La vedo brillare lassù, Sirio è sempre uno spettacolo. In latino Sirius, in greco Séirios … “splendente”. La costellazione è quella del cane maggiore, da cui deriva il termine latino canicula (“piccolo cane”). Sirio si leva e tramonta con il sole da fine luglio a fine agosto, periodo associato alla canicola appunto. Per gli egizi la stella avvertiva (come un cane sempre sull’attenti) il periodo delle inondazioni del Nilo, per i Greci lo scintillio così potente poteva danneggiare i raccolti, alimentare la siccità e portare epidemie e rabbia. I Romani invece, per evitare gli effetti che pensavano nefasti della stella, sacrificavano un cane e una pecora. Il periodo in cui si tenevano queste cerimonie era detto “i giorni del cane”, dunque la parola canicula fu presto associata al caldo afoso.
Sirio in realtà è una meraviglia capace di regalarci suggestioni cosmiche. La osservo in queste ultime settimane di agosto dove qui in pianura il caldo ritorna prepotente, umido, totalizzante.

Ieri, sabato, è comparsa persino una nebbia mattutina imprevista. Procedere con la propria vita avvolti in questo caldo soffocante non è immediato, se ci si avventura all’aperto si seguono le linee d’ombra obbligate e non ci si augura null’altro che tornare a subire la condanna dell’aria condizionata.
Sono gli ultimi giorni di città semideserte, prendere il treno al mattino per recarsi al lavoro è piacevole, intere carrozze a tua disposizione senza il cicaleccio irritante di umani senza riguardi.
Mi scappa l’occhio su di una storia di un mio contatto stretto instagram, la foto ritrae la donna in questione di schiena, mentre contempla il mare accanto ad una amica, la musica a corredo del post è Going To California dei Led Zeppelin. Quei 30 secondi musicali mi riempiono l’anima, quasi come fosse il mio primo approccio ad una gemma del genere. Felice nel constatare che la mia super amica si dia per una volta tanto a musica così splendente e si prenda una pausa da quella da depressi che ascolta regolarmente, vengo nuovamente rapito dalla bellezza della musica che da sempre amo infinitamente.
Il parallelo con Sirio è immediato: i LZ come mia stella guida, splendenti, brillanti, financo accecanti. Musica totalizzante, espressiva, articolata, perfettamente bilanciata tra testa e pancia. Ritornato alla house of blues corro nello studio, sfilo Physical Graffiti (le Terme di Caracalla del gruppo di Page) dallo scaffale e lascio partire il lato 3, per quanto mi riguarda il lato (di long playing) più riuscito della storia del Rock.
L’esoterica dicotomia di In The Light (Jones/Page/Plant – January–February 1974, Headley Grange), con l’alternarsi di luci e ombre, il senso del mistero e dell’ignoto alternato al pensiero solare e positivo del ritornello…
Bron-Yr-Aur (Page – July 1970, Island Studios, London – Led Zeppelin III outtake) col suo immacolato arpeggio sulla chitarra acustica in accordatura aperta …
la spensierata e al contempo riflessiva Down by the Seaside (Page/Plant – February 1971, Island Studios, London – Led Zeppelin IV outtake), un quadretto dipinto con colori tenui ma ad alta intensità …
e infine la mirabolante Ten Years Gone (Page-Plant – January–February 1974, Headley Grange), mia canzone preferita in assoluto, un tessuto emotivo damascato, la forma Rock che si dilata grazie a capacità descrittive inusuali, songwriting siderale e la certezza che “sebbene il loro corso a volte possa cambiare i fiumi sempre raggiungono il mare” che nel mio vocabolario significa che se anche i sentieri intrapresi non siano esattamente quelli chi ti aspettavi, tu comunque porterai a compimento la tua vita.
Dopo tanta bellezza l’anima torna a riallinearsi, tutto sembra affrontabile e relativo e persino la spesa alla coop del sabato mattina appare sotto un’altra luce. Al Caffè Delle Antille, davanti alla torta di riso e al cappuccino, ripenso all’assolo di chitarra di Ten Years Gone del Dark Lord e con la donna che ho davanti affronto tematiche profonde, dove persino la “teoria del caos” appare tollerabile. Nel mezzo del mio solito comizio dove divento tutt’uno con i concetti che sto esponendo arriva un ex collega ormai in pensione della Yamaha Girl. Si abbracciano con grande affetto dopo di che si rivolge a me con un “E il Jimmy Page qui come sta?”. Nei meandri oscuri della memoria ripesco la sua presenza ad un nostro concerto alla Perla Verde di Savignano Sul Panaro (dal nome latino di persona Sabinius con l’aggiunta del suffisso di appartenenza -anus. La specifica si riferisce al fiume che scorre nei pressi.) e il suo grande apprezzamento alla nostra versione di Fool In The Rain.
Li guardo parlare fitto della loro azienda di appartenenza, di moto e dello stato attuale della loro vita. Repentino cambio di scenario: davanti al bancone gastronomia, mentre aspetto il mio turno contemplo l’interazione tra la commessa e un cliente che evidentemente conosce. Dentro alla sua polo a maniche lunghe e rossa della Coop la signora usa un tono confidenziale ma asciutto, usa un italiano quasi corretto ma l’accento spartano e un uso curioso delle preposizioni la collocano nei territori dell’est Europa. “Luciano” – uomo tra i sessanta e i settanta – invece sfodera il suo accento reggiano con un approccio bonario sebbene a tratti troppo enfatico. Sembrano amiconi, in realtà sono una commessa e un cliente che a furia di vedersi tutti i sabati hanno instaurato una sorta di rapporto, magari rafforzato da qualche casuale conoscenza comune. La signora pare al contempo contenta e delle proprie origini e della reggianità acquisita. Visto il bel mood in cui sono interpreto questa interazione come un filo di speranza per il futuro di una umanità in regredire.
Termino la spesa, torno alla Domus, sistemo il mio studiolo, penso al da farsi, a stasera e al fatto che che con Mario e la Patty andremo alla Festa dell’Unità di Reggio, ai prossimi giorni in cui dovrò tornare al lavoro e all’estate che con ogni probabilità avrà una brusca frenata.
Ma Sirio continua a brillare su di me, mi indica la via, corrobora l’umore e costato dopotutto che, come cantava Paul Rodgers, I’ve always been a believer in the good things of life.
E la mente torna alla side three di Physical Graffiti …
Then, as it was, then again it will be
And though the course may change sometimes
Rivers always reach the sea
Flying skies of fortune, each a separate way
On the wings of maybe, downing birds of prey
Kind of makes me feel sometimes, didn’t have to go
But as the eagle leaves the nest, got so far to go
Changes fill my time, baby, that’s alright with me
In the midst I think of you, and how it used to be
Did you ever really need somebody
And really need ‘em bad?
Did you ever really want somebody
The best love you ever had?
Do you ever remember me, baby?
Did it feel so good?
Cause it was just the first time
And you knew you would
Through the eyes and I sparkle, senses growing keen
Taste your love along the way, see your feathers preen
Kind of makes me feel sometimes, didn’t have to grow
We are eagles of one nest, the nest is in our soul
Vixen in my dreams, with great surprise to me
Never thought I’d see your face the way it used to be
Oh darling, oh darling
Oh, oh darling, oh yeah, oh darling
I’m never going to leave you
I’m never going to leave
Holding on, ten years gone
Ten years gone, holding on, ten years gone
I’m never, I’m never
Ooh, yeah

Concordo sulla facciata migliore di Physical Graffiti e sul fatto che Down by the seaside suoni spensierata e insieme riflessiva, l’ho sempre avvertito ma non avevo mai dato forma a questo pensiero
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Per me Lollo quella side three è la migliore in assoluto, ovvero il migliore lato di un LP mai registrato da un gruppo Rock.
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