Prima di trasformarsi in una specie di stucchevole bambolotto da mondano jet-set e in pianobarista di lusso per servizi funebri di principesse-pop scomparse (pianobarista nel senso di bara), Elton John eruttava canzoni con la naturalezza con cui noi mortali liberiamo gas in eccesso dopo una fagiolata. Dal 70 al 77 se gli davi un piano, un po’ di liriche del suo pard Bernie Taupin e un paio d’ore, se ne sarebbe uscito con un greatest hits. Il suo secondo album Tumbleweed Connection è il mio disco di Elton preferito assieme a Madman Across the water, proprio perché in quel disco E.J. riuscì nella titanica impresa di non inserire nessun epocale successo a 45 giri, nessuna ingombrante canzone-mostro che si mangi tutto il resto (i tumbleweeds sono quelle sfere di sterpaglie che classicamente attraversano le strade del west, almeno nelle ricostruzioni hollywoodiane).
Tumbleweed, un affresco seppiato dell’Old America probabilmente influenzato dal Big Pink della Band, uno dei dischi più decisivi del cambio di marcia del rock di allora che stregò anche il Clapton stanco dei Cream e l’Harrison di All Things Must Pass, si concludeva con questa cavalcata sinfonicamente western dai repentini cambi di tempo in cui coesistevano la melodia british e magistralmente ruffiana dell’Elton di allora e la liberatorie frenesia white-gospel dell’idolo di Elton, Leon Russell. E’ un brano epocale ma non da Best Of: un brano da box set, insomma. L’altissimo artigianato di Elton permette anche due cambi di tonalità abbastanza arditi nei ritornelli, impreziositi da uno dei più piacevoli falsetti mai sfoderati da un cantante pop, da assaporare in parossistico fervore anche nella scarna versione dal vivo in trio (!), smagrita dall’orchestrazione pomposa di Buckmaster e decorata da facezie honky tonk e settime da funzione metodista, offerta nel primo live di Elton, ove le manine cicciotte e inadatte al pianismo del nostro brevilineo eroe dimostrano che nel rock il fisico conta sì, ma fino a un certo punto.
Elton pagherà la sua strepitosa bulimia compositiva (10 albums dal ’70 al ’76, di cui due doppi, pieni di numeri 1, tre live, singoli e altra abbondanza) ridimensionando verso il basso il suo talento per affrontare la cialtroneria anni ’80, e sarà penalizzato dalla messe di epigoni più o meno ispirati (destino comune dei veri precursori) che ne inflazioneranno il sound annacquandone l’impatto (Leo Sayer, Gilbert O’Sullivan, il primo Billy Joel).
Parole, ricerca fotografica e video di Stefano Piccagliani – (C) 2012



continuo, adesso più di prima, a pensare per quale nascosto (a noi) disegno tu abbia deciso di nascere qui (italia) e in questo periodo.
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Già, d’accordissimo Picca, in primis sulla grandezza dell’album, sono pochi i non americani che hanno saputo interpretare così magistralmente la musica degli States – al momento a me vengono in mente solo i Kinks di “Muswell Hillbillies” – e poi sull’influenza del “Grande Rosa”, vabbè, non è un segreto, la Band è la mia Band preferita di sempre. Aggiungo solo che di Elton John, più per motivi affettivi ma non solo, non posso non salvare anche “Goodbye Yellow Brick Road” (“Saturday Night allright for Fighting” è un rockettone come ce ne sono pochi in giro) e che il concerto del 1995 a Bologna è stato uno dei più divertenti a cui io abbia mai assistito. Ecco fatto, me la sono cercata!…
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Mi piace il modo di scrivere di Piccagliani. Bravo!!!!!!
Riguardo Elton, per uno che ha iniziato con i BLUESOLOGY e
LONG JOHN BALDRY,non so proprio che dire.
Amico di John Lennon ed Eric Clapton, ha scritto belle canzoni
ma non ha cambiato per nulla il corso del rock,
Nonostante l’enorme successo ed i dischi venduti,
con la canzone per Diana diventa poeta di corte
ed assurge a titoli nobiliari onorifici.,
Era piu adatto come presidente della sua squadra di calcio in B!!!!!.
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Reginald Kenneth Dwight è uno dei più degni rappresentanti della categoria “Grandi nei ’70, rovinati dagli ’80”, insieme a David Bowie, Joe Cocker, Rod Stewart, Genesis, Queen (ne parlavo nel post dedicato a loro)… L’elenco potrebbe continuare. Il segreto è dimenticare tutto il dimenticabile e andarsi a ripescare quel che di buono, e tanto, hanno fatto questi signori nei primi anni della loro lunghissima e fortunata carriera.
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Negli anni ’80 lo ‘spirito dei tempi’ pretese dagli artisti di buttare tutto in vacca. Non si salvò quasi nessuno dei grandi. Di riffa e di raffa Elton se l’è sgamata. Qualche anno fa ha pubblicato tre dischi molto piacevoli, Songs From The West Coast, Peachtree Road e The Captain & The Kid, poco commerciali e molto legati ai suoi primi lavori…e non ha venduto un cappero.
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Ho ascoltato la canzone che non conoscevo, poi mi é venuta in mente
burning down one side che é tutta un altro genere, mi sono visto il
video su you tube del buon plant .
Ho pensato a robert che gioca a calcio in qualche vecchia foto ed
ho pensato ad Elton in braghe corte destreggiarsi col pallone
quando si esibiva in beneficenza per il Watford.
Forse plant centravanti ed Elton mastino attaccato all’uomo…
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