Tornano gli AC/DC (addirittura in una delle formazioni storiche … naturalmente Steve Young è al posto di Malcom), un nuovo album per ridar vigore al rock di pancia di cui tutti – perlomeno in certi momenti – abbiamo bisogno. 12 nuovi pezzi tutti a nome Angus e Malcom Young, dunque generati da idee musicali di anni fa. Cosa aspettarci già lo sappiamo, un rock da strappa mutande che vada dritto all’urgenza primitiva che alberga dentro di noi, quella che ci induce alla trance innescata da un ritmo primario sempre uguale e da chitarre (meravigliosamente) concrete. Rock in senso stretto che non considera minimamente varianti articolate insomma. L’unico problema è rimanere credibili: dopo 16 album basati su un rock che volutamente tende a ripetere la stessa formula, riempire il diciassettesimo di brani che non siano l’esatta copia carbone dei precedenti è un’impresa.
Realize infatti non è un apertura particolare, non c’è una sfumatura diversa che sia una rispetto ai brani standard del passato. Rejection è più o meno sulla stessa linea, nessun accenno a linee melodiche che possano anche solo distrarre un momento. Stessi cantati, stessi riff d’accordi, stessa ritmica, stessi interventi della solista. Shot in the Dark è il singolo dell’album, titolo piuttosto banale ma il brano sembra funzionare. Qualche battito d’ali in più pare esserci.
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Through the Mists of Time ha un buon titolo e un andamento più fresco. Buona la melodia e buono lo sviluppo. Finalmente un brivido. Kick You When You’re Down è divertente, fraseggi blues, spontaneità e – in alcuni punti – ritmo tribale. Con Witch’s Spell si torna decisamente verso formule trite.
Demon Fire è un tempo veloce alla AC/DC, il giro di chitarra è intrigante, così come gli stacchi. Siamo sempre nel solito campo ma perlomeno vi sono soluzioni movimentate. Il basso pulsante di Wild Reputation trascina ma il brano non è granché. In No Man’s Land il lavoro delle chitarre ha il suo perché ed è un peccato non sia valorizzato da un cantato più variegato. I riff sincopati in Systems Down sono un bene, ma anche qui le melodie del cantato sono le solite. Al minuto 1:30 di Money Shot c’è un bel riff di chitarra, l’inizio di Code Red richiama Back In Black ma poi diventa un bel pezzo rock, gran riff di chitarre.
Immagino ci siano fan degli AC/DC che non vogliano null’altro che questo, personalmente ritengo che un briciolo di vivacità compositiva in più sarebbe necessaria, non certo per snaturare il caratteristico sound del gruppo ma per rendere il prodotto finito di livello musicalmente più elevato.
Brian Johnson fa la sua porca figura, è un cantante dallo stile esclusivo che a me è sempre piaciuto un sacco; Angus Young si conferma esemplare chitarrista rock, se solo cercasse di arricchire con qualche sfumatura diversa gli assoli potrebbe prolungare il suo status all’infinito. Gli altri tre – Steve Young, Cliff Williams e Phil Rudd fanno ciò che devono fare, e lo fanno in maniera efficace ed efficiente.
Disco dunque certamente sufficiente, ma sarebbe bastato poco per renderlo più incisivo, in un periodo in cui di una rinascita del rock ci sarebbe un gran bisogno.
Tanto per citare Tim, gli acdc e highway to hell mi ricordano un periodo della
vita un po’ movimentato.
Come i van halen mark 1, ho amato tanto i primi acdc.
For those about…..fu il primo album a non piacermi salvo 3 canzoni.
Credo che gli album successivi siano stati anche peggio.
Dal vivo me li sono visti nel 1996, bello spettacolo sicuramente ma i loro
albums post back in black non riuscivo piu’ ad ascoltarli.
Chiaro che i fans non la pensano come me ed il successo non é mancato
a questi diavoli australiani un po’ monocordi.
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Che differenza c’è tra TTT¼ e TTT+?
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Jacob, sei appena entrato nella hall of fame dei lettori del blog!!! Devo dire che mi son chiesto se qualcuno si sarebbe posto il quesito. Ah ah ah. Non ci sono differenze, entrambi significano 6,25. Il Southern comfort di oggi lo berrò alla tua salute. Buona domenica vecchio mio!
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Sono un die hard fan degli acdc, per lo più della peggiore specie (ero tra quelli che invocavano la chiusura quando Brian Johnson dovette lasciare per i noti problemi all’udito).
Cerco generalmente di mantenermi critico.
Secondo me è un rientro con il botto, molto meglio di Rock or Bust.
Certo, come al solito, niente di nuovo, ma nessuno di noi fans si aspetta o brama qualcosa di diverso.
Però per quanto mi sforzi, non trovo brani particolarmente deboli (come invece ne troviamo in abbondanza in tutta la discografia post back in black).
E’ probabile che influisca sul mio giudizio il fatto che nel 2016 li avevamo dati per finiti (fuori Rudd, fuori Johnson, Cliff Williams che annuncia il suo ritiro) e quindi è come se fossero risorti.
Forse tra un mese cambierò idea. Intanto me li godo (e potrebbe veramente essere l’ultima volta, dati i loro limiti anagrafici, soprattutto di Brian Johnson).
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Apprezzo la tua onestà intellettuale Marco. Goditi questo ritorno.
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