Black and Blue è sempre stato, per me, uno di quei dischi che definisco “obliqui”: album che non risultano pienamente riusciti, oppure che riflettono periodi in cui le band non si trovavano nelle migliori condizioni, o ancora lavori nati in momenti di transizione.
Ho sempre subito il fascino di questi lavori: forse perché sono fatto così, o forse perché mi interessa ascoltare i risultati che emergono da momenti particolari. Inutile aggiungere, dunque, che Black and Blue è un disco che mi piace molto (e ovviamente la sua peculiare “colorazione cromatica” gioca a suo favore).
Siamo alla fine del 1974: Mick Taylor lascia la band, insoddisfatto del proprio ruolo. Il gruppo inizia a preparare un nuovo album con l’idea che le relative session possano anche funzionare come “audizioni” per scegliere il nuovo chitarrista.
Tra l’inizio di dicembre 1974 e aprile 1975, e poi tra ottobre 1975 e febbraio 1976, si svolgono le sedute di registrazione, con il contributo di vari ospiti tra cui Billy Preston e Nicky Hopkins.
Vengono utilizzati diversi studi: il Musicland di Monaco di Baviera, il Rolling Stones Mobile (per le session di Rotterdam) e il Mountain Recording di Montreux.
I chitarristi coinvolti — sia per il vero lavoro in studio sia per semplici jam session — sono Peter Frampton, Jeff Beck, Rory Gallagher, Robert A. Johnson (musicista di Memphis), Johnny “Shuggie” Otis (multistrumentista di Los Angeles), Wayne Perkins e Harvey Mandel. A questi si aggiunge naturalmente anche Ron Wood, che nel 1975 partecipa al tour come secondo chitarrista.
Verso la fine di quell’anno i Faces, gruppo di cui Wood fa parte, si sciolgono: diventa quindi quasi inevitabile per lui entrare a far parte dei Rolling Stones. Gli altri chitarristi britannici, in particolare Beck e Gallagher, vengono considerati forse troppo tecnicamente dotati e brillanti per integrarsi in una rock’n’roll band come i Rolling Stones.
Black and Blue esce il 23 aprile 1976: arriva 1° negli USA, 2° nel Regno Unito, 11° in Italia, 1° nei Paesi Bassi, 2° in Canada e così via. Questa nuova edizione “superiore di lusso” — oltre al tanto materiale bonus — mette in evidenza il nuovo mix dell’album originale, curato dal solito Steven Wilson.
La nuova moda di “ripulire a fondo” le registrazioni storiche è un argomento delicatissimo. Una cosa è la rimasterizzazione, cioè un intervento sul master stereo originale per migliorarne la resa; un’altra è il remix, che significa rivedere l’intero bilanciamento originario intervenendo su ogni singolo strumento. In passato sono stato piuttosto critico su queste operazioni (come dice il mio amico Picca, è un po’ come ritoccare la Gioconda con Photoshop), mentre oggi sono meno rigido.
Sia chiaro: trovo insopportabili i remix che stravolgono completamente gli originali — quelli pensati per rendere più “moderna” certa musica (quello che hanno fatto gli Whitesnake, per dire, è da galera!). Al contrario, ascolto volentieri i nuovi mix che rispettano il canovaccio originale e cercano unicamente di dare un respiro più ampio alla musica. Anche qui, volendo, ci sarebbe comunque da fare distinzioni.
Black and Blue è sempre stato considerato il disco degli Stones degli anni Settanta con il suono migliore: è facile quindi capire perché Wilson sia intervenuto con molta cautela. E infatti si percepisce una musica che “respira” con più facilità, senza però allontanarsi troppo dal ricordo sonoro che ciascuno di noi ha in mente.
Hot Stuff è costruita sul riff funk di Keith Richards e su un approccio marcatamente black fino a quando non si apre in un più convenzionale — ma riuscitissimo — formato canzone. Splendido il lavoro di Harvey Mandel alla chitarra solista.
Hand of Fate riporta il disco su canoni più tipicamente Stones: un andamento rock al tempo stesso delicato e deciso, con chitarre ritmiche splendide e, ancora una volta, una solista di grande qualità grazie a Wayne Perkins. Un momento davvero notevole.
Segue il rifacimento di Cherry Oh Baby, brano reggae del 1971 dell’artista giamaicano Eric Donaldson. La versione dei Rolling Stones è piuttosto fedele all’originale; le chitarre sono affidate a Richards e Wood.
Il piano introduce Memory Motel, una toccante canzone d’amore scritta con la schietta delicatezza della vita on the road. Mick Jagger la interpreta come solo lui sa fare, mentre Keith aggiunge ulteriore pathos con il suo intervento vocale. Se ci mettiamo anche un tocco del piano Fender Rhodes, il quadro è completo. Una meraviglia che solo gli Stones sanno creare.
Non c’è molta chitarra in questo brano, ma quel poco che c’è è suonato magnificamente da Harvey Mandel. La band è coesa — alla maniera dei Rolling Stones, s’intende — tutto sembra perfettamente al suo posto… non resta che lasciarsi commuovere dal ricordo di amori passati, sfumati in lontananza.
Hannah honey was a peachy kind of girl
Her eyes were hazel
And her nose was slightly curved
We spent a lonely night at the Memory Motel
It’s on the ocean, I guess you know it well
It took a starry night to steal my breath away
Down on the waterfront
Her hair all drenched in spray
Hannah baby was a honey of a girl
Her eyes were hazel
And her teeth were slightly curved
She took my guitar and she began to play
She sang a song to me
Stuck right in my brain
You’re just a memory of a love
That used to be
You’re just a memory of a love
That used to mean so much to me
She got a mind of her own
And she use it well, yeah
Well she’s one of a kind
Got a mind
She got a mind of her own, yeah
And she use it mighty fine
She drove a pick-up truck
Painted green and blue
The tires were wearing thin
She done a mile or two
When I asked her where she headed for
“Back up to Boston I’m singing in a bar”
I got to fly today on down to Baton Rouge
My nerves are shot already
The road ain’t all that smooth
Across in Texas is the rose of San Antone
I keep on a feeling that gnawing in my bones
You’re just a memory of a love
That used to mean so much to me
You’re just a memory girl
You’re just a sweet memory
And it used to mean so much to me
Sha la la la la
You’re just a memory of a love
That used to mean so much to me
She got a mind of her own
And she use it well, yeah
Mighty fine
‘Cause she’s one of a kind
She got a mind of her own
She’s one of a kind
And she use it well
On the seventh day my eyes were all a glaze
We’ve been ten thousand miles
Been in fifteen states
Every woman seemed to fade out of my mind
I hit the bottle I hit the sack and cried
What’s all this laughter on the 22nd floor
It’s just some friends of mine
And they’re busting down the door
Been a lonely night at the Memory Motel
You’re just a memory girl, just a memory
And it used to mean so much to me
You’re just a memory girl, you’re just a memory
And it used to mean so much to me
You’re just a memory girl, you’re just a sweet old memory
And it used to mean so much to me
You’re just a memory of a love that used to mean so much to me
She’s got a mind of her own and she use it well yeah
Well she’s one of a kind
Hey Negrita (Inspiration by Ron Wood) è un rock a tempo medio costruito sulle chitarre di Richards e Wood, tenuto caldo da venature nere, tra funk e accenni reggae. Niente male anche l’assolo di Ronnie, energico e ben inserito nell’andamento del brano.
Melody (Inspiration by Billy Preston) scivola sulle lente cadenze di uno swing venato di blues; qui Billy Preston è in primissimo piano — piano, organo, cori — perfetto sparring partner di Jagger. Melody deve parecchio a Do You Love Me, dal suo album del 1973, e l’influenza è evidente senza risultare pesantemente imitativa.
Fool to Cry, fortunatissimo singolo tratto dall’album, è un’altra di quelle canzoni di cui sono innamorato: il modo in cui la canta Mick Jagger, il testo, la ragazza che vive nella parte povera della città… I Rolling Stones restano immensamente rock anche quando si cimentano nelle ballate. Il nuovo mix sembra amplificare ulteriormente l’emozione del brano. Nicky Hopkins, al piano e al sintetizzatore (archi), è semplicemente spettacolare.
You know, I got a woman
(Daddy, you’re a fool)
And she live in the poor part of town
And I go see her sometimes
And we make love, so fine
I put my head on her shoulder
She said, “Tell me all your troubles.”
You know what she said? she said
“Daddy you’re a fool to cry
You’re a fool to cry
And it makes me wonder why.”
Crazy Mama si muove su territori che i Rolling Stones hanno percorso molte volte: un classico rock / rock’n’roll nel loro stile più riconoscibile. Ron Wood e Keith Richards sono alle chitarre, con Keith anche al basso. Una chiusura di disco che testimonia come i Rolling Stones, nonostante tutto, siano ancora pienamente sé stessi.
Album particolare, dunque, ma vivo, denso, palpitante; forse imperfetto, ma pur sempre una fotografia nitida di quei mesi.
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I Love Ladies è la prima outtake: un tempo medio non banale, una buona canzone, semplice nella scrittura, per quanto mi riguarda quasi tutto ciò che Mick e Keith hanno composto in quegli anni Settanta mi tocca nel profondo.
La cover di Shame Shame Shame, pezzo disco-rock del 1975 di Shirley & Company, non è affatto male: simile all’originale, ma suonata con l’anima dei Rolling Stones. Volendo essere pignoli, ci si può chiedere perché non siano state incluse Slave, Start Me Up (in versione reggae) e Carnival To Rio (registrata insieme a Eric Clapton), tutte registrate nel periodo in cui Black and Blue veniva confezionato.
Chuck Berry Style Jam (con Harvey Mandel) è un’improvvisazione rock’n’roll generica di oltre cinque minuti, mentre Blues Jam (con Jeff Beck) arriva quasi a dieci. Quest’ultima aiuta a immaginare come sarebbero stati i Rolling Stones con Jeff Beck al posto di Ron Wood: in questo lungo blues Jeff sembra amalgamarsi col gruppo, anche se a tratti la sua inventiva emerge in modo così evidente da sembrare forse fuori luogo nel contesto.
La Rotterdam Jam (con Jeff Beck e Robert A. Johnson) è più movimentata e, a tratti, sconfina nel jazz-rock, un territorio sulla carta ostile ai Rolling Stones, ma che sembra funzionare piuttosto bene. Lo stesso vale per Freeway Jam (con Jeff Beck), brano scritto dal grande Max Middleton e apparso nell’album Blow by Blow di Beck del 1975. I Rolling Stones lo trasformano in un quasi-shuffle bluesato, su cui Jeff Beck si inserisce alla sua maniera. Curioso: ascoltando questi episodi, si ha quasi l’impressione che Jeff Beck nei Rolling Stones non sarebbe stato un corpo estraneo.
Anche in questo caso ci si chiede che fine abbiano fatto le jam session registrate con Rory Gallagher.
Chiaro che, ascoltando la registrazione dal vivo del 1976 a Earls Court, non si può non notare come Ron Wood si fosse calato perfettamente nel ruolo di seconda chitarra del gruppo. I brani tratti da Black and Blue risultano convincenti: il gruppo li affronta con la giusta determinazione. Hand of Fate non fa prigionieri, Hey Negrita è grintosa, Fool to Cry, suonata con un effetto flanger incisivo, acquista ancora più forza e supera a pieni voti l’esame live. Forse solo le tastiere appaiono un po’ pacchiane, ma il resto funziona davvero: qualche piccola imperfezione qua e là non fa che aggiungere valore all’onestà musicale e al flusso vitale che un vero musicista rock deve avere. Il riff di chitarra ritmica di Hot Stuff appare leggermente meno fluido, ma il resto della band entra con decisione nel ritmo del pezzo.
In conclusione, la super deluxe edition è di grande valore. Black and Blue resta un album da riscoprire e approfondire, e i Rolling Stones continuano a meritarsi il titolo di migliore rock’n’roll band di tutti i tempi.
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Black and Blue The Rolling Stones / 4CD+blu-ray super deluxe
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- CD 1: Black and Blue – Steven Wilson 2025 Mix
- Hot Stuff
- Hand Of Fate
- Cherry Oh Baby
- Memory Motel
- Hey Negrita (Inspiration by Ron Wood)
- Melody (Inspiration by Billy Preston)
- Fool To Cry
- Crazy Mama
- CD 2: Outtakes and Jams
- I Love Ladies
- Shame, Shame, Shame
- Chuck Berry Style Jam (With Harvey Mandel)
- Blues Jam (With Jeff Beck)
- Rotterdam Jam (With Jeff Beck and Robert A. Johnson)
- Freeway Jam (With Jeff Beck)
- CD 3: Live at Earls Court 1976
- Honky Tonk Women
- If You Can’t Rock Me/Get Off My Cloud
- Hand Of Fate
- Hey Negrita (Inspiration by Ron Wood)
- Ain’t Too Proud To Beg
- Fool To Cry
- Hot Stuff
- Star Star (Starfucker)
- You Gotta Move
- You Can’t Always Get What You Want
- Band Intro
- Happy
- Tumbling Dice
- Nothing From Nothing
- Outa-Space
- CD 4: Live at Earls Court 1976
- Midnight Rambler
- It’s Only Rock ‘n’ Roll (But I Like It)
- Brown Sugar
- Jumpin’ Jack Flash
- Street Fighting Man
- Sympathy For The Devil
- Blu-ray
Black and Blue Steven Wilson Atmos Mix and Steven Wilson Stereo Mix
- Hot Stuff
- Hand Of Fate
- Cherry Oh Baby
- Memory Motel
- Hey Negrita (Inspiration by Ron Wood)
- Melody (Inspiration by Billy Preston)
- Fool To Cry
- Crazy Mama
Les Rolling Stones Aux Abattoirs, Paris-Juin 1976
- Band Intro
- Honky Tonk Women
- Hand of Fate
- Fool To Cry
- Hot Stuff
- Star Star
- You Gotta Move
- You Can’t Always Get What You Want
- Band Introductions
- Happy
- Outa Space
- Jumpin’ Jack Flash
- Street Fighting Man
Live at Earls Court (Atmos & stereo)
- Band Intro
- Honky Tonk Women
- If You Can’t Rock Me/Get Off My Cloud
- Hand Of Fate
- Hey Negrita
- Ain’t Too Proud To Beg
- Fool To Cry
- Hot Stuff
- Star Star (Starfucker)
- You Gotta Move
- You Can’t Always Get What You Want
- Happy
- Tumbling Dice
- Nothing From Nothing
- Outa-Space
- Midnight Rambler
- It’s Only Rock ‘n’ Roll (But I Like It)
- Brown Sugar
- Jumpin’ Jack Flash
- Street Fighting Man
- Sympathy For The Devil
- CD 1: Black and Blue – Steven Wilson 2025 Mix
Vi sono inoltre i seguenti formati:
5LP+Blu-ray super deluxe
2LP deluxe
2CD deluxe




Dopo i box celebrativi dei grandi album del precedente decennio ora è il turno delle cofane oblique. Si festeggia l’anniversario di qualsiasi album, anche quelli più sfortunati, magari con il remix di S. Wilson. Sono operazioni che a me proprio non interessano. Black and Blue è uno dei dischi che da ragazzo ho ascoltato maggiormente. Sarà stata la copertina , la sua storia o semplicemente la presenza di Memory Motel ma l’ho sempre trovato più interessante rispetto ai successivi. Some Girls compreso. A dire il vero i primi ascolti non mi aveva convinto per niente, venivo da Goat Head Soup e It’s Only..(che all’ora preferivo) con quelle chitarre finalmente appaganti in un disco degli Stones. Questo lo trovavo un passo indietro. Sicuramente tendente alle mode del momento. A mio parere spesso un riff o un’idea appena abbozzata fanno la canzone. Sicuramente anche questo fa parte del suo fascino. Peccato che Wayne Perkins non abbia avuto più spazio, il suo tocco melodico ricorda per certi versi M. Taylor. Bellissimo il suo assolo nel brano Concrete Jungle dei Wailers. Per quanto riguarda Jeff Beck , non ce lo vedo proprio in pianta stabile nel gruppo, album tour etc.
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