di Tim Tirelli
Dalla finestra osservo Milano, mi pare sempre la stessa sebbene si dica che sia in continuo cambiamento. Dovrei seguire con maggior attenzione la riunione a cui sto partecipando, ma visti gli ultimi avvenimenti della mia vita sembra non importarmi più un cazzo di nulla. Io sono costituito da tre uomini diversi: Stefano il più riflessivo, Ittod quello guidato dalla furia iconoclasta e Aramis il giusto compromesso tra i due. Da quando ho rotto con Michela, Ittod è spesso al timone.
Sono nella sala riunioni dell’etichetta per cui incido, insieme a Fabio Codeluppi, cantante Hard Rock di Reggio Emilia, e la mia avvocata e advisor (va beh, la mia consigliera) Bianca Baraldi. L’etichetta se ne è uscita con l’idea di mettere insieme me e Fabio e farci fare un disco in inglese di un rock alla Led Zeppelin con relativo tour europeo (che per quelli del nostro livello significa in massima parte qualche data in festival di seconda fascia in cittadine di nazioni spesso periferiche). Conosco Fabio da tempo, è un cantante che apprezzo molto, mi sono sempre trovato bene con lui, ma un conto è una ospitata ogni tanto ai concerti dell’uno o dell’altro, un conto è lavorarci insieme, dopotutto è un cantante e non bisogna aspettarsi mai troppo.
Non appena il progetto ci è stato prospettato ho voluto capire se dal punto di vista compositivo e comunicativo potevamo davvero lavorare insieme, così ci siamo trovati da me alcune volte e la cosa è andata meglio del previsto. Avevo già pronti riff e sequenze d’accordi e su quelli abbiamo lavorato, è così che i pezzi si sono materializzati. Abbiamo dovuto lavorare di cesello sui testi, usando l’inglese è facile sorvolare sull’accuratezza della lingua e sul contenuto degli stessi, sebbene il progetto sia stato messo in piedi a tavolino non voglio in nessun modo produrre un lavoro che non sia pienamente soddisfacente.
L’offerta fattaci è allettante, non tanto dal punto di vista musicale quanto da quello economico, e con lo stato d’animo con cui convivo da settimane della purezza d’intenti me ne sbatto. E’ stato difficile comunicare a Penny e a Giovanni che per sei mesi dovremo mettere in stand by il nostro trio, non l’hanno presa benissimo, ma nel fango spirituale in cui mi ritrovo alla fin fine è solo una delle tante spine conficcate nell’animo.
Il presidente dell’etichetta insiste sulla bontà dell’operazione e benché si stia parlando di musica spesso l’aziendalese prende il sopravvento, i termini schedulato (pianificare, programmare) e mandatorio (nel senso di obbligatorio) sono pugni nello stomaco, l’uso spropositato di parole inglesi è insopportabile, il fastidio cresce, fatico a restare zitto, ma devo, perché poi mi rendo conto che anche noi musicisti o appassionati di musica Rock utilizziamo in gran quantità vocaboli inglesi: riff, groove, lick, delay, chorus, refrain, etc etc. Tengo duro fino a quando non ci fanno vedere i video dei due musicisti da affiancarci a cui avrebbero pensato: due pseudo session man del giro metal della bassa Lombardia.
“Scusate, se siamo qui a parlare di questa cosa è perché alla fin fine interessa a tutti, ma per quanto mi riguarda ci sono limiti che non voglio oltrepassare. Un bassista con un Warwick a 5 corde chiaramente influenzato dal metal e dal funky e un percussionista con una batteria con il doppio pedale, quattro tom, il piatto china e ammennicoli vari con l’Hard Rock che intendo io non c’entrano nulla. Se la strada deve essere questa non vi faccio perdere altro tempo, lasciamo stare perché per quanto mi riguarda non è la visione corretta delle cose”.
Fabio sorprendentemente interviene subito con il fermo proposito di mostrarsi accondiscendente con il mio pensiero e di stemperare eventuali frizioni con l’etichetta. È chiaro che è molto interessato al progetto e felice di questo connubio.
“Va bene Aramis, immagino tu abbia nomi da proporre…” dice il presidente dell’etichetta.
“Scartati la Bondavalli e Ferrari per ovvie ragioni, ho in testa tre musicisti delle nostre parti: Ellade Giusti al basso Fender Jazz, Martino Costa alla batteria Premier a due Tom anche se vorrei usasse una Ludwig a un tom e Federico Corradi alle tastiere Nord Stage. Prima che interveniate vi dico subito che sono tutti amici miei, ma sono convinto che siano i musicisti adatti per creare un gruppo degno di questo nome”.
“Facciamo così” mi dice Fumagalli, presidente della casa discografica ”fate qualche prova con questi tre, magari preparate i pezzi che dite di avere già, poi affittiamo per una sera uno studio o un locale della vostra zona e vengo a sentire, magari insieme ad un produttore”.
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Sono le 23,30, io, Ellade, Martino e Federico siamo in una sala prove di San Faustino di Rubiera ancora in attesa di Fabio. Avevamo appuntamento alle 21, tengo Ittod a distanza, lascio che Aramis e Stefano conducano la cosa, altrimenti rischio di mandare tutto a ramengo. Sapevo che avere a che fare con i cantanti è problematico, ma mi era sembrato che Codeluppi fosse molto preso dalla cosa e di conseguenza pensavo si sarebbe presentato puntuale. Per evitare perdite di tempo con gli altri provo i primi due pezzi e un paio di cover tanto per dare un senso alla serata, brani che noi quattro avevamo già affrontato durante le prime sedute informali a casa mia. Alle 23,50 arriva Fabio, in moto e accompagnato da una ragazza. Ittod scalpita, vorrebbe mandarlo a fare in culo, ma Stefano prende il sopravvento e fa in modo che almeno per un’oretta si possa provare e capire se siamo davvero fatti gli uni per gli altri.
All’una capisco che potenzialmente siamo un signor gruppo Rock. Somebody To Love e Innuendo dei Queen mi colpiscono, a parte qualche cosetta da sistemare paiono già pronte per essere proposte dal vivo. Mica roba da tutti.
Proviamo anche Whole Lotta Love, senza tastiere, e il risultato è doppiamente soddisfacente: non sembriamo affatto la solita band di metallari che approccia il pezzo con sonorità, intenzioni e parti sbagliate. Rifare brani dei Led Zeppelin è difficilissimo, non solo per le parti strumentali in sé e per il cantato, ma anche e soprattutto per il senso generale che i quattro britannici seppero dare alla loro musica rock. Ricreare in studio o dal vivo quell’intenzione, quel groove, quella magia è davvero complicato, questa è una delle mie ossessioni, non voglio assolutamente diventare uno di quei gruppi macchietta dai suoni e dagli approcci sballati.
I primi due pezzi nostri poi, The Garden e The Front Door, mi entusiasmano. Fabio li canta molto bene, Ella e Marti sono entrami bravi nel costruire la giusta corrente ritmica e Fede è magistrale nel creare gli abbellimenti che caratterizzano i pezzi.
Fede proviene dalla classica e da quello che oggi viene chiamato prog, non è uno da tappeti musicali che, come sappiamo, sono da evitare come la peste, e capisce perfettamente il ruolo che deve avere all’interno di un progetto Rock in senso stretto. Ci conosciamo sin da quando eravamo bimbetti, la nostra sintonia è totale, Fede è carne della mia carne, siamo diversi ma complementari.
Prima di lasciarci Ittod spinge Aramis a dire due cosette a Fabio: “Vecchio, la prossima volta puntuale, altrimenti non avremo un gran futuro. Ok Fab?” “Ok Ari, Ricevuto!”
Seguono due settimane di prove serrate, qualche scazzo, qualche insofferenza da parte mia, ma Fede, Marti e Ellade sopportano con stile, sanno come sono i chitarristi della mia specie. Fabio è uno che ne ha viste di tutti i colori nell’ambiente del Rock e dunque non si scompone più di tanto davanti a certe mie idiosincrasie rispuntate fuori da quando Michela è diventata un buco nero nella mia testa.
Fumagalli – venuto già tre volte a controllare la situazione – quasi ogni giorno mi sottolinea la sua soddisfazione. Avendo a che fare con gruppi e artisti di livello più alto del nostro (parlando di mero successo di vendite) si è sorpreso che anche in questo caso come già accaduto con gli ARA, il gruppo sia – a detta sua – micidiale. Fumagalli è un discografico e un imprenditore, deve restare focalizzato sull’aspetto “finance” della sua azienda, ma è uno che sa cosa è il Rock e come va suonato e prodotto. Nella sua scuderia diversi sono i nomi di successo che, come direbbe il mio amico Riccadonna, “rockeggiano di comodo e si limitano a usare una certa iconografia rock da fumetto per sbolognare musichetta diretta a un certo tipo di pubblico a cui piacciono gli stivaletti di pitone, le Les Paul zebrate e le foto di gente spappolata col Jack Daniel’s in mano”, Fumagalli li coccola e li fa sentire importanti visti i risultati in termini di profitti che portano a casa, ma è perfettamente conscio che il Rock dovrebbe andare al di là di certi luoghi comuni.
Fabio forse metterebbe più enfasi nel nostro progetto, ma io sono risoluto nel seguire il bon ton musicale che da sempre cerco di mantenere.
Decidiamo di registrare all’Esagono di Rubiera, siamo tutti della zona, i costi di trasferta si annullano, lo studio ha un’ottima nomea e conosco uno dei soci avendo già usato questa struttura in passato.
Il primo giorno la noia ha il sopravvento, come al solito; si sistemano gli strumenti, si ricercano i suoni giusti, si prova ad entrare in sintonia con lo studio e i tecnici. Regolare la batteria è sempre la cosa più pesante, tempo che sembra infinito viene speso a picchiare sui singoli tamburi nell’illusione di trovare il giusto sound. Registriamo in diretta, perlomeno chitarra ritmica, basso e batteria; cantato, tastiere e le altre chitarre verranno aggiunte in un secondo momento.
Quattro giorni e le basic track sono pronte, altri otto per il resto. Nella prima seduta giornaliera che lo prevede in pista Fabio si scalda la voce canticchiando scale maggiori, vocalizzi che mi fanno scuotere la testa, il producer scelto da Fumagalli perché ci affianchi nella produzione ridacchia in silenzio ogni volta che vede le mie espressioni facciali. Ci sono momenti magici, come l’improvvisazione finale di Rum Service tra me, Ellade e Martino, la perfetta sintonia tra la mia chitarra acustica e la voce di Fabio in Copenhagen Rain, la maestria di Fede in Blue Mill, le grasse risate durante le ore piccole, sebbene in definitiva io non riesca ad entrare nel mood scherzoso che spesso hanno gli altri. Le session comunque giungono alla fine, dodici giorni in totale, a cui si aggiungono altri quattro giorni per il missaggio e un’altra giornata per il mastering. Durante questa ultima fase Fede e Martino fanno capolino raramente. Ellade, io, Fabio, Ferra (il responsabile dello studio) e il produttore siamo invece sempre presenti. Probabilmente avremmo potuto impiegare meno tempo, ma Fumagalli ha preferito spendere qualcosa in più per avere un missaggio molto professionale.
Finito il mastering, consegniamo il master alla casa discografica su vecchi nastri digitali sulla cui etichetta frontale sono riportati i titoli delle canzoni nella giusta sequenza:
The Ouverture
The Garden
Wanton Woman
Rum Service
The Front Door
Blue Mill
Last Night In New Orleans
Copenhagen Rain
Due giorni dopo siamo tutti presenti allo shooting fotografico nelle campagne intorno a Castellazzo, qualche chilometro a est di Reggio Emilia. Il nostro amico Athos Bottazzi, fotografo rinomato della zona, ci riprende in mezzo a prati d’erba lunga, l’effetto è un po’ foto promo dei Led Zeppelin a Knebworth e temo sia tutto voluto. Il più degli scatti ritraggono me e Fabio, alcuni altri tutti e cinque. Peccato che Athos non abbia portato una spogliarellista per allietarci come successe nel 1979 nei campi di Knebworth. Gli chiedo di fare qualche scatto anche ai vecchi edifici nei dintorni: barchesse, caselli, vecchie corti di campagna.
Arriva il giorno dello Showcase al Voodoo Cabinet di Bologna. Ci sono i nostri discografici, giornalisti musicali, fotografi, qualche amico e i soliti imbucati.
Benché non si sia mai suonato dal vivo, siamo tirati a lucido, pronti e con la giusta cazzimma. Poco meno di un’ora passata a proporre gli otto brani dell’album, le due cover dei Queen e Think About It degli Yardbirds (versione Aerosmith).
Fumagalli viene a farci i complimenti, poi porta me e Fabio a rispondere a qualche domanda dei giornalisti e a farci fotografare dai pochi fotografi presenti. Qualche battuta anche per una televisione locale.
Segue rinfresco… prosecco, tartine, frutta. La gente ride, beve, corteggia.
Giovanni e Penelope sono voluti venire a vedere la mia nuova band, mi fanno i complimenti per la proposta, a Penny è piaciuta particolarmente. Mentre parlo con loro inizio a sentirmi strano, sento dentro di me ondate che salgono dai piedi alla testa, avverto un peso sul petto, il viso mi formicola. Provo a bere acqua, a ingoiare un po’ di zuccheri, a cercare di capire se è un malessere passeggero, ma l’orribile turbamento persiste. Prendo la mia bassista da una parte: “Penny portami a casa, non mi sento bene”. “Cosa? Ma sei sicuro? Che hai?” “Penny, portami a casa!”.
In macchina, Penny guida veloce in direzione Milano, io sono sul sedile accanto a lei. Dietro, Giovanni ci segue con la sua auto. All’altezza di Modena chiedo a Penny di chiamarlo e di dirgli che vada a casa, che la crisi è passata. Non è vero. Mentre ci avviciniamo a Reggio chiedo a Penny di puntare verso il pronto soccorso. E’ una donna tosta, mantiene i nervi saldi, aumenta la velocità, e dire che già sfrecciamo sulla tangenziale. Sono le due di notte, entriamo in città, io ho la faccia fuori dal finestrino, fatico a respirare, provo una sensazione di morte, il cuore batte come un tamburo, quella che penso essere la pressione sanguigna provoca una burrasca dentro di me, non mi sono mai sentito così, l’ansia e l’angoscia pervadono il mio spirito, il raziocinio è ancora in funzione, ma è offuscato, ho dei mancamenti a cui però resisto.
Davanti al desk del pronto soccorso descrivo per sommi capi quello che mi sta capitando. La giovane infermiera mi fa accomodare in uno stanzino lì accanto per il triage. Dopo la rapida valutazione della condizione clinica mi fa stendere su una barella e mi parcheggiano in una sorta di sala d’attesa. Penny mi è accanto. “Scusa, ti faccio perdere la nottata” le dico.
Verso le 3:30 mi vengono a prendere e mi portano in un ambulatorio. La dottoressa guarda gli esami, mi visita, mi espone tutto con chiarezza, si è trattato di un attacco di panico o di qualcosa di simile e mi liquida con un perentorio: “Signor Rinaldi, non deve farsi prendere dal panico, dall’ansia, la vita va affrontata in maniera decisa”. La sua è quasi una ramanzina.
Vorrei dirle due cosette a tal proposito, in una circostanza diversa non avrei accettato una reprimenda del genere ma sento che il suo discorsetto mi fa bene, dunque annuisco ed esco sollevato.
Una volta a casa Penny mi chiede se preferisco che rimanga a dormire da me. “Avviso Stefano, se ti senti più sicuro rimango, non farti problemi”. Stefano è il suo compagno, sa che tipo di rapporto abbiamo e sono sicuro che non farebbe problemi, ma la ho già disturbata abbastanza. “Vai pure Penny, grazie mille. Il peggio è passato, era solo panico, adesso mi metto tranquillo. Domani chiamo il mio medico, tutto è sotto controllo ormai”
La fine della storia con Michela ha riportato a galla un lungo e doloroso blues proveniente dalla mia vita passata, echi di ciò che ci si insegnano sin da piccoli, un rapporto duraturo, un matrimonio, figli, una famiglia tradizionale … peccato che io non sia mai stato un tipo da quel genere di cose, sebbene un paio di volte ci avessi creduto; la fine di quelle storie risale e mette scompiglio, ferite che pensavo rimarginate si riaprono all’improvviso, rigurgito blues su blues, cado in ginocchio e rifletto tutto sulla figura di Michela. Senza di lei sembra proprio io non riesca andare avanti. E’ la idealizzazione di una figura femminile che non esiste, di rapporti che non sono mai stati così, ma ai quali ogni tanto si torna a pensare, esattamente come canta Vasco Rossi in alcune sue canzoni, soprattutto nei primi album, una figura femminile o perlomeno un concetto di donna da cui ancora il mio conterraneo non riesce a sganciarsi del tutto.
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E’ mattino, scendo in campagna, mi sento rinfrancato ma sono stanchissimo, la crisi di ieri mi ha lasciato quasi senza forze. Il fresco di questa mattina d’inizio settembre mi ritempra, il medico mi ha detto di non preoccuparmi, valori ed esami sono pressoché perfetti, mi ha consigliato di prendermi qualche giorno di vacanza e mi ha prescritto il Lexotan in caso sentissi arrivare altri momenti di difficoltà, soprattutto durante l’imminente tour. Preso dalla fustinella prenoto una mini vacanza di cinque giorni alle Baleari, a Minorca, vengono con me Penny, Stefano, Giovanni e Sonia (non c’è niente da fare, il trio ARA è davvero compatto). All’ultimo minuto si aggiunge anche Ellade.
Qualche giorno prima di partire mi accorgo che verso sera un animale entra ed esce dalla finestrella del garage spiccando salti notevoli, dapprima non capisco cosa sia, ha una andatura strana, sembra molto agile, deve essere senza dubbio un gatto ma ha qualcosa di particolare. La terza sera si affaccia alla finestrella, ha il manto a più colori, dunque è una gattina, deve avere sei, sette mesi, ha la coda mozzata. Come fatto le due sere precedenti le riempio la ciotola col cibo che mi sono procurato, questa volta non scappa, freme dalla voglia di avere un legame, è indecisa, impaurita, ma sembra sapere che se trova l’umano giusto per lei è fatta. Mi avvicino alla finestrella, lei si fa avanti da dietro la tenda e finalmente viene a fare sturlino con me e appoggia con forza il suo muso al mio. Contatto. Inizia le fusa ma poi scappa via. Prima di partire chiedo alla mia vicina di darle da mangiare e da bere nei giorni in cui non ci sarò.
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I giorni passano lieti, aeroporti organizzati, hotel sulla spiaggia, mare bellissimo, spiagge attrezzate e tranquille, mojito sorseggiati al tramonto, un balsamo per l’anima.
Il penultimo giorno della mia breve vacanza, Michela mi manda un messaggio per chiedermi se può andare a ritirare le sue cose a casa mia. Verso sera le scrivo un messaggio per sincerarmi della cosa;
“Hai fatto? Trovato tutto?”
“Sì, sono venuta stamattina, fatto tutto, ma sono ancora qui …” mi risponde.
“Qualcosa non va?”
“No, tutto a posto, sto passeggiando per i campi, mi sto preparando ad abbandonare con gli occhi Roncadella …”
Una lancia mi arriva nel costato.
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Rientro a casa il giorno successivo, mi pare di sentire ancora il profumo di Michela nelle stanze. Scendo in cortile, la gattina mi corre intorno e si ferma ad un metro da me, poi salta sul davanzale della finestrella e resta lì in attesa. Le vado vicino, si strofina contro la mia faccia, è fatta, mi ha riconosciuto. Si lascia prendere, mi guarda con occhi sbalorditi mentre la porto in casa. Entra titubante, le preparo una ciotola d’acqua e una di cibo, sistemo la lettiera e mi preoccupo bene di farle capire dove è posizionata. Ha una struttura inusuale, sembra un felino portato per l’atletica, dopo una veloce ricerca in internet capisco che è una gattina tortoiseshell (a guscio di tartaruga), gatte (molto raramente sono maschi) con colorazioni di pelo assai particolari, questa lo ha di una miscela crema, blu, fulvo e lilla. Alcuni individui di questo tipo di gatti mostrano un’agilità molto marcata, ed è proprio il caso di Minnie, che chiamo così visto che sono appena tornato da Minorca.
Inizia il tour, tre date warm up in Lombardia e poi apparizioni in festival rock (o meglio, metal) europei: Repubblica Ceca, Fiandre, Germania, Danimarca, Finlandia, Estonia, Russia, Austria, Croazia, Spagna e Portogallo.
L’ufficio Media dell’etichetta sembra aver fatto un gran lavoro, l’album viene reclamizzato su molte riviste del settore, tra cui un paio di famosi magazine inglesi le cui recensioni sono fin troppo generose: quattro stelle e quattro stelle e mezzo su cinque. Questo genera un buon interesse intorno al progetto CodRei, Codeluppi-Reinhardt.
Ci si sposta con un tour bus Iveco New Car da diciotto posti, in cui riusciamo a fare stare sia le nostre valige che l’attrezzatura e la strumentazione. Oltre a noi cinque, l’autista, il nostro referente della casa discografica, Teresa (fonica/tour manager), un tecnico da palco tuttofare e il mio amico Mino Scopelliti, assistente del gruppo e figura fondamentale per tour di questo livello.
L’Over Europe Tour, come ho richiesto fosse battezzarlo, dura tre settimane, si suona ogni due giorni, si viaggia dalle sei alle otto ore al dì, poi albergo, cena, di nuovo albergo. Il giorno seguente ci si reca sul posto del concerto di buonora per dare in consegna all’organizzazione del festival la nostra strumentazione, un veloce soundcheck e, a seconda dell’ora della nostra esibizione, ritorno in albergo o giro nella città più vicina. Nei trasferimenti gli autogrill diventano posti dove si passa parecchio tempo ed è da quelli che capisci di essere davvero on the road.
Essere uno dei tanti nomi dei festival non è il massimo dal punto di vista della logistica, ma in nord Europa sembrano tutti molto organizzati e con l’aiuto di Teresa, che è una forza della natura con grande competenza e grande spessore umano, tutto fila via senza grandi impicci. Anche Mino si rivela figura basilare per tour di questo tipo, lui e Teresa hanno una lunga esperienza, uno viene da Roma, l’altra dalla Sicilia, hanno lavorato persino negli Stati Uniti, sanno cavarsela in qualunque situazione.
The Garden è il brano su cui ha puntato la casa discografica e infatti quando lo suoniamo il pubblico sembra riconoscerlo. Il nostro set deve durare 45 minuti e dunque proponiamo sei nostri pezzi e due cover da scegliere di volta in volta dal materiale che abbiamo preparato. Per quanto riguarda le cover di solito abbiniamo Think About It a Innuendo e Somebody To Love a Whole Lotta Love. Ci vengono richiesti altri pezzi dei Led Zeppelin, ma non mi voglio trasformare in una tribute band, così resistiamo il più possibile e solo verso metà tour finiamo per aggiungere alla scaletta Shapes Of Things degli Yardbirds (ma nota anche per le versioni di Jeff Beck e Gary Moore) e In The Evening dei Led Zeppelin.
Dopo i concerti, mentre si ritorna verso il bus, di solito alcuni spettatori vengono a chiedere di fare una foto insieme, io non mi rifiuto mai anche perché noi non siamo nessuno in Europa e inoltre non voglio fare l’altezzoso. Qualche anno fa vidi a Milano gli UFO, dopo il concerto mi intrattenni con Andy Parker, il batterista, mentre gli altri non si fecero vedere; notai tuttavia che Paul Raymond, il tastierista, era uscito dal locale e stava giusto tornando nel backstage così lo chiamai, mi sarebbe piaciuto stringergli la mano e dirgli quanto gli album Lights Out e Strangers In The Night fossero importante per me. Paul si voltò un istante, gettò un’occhiata e con fare snob corse a chiudersi in camerino. Ora, magari era girato male e avrà avuto i suoi motivi, ma avrebbe dovuto ricordarsi che sì, aveva appena fatto un buon concerto, ma davanti a 175 paganti.
In alcune occasioni partecipiamo a dei party semi improvvisati con altri gruppi in scaletta, in massima parte sono musicisti del mondo metal e dunque non ho modo di interagire davvero, dato che provengo da un background differente. Fabio invece in quel giro ci sguazza, a tal punto che quasi ogni sera si porta in albergo una ragazza diversa. Avrei un paio di occasioni anche io, ma rinuncio senza troppa fatica.
Farsi l’Europa in lungo e in largo su un bus è stancante ma in qualche modo gratificante, vorrei essere in un mood diverso e godermi il tutto con più leggerezza, ma vista la situazione vado avanti come meglio posso.
Il tour sembra scivolarmi addosso, cerco di dare tutto me stesso ma nulla mi rimane davvero nell’anima. Tuttavia sono contento del risultato, nonostante sia un progetto nato a tavolino lo spettacolo che proponiamo penso non sia davvero male e in più tutto fila liscio, o quasi. In Russia abbiamo qualche battibecco con i tecnici del palco dell’organizzazione, in Repubblica Ceca e in Spagna con un paio di altre band in scaletta, ma Teresa e Mino ci tengono lontani dal casino, volano spintoni e parolacce, Fabio rischia di venire coinvolto e di fare a botte, ma poi tutto si placa.
Le recensioni che leggo in internet sono positive, dai filmati che vengono caricati su youtube noto che le nostre performance sono ottime e che ci si distingue dalla cascata di metallo che gli altri gruppi propongono. Fumagalli mi chiama quasi ogni giorno e mi informa che il disco si vende bene, a tal punto che anche la seconda ristampa è quasi esaurita e che non si aspettava numeri del genere in così poco tempo. Sono contento, ma non mi faccio prendere dall’euforia, stiamo parlando perlopiù di paesi in cui arrivi al disco d’oro con cifre bassissime; sono ormai lustri che di dischi se ne vendono pochi, ma il fatto che ci sia ancora un mercato (per quanto ci riguarda diviso a metà tra compact disc e long playing) che porti a stampare 50.000 copie di un album di una nuova band (benché i due membri principali siano conosciuti in Italia e in Svizzera) è un risultato notevole.
Torniamo in Italia, una settimana di riposo e poi la parte di tour che copre lo Stivale e Svizzera. Mino e Teresa tornano al sud, ci si rivedrà tra sei giorni per il nuovo rendez vouz.
Non appena Minnie mi vede mi corre incontro e si butta a terra per farsi coccolare. Meno male che ho lei, restare nella grande casa da solo sarebbe stato insopportabile. Dopo la doccia un salto alla Coop per fare un po’ di spesa e di nuovo a Roncadella per il meritato relax. Le campagne non sono silenziose, le vendemmiatrici automatiche sono all’opera, ed è una sofferenza per me vedere i battitori delle macchine che scuotono le piante fino a seicento volte al minuto e che lasciano le viti in pessime condizioni. Certo, è il progresso, vendemmiare a mano oggi ha costi diversi, ma la poetica della vendemmia che ho vissuto da bambino proprio su questi terreni è ancora parte di me, non posso farci nulla.
Anche Penny abita in campagna e cenare da lei nell’aia mentre il sole va giù è una benedizione per il mio animo. Con noi naturalmente anche Stefano, i gatti che vivono con loro, Giovanni e Sonia. Non vedo l’ora di terminare il tour di CodRei e di ripartire con gli ARA. Chiedo loro come va il progetto in cui li ho coinvolti, ovvero suonare con il mio protégé Tanglewood Talent Boy Ascari, il giovane chitarrista pieno di talento che ho scoperto lo scorso gennaio e che dopo avermi conosciuto si è in qualche modo dato al blues, ha cambiato nome d’arte e viene spesso da me per farsi raccontare questa musica rurale e conoscere nuovi nomi tra i vecchi esponenti del blues del Delta degli anni venti e trenta del secolo scorso, genere che prima non seguiva e che ora ha iniziato a riconsiderare e a studiare. Lui viene dal Jazz con tanto di laurea triennale in chitarra, arrangiamenti e composizione conseguita al Conservatorio Statale di Musica Frescobaldi di Ferrara e per di più predilige la musica acustica solare tipo west coast californiana, il soul moderno, oppure pop del tipo Alicia Keys, ma essendo stato folgorato dal senso del blues che sfoggiai in un concerto degli ARA, volle conoscermi, frequentarmi ed ora si definisce mio discepolo. L’idea sarebbe di produrre artisticamente un suo album e far sì che le sue influenze si intersechino sul cammino blues che sembra aver intrapreso, dunque di non fargli fare né il solito blues bianco ormai consunto, né il solito Jazz, né il solito pop. La mia idea sarebbe quella di fargli suonare con una Gibson Les Paul Traditional collegata ad un Marshall Bluesbreaker, attrezzature a lui apparentemente distanti, una miscela delle influenze di entrambi. Alcuni brani originali scritti a quattro mani (o meglio alcune sue cose risistemate da me), un paio di cover arrangiate in modo particolare di Con Il Nastro Rosa di Battisti e di Musica Musica di Pino Daniele e cose del genere, insomma musica italiana al contempo verace e raffinata, passionale e ben prodotta. In attesa che prenda corpo la possibilità di registrare un disco, ho “prestato” Penny e Giovanni a Talent Boy per un mini tour in locali della nostra regione. Penny e Gio si dicono soddisfatti, il mix di canzoni d’autore, pop e bluesrock suonato col Marshall sembra funzionare.
Ritorno a casa, una doccia e mi metto a letto. Minnie, rientrata con me, salta sul mio petto, struscia più volte il muso sul mio mostrando gratitudine e affetto, poi viene a sdraiarsi di fianco a me, la testa appoggiata al mio petto e le fusa in modalità on. L’interazione tra due mammiferi di specie diverse sperduti su un pianeta sito nel buco del culo del mondo è una faccenda davvero speciale.
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Sono seduto ad un tavolo nella mia pizzeria preferita, il Pizzikotto di Viale Gramsci a Reggio Emilia, medito sui soliti blues in attesa che mi portino la pizza Regina e la nove luppoli bianca che ho ordinato. Sono di casa qui, Antonio e Giuditta – due delle figure della pizzeria con cui sono più in confidenza- si accertano che tutto vada bene e che sia okay il fatto che un paio di ragazzi siano venuti a chiedere di farsi un selfie con me. Non sono cose che capitano spesso, giusto ogni tanto e sono sempre disposto a farlo, anche quando sono di malumore. Il tavolo in cui sono è in posizione centrale, accanto alle fioriere che dividono in due parti la grande veranda e di fronte alla porta che dal locale interno porta alla veranda appunto. Alzo leggermente lo sguardo dal cellulare e vedo entrare due lunghe gambe infilate in stivali di camoscio greige, mi si ferma il cuore, alzo lo sguardo e incrocio quello di Michela che sta entrando insieme a due amiche.
Un po’ in imbarazzo si ferma un momento “Ciao Ste, come va?”
“Bene, bene. Tu sei a posto?” le chiedo. Sorride in maniera enigmatica. Altri due convenevoli e va a sedersi nella tavolata di amiche alla mia destra. Mi impongo di non guardarla, metto via il cellulare e apro il libro che ho con me. Poco dopo torna al mio tavolo.
“Uh, George Orwell, La Fattoria degli Animali … sempre letture poco impegnative le tue” dice sperando di essere simpatica e di rompere il ghiaccio, ma in serate come queste non sono esattamente propenso alla conversazione, figuriamoci poi con lei. “Come stai Ste, ti vedo di malumore. Ho chiesto un po’ in giro ai tuoi amici ma nessuno mi dice niente. Lo so che non ti importa più nulla, ma mi dispiace… mi dispiace tantissimo.”. La guardo negli occhi un momento e sento un’onda di emozioni che mi travolge e mi scuote con forza … per fortuna arriva la pizza.
“Le cose accadono Michela, e noi non possiamo che adeguarci.”
“Avrei bisogno di parlare con te ma so che non capiterà, quindi … magari non è una buona idea farlo ora, ma vorrei dirti che Giorgia mi ha poi confermato che quella sera non ho fatto tanto, che ero parecchio brilla e che oltre qualche interazione con lei e poco altro non sono andata. Ecco volevo tu lo sapessi.”
Non abbassa gli occhi, sembra costernata ma non vuole la parte di Maria pentita.
“Come mai sei qui stasera?”
“Esco spesso con le amiche adesso, non ho nessuno e …”
“Sì, ma perché proprio qui, sai che è uno dei miei posti …”
“Perché speravo di incontrarti, vengo quasi tutte le settimane… va beh, ci hanno portato le pizze, vado al tavolo. Ciao.”
Chiedo la crema catalana e un sorbetto al mandarino. Scambio due battute con Antonio, sempre gentilissimo e attento ai desideri del cliente, e mi godo come sempre i suoi lineari motti di spirito e il suo accento partenopeo. Nemmeno il tempo di alzarmi per andare a pagare che Michela si avvicina accompagnata da una sua amica.
“Scusa Ste, Ilaria chiede se è possibile fare una foto con te. Ha due dei tuoi album …”
“Ma certo. Ciao Ilaria.”
“Ciao Aramis, scusa il disturbo ma ci tenevo ad avere una foto con te e a dirti che Quel Che Cantai è una canzone bellissima e che tutte le mattine canticchio La Sveglia.”
“Se molto cara, non sai che piacere mi faccia sentirlo, le mie canzoni sono tutto per me”.
Michela scatta, Ilaria si stringe a me, il risultato è una foto che ritrae due persone in intimità.
“Perfetta, così posso far intendere che ti conosco bene” e conclude la frase con una bella risata.
Michela mi stringe un braccio, io faccio il mio solito ghigno alzando e stringendo il lato destro della bocca e vado alla cassa.
Il Tour Italiano e Svizzero si protrae per altre tre settimane, quello che mi colpisce è la mancanza di spinta emotiva, sul palco cerco di dare tutto quello che ho, ma una volta sceso fatico a godermi il momento. Fumagalli mi ha già prospettato un secondo album, ma non credo di essere dell’idea, malgrado Ellade, Fede e gli altri siano amici con cui mi trovo bene, voglio tornare alle mie canzoni in italiano, al mio trio, voglio essere libero di sgattaiolare tra i generi, di fare pezzi di Johnny Winter, dei Bad Company e di chi cavolo mi pare, ma intanto devo finire il tour di CodRei con tutte le sue storielle di ordinaria Rockeria.
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Rimango in un angolo della grande stanza adibita a camerino unico, passano di qui tutti i gruppi che si susseguono al Festival di Levizzano che si tiene al castello. La location è suggestiva, la serata di fine estate è fresca. C’è un che di cameratismo tra tutti i musicisti che entrano ed escono dalla stanza, sembriamo tutti compagni d’arme. Ci sono musicisti che, accompagnati dalle loro mogli o ragazze, mi vengono a salutare e a chiedere una foto insieme, alle loro donne sembrano piacere le canzoni degli ARA. Cerco di sorridere e di apparire decente nelle foto che magari conserveranno o pubblicheranno sui social. Due di questi musicisti, una volta riaccompagnate le loro partner al loro posto nella platea davanti al palco, li vedo tramare e scomparire in un ripostiglio con un paio di ragazze, e mi chiedo che senso abbia tutto questo.
Decido di cambiarmi, al nostro ingresso manca ancora un po’ ma come sempre voglio prepararmi per tempo. Faccio per entrare in quel cavolo di sgabuzzino che c’è nel ramo più nascosto del corridoio che porta alla grande sala, che mi imbatto in una ragazza che sta praticando la fellatio a Fabio.
“Oh vecchio, è occupato come vedi…” e fa una risata delle sue. Decido di cambiarmi in bagno. Esco a vedere la situazione. Il gruppo sul palco propone un rock alla Mott The Hoople. Poco dopo mi raggiunge Fabio, sorridente e appagato. “Scusa per prima ma non potevo mica interrompere” mi dice con una mezza risata. “Ma chi è?” gli chiedo. “Una mia amica, quella che mi manda queste foto” e mi mostra alcuni scatti di un culo in primo piano con in bella vista il buco che vi è al centro. Fabio è un cantante, c’è poco da fare.
La tipa poi esce da una toilette, va incontro ad un uomo e lo bacia appassionatamente.
“E quello chi è?” chiedo a Fabio. “Il suo ragazzo”.
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Fumagalli insiste, sa che una proposta come quella dei CodRei ha un mercato più ampio, la lingua inglese rende naturalmente tutto più semplice, così mi invia il report delle vendite del disco: 7.500 CH, 17.000 D, 5.000 N, 8.000 FIN, 4.000 DK, 3.000 B, 1500 NL, 4.000 F, 4.000 RU, 7.500 P (disco d’oro), 18.000 I.
Al giorno d’oggi 75.000 copie in Europa sono un gran successo per un gruppo del nostro livello, senza contare che alcune decine di esemplari sono finiti anche in Giappone, in Nord America e in Brasile.
Fumagalli mi dice anche che vorrebbe organizzare i festeggiamenti per il disco d’oro in Portogallo.
“Alberto, ti sembra il caso? Capisco che faccia effetto ricevere un disco d’oro, ma sono 7500 copie. Già mi è sembrato surreale quando Zucchero ha pubblicamente festeggiato il disco d’oro di uno dei suoi ultimi album per aver venduto 25.000 copie qui in Italia. Capisco che faccia curriculum, ma un artista del suo livello abituato a ben altre cifre avrebbe dovuto sorvolare secondo me. Dai meglio di no, cerca di capire”.
Quattro le date in Svizzera pianificate insieme a quelle del Nord Italia, poi centro, sud e infine l’Emilia Romagna. Qualche concerto fatto con gruppi spalla suggeriti dalla etichetta, genere Prog o Metal, mentre in Emilia in due date apre i concerti un gruppo che fa musica anni novanta, un misto tra grunge, indie, brit pop e cose del genere.
Dopo il secondo concerto con loro l’etichetta organizza un piccolo party per i due gruppi, presenti backstage anche Penny, Giovanni, Talent Boy e tutta la combriccola dei miei amici. Siamo nell’arena della Festa Provinciale dell’Unità di Modena, nel backstage sono stati allestiti alcuni tendoni, sotto uno di questi si dipana la festicciola: prosecco, lambrusco, tartine e pasticcini, the same old blues.
Sono lì che parlo con Fumagalli, Ellade e Lizn, uno dei miei amici, quando si avvicinano un paio di membri del gruppo spalla che non ho mai considerato perché non mi stanno simpatici e hanno atteggiamenti che non reggo, ma a dire il vero in questo periodo è poca la gente che sopporto. I due fenomeni si inseriscono nella discussione senza il minimo bon ton, interagiscono con Fumagalli per poi lanciare qualche allusione malevola, in modo apparentemente scherzoso, circa l’hard rock che facciamo, apostrofandolo come musica del passato. Dovrei lasciar perdere ma, si sa, sono mesi che sono girato male e non tollero che musicisti e, soprattutto, autori di canzoni mediocri vengano a pestarmi i piedi.
“ Veh cos” lo apostrofo “ ognuno suona e ascolta quello che gli pare, ma non permetterti di venire a fare la morale a me, pensi di fare musica attuale tu? La vostra è ormai roba vecchia quanto la nostra, quindi evita di rompere le palle a me. Inoltre a parte di un paio di pezzi originali non fate altro che proporre medley su medley, accenni ai ritornelli anni novanta più ruffiani includendo di tutto, senza un minimo di coerenza e di rispettabilità musicale, con una gamma espressiva ridotta e per questo fastidiosa. Se siete contenti buon per voi, ma non venire a tediarmi con i tuoi giudizi non richiesti. Vai a fare in culo te e la musica anni novanta, anche perché mi risulta che del vostro album non stiate vendendo un cazzo.”
Ellade continua a sorseggiare il suo prosecchino, mi conosce e non fa una piega alla mia reazione, Lizn sorride sorpreso, Fumagalli cerca di sdrammatizzare ma il tipo continua.
“Ah, ti senti punto sul vivo eh Rinaldi? Immagino che invece voi stiate avendo un successone” dice con scherno.
Prendo dal tavolo quello che mi stava consegnandoci Fumagalli:
“Testa di cazzo, lo vedi questo? E’ il riconoscimento che ci ha appena dato Fumagalli, il nostro album è diventato disco d’oro in Portogallo. Quindi chiudi il becco e vai a farti le seghe con bittersweet symphony”.
Stefano Tirelli – © 2021
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Avessi saputo che era così, quella volta facevo il cantante anch’io…
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:-)
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Per il sottoscritto è l’episodio più bello fino ad ora. Sti cantanti del cavolo… :)
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Grazie Luc, grazie mille..
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Nel finale mi aspettavo la rissa :-)
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Arriverà la pt.V?
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Sì Jackob. Working on it.
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