AMY WINEHOUSE E IL MORIRE GIOVANI di Giancarlo Trombetti

27 Lug

Riflessione lucida e scevra da sentimentalismi e banalità di Giancarlo Trombetti

MORIRE GIOVANI?

Una domenica come tante altre. Apatia e stanchezza tolgono la voglia di mettere il sedere fuori di casa. Così, con il giornale tra le gambe e il telecomando in mano, si vaga nel nulla o poco televisivo. Formula Uno, un vecchio film di Sordi, uno più recente ma così anonimo da mettere solo voglia di saltare altrove e il dito che cade su quella rete mutante che ammicca ai giovanissimi con serial americani sottotitolati e che usa la musica solo quando la programmazione è in momenti così poco commercialmente appetibili che il clip riempie la pancia e non costa nulla.

In questo momento su MTV c’è un clip. Poi un altro ed un altro ancora: tutti del medesimo artista. Così la mente si attiva, seppur a regime ridotto, e ricorda. Già, ieri hanno trovato morta la Winehouse. I clip sono tutti suoi. Poi d’un tratto un “crawl”, una scritta che passa velocemente. E’ così piccola che devo approfittare del terzo passaggio per leggerla. Dice grosso modo: “Trovata morta nel suo appartamento di Londra Amy Winehouse per cause ancora ignote. L’artista icona del rock continuerà a vivere grazie alla sua musica.”. Ed giornale mezzo accartocciato in mano quasi chiede la mia attenzione. All’interno, una a me ignota giornalista disquisisce sulla “maledizione dei 27 anni”…storia vecchia, me la ricordavo da solo…Janis, Jimi, Jim, Kurt, Brian e poi Belushi, altri. Ma alla mente balzano anche tutti gli altri, seppur giovani, che avevano passato i ventisette da poco: John Bonham, Keith Moon, i tre tastieristi tre in sequenza dei Dead, Mama Cass, Marc Bolan, Sid Vicious, Elvis Presley, il nostro Tenco e mille altri… Un fiume di sangue, sangue di qualità.

(John Bonham dei LZ)

D’un tratto mi sento lucido e sveglio mentre davanti a me scorrono clip anonimi che mai avevano attirato la mia attenzione. Qualcosa non mi torna. No, non è la morte nel rock and roll. A quella, a quelle, purtroppo, siamo abituati. E’ la comunicazione che mi sfugge. E’ vero, la Grande Mietitricenon rende tutti uguali se non da un punto di vista strettamente formale. Quand’uno è morto è morto, ma c’è chi non muore e chi è costretto a farlo. La Winehouse appartiene alla prima categoria. Ma perché? Perché giovane? Perché ribelle? Perché brava? Perché sul serio vogliamo continuare a credere che muoia giovane chi è caro agli dei? Fesserie! Mi passano davanti agli occhi le parole di Gaber: ” Purtroppo l’occasione di morire simpaticamente non capita sempre, e anche l’avventuriero più spinto, muore dove gli può capitare e neanche tanto convinto.”… Già, nessuno cerca la morte e certamente nessuno di quelli che la cantano e la chiamano.

Mai creduto alle vite spericolate…mai! E mi tornano in mente i nomi di quelli che sono scomparsi e ne avrebbero certamente desiderato farne a meno… Marvin Gaye, ucciso dal padre, Jaco Pastorius ucciso in una rissa, Stevie Ray Vaughan o Buddy Holly, Otis Redding, Randy Rhoads, tre degli Skynyrd, tutti in incidenti aerei, Felix Pappalardi, ucciso dalla moglie, Lennon da un pazzo…e poi le morti molto poco “rock”, per malattia…James Dio, Zappa, Freddie Mercury, De Andrè, Gaber e troppi, troppi altri.

(Jaco Pastorius)

Così mi domando come possa una rete che si rivolge ai giovani credere di rendere un servizio immolando una morte tragica, non voluta, non sperata ed accostarla alla parola “icona” che, come da vocabolario, significa “personaggio emblematico di un’epoca, un ambiente, un genere”. Era un’iconala povera Amy? Avrebbe dovuto esserlo? Accantoniamo per un momento qualsiasi giudizio critico sull’arte e limitiamoci all’essere umano. Può essere emblematica una donna che sfregia il suo corpo al limite dell’anoressia, che lo rende incomprensibile inserendo su quella struttura minimale un paio di tette da maggiorata, che lo deturpa con immagini puerili di donnine in ogni sua parte esposta, che lo violenta con alcolici, con droghe pesanti che lo rifiuta, quasi, senza curarsi di ciò che di buono la natura le abbia donato? A mio parere suona più come un esempio da non imitare che l’immagine di un’eroina per una generazione che già ha poco su cui contare.

Poi, un attimo, ed in tv dalle immagini edulcorate, finte, impostate dei clip si passa a una registrazione dal vivo. 2008, Olanda, un festival. Una marea di gente festante, di ragazzi che ridono, saltano, ballano e vivono, sopra ogni cosa. E penso che la musica sia esattamente questo. E’ il ritmo della vita, è il midollo spinale dell’amore, è un inno costante al piacere di respirare, è il desiderio di continuare a farlo. E’ emozione che pulsa. E penso, ancora, che la storia ci abbia già dato fin troppi segnali di come queste note siano state mal interpretate, mal gestite e mai assimilate. Di come siamo stati testimoni di giovani vite che non hanno saputo crescere di pari passo con la propria, immensa arte finendone stritolate, sbattendo contro un muro di droghe, di solitudini, di alcolici, di paure che per un attimo irripetibile si è creduto si sarebbero smaterializzate solo dopo un colpo d’arma da fuoco o dopo l’ennesima dose. E guardola televisione. E vedo finalmente la donna e non l’attrice dei clip. Vedo un corpo muoversi fuori tempo, vedo troppi bicchieri ed un braccio che, quasi estraneo, porta alla bocca quel liquido che essa non può accettare perché sta cantando e osservo quel bicchiere danzare davanti agli occhi che non lo vedono mentre è il corpo che lo richiede. Vedo come due persone imprigionate nel medesimo essere umano: una che vuole vivere ed una che vuole solo dimenticare. Vedo, immagino, un corpo che vorrebbe essere in qualsiasi altro posto tranne che lì e sento una voce che resta. E penso che se solo avesse potuto, quel corpo se ne sarebbe andato, lasciando lì la sola voce. Quello che conta. Cerco di analizzare, di capire, e continuo a vedere una voce che si abbandona, che ripete tonalità zoppicanti perché il braccio è riuscito a passare la barriera delle note. Poi vedo quel corpo, quella donna, barcollare via, verso il retropalco, senza un cenno, senza un contatto, senza un segnale che quel rito, che quelle note servano alla vita. E non mi importa se mi piaccia o non mi piaccia. Se quella sia “la mia tazza di thè”, come dicono gli inglesi, o se io sia su altri lidi.

Davanti a me non c’èla Winehouse. Ci sono gli ultimi giorni di Jimi, c’è la sua chitarra gettata contro un muro di Marshall a Wight, c’è la solitudine di Brian Jones che affoga nella piscina miliardaria, c’è l’urlo di tristezza di Janis in un albergo di seconda, ci sono le medesime movenze di Morrison, il baratro di Cobain, la follia assoluta di Belushi. Ci sono persone che avrebbero potuto ma non hanno saputo o voluto o potuto. E che non si sentiranno mai colpevoli. Ci sono i soldi, c’è la ripetizione di un mito che diventa tale solo fermandosi a 27 o poco oltre. C’è sopra ogni cosa la voglia di far capire che gli esempi non sono quelli.

(Janis Joplin)

Chissenefrega se Amy mi piaceva solo quando cantava lo ska, lei che resterà famosa per le tonalità pop e jazz. Non sarebbe stata un’icona, per me, neppure se fosse stata la reincarnazione di Ella. Forse l’unica che lei avrebbe veramente voluto essere. Ma diciamolo forte a questi ragazzi vuoti di tutto di oggi, quelli che forse domattina si tatueranno una donnina, una pin up, sul braccio a ricordo di una donna fragile, sola, piena di umane preoccupazioni, ricca di denari e povera di forze. Tutto fuorché un esempio.

Spengo la televisione, ne ho abbastanza. Resto un momento, come sempre, in questi casi, interdetto. Provo a pensare. Davanti alla morte, almeno per qualche secondo, lo facciamo tutti. E mi viene in mente la fine di un povero Cristo, di un personaggio di seconda fila, un eccellente chitarrista blues, Roy Buchanan. Un personaggio decisamente fuori dalla tipica iconografia del rock: barbetta, vestito comunemente, spesso pizzicato con un baschetto in testa a coprirela calvizie. Madue mani d’oro, che avevano dato creatività e inventiva al suo strumento. Aveva il vizietto del bere, ma lo gestiva, in qualche modo. Un giorno venne arrestato per molestie domestiche e ubriachezza; roba da poco. Lo trovarono impiccato con la sua maglietta in cella, ventitre anni fa, ucciso dalla vergogna.

(Roy Buchanan)

Lui che era stato definito “il più grande chitarrista sconosciuto al mondo”, lui che aveva rifiutato di unirsi ai Rolling Stones per sostituire Mick Taylor e continuare la sua vita di comune musicista. E penso che la morte, davvero, renda tutto confusamente ed erroneamente uguale. Perché tra chi muore per sbaglio, chi per accidente, chi lo desidera, chi per idiozia e chi proprio non vorrebbe esiste un’enorme differenza. Un abisso. Ed è su questo che dovremmo noi che restiamo cercare di riflettere. Magari senza sparare parole di troppo.

Giancarlo Trombetti

13 Risposte to “AMY WINEHOUSE E IL MORIRE GIOVANI di Giancarlo Trombetti”

  1. Avatar di Sara Crewe
    Sara Crewe 27/07/2011 a 00:24 #

    Queste sono le uniche note, tra tutte quelle che ho letto in questi giorni, che condivido pienamente. Per il resto, ho trovato solo pettegolezzi, giudizi del cavolo, pietismo e chiacchiere. Più la disinformazione dei soliti sedicenti giornalisti Rai. E mi ha fatto piacere leggere questo bel ricordo di Buchanan. Grazie.

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  2. Avatar di BEPPE R
    BEPPE R 27/07/2011 a 09:53 #

    Semplicemente un altro gran bel pezzo del Trumpets, ricco di riflessioni profonde e di prosa efficace. Per me, spiace dirlo ora, la Winehouse non ha significato proprio nulla, ma la sua tristissima fine è per GC solo lo spunto per considerazioni non solo rock di ampia portata e verità.

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  3. Avatar di saurafumi
    saurafumi 27/07/2011 a 12:24 #

    Molto bello questo pezzo di Giancarlo Trombetti, invita veramente a riflettere.
    Amy Winehouse non sarà mai un’icona per me. Era solo una povera anima perduta, che non riusciva ad affrontare i propri demoni se non con l’aiuto di droghe e alcool… tutte le altre parole che vengono dette in questi giorni sono solo ipocrisie e cinismi dettate dalla notizia del momento… come fu con Freddie, e con tanti altri… ma davanti a certe morti, illustri o meno illustri, bisognerebbe veramente soffermarsi a riflettere. In silenzio.

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  4. Avatar di JayPee
    JayPee 27/07/2011 a 14:41 #

    Finalmente un’articolo che propone una riflessione interessante e condivisibile, che va oltre la cronaca, solitamente agiografica e superficiale, dell’avvenimento.
    Bravo GT, ancora una volta.

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  5. Avatar di Pol
    Pol 27/07/2011 a 21:17 #

    Che dire….certo, nemmeno io subisco più il fascino dei cosiddetti maledetti del rock, o della musica in generale, che muoiono giovani, alimentando così il mito, nemmeno troppo originale ormai, secondo cui è impellente bruciare la propria vita mentre si è all’apice del successo e della fama.Se penso ad Amy Winehouse non vedo altro che una personcina fragile e con un gran male di vivere dentro, una che aveva tutta la vita davanti a sè ma, come può capitare all’ordinario proletario che una sera vuole fare un colpo di testa, se l’è bruciata in un attimo. Nulla di più. Certo, se se la brucia un ragazzotto qualunque che una sera si sbronza ed ha un malore, o si schianta in autostrada, la cosa non fa tutto quello scalpore, diciamolo. Il rock ha tutto quel fascino e quell’innegabile romanticismo che rende ogni gesto epico e leggendario, ma sotto sotto è tutta una cosa enfatizzata da certo giornalismo che contribuisce a tener vive questo genere di cose. E in un certo senso è anche giusto così. Credo che ormai le persone, per quanto ottuse e vuote possano essere in questi miseri tempi, sappiano fare dei distinguo. E a non mitizzare. A volte ammetto di farmi trasportare anche io da certi scritti, con la consapevolezza però di prendere le distanze da comportamenti nocivi e da esempi da non seguire…pur con tutta la stima e la benevolenza che ho per i vari Morrison, Joplin e compagnia bella, che pur sono stati eroi della mia cultura musicale.
    Questo articolo di Giancarlo Trombetti sintetizza tutto questo.

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  6. Avatar di Laroby
    Laroby 28/07/2011 a 00:52 #

    Non ho capito quale tesi si sostiene. Illuminatemi. Soprattutto non riesco a decifrare (tra le molte) la frase: “quand’uno è morto è morto, ma c’è chi non muore e chi non vorrebbe farlo. Amy Winehouse appartiene alla prima categoria.” Eh? Sottoscrivo pienamente le parole di Gaber, ma ricordo anche la semplice verità enunciata da Liz Taylor: Marilyn ci ha staccate tutte quante, morendo giovane.

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  7. Avatar di Giancarlo T.
    Giancarlo T. 28/07/2011 a 10:00 #

    La tesi se non è comprensibile è colpa mia. Tu pensa che a me pareva chiarissima. La frase invece è criptica, lo ammetto, ma ogni tanto, scrivendo credo sia necessario divertirsi con la lingua. La traduzione dovrebbe essere “Un morto è un morto in assoluto. Ma esistono morti che, per loro natura umana non muoiono e non possono morire pur essendolo. Mentre altri, al contrario, a morire proprio non ci pensavano nemmeno.”. I morti che non muoiono sono tutti quelli che puoi o devi ricordare; la Winehouse tra questi. Gli altri non sai nemmeno che lo sono pure sapendo che a questi ultimi di morire, non gli passava nemmeno p’aa cap’…
    Per le molte altre frasi non ho soluzione. Se non riscrivere tutto ;). Ma se citi quella frase della Taylor, allora qualcosina ti avevo trasmesso…

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  8. Avatar di Laroby
    Laroby 28/07/2011 a 16:31 #

    “Esistono morti che per loro natura umana non muoiono e non possono morire pur essendolo”? Ho provato ad analizzare la frase sia dal punto di vista sintattico che da quello filosofico e, mi spiace, ne è uscita bocciata in entrambi i casi. Compete con il testo di Gigi D’Alessio la cui esegesi al Dopofestival di Elio e le Storie Tese è entrata nella storia: “se il cuore batte forte dà vita a quella morte che vive dentro te.” Ma non voglio mettermi a rompere le palle a tutti i costi, ci mancherebbe. La mia visione resta quella sintetizzata da Liz Taylor, che non è particolarmente articolata e sfumata, ma al contrario molto tranchant e priva di fronzoli. Peace and Love a tutti.

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    • Avatar di Giancarlo T.
      Giancarlo T. 28/07/2011 a 18:22 #

      Ciao Laroby…meno male che non ti ho avuto come caporedattore. O che tu non abbia mai corretto le bozze di Joyce ;).
      Comunuqe ricordo che quando detti il mio unico esame di filosofia, in risposta a un belinata di ipotesi filosofico-giuridica mi sovvenne una frase che mi era stata insegnata e che riportai al professore esimio. “La filosofia è la materia per la quale, attraverso la quale e con la quale tutto resta tale e quale!”. Inutile dire che mi suggerì di tornare a ripetere l’esame.

      …ah! Dimenticavo: esegesi …”Spiegazione ed esposizione critica di testi vieppiù antichi, specialmente sacri e giuridici”….vedi che le imprecisioni capitano a tutti? ;)

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  9. Avatar di timtirelli
    timtirelli 28/07/2011 a 18:30 #

    Oh, leggendo gli scambi tra Laroby e di Gc mi pare che il blog si stia sfiorando le vette altissime della metafisica…sembra quasi un blog importante. Comunque, siete di nuovo in parità, Gc ha appena segnato il 2 a 2…e dire che – poveretti voi – tenete per la stessa squadretta :-)

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  10. Avatar di Giancarlo T.
    Giancarlo T. 28/07/2011 a 19:00 #

    L’unica cosa giusta che hai detto è che trattasi di squadretta… :(

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  11. Avatar di Laroby
    Laroby 29/07/2011 a 03:43 #

    Ma quale 2-2, Tim!
    1. Joyce, sia sintatticamente che filosoficamente, è sempre ampiamente promosso.
    2. La frase sulla filosofia, una volta superata la quinta elementare, non andrebbe citata se non con immediate conseguenze penali.
    3. Consultare un dizionario che utilizza nelle definizioni la parola vieppiù non è indice di attendibilità. Difendo senza dubbi “esegesi”.
    Mi dispiace… In realtà non sto nemmeno contestando una tesi, è che non capisco una cippa di quello che scrive il carissimo trombetti. Non escludo che sia un problema mio.
    Riguardo a Amy, ammetto di non averla mai cagata neanche di striscio quando era in vita. Una volta morta ha cominciato a sembrarmi interessante: la voce assolutamente fuori dal comune, il suo folle ensemble estetico (una con dei tatuaggi del genere che diventa ispirazione di grandi fotografi di moda…), il suo immortale verso: he left no time to regret/ kept his dick wet/ With his same old safe bet. Massimo rispetto.
    P.s. Finora avevo sentito solo interisti definire la propria squadra una squadretta.

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  12. Avatar di paolo barone
    paolo barone 29/07/2011 a 19:36 #

    Aveva una gran voce, qualche bella canzone anche, e poi era una vera.
    La morte, diceva un grande intellettuale italiano, e’ come il montaggio della vita/film che tutti viviamo. E in questo senso Amy Winehouse ha dimostrato che era una persona vera, non una che ci faceva, ma un anima in pena sincera e reale. Una che danzava sul filo senza rete. Non credo ( e spero ) che nessuno la prenderà ad esempio in negativo. Non penso che in tanti si siano alcolizzati emulando Bonham o fatti di eroina pensando alle rockstar…forse qualcuno si, ma credo che lo avrebbe fatto comunque. In tantissimi invece penso si siano messi a suonare con Brian Jones, Hendrix & co. come guide spirituali. Dispiace tantissimo la perdita umana di talenti cosi’ giovani e rari, e’ uno spreco, una mancanza gravissima.
    Resta però la forza dell’arte, della sincera espressione di un disagio esistenziale, di un vero blues nell’anima.
    Persone vere con vite vere, a volte squallide e tristi, ma vere, in un mare di finzione ed intrattenimento da due soldi.

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