocco.
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Io il disco l’ho ascoltato volentieri, anche se questa band è tra quelle che mi piace meno, e per quanto adori le percussioni medio orientali riescono a farne spesso un uso un po’ banale.
Mi piace invece molto il nuovo (degli ultimi 10 anni) modo di cantare morbido di Plant, è impressionante come abbia trovato una nuova voce giovane, ovviamente meno potente, ma davvero questo per me è un non problema. A quasi 70 anni non si è come a 20, per fortuna dico io (vedi Coverdale & co.). Quanti ascolti dedicherò a questo disco nel futuro non lo so, ma ad esempio “Band of Joy” l’ho rispolverato mesi fa e ha avuto un ritorno di fiamma duraturo. Staremo a sentire.
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Resta il fatto che, piaccia o non piaccia, Plant è l’ultimo satellite che
continua a girare intorno al pianeta zeppelin.
A modo suo, naturalmente.
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Alla fine sono sempre alla ricerca delle canzoni di Plant più “zeppelinesche”.
Lo so che non è un atteggiamento musicalmente maturo, né intellettualmente di grande livello, ma è proprio così: il mio cervello ed anche – parzialmente – le mie orecchie apprezzano tantissimo l’eleganza, l’intelligenza, l’originalità di Percy, la sua ostinata volontà di non diventare patetica caricatura di sé stesso e di tutto quello che simboleggia (il cantante hard rock per definizione, macho ed androgino al tempo stesso ecc.), ma la mia pancia vuole avvertire l’ombra del dirigibile.
Sarà che non ho fatto in tempo a vivere in diretta neppure l’uscita di un solo disco dei Led Zeppelin quando erano ancora insieme (ho iniziato a comprare dischi rock grosso modo nel 1983), sta di fatto che mi sento da sempre orfano degli Zep. Ricordo ancora l’emozione con cui, nel 1988, dentro al negozio Messaggerie Musicali (all’epoca in Via Canalino a Modena) mi feci mettere sul piatto il vinile dell’album di Page OUTRIDER: la prima canzone che volevo sentire era la non entusiasmante THE ONLY ONE, solo perché c’era Plant alla voce e Bohnam junior alla batteria.
Quindi, per venire all’ultimo album di Plant, alla fine le canzoni che mi piacciono di più sono quelle che – secondo la mia del tutto personale sensibilità – percepisco come “Zep 4.0”.
E a me il pezzo che manda segnali in questo senso è CARVING UP THE WORLD AGAIN … A WALL AND NOT A FENCE (https://www.youtube.com/watch?v=jggOLabrpqc), con quel cantato “circolare”, e la dizione precisa e accurata tipica di Plant: Tim scrive invece che, dal suo punto di vista, è “un altro momento francamente inutile”, ma trovo stimolante che ognuno possa sentire nella stessa canzone gli echi più diversi. A me è piaciuta anche KEEP IT HID, “episodio che si perde all’interno del disco” per Tim, non per me, ma stiamo parlando di sensazioni soggettive. La valutazione complessiva dell’album mi trova d’accordo con Tim, anche se probabilmente questo disco mi farà compagnia più spesso dei suoi due ultimi predecessori.
Andando indietro nel tempo attraverso l’ormai lunga sequenza degli album solisti di Plant, e senza considerare i due album con Page, le canzoni che mi hanno emozionato di più sono queste, spesso ma non necessariamente con richiami Zep:
– da PICTURES AT ELEVEN (1982): SLOW DANCER (https://www.youtube.com/watch?v=QibiJtk10s8, con Cozy Powell alla batteria (ricorda un po’ Kashmir);
– da THE PRINCIPLE OF MOMENTS (1983): HORIZONTAL DEPARTURE (https://www.youtube.com/watch?v=-kFpBF-96fE) e MESSIN’ WITH THE MEKON (https://www.youtube.com/watch?v=-bMWIblwppk);
– da SHAKEN ‘N’ STIRRED (1985): EASILY LEAD (https://www.youtube.com/watch?v=Uz7Fc4l56oc) e SIXES AND SEVENS (https://www.youtube.com/watch?v=7xIodvNnFR4);
– da NOW AND ZEN (1988): TALL COOL ONE (https://www.youtube.com/watch?v=Ka_ALgG9hqY, con chitarra del Dark Lord insieme ad abbondanti citazioni Zep; eccone anche una versione molto rock suonata qualche anno dopo al Letterman show https://www.youtube.com/watch?v=L0CkDu2UVug ) e SHIP OF FOOLS (https://www.youtube.com/watch?v=GPyPT7fb0-Q);
– da FATE OF NATIONS (1993): DOWN TO THE SEA (https://www.youtube.com/watch?v=75UdyM3IXTU) e IF I WERE A CARPENTER (cover di Tim Hardin, https://www.youtube.com/watch?v=UINidbbvGFM);
– da MANIC NIRVANA (1990): HURTING KING (I’VE GOT MY EYES ON YOU) – https://www.youtube.com/watch?v=sr5ppGBwb1s, LIARS DANCE (grande versione live: https://www.youtube.com/watch?v=aNfVny_LJQo) e TIE DYE ON THE HIGHWAY (live: https://www.youtube.com/watch?v=zKfPUcQaGgY);
– da DREAMLAND (2002): DARKNESS, DARKNESS (cover degli Youngbloods, https://www.youtube.com/watch?v=3qd_rEYSyWY) e SKIP’S SONG (cover dei Moby Grape, https://www.youtube.com/watch?v=3zAIdk0qMwM);
– da MIGHTY REARRENGER (2005): ALL THE KING’S HORSES (https://www.youtube.com/watch?v=MQoYVrUs4mY) e DANCING IN HEAVEN (https://www.youtube.com/watch?v=vfC5mx0LbTg, da cui sembra stranamente tratto il titolo dell’ultimo album: “Bringing peace to the valley / Carry fire through the oaks and the grove”), ma anche le più energiche FREEDOM FRIES (qui in versione live: https://www.youtube.com/watch?v=9CeRwIDO-YI), SHINE IT ALL AROUND (https://www.youtube.com/watch?v=zRVrp33xAQo), TAKAMBA; (https://www.youtube.com/watch?v=AoV9Ok-8UDo) e TIN PAN VALLEY (https://www.youtube.com/watch?v=48sKG6WUNtg)
– da RAISING SAND (2007): GONE GONE GONE (DONE MOVED ON) – cover degli Everly Brothers, https://www.youtube.com/watch?v=9YVRxAX6fwg e KILLING THE BLUES (cover di John Prine, https://www.youtube.com/watch?v=bFSEKnU7TLg); peccato che in quell’album non è stata inclusa anche la splendida THE BOY WHO WOULDN’T HOE CORN (qui se ne può vedere un’interpretazione stupefacente per intensità e controllo dei mezzi espressivi https://www.youtube.com/watch?v=xtC_Rx1IMrc);
– da BAND OF JOY (2010): HOUSE OF CARDS (cover di Richard Thompson, qui in versione live al Letterman show: https://www.youtube.com/watch?v=oEavtOGQdlQ) e THE ONLY SOUNDS THAT MATTERS (https://www.youtube.com/watch?v=ObRY1ZA8hfY, che mi ha sempre fatto pensare, nell’attacco di voce della parte iniziale, alla voce di Mick Jagger da giovane);
– da LULLABY AND… THE CEASELESS ROAR (2014): POCKETFUL OF GOLDEN (https://www.youtube.com/watch?v=gN10LDBeooA), STOLEN KISS (https://www.youtube.com/watch?v=TvloTfpCZyY), SOMEBODY THERE (https://www.youtube.com/watch?v=uo_M-LFDYOs).
Comunque, checché ne dica Plant in tutte le interviste, il suo rapporto col vecchio catalogo Zep è tutt’altro che risolto: oltre a costellare i suoi concerti di cover purtroppo sempre più lontane dagli originali e sempre più “etniche” (comprensibilmente, sia per la noia di ripetere le canzoni sempre con gli stessi arrangiamenti, sia per la difficoltà di raggiungere gli acuti degli anni migliori), comunque necessarie per attirare gli spettatori che se le aspettano e le bramano dal primo all’ultimo minuto del concerto, recentemente si è messo anche ad accennare alla “legacy” Zep nei testi: nella appena citata POCKETFUL OF GOLDEN ha inserito un chiaro riferimento al testo di THANK YOU (“And if the sun refused to shine …”), mentre in MAY QUEEN molti commentatori hanno visto un rinvio a STAIRWAY TO HEAVEN (“If there’s a bustle in your hedgerow, don’t be alarmed now / It’s just a spring clean for the May queen“).
Certo che noto la finezza in queste citazioni, questo specie di continuo giocare a rimpiattino, il modo di stravolgere con originalità ed ironia gli inni rock più famosi (però, negli ultimi anni, vederlo spingere la folla ad alzare e agitare le mani a nella parte finale di WHOLE LOTTA LOVE ed a cantare tutti insieme “loooooooveeee, looooooveeeee!” l’ho trovato al limite del blasfemo, anche se divertente), ma mi piacerebbe tanto che Robert si lasciasse andare dal vivo a reinterpretare anche il suo passato blues più antico, quello dei primi album degli Zep: come quando a Montreaux, durante il tour di FATE OF NATIONS, ha rifatto YOU SHOOK ME (https://www.youtube.com/watch?v=C-mdsCKSjwE) lasciando di stucco i presenti anche con un (lento ma comunque inatteso) assolo di chitarra suonata con le sue mani. O come quando, nel tour con Page in Giappone, ha reinterpretato alla grande – con obliquo ma rispettoso tributo ai tempi che furono – quel pezzo meraviglioso che è TEA FOR ONE: https://www.youtube.com/watch?v=4BOZxWJ-Io4.
Ecco, il mio auspicio è che Percy vada incontro ad un cambiamento un po’ come De Gregori: dopo aver quasi goduto per anni a storpiare le sue canzoni più amate, ora pare intenzionato (stando a quello che dice nelle interviste, ma non ho assistito ai suoi più recenti concerti) a rimanere più fedele alle versioni originarie, recuperando un rapporto più diretto e meno cerebrale con il proprio pubblico. Insomma, benissimo le song più moderne, etno/afro/trip-hop/trance/tribal/folk/roots soprattutto se tratte da MIGHTY REARRENGER (a mio modo di vedere l’album solista di Plant complessivamente più riuscito), ma vorrei un po’ meno snobismo quando si tratta di cantare pezzi che hanno fatto la storia della musica che amiamo come BLACK DOG e ROCK ‘N ROLL. L’ultima versione di MISTY MOUNTAIN HOP con arrangiamento di violino strabordante, che Plant sta proponendo in questi giorni nei suoi concerti (https://www.youtube.com/watch?v=uz5PK9-80Nw), la trovo proprio difficile da digerire.
Sentita la voce che il nostro sfoggia tuttora in pezzi come questa THAT’S THE WAY, cantata così il 17 novembre (https://www.youtube.com/watch?v=Wm2-7NCPH-M), se si degnasse, ogni tanto, di fare dal vivo una STAIRWAY anche solo acustica, non penserei che sia venuto a patti con le più basse esigenze e pulsioni mainstream: semplicemente, mi starebbe ancora più simpatico.
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Mi chiedo perché Lorenzo scriva cosi’ poco quando scrive tanto bene.
Il suo intervento cosi’ bene articolato mi ha spinto a sfogliare i primi albums
di Plant.
L’impressione che ne é derivata subito é che Robert ha fatto ottimi lavori.
Una sequenza in crescendo fino a Fate of nations .
Anche il tanto criticato Shaken n stirred ha almeno 3 bei pezzi.
In PICTURES like i’ve never been gone la mia preferita..
In PRINCIPLE wreckless love.
In SHAKEN easily lead.
In NOW AND ZEN helen of troy
In MANIC NIRVANA tie dye on the highway
In FATE i cried
per non citare le piu’ famose e forse meno zeppeliniane.
Ad esempio little by little e in the mood.
E per non citare le solite che hanno avuto successo.
Manic nirvana e fate of nations potrebbero essere tranquillamente
lavori dei led zeppelin anni ottanta per la loro energia e qualita’.
Dopo il periodo Page-Plant il cantante ha fatto di tutto e di piu’
per cambiare, ma credo che il periodo 90 – 93 sia il periodo
migliore, anche dal vivo.
Plant si riavvicina allo zeppelin.
Tanto che si riunira’ al Page.
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