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UFO “No Heavy Petting” deluxe edition (1976/2023 Chrysalis) – TTT ¾

26 Feb

Nuova edizione per il quinto album da studio degli UFO, il terzo dell’era Schenker. No Heavy Pettinge soffre il fatto di essere schiacciato tra (quelli che considero) i migliori lavori del gruppo, ovvero Force It (1975) e Light Out (1977); non è alla loro altezza ma rimane pur sempre un buon album di hard rock britannico (o meglio europeo). Si aggiunge alla formazione classica Danny Peyronel (ex Heavy Metal Kids), tastierista argentino di educazione prettamente inglese, che rimane nel gruppo per questo disco soltanto (lascerà gli UFO nel luglio 1976), tuttavia dopo di lui la band continuerà ad avvalersi di tastieristi a tempo pieno. Registrato nel gennaio 1976 a Londra, No Heavy Petting esce nel maggio dello stesso anno, per quanto riguarda le vendite rispetto a Force It è un passo indietro, si ferma al 169esimo posto della classifica Usa, quando il precedente arriva alla casella 71; se in effetti NHP non ha freschezza compositiva di Force It, contiene comunque diverse cose pregevoli. La nuova edizione prevede 6 bonus track (ma solo una è inedita seppur sia solo un riempitivo) e il concerto del 1976 alla Roundhouse di Londra (già pubblicato nel 1996).

FO No Heavy Petting deluxe edition (19762023 Chrysalis)

Natural Thing apre il disco in maniera perfetta, validissimo pezzo di hard rock teutonico, molto quadrato visto lo stile compositivo di Schenker ma comunque risulta una apertura vivace affrontata con il giusto approccio. Breve assolo di chitarra, melodico e corposo.

I’m A Loser per certi versi ha un inizio alla Lou Reed (Walk On The Wild Side), con quella chitarra acustica e quel disegno della solista, poi prende una strada tutta sua quando si trasforma in un gran brano Hard Rock. Buono il lavoro al piano di Danny Peyronel e assolo di Schenker assai riuscito. Una piccola meraviglia.

Lo stile percussivo di Peyronel apre Can You Roll Her, di nuovo heavy Rock ma più di maniera. Quando Schenker si butta sulla solista per l’assolo però è sempre un bell’ascoltare. Belladonna è costruita inizialmente su un arpeggio in minore che già nel 1976 era un po’ consunto, lo sviluppo in tonalità maggiore migliora le cose, le tastiere a mo’ di tappeto però non convincono così come il lavoro della chitarra sul finale. Con Reasons Love ci si impantana ancora nel rock duro manieristico, gli UFO sono capaci di aperture che risultano piacevoli ma l’ossatura del pezzo è debole, e anche l’assolo di Schenker appare meno felice del solito. L’Hard Rock di Highway Lady ha un respiro più melodico, pur non essendo un capolavoro si fa ascoltare con gusto, così come il convincente guitar solo. On With The Action è un tempo medio in tonalità minore che non lascia tracce particolari.

A Fool In Love invece induce al ritmo e con lo slancio melodico che ha contribuisce a rendere l’album più accessibile.

L’inizio di Martian Landscape ci riporta alla prima fase del gruppo, quello dello space Rock, prima di riconvertirsi al british symphonic glam rock alla John Miles e Mott the Hoople. Molto bene tutto il gruppo qui, prova davvero notevole. Deep cut perfetta per la chiusura del disco.

Bonus tracks

I bonus sono relativi ad un paio di buone cover di All Or Nothing degli Small Faces

e di Have You Seen Me Lately Joan? di Frankie Miller (versione standard e versione acoustic demo) e ad outtake proprie del gruppo: l’ariosa semplicità di French Kisses e l’andamento standard di Tonight Tonight.

All The Strings infine è un pezzo di Peyronel che intriga parecchio e mi chiedo come mai non sia stato inserito nel disco originale visto che è una di quelle riflessioni sull’essere un musicista Rock on the road davvero commovente e sincera.

L’album dunque ha i suoi numeri, la normalità di alcuni pezzi non l’aiuta a raggiungere uno status elevatissimo, ma come detto è un disco che – in campo Hard Rock – ha comunque valore.

Il concerto presente sul secondo compact disc è una buona rappresentazione del gruppo nell’epoca di cui si parla. Niente di nuovo, tutto già pubblicato precedentemente, ma ben si sposa con l’album di riferimento che sarebbe uscito pochi giorni dopo quel concerto.

No Heavy Petting – UFO – 2 CD/

    • CD 1
      1. Natural Thing
      2. I’m A Loser
      3. Can You Roll Her
      4. Belladonna
      5. Reasons Love
      6. Highway Lady
      7. On With The Action
      8. A Fool In Love
      9. Martian Landscape
      Bonus tracks
      1. All Or Nothing
      2. French Kisses
      3. Have You Seen Me Lately Joan?
      4. Tonight Tonight
      5. All The Strings
      6. Have You Seen Me Lately Joan? (Acoustic)  previously
        unreleased
    • CD 2
      1. Can You Roll Her – Live At The Roundhouse, London 1976
      2. Doctor Doctor – Live At The Roundhouse, London 1976
      3. Oh My – Live At The Roundhouse, London 1976
      4. Out In The Street – Live At The Roundhouse, London 1976
      5. Highway Lady – Live At The Roundhouse, London 1976
      6. I’m A Loser – Live At The Roundhouse, London 1976
      7. Let It Roll – Live At The Roundhouse, London 1976
      8. This Kid’s – Live At The Roundhouse, London 1976
      9. Shoot Shoot – Live At The Roundhouse, London 1976
      10. Rock Bottom – Live At The Roundhouse, London 1976
      11. C’mon Everybody – Live At The Roundhouse, London 1976
      12. Boogie For George – Live At The Roundhouse, London 1976
  • Phil Mogg – vocals
  • Andy Parker – drums
  • Pete Way – bass
  • Michael Schenker – guitar
  • Danny Peyronel – keyboards, backing vocals
Production
  • Leo Lyons – producer
  • Mike Bobak – engineer
  • Hipgnosis – cover art

UFO – High Stakes & Dangerous Men/Lights Out in Tokyo (2022 Cherry Red Records) – TTT½

14 Ott

Quando sono fuori con gli amici e si parla di musica Rock talvolta me ne esco con lodi agli UFO, e immancabilmente il Pike boy si mette a ridere, e io rido con lui. Questo perché agli UFO in parte, ripeto in parte, si può rimproverare un certo atteggiamento da “rockpalast” e da centurioni, due termini che noi amici usiamo per descrivere quella propensione al rock un poco teutonico (e dunque quadrato) e grossolano. Eppure per gli UFO ho sempre posto nel mio cuore, da quando laggiù alla fine degli anni settanta acquistai Force It (1975), album che mi stregò. Benché fossi giovane e inesperto lo sentivo che gli UFO erano una band di seconda fascia (senza nessuna accezione negativa), che Parker e Way non erano certo Bonham e Jones, che la musicalità non era cosmica, ma quell’hard rock britannico ed europeo mi scompigliò l’anima. La voce di Phil Mogg, la solista di Schenker, il songwriting convincente illuminarono la mia adolescenza. Poi arrivò Paul Champman che si riunì al gruppo sostituendo Schenker e aiutando la band a fare uscire sino al 1983 alcuni ottimi dischi, quindi seguì la sbornia hair metal con Atomic Tommy alla chitarra per un paio di album e infine – prima della reunion con Schenker e il resto della storia – il disco con Laurence Archer alla chitarra e Clive Edwards alla batteria che la Cherry Records ha ripubblicato quest’anno, insieme al live Lights Out In Tokyo registrato con la stessa formazione dell’album ovvero Mogg, Way, Archer, Edwards al Club Città di Kawasaki, locale da 1.300 posti.

Club Città – Kawasaki Japan

Laurence Archer (Grand Slam/Wild Horses/Lautrec) e Clive Edwards (Uli Jon Roth/Wild Horses/Bernie Marsden) negli anni che andarono dal 1991 al 1993 diedero la giusta scossa al gruppo, sebbene il disco non entrò in nessuna classifica può essere considerato una buon album di una storica hard rock band con un nuovo chitarrista dal tocco moderno (per quegli anni).

UFO – High Stakes & Dangerous Men/Lights Out in Tokyo (2022 Cherry Red Records)

UFO – High Stakes & Dangerous Men/Lights Out in Tokyo (2022 Cherry Red Records)

High Stakes & Dangerous Men

L’intro di Borderline è molto carina, bluesy e adatta ai temi che affronta la voce di Mogg …

Daylight’s rising across the plains
This rig is streaking like a hellbound train
I smuggle whiskey, I smuggle gin
Where there’s a need well I just truck on in

I’m a gambling man, son of a gun
I’ll take the risks now baby I’ll make the run
Wanna get home now, back in the saddle
Ain’t gonna drive this kinda grade A cattle

ma poi arriva il rock duro a spazzare via ogni malinconia. Assolo che per quanto mi riguarda cozza un poco col sapore che a tratti questo brano ha.

Primed For Time rimane sul genere hard rock. In sottofondo le tastiere di Don Airey. Assolo di chitarra troppo esibito.

She’s The One è carina. Sapore anni ottanta e andamento melodico. Arrangiamento curato ma semplice. La sezione dell’assolo fa molto Whitesnake “1987”.

Ain’t Life Sweet sembra suggerita dagli Aerosmith post 1987, ma rimane un buon brano di hard rock stradaiolo leggermente bluesato. Gli assoli di Archer a questo punto iniziano a sembrare tutti uguali.

La prima parte di Don’t Want To Lose You è sciocchina, abitino anni ottanta in pratica indossato anche nelle parti più rock. Starò forse invecchiando ma preferisco queste cosine all’hard rock dozzinale. Qui è là mi ricorda la versione di Rod Stewart di Downtown Train (con accenti alla Springsteen e Mellencamp)

Burnin’ Fire pur essendo un brano di hard rock senza particolarità e dunque tipico di quegli anni, riesce comunque a farsi ascoltare, sarà perché a me gli Ufo e Phil Mogg piacciono molto.

Running Up The Highway segue lo stesso solco, di nuovo ci sento John Mellencamp (nel ritornello). L’assolo di chitarra – seppur proposto nella stessa formula – è articolato bene.

Certo che i titoli dei brani avrebbero potuto essere un pelo più originali, detto questo Back Door Man si appoggia su di un arpeggio godibile.

Le strofe di One Of Those Nights devono moltissimo ai Def Leppard, Hysteria in particolare. Mogg canta “Lifes a bitch and then you die” … come dargli torto.

Revolution non lascia traccia, mentre Love Deadly Love ha un buon avvio, arpeggio di chitarra e piano. Lo sviluppo di chitarra ricorda Lights Out degli stessi Ufo. Con Let The Good Times Roll abbiamo di nuovo un inizio bluesato tipico di quel periodo.

Lights Out in Tokyo 

Running Up The Highway e Borderline sono proposte con la giusta convinzione, nel contesto live la solista moderna di Archer sembra meno aliena al gruppo

Too Hot Too Handle (contenuta in uno dei più bei dischi di Hard Rock britannico, Lights Out del 1977) riporta ad un passato brillantissimo. Il suono della batteria non mi fa impazzire, enfatico com’è, ma nel complesso tutto funziona. Bella la versione di She’s The One, prestazione più maschia.

Anche durante Cherry la carica della band è innegabile, qui l’assolo di chitarra c’entra davvero poco.

L’impressione che dal vivo i brani dell’album da studio si amalgamino meglio con la legacy del gruppo appare chiara, Back Door Man pare brano di maggior valore e One Of This Night perde buona parte del sapore Def Leppard. 

L’ultima parte del concerto è ovviamente dedicata all’illustre passato di questa grande band britannica.

Love To Love è sempre un gran pezzo, certo, non è la formazione originale, qualche finezza manca, ma è una versione che funziona.

Only You Can Rock Me appare un pochino centurionica ma sono sfumature della mia maruga da cagacaxxo. Lights Out, la Achilles Last Stand degli UFO, sfreccia veloce. Archer è perfettamente all’altezza della situazione, tecnicamente prontissimo a gareggiare col ricordo di Schenker. Ecco io avrei evitato certo esibizionismo, ma ripeto sono visoni personali. Immancabilmente quando Phil canta “lights out lights out in Tokyo” il pubblico risponde calorosamente. Tutto sommato grande versione.

Doctor Doctor è probabilmente l’esempio più lampante del rock teutonico del gruppo. Andamento rock molto quadrato e geometrico. La nuova introduzione è intrigante, molto anni ottanta ormai alla deriva nei novanta, ma di un certo effetto. L’intermezzo al minuto 04:30 è banalotto.
Prima di Rock Bottom Archer si diletta in qualche svisata di tapping, la grinta con cui affronta il pezzo è notevole. Da ascoltare l’assolo, quattro minuti e oltre di cose anche interessanti. Il fraseggio doppiato dalle tastiere però sarebbe da evitare.
Shoot Shoot è un classico che ho sempre amato parecchio, non sono sicuro che l’approccio ritmico metal della chitarra funzioni. C’è un intermezzo col pianino e poi il brano torna a sfociare nell’hard rock che conosciamo. 
C’mon Everybody è inascoltabile, almeno per me. Il rifacimento di brani rock and roll fatti dalle band pesanti sono solitamente un obbrobrio, perché sono dolori se non sai gestire la distorsione, inoltre devi avere moltissimo swing e non devi suonare assoli di chitarra metal, per dio!

Concludendo, tuttavia, una buona riedizione questa della Cherry Red Records. W gli UFO.

Tracklist:

CD 1

1 Borderline
2 Primed For Time
3 She’s The One
4 Ain’t Life Sweet
5 Don’t Want To Lose You
6 Burnin’ Fire
7 Running Up The Highway
8 Back Door Man
9 One Of Those Nights
10 Revolution
11 Love Deadly Love
12 Let The Good Times Roll

Phil Mogg – vocals
Laurence Archer – guitar, backing vocals
Pete Way – bass, vocals
Clive Edwards – drums
with:
Don Airey – keyboards
Terry Reid, Stevie Lange – backing vocals

CD 2

1 Running Up The Highway
2 Borderline
3 Too Hot To Handle
4 She’s The One
5 Cherry
6 Back Door Man
7 One Of Those Nights
8 Love To Love
9 Only You Can Rock Me
10 Lights Out
11 Doctor Doctor
12 Rock Bottom
13 Shoot Shoot
14 C’mon Everybody

Phil Mogg – vocals
Laurence Archer – guitar, backing vocals
Pete Way – bass, vocals
Clive Edwards – drums
with:
Jem Davis – keyboards

◊ ◊ ◊

Ne approfitto per fare gli auguri al grande Phil Mogg che ad inizio settembre ha avuto un infarto mentre era in tour.

♦ ♦ ♦

GLI UFO SUL BLOG:

UFO “Force It” (Deluxe Edition) (2021 Chrysalis Records) – TTTTT

UFO – Milano, Legend Club 1 nov 2015 – TTTT

The Rolling Stones – Live At The El Mocambo (2022 Polydor Records) – TTTTT

19 Giu

Sul gruppo whatsapp di cui faccio parte insieme agli amici di cui parlo spesso qui sul blog, qualche settimana fa il Pike Boy scrisse “Live At The Mocambo secondo miglior live degli Stones”. Ebbi l’opportunità di ascoltarlo il giorno dopo e mi dissi “cazzo, sì, Pike ha ragione, che spettacolo!” Ieri il nostro Polbi mi ha scritto in pratica la stessa cosa e LIZN ha poi aggiunto “dio bo’, se suona Ron Wood!” Per la cronaca il miglior album dal vivo dei Rolling è l’inarrivabile Brussels Affair del 1973, ribadito questo concordo appunto che Mocambo sia un live bellissimo e lo dico io che di certo non sono un estimatore di Ron Wood. Nel 1977 Wood doveva sentirsi ancora un esterno non facente parte della band e dunque il suo approccio alla chitarra era guidato da una sorta di disciplina poi persa via via negli anni. La devono pensare così anche Jagger e Richards visto che la chitarra di Ronnie è tenuta alta nel mix, di certo molto di più rispetto a Love You Live (1977) dove quella di Richards la sovrasta.

Nel 1977 il gruppo decise di suonare in camuffa (come diciamo noi qui in Emilia) due concerti al El Mocambo, un locale da 400 posti di Toronto, mediante un concorso Radio che prevedeva anche  la presenza degli April Wine, gruppo canadese di Hard Rock. I concerti si tennero il 4 e il 5 marzo del 1977, I Rolling, che si presentarono come i Cockroaches, suonarono alla grande tanto che quattro pezzi di quei due concerti finirono appunto su Love You Live, il doppio album pubblicato a settembre di quell’anno, disco tra l’altro con cui è iniziata la mia relazione d’amore – senziente – con i Rolling Stones.

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Honky Tonk Women inizia con l’abituale incedere appoggiato poi con l’entrata di pianino e basso il Rock diventa quello definitivo. Le chitarre duettano che è una meraviglia, l’assolo di Keith convincente, il piano di Stu sempre appropriato e Mick Jagger si conferma sin dal primo pezzo il numero 1. Con All Down The Line la band accelera, bene Ronnie alla slide e sempre efficaci le secondi voci di Keith. Hand Of Fate proviene da Black And Blue (aprile 1976), a quel tempo l’ultimo album del gruppo. Il blend delle voci di Mick e (credo) Bill Preston è efficacissimo. Niente male l’assolo di Ronnie, buono anche quello di Keith mentre Wood ci dà di wah wah. Ottima come al solito la cover di Route 66, con certi pezzi i Rolling si sentono proprio a casa. Richards scatenato. Spettacolo!

Seguono altri due brani tratti da Black And Blue, ovvero Fool To Cry e Crazy Mama. Nella prima la bella solista e le tastiere di Preston ci fanno immergere nel mood malinconico di questa canzoncina sublime. L’andamento è a tratti impreciso, ma il feeling c’è tutto.

Il groove di Crazy Mama è 100% Rolling Stones, quando suonano questi rock io perdo la cognizione del tempo e dello spazio. Pezzo rock senza chissà che ma irresistibile. Di nuovo quasi perfetta la solista. Senza Jagger sarebbe forse un pezzo rock come tanti ma con lui tutto prende quota. Che cazzo di mito che è. Bello il lavoro delle chitarre nel finale.

Ecco poi il momento Muddy Waters, Mannish Boy è convincente, i contrappunti della lead guitar sempre a tema, Billy Preston grandioso con le sue sovrapposizioni vocali; Crackin’ Up di Bo Diddley è ariosa 

mentre Dance Little Sister viaggia sui consueti binari del Rock alla Rolling Stones. Come già accennato, non ci fosse Mick sarebbe un Rock quasi dozzinale, ma con lui (e Keith) anche i brani meno particolari brillano alla grande. Around And Around è il classico (per loro) tributo a Chuck Berry

a cui segue Tumbling Dice, forse il mio pezzo preferito dei Rolling. Versione riuscitissima. Lo so, mi ripeto, ma Jagger ancora grandissimo.

The Rolling Stones – Live At The El Mocambo

Si torna a Black And Blue col funk di Hot Stuff (5:29) dove Ron Wood si cimenta in un grande assolo di chitarra.

Star Star alza il ritmo e i Rolling corrono come un treno, poi proseguono con decisione con Let’s Spend The Night Together sino ad infrangersi su Worried Life Blues di Big Maceo Merriweather

e Little Red Rooster di Willie Dixon (ma incisa nel 1964 da Howlin’ Wolf), Due blues sgangherati in puro stile Stones.

Si riparte quindi da super classici originali: It’s Only Rock ’N’ Roll (But I Like It), Rip This Joint 
Brown Sugar e Jumpin’ Jack Flash sono suonati con la consueta carica. E’ molto appagante sentire Keith e Ronnie fare assoli degni di nota, quando ancora li facevano con metodo.

The Rolling Stones – Live At The El Mocambo

Chiusura di concerto con tre pezzi obliqui, Melody da Black And Blue, Luxury del 1974 e
Worried About You all’epoca ancora inedita, poi apparsa nel 1981 su Tatto You. In Melody Billy Preston (a cui il brano sarebbe dovuto essere accreditato) duetta con Mick. 

Un album dal vivo quindi ad altissima gradazione, un rock che fa girare la testa, battere il cuore e muovere le gambe. Se non sono stati la più grande band di rock and roll, i Rolling Stones ci sono comunque andati vicinissimi, dischi come questo ne sono la prova. 

PS:

La cosa che dà da pensare è che Live At The Mocambo è stato pubblicato in maggio ed oggi, a poco più di un mese, è già uscito un altro live ufficiale (The Rolling Stones – Licked Live in NYC 2003). Misteri del mercato discografico odierno.

 

 

Beth Hart – A Tribute To Led Zeppelin (2022 – Provogue) – TT¾

12 Giu

Sembra io sia destinato a scrivere qualcosa su questo tributo ai LZ, avrei preferito evitare visto che di solito questi progetti mi annoiano ma prima leggo che il mio amico Donato Zoppo lo sta ascoltando, poi che Gianni Della Cioppa lo trova ottimo e infine Beppe Riva che mi chiede che ne penso. Tutti e tre sono miei cari amici ma soprattutto giornalisti musicali di grande fama e in qualche modo ne devo tenere conto. Per contro gli amici John Sunday Romagnosi, LIZN e il Pike Boy sono assai meno teneri con questo omaggio al più grande gruppo Rock di sempre.

Beth Hart è una cantante americana di discreto successo, i suoi album hanno toccato posizioni di rilievo nelle classifiche delle nazioni del Nord Europa e in USA non ha fatto male con i tre album incisi con Joe Bonamassa. Il genere a cui si rifà è in qualche modo quello del Rock e del Blues, cantato in maniera decisa ed enfatica. Il suo pezzo No Place Like Home mi è sempre piaciuto moltissimo, ma non posso certo dire di essere un suo fan.

Adesso si cimenta con un tributo ai LZ e al di là del chiedersi il perché di una operazione del genere, lo fa mettendo in campo la sua personalità debordante e diversi ospiti speciali: Tim Pierce (notissimo session man americano), il bassista Chris Chaney (Rob Zombie, Jane’s Addiction, Slash), il tastierista Jamie Muhoberac (Bob Dylan, Iggy Pop, Rolling Stones) e i batteristi Dorian Crozier (Celine Dion, Miley Cyrus, Joe Cocker) e Matt Laug (Alanis Morissette, Alice Cooper). Oltre a questi si è fatta sospingere da una orchestra arrangiata da David Campbell (Muse, Aerosmith, Beyoncé).

BETH HART A TRIBUTE TO LED ZEPPELIN

Whole Lotta Love aiutata dagli archi ricalca l’idea della versione di tantissimo tempo fa della London Symphony Orchestra, la Hart canta con decisione e bravura ma la versione è davvero troppo simile all’originale per portare qualche brivido profondo. Kashmir lascia intendere che il tenore del disco sarà quello che in fondo temevamo, riletture troppo vicine agli originali. Kashmir è suonata discretamente ma il groove e lo swing di Bonham non sono riproducibili, la Hart si canta addosso, e di nuovo scatta il pensiero: ma come si possono affrontare brani dei LZ se decidi di rifarli pari pari?

Stairway To Heaven inizia e scuoti la testa … è solo terzo pezzo è sei già un po’ insofferente. Al di là del timbro della voce tutto è troppo simile all’originale. The Crunge pur avendo una sezione ritmica meno funk di quella dei LZ, in qualche modo si fa ascoltare. Ci sono leggere e nuove sfumature che rendono la cosa frizzantina. In Dancing Days, Pt. 1 il boost che aggiunge l’orchestra porta alla mente la versione live degli anni novanta di Page & Plant. Come per The Crunge c’è una vibrazione che riesce a catturare l’attenzione. Il cantato tuttavia è un po’ sguaiato.

When The Levee Breaks parte subito evitando la lunga introduzione dell’originale. Non è male ed è giusto sottolineare che ci vuole coraggio a suonare un blues del genere senza avere Bonham alla batteria. Dancing Days, Pt. 2, (vissuta come chiusura) è completamente inutile.

Black Dog è in pratica una copia carbone della versione da studio del 1971, quindi il pollice è verso. Il video ufficiale poi sfiora il patetico. La Hart si agita, mette in mostra il basso ventre, si contorce e la sua presunta passionalità diventa una macchietta. I tre musicisti che la accompagnano sono clamorosamente fuori ruolo, non tanto per capacità tecnica ma per presenza scenica e personalità … imbarazzanti. Beth insiste, ammicca, mette in scena la sua sessualità, va sopra le righe, lasciva si sdraia per terra, mette fuori la lingua, simula un coito …. i rockettari di bocca buona potranno anche entusiasmarsi ma a me pare che manchi l’eleganza, quella che i LZ avevano, anche quando cantavano cosucce sconce. L’assolo di chitarra finale è uno di quelli nota per nota simile a quello che fece Page in studio.

No Quarter invece è un pochino più originale, ha meno fronzoli della versione da studio del 1973 e  qualche nuova nuance di tutto rispetto. Va a dissolversi in Babe I’m Gonna Leave You anch’essa accorciata. Rispetto all’originale è poco più di un accenno, per questo perde il candore e l’effetto light and shade, ovvero quasi tutto il fascino del pezzo. La chiusura riprende No Quarter.

Good Times Bad Times arriva diretta, non dispiace per nulla la melodia rotonda del ritornello, anzi pare parecchio accattivante.

Chiude The Rain Song, l’intreccio degli strumenti e dell’orchestra è lodevole anche se pare mancare di dinamica. La cover in questione non deve essere per niente male se nel risentire per la milionesima volta questo brano mi viene da pensare a quanto sia bello. Intorno al minuto 4.00 Beth ci ricasca, e da speak to me only with your eyes in poi risalgono momenti di un cantato sgarbato che ben poco c’entra con il mood di questa canzone.

Insomma, benché sia un album fatto da gente che sa suonare e cantare, manca un tocco di bon ton musicale e, come detto, un motivo valido per una operazione del genere nel 2022  … sì, certo, il business ma questo è un blog personale e possiamo permetterci di sorvolare sulle dinamiche del vil denaro e concentrarci sugli aspetti squisitamente artistici e musicali, in difesa di una musica Rock che a nostro vedere ha quasi perso del tutto lo spirito originario. E sì, lo sappiamo, nella vita tutto cambia, ma …

Se si trattasse di un concerto dal vivo, questo progetto potrebbe avere senso, certi fan andrebbero per chiudere gli occhi e pensare di essere davanti ai LZ, ma fare un intero disco da studio di cover ricalcando gli originali in quasi tutto e per tutto mi pare insensato. Poi, certo, ognuno fa quello che crede, e dopo tutto l’album ha avuto un discreto successo…1° in Olanda, 2° in Austria, 3° in Polandia (va beh, la Polonia), 4° in Germania, 7 in Belgio, 17° in UK ma per quanto mi riguarda se il Rock per sopravvivere deve essere costretto a riproporre l’ennesimo tributo carta carbone ai LZ allora forse sarebbe meglio piantare baracca e burattini.

NAKED GYPSY QUEENS “Georgiana”(2022 – Mascot Records) – TTT½

20 Feb

Nuovo e giovane gruppo del Tennessee che cerca di entrare di prepotenza nel giro dei gruppi che stanno tentando la rinascita dell’Hard Rock vecchia scuola. Questo primo EP è saltato fuori durante una delle interazioni che sono solito avere con lo rock scriba extraordinaire e amico Donato Zoppo. Vediamo di che si tratta.

naked gypsy queens georgiana

Georgiana è durissima, hard rock potente e slide guitar con tanto di cambio di tempo. Le prime impressioni riportano ai Led Zeppelin e all’approccio dei MC5. La batteria cerca di apparire come quella di Bonham, nel sound e nel drumming, magari ci giocano un pochino troppo, ma è bello avere a che fare con quel modo di suonare e con una batteria con un solo tom.

In Down To The Devil il fantasma che si presenta sembra essere quello dei Deep Purple di Stormbringer, almeno nel riff e nello sviluppo di una parte del cantato. Poi arrivano le influenze dell’hard rock blues classico e qualche buon cambio d’accordi. Al minuto 2:00 di nuovo rimandi ai Led Zeppelin. Malgrado un po’ di enfasi e qualche esagerazione (nel video, dove fingono di azzuffarsi), in questo pezzo il gruppo inizia a piacermi. Il modo di porsi è sopra le righe, ma la giovane età, il testosterone e il rock and roll sono lì per questo.

Nella loro biografia il gruppo cita Rolling Stones, MC5, Allman Brothers e Pink Floyd … sarà, ma io ci sento ancora i Led Zeppelin; deformazione professionale? Può darsi ma Strawberry Blonde #24 proviene dal mondo creato da When The Levee Breaks. Ad ogni modo, Hard Rock Blues di ottimo livello con uno spruzzo di MC5. La divagazione di metà brano, riporta al southern rock classico. Chris Attigliato (vocals/guitar) è una figura da tenere d’occhio.

Wolves è un pezzo più lento, tempo medio, sviluppo più articolato. La base dell’assolo si fonda su di un ottima divagazione musicale. Niente male davvero.

If Your Name is New York (Then Mine’s Amsterdam) inizia con una bella acustica e con sentimento e retorica da Southern Rock. Molto bello il lavoro del basso. A tratti sembrano i Greta Van Fleet (non è un gran complimento). L’assolo di chitarra di Cade Pickering è uno di quelli classici.

L’EP contiene  anche una versione di Georgiana registrato dal vivo, e mi chiedo a che pro. Sì, certo, per far capire che sono un gruppo vero, però è una ripetizione inutile per quanto mi riguarda.

Concludendo, un buon EP, per me vale 7 (forse un goccio di più), gruppo da tenere d’occhio soprattutto se il songwriting saprà germogliare.

◊ ◊ ◊

Chris Attigliato vocals/guitar – Cade Pickering guitar – Bo Howard bass – Landon Herring drums

naked gypsy queens

Hiss Golden Messenger “Quietly Blowing It” (2021 – Merge Records) – TTT¾

25 Gen

Questo disco mi è stato segnalato dal mio amico e Rock scriba extraordinaire Donato Zoppo, come spesso capita io e Don siamo sintonizzati sulle stesse lunghezze d’onda dunque eccoci qua a parlare di quello che mi sembra un buon disco.

Genere “americana” sebbene in giro venga definito anche come “alternative country” and “country rock”, due etichette da cui di solito sto alla larga.

Gruppo del North Carolina, formatosi nel 2007, guidato da MC Taylor e, in seconda battuta, da Scott Hirsch. Questo è il loro 12esimo album da studio. C’è un po’ di tutto nel calderone degli HGM, influenze varie che rendono la proposta appetibile.

Hiss Golden Messenger - Quietly Blowing It (2021)

Way Back in the Way Back mostra sin da subito che ci sono conti da saldare con Bob Dylan, nel cantato  è evidente, detto questo è un buon pezzo, bell’andamento, bei fiati, chitarre per intenditori. The Great Mystifier utilizza un gradevole canovaccio tradizionale, Mighty Dollar è il pezzo in minore, tempo ostinato, a tratti echi dei Fleetwood Mac (era Buckingham Nicks), intrecci delle chitarre piuttosto belli.

Quietly Blowing It è lenta, su di essa la lap steel guitar incastona pietre preziosissime. Uno di quei pezzi a cui gli uomini di blues come noi non sanno resistere. Il brano proviene da quella fonte a cui si sono abbeverati in tanti, anche i non americani (Rolling Stones, Van Morrison, etc etc). Chitarre meravigliose, organo incantevole, atmosfera delicata.

In It Will If We Let It voce e chitarra danno il via a un quadretto dalle sfumature soul, Hardlytown mostra in modo esplicito l’amore di MC Taylor per Bob Dylan, è sufficiente dare una occhiata al video per capirlo.

If It Comes in the Morning rimane su canoni simili, ed è una canzone sospesa, densa e rada, piena di umanità, guidata da sentimento indefinito che ci porta tutti verso i colori pastello e un po’ malinconici di un tramonto americano un po’ sbiadito.

Glory Strums (Loneliness of the Long-Distance Runner) non è male, ma col suo arrivo si inizia ad affrontare il già sentito … il genere come sappiamo non è che offra una gamma compositiva articolata, dunque all’interno dello stesso disco posso capitare momenti come questo. Chitarre acustiche per Painting Houses, ancora i colori tendono a essere gli stessi, è facile faticare a distinguere i motivetti, tuttavia tra mandolini, chitarre e richiami a The Band ci si bea ugualmente di questa indolenza musicale. Angels in the Headlights è obliqua, un’acustica, un pianino, una lap steel, un cantato appena abbozzato.

Il lavoro si chiude con Sanctuary, la più dylaniana di tutte.

Bel disco, quattro/cinque i pezzi notevoli. Potrebbe piacere a chi ha amato i brani più roots dei Black Crowes.

Credits

01 Way Back in the Way Back
02 The Great Mystifier
03 Mighty Dollar
04 Quietly Blowing It
05 It Will If We Let It
06 Hardlytown
07 If It Comes in the Morning
08 Glory Strums (Loneliness of the Long-Distance Runner)
09 Painting Houses
10 Angels in the Headlights
11 Sanctuary

Released June 25, 2021Produced by M.C. Taylor

M.C. Taylor – Acoustic & Electric Guitar, Singing
Alex Bingham – Bass, Synthesizer
Chris Boerner – Electric Guitar
Stuart Bogie – Saxophone
Matt Douglas – Saxophone
Griffin Goldsmith – Singing
Taylor Goldsmith – Singing
Brevan Hampden – Drums, Percussion
Devonne Harris – Piano, Hammond Organ, Wurlitzer, Clavinet
Scott Hirsch – Lap Steel Guitar, Synthesizer
Josh Kaufman – Acoustic & Electric Guitar, Mandolin
Matt McCaughan – Drums, Percussion, Synthesizer
Buddy Miller – Electric Guitar
Sonyia Turner – Singing
James Wallace – Piano
Zach Williams – Singing

All songs written by M.C. Taylor with the exception of “If It Comes in the Morning” by Taylor and Anaïs Mitchell and “Painting Houses” by Taylor and Gregory Alan Isakov. M.C. Taylor/Prophecy Connection, BMI. Copyright 2021.

Recorded at Overdub Lane, Durham, NC, by Chris Boerner, with assistance from Luc Suèr. Additional recording by Scott Hirsch at Echo Magic, Ojai, CA; Matt Douglas at The Shed, Raleigh, NC; Stuart Bogie at Starr Sound, Brooklyn, NY; James Wallace at The Old Pillow, Durham, NC; Josh Kaufman at The Boom Boom Room, Kingston, NY; and M.C. Taylor at Dad’s Bar & Grill, Durham, NC.

Mixed by Scott Hirsch at Echo Magic, Ojai, CA.

Mastered by Chris Boerner at The Kitchen Mastering, Carrboro, NC.

Pretenders – Pretenders II (Deluxe Edition) (1981/2021WM UK) – TTTT

12 Gen

Nel 1979 i primi singoli dei Pretenders, ero nella fase finale dell’adolescenza, il rock classico pompava fortissimo dentro me ma ero anche figlio del mio tempo: il punk (Damned e Ramones in primis), la new wave (Devo), il nuovo rock (Police, Joe Jackson, Blondie, Dire Straits, Graham Parker & The Rumours ). Dal Regno Unito, soprattutto, arrivavano nomi nuovi quasi ogni settimana, era musica che allora mi appariva in bianco e nero, accecato com’ero dal technicolor delle grandi band degli anni settanta che però ormai iniziavano a segnare il passo, ma alcuni di quei nuovi gruppi e artisti facevano breccia dentro di me, quelli il cui songwriting si rivelava vincente. Il primo disco dei Pretenders (dicembre 1979) fu un successone, primo in UK, nei primi 10 in USA, tantissime copie vendute e almeno quattro pezzi in rotazione continua nelle radio FM: Stop Your Sobbing, Kid, Brass In Pocket, Precious. 

Il secondo album non ebbe l’impatto del primo ma fu comunque un successo: top 10 sia in UK che in USA è fu l’ultimo registrato con la formazione originale, il chitarrista James Honeyman-Scott e il bassista Pete Farndon infatti morirono purtroppo due anni dopo. E’ uscita da poco l’edizione di lusso in occasione del quarantennale, motivo per parlare del disco qui sul blog.The Adultress si rifà alla formula del Rock che andava in quegli anni, tempo serrato, pochi fronzoli sulla chitarra, basso lineare, sfacciataggine (tra l’altro il titolo significa La Adultera). James Honeyman-Scott è stato un chitarrista che mi piaceva e seguire il suo lavoro mi dà ancora soddisfazione. Anche Bad Boys Get Spanked prosegue sulla scia del Rock di quel tempo. Message of Love fu il secondo singolo, finì per sfiorare la Top 10 del regno Unito; bel rock, non banale e con un buono sviluppo. Il fascino di Chrissie Hynde fa il resto.

I Go To Sleep fu uno degli ultimi singoli, quello che arrivò più in alto nella classifica inglese. Il pezzo è di Ray Davies (come d’altronde Stop Your Sobbing presente sul primo album) e i Pretenders ne danno una versione convincente.

In Birds of Paradise le chitarre definiscono lo stile tipico del gruppo nei brani meno duri. Talk Of The Town fu il primo singolo, un bel rock melodico e sfumato scritto da Chrissie che arrivò nella Top ten in UK.

Pack It Up è più vicina a certe cose del Punk inglese degli anni settanta, scritta da Chrissie Hynde e James Honeyman-Scott funziona alla grande; Waste Not Want Not invece sa di new wave con una spruzzata di reggae e anche questo è un pezzo meritevole. Day After Day è di nuovo scritta dalla coppia Chrissie Hynde James Honeyman-Scott, bel giretto di chitarra, buon ritmo e l’incanto aggiunto dalla Hynde. Jealous Dogs è anch’esso un episodio degno di stare sull’album, sul finire un assolo di chitarra per così dire tradizionale, magari non complicato ma che ci sta a pennello. The English Roses è l’ennesima canzone azzeccata, anche questa contiene un assolino di chitarra canonico niente male. Louie Louie chiude l’album con una carica notevole. Rhythm and blues, ska, fiati, rock … tutto si mescola. Honeyman-Scott alla solista convince.

Un bel disco dunque, fresco, energico, efficace, con belle chitarre e belle canzoni.

I due cd di materiale bonus sono piuttosto ricchi, tra versioni demo, missaggi alternativi, e pezzi live.

What You Gonna Do About It se non ricordo male uscì come flexi-disc nel 1981, l’arrangiamento è simile a Everybody Needs Somebody To Love. In The Sticks è uno strumentale che apparve sul lato B del singolo Louie Louie.

Dal vivo nel 1980 il gruppo aveva un approccio punk, nel 1981 sembrava esserci qualcosa di più articolato, tuttavia essendo una band che non concedeva tanto alla musicalità come la si intendeva negli anni settanta, il materiale live va accolto nella sua semplicità così come è. Detto questo sottolineo una volta ancora che seguire il lavoro di Honeyman-Scott alla chitarra per me è sempre piacevole.

Buona deluxe edition, l’album originale in sé è di valore.

Tracklist
CD1
1. The Adultress (2018 Remaster) (3:58)
2. Bad Boys Get Spanked (2018 Remaster) (4:07)
3. Message of Love (2018 Remaster) (3:25)
4. I Go to Sleep (2018 Remaster) (2:57)
5. Birds of Paradise (2018 Remaster) (4:15)
6. Talk of the Town (2018 Remaster) (2:44)
7. Pack It Up (2018 Remaster) (3:51)
8. Waste Not Want Not (2018 Remaster) (3:45)
9. Day After Day (2018 Remaster) (3:47)
10. Jealous Dogs (2018 Remaster) (5:37)
11. The English Roses (2018 Remaster) (4:30)
12. Louie Louie (2018 Remaster) (3:29)

CD2
1. Talk of the Town (Demo) (2:49)
2. What You Gonna Do About It (2:42)
3. I Go to Sleep (Guitar Version) [Outtake] (3:00)
4. Pack It Up (Radio Mix) [Outtake] (3:52)
5. Day After Day (Single Mix) (4:00)
6. In the Sticks (2:39)
7. Louie Louie (Monitor Mix) (3:33)
8. Precious (Live in Central Park, August 1980) (3:28)
9. Space Invader (Live in Central Park, August 1980) (2:42)
10. Cuban Slide (Live in Central Park, August 1980) (4:37)
11. Porcelain (Live in Central Park, August 1980) (4:17)
12. Tattooed Love Boys (Live in Central Park, August 1980) (3:47)
13. Up The Neck (Live in Central Park, August 1980) (5:43)

CD3
1. The Wait (Live in Santa Monica, Sept. 1981) (3:19)
2. The Adultress (Live in Santa Monica, Sept. 1981) (4:06)
3. Message of Love (Live in Santa Monica, Sept. 1981) (3:30)
4. Louie Louie (Live in Santa Monica, Sept. 1981) (3:48)
5. Talk of the Town (Live in Santa Monica, Sept. 1981) (3:19)
6. Birds of Paradise (Live in Santa Monica, Sept. 1981) (4:15)
7. The English Roses (Live in Santa Monica, Sept. 1981) (4:50)
8. Stop Your Sobbing (Live in Santa Monica, Sept. 1981) (3:40)
9. Private Life (Live in Santa Monica, Sept. 1981) (7:06)
10. Kid (Live in Santa Monica, Sept. 1981) (3:41)
11. Day After Day (Live in Santa Monica, Sept. 1981) (4:49)
12. Up the Neck (Live in Santa Monica, Sept. 1981) (6:02)
13. Bad Boys Get Spanked (Live in Santa Monica, Sept. 1981) (3:15)
14. Tattooed Love Boys (Live in Santa Monica, Sept. 1981) (3:41)
15. Precious (Live in Santa Monica, Sept. 1981) (5:03)
16. Brass in Pocket (Live in Santa Monica, Sept. 1981) (3:19)
17. Mystery Achievment (Live in Santa Monica, Sept. 1981) (5:31)
18. Higher and Higher (Live in Santa Monica, Sept. 1981) (4:22)

  • Chrissie Hynde — lead vocals, rhythm guitar
  • James Honeyman-Scott — lead guitar, keyboards, backing vocals
  • Pete Farndon — bass guitar, backing vocals
  • Martin Chambers — drums, backing vocals
  • Chris Mercer — tenor saxophone
  • Henry Lowther, Jim Wilson — trumpets
  • Jeff Bryant — French horn
  • Chris Thomas — sound effects

 

  • Bill Price — recording
  • Gavin Cochrane — front cover photography

Ozzy Osbourne – Diary of a Madman (40th Anniversary Expanded Edition) (1981/2021 Epic Records) – TTTT+

17 Nov

Ricordo che partii per il militare con due cassette: una C120 con TSRTS dei LZ e una C90 con Diary Of A Madman di Ozzy su un lato e Marauder dei Blackfoot sull’altro. Naturalmente TSRTS lo conoscevo già a memoria mentre gli altri due erano usciti da poco, entrambi mi aiutarono a passare quei primi tre mesi a Torino col risultato che ad essi ancora oggi guardo con affetto. Il nuovo corso di Ozzy, all’epoca appena partito, pareva davvero una bomba: i primi due album erano un successo (Blizzard Of Ozz e Diary Of A Madman finiranno per vendere in USA rispettivamente 5 e 3 milioni di copie), il nuovo chitarrista una promessa e Ozzy sembrava di nuovo in controllo. La Epic fa ora uscire una nuova versione digitale di DOAM e io ne approfitto per risentire l’album e capire se ha retto il passare del tempo.

Ozzy Osbourne - Diary of a Madman (40th Anniversary Expanded Edition) (1981/2021) WEB FLAC (tracks) - 383 Mb | MP3 CBR 320 kbps - 123 Mb | 00:53:24 Hard Rock, Heavy Metal | Label: Epic Records

Over the Mountain spara fuori suoni compressi e arrangiamenti sopra le righe, ma essendoci Ozzy il brano risulta credibile. Un Hard Rock metallico per quei tempi moderno. La chitarra di Randy Rhoads efficientissima.

Flying High Again continua su quel tenore, magari è più melodica ma è comunque durissima. Altro gran pezzo hard & heavy. Oggi il basso di Daisley e la batteria di Kerslake mi paiono meno efficaci.

La parte lenta di You Can’t Kill Rock and Roll continua a piacermi un sacco, proprio bella. Questo è forse il brano del disco che più mi piace.

Believer è un po’ Hendrix e un po’ Black Sabbath, riff e andamento dai riflessi infernali, alcune parti del brano si susseguono in maniera poco fluida, e anche l’assolo di Randy forse non è del solito livello. Little Dolls è durissima, mi piace il lavoro di Ozzy, alcune delle melodie che riesce a tirare fuori sono vincenti. Al minuto 2 c’è un intermezzo (leggermente beatlesiano) che rende il brano più interessante. Tonight è melodica, ma alla maniera di Ozzy, qui le tastiere di Johnny Cook si sentono, immancabile l’assolo sofferto. Bello il giro di basso e ottimo Randy Rhoads sul finale. Template per ballate di altre band negli anni a venire.

S.A.T.O è più prevedibile, sia nella scrittura che nell’arrangiamento. In certi tratti mi ricorda il Michael Schenker Group. Diary Of A Madman è articolata e suddivisa in varie parti, gran lavoro sia di Ozzy che di Rhoads. Bel modo di chiudere l’album. Tra l’altro era davvero una gran cosa quando i dischi avevano nove pezzi o giù di lì.

La versione 2021 contiene due bonus track live prese dal tour del disco precedente. Sembrano giusto un riempitivo.

Ozzy, Sarzo, Rhoads, Aldrige. Foto Ross Halfin

Album dunque di spessore per quanto riguarda il mondo hard & heavy, con voce e chitarra sensazionali. So che Daisley e Kerslake sono due grossi nomi nell’ambito del rock duro inglese (va beh, Daisley è Australiano ma tant’è) ma anche stavolta a me pare che la sezione ritmica abbia poco swing, ma magari è la produzione che non riesce a tirar fuori maggior scorrevolezza.

Ad ogni modo un gran disco, uno dei due di Ozzy che occorre avere.

Tracklist:
1. Over the Mountain (04:31)
2. Flying High Again (04:44)
3. You Can’t Kill Rock and Roll (06:59)
4. Believer (05:16)
5. Little Dolls (05:39)
6. Tonight (05:50)
7. S.A.T.O. (04:07)
8. Diary of a Madman (06:16)
9. Believer (Live from Blizzard Of Ozz Tour) (05:36)
10. Flying High Again (Live from Blizzard Of Ozz Tour) (04:23)

  • Ozzy Osbourne – lead & backing vocals, production
  • Randy Rhoads – guitars, production
  • Bob Daisley – bass (uncredited)[20]
  • Lee Kerslake – drums, percussion (uncredited)[20]
Additional Personnel
  • Don Airey – keyboards (credited on original release but does not appear)
  • Johnny Cook – keyboards (uncredited)
  • Louis Clark – string arrangements on “Diary of a Madman”
  • Rudy Sarzo – credited on original release but does not appear
  • Tommy Aldridge – credited on original release but does not appear
Production
  • Max Norman – producer, engineer[22]
  • George Marino – mastering

Rory Gallagher – Rory Gallagher (50th Anniversary Super Deluxe Edition) (1971/2021 Universal Music) – TTTT+

15 Nov

Occorre andarci piano con Rory, benché abbia avuto un discreto successo (ma praticamente solo in UK) può essere quasi considerato un artista culto, ha un seguito di appassionati davvero rimarchevole, non solo di chitarristi che vedono in lui un idolo, ma anche di donne – magari appassionate di musica – che riversano su di lui il riflesso dell’uomo ideale, artista, di bell’aspetto e con animo gentile e sensibile.

Ho avuto la fortuna di assistere al suo concerto di Pistoia nel luglio del 1984, mi spiace solo non fossi completamente concentrato, avevo appena visto una band raffazzonata di musicisti inglesi fare poco più di una jam session in onore di di Alexis Korner, il fatto è che tra quei nomi giganteggiava quello di Jimmy Page, dunque ero quantomeno distratto quando Rory salì sul palco ma sentirlo far fischiare i Marshall (come disse a proposito di quella sera il Dark Lord) fu un gran bel momento.

Dopo i primi anni con i Taste, Rory iniziò nel 1971 la carriera solista che lo portò a pubblicare 14 album, alcuni riusciti altri meno, spesi tra blues, (quasi hard) rock e musica più o meno tradizionale delle sue parti. Gallagher fu un chitarrista talentuoso e molto dotato, dal tocco davvero magico, gli unici punti grigi – a mio parere – furono il poco interesse nel cercare sentieri che non si infilassero nei campi del chitarrismo blues e un songwriting non sempre convincente.

La Universal pubblica ora l’edizione limitata del primo album (con un nuovo mix) di Rory in veste da solista in occasione del 50esimo anniversario dell’uscita.

Laundromat è un gran bel rock, viscerale, semplice ma non semplicistico; il nuovo mix sin da subito sembra dare maggior chiarezza. Versione live in studio. Che bello quando i dischi si registravano così.

Just The Smile è sempre stata una delle mie preferite, chitarra acustica, accordatura aperta, melodie nordiche. Pezzo incantevole.

I Fall Apart è un altro momento altissimo, l’alternarsi delle tonalità minore e maggiore, il cantato, l’assolo di chitarra, ah!

 

Wave Myself Goodbye è un blues acustico godibile, in cui si aggiunge il piano di Vincent Crane (Atonic Rooster), con Hands Up si ritorna a ritmi sostenuti, il pezzo si distingue – nella prima parte – per un curioso lavoro alla solista, in Sinner Boy il rock blues riprende il comando, c’è una bella slide guitar che corre tra un canale e l’altro in un gioco – tipico di quegli anni – di panning.

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E’ un piacere sentire la chitarra elettrica dipingere riflessi meditativi in For The Last Time, qui il mix sembra di nuovo dare più respiro alla musica. L’assolo di chitarra è intenso e lungo, uno dei segni distintivi di Gallagher. It’s You è una gradevole canzoncina ed è seguita da I’m Not Surprised, bel quadretto incorniciato da chitarra acustica e pianoforte.

Can’t Believe It’s True chiude l’album con uno di quegli andamenti alla Ten Years After o alla Doors, qui fa capolino anche il sax suonato dallo stesso Rory. Il lavoro alla chitarra solista è una meraviglia con sfumature che vanno al di là delle solite sonorità.

Il materiale bonus dei CD 2 e 3 è composto in massima parte da versioni alternative dei pezzi a parte un jam session e un paio di cover. Gypsy Woman di Muddy Waters è proposta in una gran versione, non mi convince il giro di di basso alla Fats Domino, ma l’approccio di Rory è uno spettacolo.

In It Takes Time di Otish Rush Rory cerca di riproporre in trio quello che la versione originale offriva con l’aiuto di piano e fiati. E’ di nuovo l’approccio di Rory a colpire, ha la stessa convinzione che aveva Johnny Winter, un altro dei miei chitarristi preferiti, quella cazzimma inimitabile che caratterizzava il loro rock blues scatenato.

Advisory Jam (dal nome dello studio di registrazione) è meno jam di quel che si pensi, un riff che ricorda gli Who suonato con grinta, certo, nulla di memorabile però nemmeno la solita jam blues.

Il CD 4 riprende le sedute fatte per la BBC nel 1971, in massima parte sono relative ai brani contenuti nel primo album tranne It Takes Time, maschia e dritto al punto, e In Your Time, brano che apparirà nel secondo album Deuce (1971). Il sound è vivido e viscerale, il trio di Rory Gallagher in quegli anni era micidiale, sezione ritmica certo non incredibile ma concreta e diligente e trascinata da un chitarrista formidabile.

Per ritornare all’album, devo dire che inizio a sorprendermi dei nuovi missaggi, sono stato contro queste iniziative, quindi diffidente e adesso possibilista. La purezza del suono live di una chitarra, un basso e una batteria sembra ancora più intensa con questo nuovo mix. Se c’è un album da studio di Gallagher da avere è proprio questo, qualche lieve imprecisione nella voce e nella chitarra a volte la si percepisce ma è tutta umanità, tutta musica vera, fatta come andava fatta. Bel cofanetto dunque, buono per chi vuole avere una visione più completa del Rory di quel periodo.

Tracklist:
Disc 1 (47:46)
1. Laundromat (50th Anniversary Edition Mix) (04:39)
2. Just The Smile (50th Anniversary Edition Mix) (03:40)
3. I Fall Apart (50th Anniversary Edition Mix) (05:12)
4. Wave Myself Goodbye (50th Anniversary Edition Mix) (03:31)
5. Hands Up (50th Anniversary Edition Mix) (05:25)
6. Sinner Boy (50th Anniversary Edition Mix) (05:07)
7. For The Last Time (50th Anniversary Edition Mix) (06:38)
8. It’s You (50th Anniversary Edition Mix) (02:40)
9. I’m Not Surprised (50th Anniversary Edition Mix) (03:37)
10. Can’t Believe It’s True (50th Anniversary Edition Mix) (07:17)

Disc 2 (57:29)
1. Gypsy Woman (Tangerine Studio Session) (04:02)
2. It Takes Time (Tangerine Studio Session) (03:33)
3. I Fall Apart (Tangerine Studio Session) (04:44)
4. Wave Myself Goodbye (Tangerine Studio Session) (03:13)
5. At The Bottom (Alternate Take 1) (03:20)
6. At The Bottom (Alternate Take 2) (03:08)
7. At The Bottom (Alternate Take 3) (03:23)
8. At The Bottom (Alternate Take 4) (02:49)
9. Advision Jam (03:46)
10. Laundromat (Alternate Take 1) (03:34)
11. Just The Smile (Alternate Take 1) (03:29)
12. Just The Smile (Alternate Take 2) (03:41)
13. I Fall Apart (Alternate Take 1) (04:55)
14. Wave Myself Goodbye (Alternate Take 1) (05:07)
15. Wave Myself Goodbye (Alternate Take 2) (04:45)

Disc 3 (01:08:31)
1. Hands Up (Alternate Take 1) (04:08)
2. Hands Up (Alternate Take 2) (05:53)
3. Hands Up (Alternate Take 3) (04:32)
4. Hands Up (Alternate Take 4) (04:12)
5. Hands Up (Alternate Take 5) (01:38)
6. Hands Up (Alternate Take 6) (05:39)
7. Sinner Boy (Alternate Take 1) (05:08)
8. Sinner Boy (Alternate Take 2) (05:22)
9. Sinner Boy (Alternate Take 3) (05:22)
10. For The Last Time (Alternate Take 1) (05:04)
11. For The Last Time (Alternate Take 2) (02:13)
12. For The Last Time (Alternate Take 3) (05:15)
13. It’s You (Alternate Take 1) (01:40)
14. It’s You (Alternate Take 2) (02:40)
15. I’m Not Suprised (Alternate Take 1) (04:17)
16. I’m Not Suprised (Alternate Take 2) (03:46)
17. Can’t Believe It’s True (Alternate Take 1) (01:42)

Disc 4 (55:08)
1. For The Last Time (Live On BBC “Sounds Of The Seventies” / 1971*) (04:09)
2. Laundromat (Live On BBC “Sounds Of The Seventies” / 1971*) (03:38)
3. It Takes Time (Live On BBC “Sounds Of The Seventies” / 1971*) (04:22)
4. I Fall Apart (Live On BBC “Sounds Of The Seventies” / 1971*) (03:44)
5. Hands Up (Live On BBC “John Peel Sunday Concert” / 1971) (05:40)
6. For The Last Time (Live On BBC “John Peel Sunday Concert” / 1971) (06:21)
7. In Your Town (Live On BBC “John Peel Sunday Concert” / 1971) (09:21)
8. Just The Smile (Live On BBC “John Peel Sunday Concert” / 1971) (04:36)
9. Laundromat (Live On BBC “John Peel Sunday Concert” / 1971) (06:10)
10. It Takes Time (Live On BBC “John Peel Sunday Concert” / 1971) (07:07)

* Off air recording
  • DVD
    1. Interview
    2. Hands Up
    3. Wave Myself Goodbye
    4. It Takes Time
    5. Sinner Boy
    6. For the Last Time
    7. The Same Thing
    8. I Fall Apart
  • Rory Gallagher – vocals, guitars, alto saxophone, mandolin, harmonica
  • Gerry McAvoy – bass guitar, vocals
  • Wilgar Campbell – drums, percussion
  • Vincent Crane – piano on tracks 4 & 9

Technical

  • Eddy Offord – engineer

Formati:

4CD + 1 DVD Deluxe Set / Super Deluxe Digital

3LP

2CD

1LP Neon Orange (transparent) Vinyl – John Peel Sunday Concert 28/08/1971

Deluxe Digital HD / Deluxe Digital Standard

Mr. Big – Lean Into It (30th Anniversary Deluxe Edition) (1991/2021 Evolution Music) – TTT½

10 Nov

Nel bel mezzo del grunge arrivarono i Mr Big, gruppo che iniziai a seguire perché in formazione vi era Billy Sheehan, per quanto mi riguardava era certo stato il bassista della stratosferica (secondo i canoni di allora) band di David Lee Roth, ma ancor prima era entrato nella formazione live degli Ufo. In quei primi anni ottanta gli UFO erano una band molto importante per il sottoscritto e con l’avvento di Sheehan e di Neil Carter (autore, tastierista, polistrumentista) il biennio 1983/84 fu per me straordinario.

Aggiungiamo che il nome della band arrivava da una brano dei “miei” Free, che l’immagine sulla cover del secondo album poteva in qualche modo inserirsi nella scia di LZ I e che la loro musica – almeno secondo me – non era solamente quel glam metal di cui tutti parlavano. Il gruppo diventò molto popolare in Giappone (che ricordiamo era ed è il secondo/terzo mercato mondiale più importante, in termini di vendite) dove i primi sei album avrebbero raggiunto perlomeno lo status di disco d’oro (alcuni addirittura di platino).

Il secondo album, Lean Into It, fu un gran successo anche nel resto del mondo occidentale, in USA poi divenne disco di platino (un milione di dischi venduti). Sono passati trent’anni ed immancabile arriva la 30th anniversary deluxe edition, l’occasione insomma per parlarne qui sul blog.

Mr. Big - Lean Into It (30th Anniversary Deluxe Edition) (1991/2021)

Daddy, Brother, Lover, Little Boy (The Electric Drill Song) inizia a 100 all’ora all’insegna dell’hard and heavy dell’epoca, sembra infatti non discostarsi molto da quello che si sentiva in giro: sfrontatezza, approccio metal americano, assolo di chitarra ipertecnico, eppure il giovane Tim sentiva che c’era qualcosa di diverso, sarà stato il cantato di Eric Martin, con quella venatura soul blues.

Sarà che sono un led head, ma l’inizio di Alive and Kickin’ mi ricorda Dancing Days dei LZ (ricordiamo che Paul Gilbert più o meno 10 anni fa fece qualche concerto tributo ai LZ insieme a Mike Portnoy. Paul vestito alla Page versione Chicago 1977 e Portnoy con il dress code di Bonham nel tour 1975 … la tuta da Arancia Meccanica insomma). Green-Tinted Sixties Mind è il pezzo che mi piaceva di più, arioso, con belle aperture melodiche e un ottimo lavoro alla chitarra di Gilbert. Il video ricalcava un po’ di stereotipi dell’epoca: finto filmato amatoriale, background visivo anni novanta, loro sul palco con i capelli al vento, vestiti sgargianti, belle ragazze (e Sandra Bullock alla voce).

CDFF—Lucky This Time è più scontata, risente di influenze defleppardiane. Pezzo per ragazzotti americani. Voodoo Kiss inizia con un gran lavoro pesudo blues sull’acustica, poi si trasforma in uno di quei pezzi saltellanti alla DLR, vagamente funk. la scrittura comunque non è un granché. 

Nemmeno Never Say Never è particolarmente originale, il riff sembra provenire dagli Aerosmith degli anni ottanta. Just Take My Heart è il pezzo riflessivo con la chitarra elettrica pulita ed effettata, dopo l’intro diventa ballata tipica di quegli anni, col ritornellone cantato in coro. Testo banalissimo. Il lavoro di Sheehan e Gilbert in alcune parti però è bello. My Kinda Woman vive grazie a ritmiche che già a quei tempi erano consunte, A Little Too Loose si vende al blues, l’inizio funziona, lo sviluppo risulta meno particolare, ma almeno si cambia un po’ registro. Martin ha una bella voce e l’assolo di chitarra è molto buono. 

Con Road to Ruin torna il rock di maniera e si chiude col super singolo To Be With You, pezzettino acustico molto efficace. Sebbene l’affronti con troppa carica, Sandra Bullock, pardon …Eric Martin, la canta con quella sua voce calda e bluesata dunque vincente. L’assolino di Gilbert è proprio carino.

Stop Messing Around e Wild Wild Women sono i due inediti presentati per la prima volta in questa edizione, ma non sono nulla di speciale, così come il resto del materiale bonus. C’è una versione reggae di To Be With You, ma fa scappare da ridere.

Album dunque che risente del passare del tempo, oggi appare un po’ deboluccio, saper suonare non basta. Ai tempi andare sopra le righe era d’obbligo e per questo certi gruppi e certi album pagano pegno dopo tanti anni. Il fatto è che non ci sono sufficienti brani al di sopra della media, per carità tutto è suonato con capacità tecniche indubbie, ma il songwriting sarebbe dovuto essere al centro del progetto. Sebbene siano solo tre i brani convincenti do a quest’album un 7, sarà che in fondo ci sono affezionato e non sono del tutto lucido.

Lean Into It (2CD set)

    • CD 1
      1. Daddy, Brother, Lover, Little Boy (The Electric Drill Song)
      2. Alive and Kickin’
      3. Green-Tinted Sixties Mind
      4. CDFF-Lucky This Time
      5. Voodoo Kiss
      6. Never Say Never
      7. Just Take My Heart
      8. My Kinda Woman
      9. A Little Too Loose
      10. Road to Ruin
      11. To Be With You
    • CD 2
      1. Stop Messing Around*
      2. Wild Wild Women*
      3. Just Take My Heart (acoustic)
      4. Shadows
      5. Strike Like Lighting
      6. Love Makes Your Strong
      7. Alive and Kickin’ (early version)
      8. Green-Tinted Sixties Mind (early version)
      9. To Be With You (reggae version)
      10. Daddy, Brother, Lover, Little Boy (The Electric Drill Song) (minus guitar version)
      11. Green-Tinted Sixties Mind (minus guitar version)
      12. Love Makes You Strong (minus bass version)
      13. Daddy, Brother, Lover, Little Boy(The Electric Drill Song) (minus bass version)
      *previously unreleased

Mr. Big

  • Eric Martin – lead vocals, handclaps
  • Paul Gilbert – electric guitar, acoustic guitar, handclaps, backing vocals, electric drill
  • Billy Sheehan – bass, six-string bass on “Just Take My Heart”,[9] handclaps, backing vocals, electric drill
  • Pat Torpey – drums, percussion, handclaps, backing vocals

Production

  • Kevin Elson – producer, engineer, mixing,
  • Tom Size – mixing
  • Chris Kupper, David Lucke, Scott Ralston, Michael Semanick, Andy Udoff – assistant engineers[10]
  • Bob Ludwig – mastering at Masterdisk, New York
  • William Holmes – photography
  • Bob Defrin – art direction

Formats:

  • Hybrid SACD with stereo and 5.1 surround mix
  • 2CD deluxe on the Japanese MQA-CD format (playable on all CD players)
  • 7″ singles box set