Addio a Fidel Castro

28 Nov
Sabato mattina. Mi sveglio alle otto. Mi alzo. Penso che devo andare a fare la spesa alla Coop. Apro la finestra. C’è un bel sole, dopo tanti giorni uggiosi e noiosi. Lei, già sveglia da almeno un’ora, si precipita in camera e annuncia: “E’ morto Fidel”. Sono ancora avvolto in quella penombra intellettuale data dal risveglio, il primo pensiero corre al mio gatto Fidel, quel meraviglioso, peloso, bianco compagno di una vita fa. Elaboro il fatto che sono ormai alcuni anni che se ne è andato; ritorno sulla terra e capisco che è morto Fidel, il comandante in capo. Come spesso mi accade davanti alla morte, di primo acchito reagisco immediatamente in modo sobrio, austero, determinato. Poco più tardi, in un bar del centro commerciale, mentre faccio colazione, arriva la commozione.
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Mi colpisce un messaggio di Gianni Della Cioppa, giornalista musicale e amico “Ciao Tim, come va con Fidel?” .
“Cose inevitabili, ma finisce un pezzettino della mia vita” gli rispondo e lui di rimando “Ti ho pensato… so cosa significa(va) per te”.
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Già, quel che significa per me. Il mio essere indiscutibilmente di sinistra, impantanato negli ideali e invariabilmente malinconico circa lo stato della società moderna, lo devo a lui, a lui e a CHE GUEVARA. L’Emilia rossa è la mia base di partenza, ma la mia famiglia era di centro, quel centro che lievemente tirava a sinistra, il massimo consentito era il cammino tracciato da mio nonno materno, fervente sostenitore del Partito Social Democratico Italiano (alla fine degli anni quaranta Giuseppe Saragat andò più volte a casa loro, a San Martino In Rio, raccontava mia madre). Trovai quindi con più fatica – rispetto ai miei amici e coetanei –  la via verso il sol dell’avvenire, ma fu proprio questa fatica a fortificarmi, a far sì che malgrado le miserie di questi lustri i valori di sinistra di fondo che mi porto dentro siano per me imprescindibili, al di là dei compromessi e degli sviluppi con cui un uomo di blues come me – che vive nel bel mezzo del mondo occidentale – deve giocoforza confrontarsi.
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Ricordo l’estasi provata nel leggere i supplementi de Il Manifesto, i parecchi libri e  gli approfondimenti dei quotidiani dedicati a CUBA, al CHE e a FIDEL. Ricordo l’ebbrezza del mio primo viaggio nell’Isola e la malinconica felicità del secondo. Naturalmente non sono il solo ad essermi creato una CUBA ideale nella testa, il mito persiste tutt’ora, quella idea di nuova società, di uomo nuovo, di una via alternativa al capitalismo bieco e selvaggio che oggi più che mai si sta divorando il pianeta. Quei primi anni dopo la rivoluzione sono stati per tanti simbolo di una via nuova, diversa, possibile.
Fidel che nel 1953 assalta la caserma Moncada, Fidel che dopo l’amnistia ripara in Messico e che nel 1955 incontra Guevara, Fidel che il 25 novembre 1956 (curioso che sia morto esattamente sessant’anni dopo) parte con 80 guerriglieri alla volta di Cuba per dar vita alla rivoluzione contro la dittatura militare di Batista. L’arrivo con due giorni di ritardo in seguito a un mezzo naufragio, il primo combattimento con l’esercito di Batista (avvertito da qualcuno), i dodici superstiti (ma forse sono una ventina) che si rifugiano sulla Sierra Maestra e che in un paio di anni mettono in piedi un esercito di ribelli e conquistano l’isola. CASTRO che va negli USA e che cerca di instaurare rapporti con il gigante che gli sta alle porte, e che solo dopo i netti rifiuti dichiara il carattere comunista della rivoluzione.
La nazionalizzazione delle industrie straniere, la redistribuzione delle terre dopo aver espropriato le grandi fazende (per prima quella della famiglia di Castro) delle 400 ricche famiglie che dominavo l’isola, l’ abolizione delle scuole private, il programma per una sanità ed istruzione accessibile a tutti, la chiusura dei casinò e delle case di tolleranza.

Addio a Fidel Castro

Poi arriva l’Embargo, el bloqueo, il blocco commerciale imposto dagli USA, e CUBA che comincia a traballare. Deve scegliere di appoggiarsi all’URSS, con tutto quello che ne consegue.

Il giornalista Luca Bottura (uno mai tenero con Fidel) ha scritto sabato sul suo account di facebook “Comunque comunismo e Caraibi, in condizioni leali, avrebbero anche potuto funzionare”.

FIDEL naturalmente fa anche gravi errori, inebriato forse anche dal culto della personalità, ma ciò non toglie che ridà dignità e speranza al popolo cubano

Nel 1989, sulle ali della Glasnost e delle Perestrojka, arriva a Cuba Michail Sergeevič Gorbačëv (Gorbaciov insomma). Fidel lo accoglie all’aeroporto, festival dell’affetto e degli abbracci, ma più tardi, dopo il discorso di Gorbaciov a proposito della necessità di riformare il comunismo, Fidel a sorpresa prende la parola e sconfessa quello appena dichiarato dal “collega” russo. Fidel dice più o meno “Noi non abbiamo avuto Stalin, dunque è un discorso che non deve coinvolgerci”. Fu un errore, probabilmente, non aver accolto quella ondata di novità. Di lì a poco l’URSS si frantuma, gli aiuti non arrivano più e CUBA si trova alle prese con una crisi nerissima. Per più di un decennio la situazione diventa insostenibile, la prostituzione rinasce in modo plateale e la vita si fa durissima per tutti. Il paese tuttavia resiste e prova a risorgere. Ad oggi, con tutta la povertà che ancora persiste, rimane il fatto che in fatto di istruzione e sanità CUBA primeggia in tutto il centro america (e non solo).

Ezio Mauro ha detto che con on Fidel se ne va in maniera definita il novecento, credo sia proprio così.

Fidel & Che Guevara

Fidel & Che Guevara

Come sempre succede in questi casi, sui social network oggi si sono scoperti tutti esperti di castrismo e comunismo caraibico, una veloce occhiata su wikipedia o su google e giù a sentenziare. Sul Manifesto di oggi leggo che “solo chi capisce la miseria dell’America centrale capisce il mito di Cuba”…già.

Disgustosi i festeggiamenti a Miami, disgustoso ciò che scrive Libero (che tra l’altro ha lo stesso titolo in prima di altri tre quotidiani…che fantasia), disgustosi i commenti di Roberto Saviano.

Ridicoli anche i titoli dei quotidiani USA…una nazione che ha sempre calpestato i diritti civili (quelli dei più deboli), che in quanto a vessazioni non è seconda a nessuna, e che ha quasi sempre agito seguendo un unico credo, quello nel dio dollaro. Una nazione che nel centro e nel sud america è sempre stata al fianco dei regimi di destra, intervenendo in modo subdolo e concreto in affari la cui pertinenza avrebbe dovuto essere solo del popoli degli stati in questione. Vogliamo parlare ad esempio di Salvador Allende e del Cile nel 1973? Trovo nauseante il loro dar lezioni di democrazia. E pensare che a un criminale come Henry Kissinger hanno anche dato un Nobel.

Fidel Castro

Ma si sa, io sono di parte, ed è chiaro che mi senta toccato sul vivo. E’ che mi dà fastidio…c’è chi fa di peggio ma al coperto della parolina democrazia. Tra un paio di anni al massimo anche RAUL CASTRO mollerà, c’è già qualcuno che non sembra male in procinto di raccoglierne le pesantissime eredità, qualcuno che dovrà per forza traghettare CUBA verso la inevitabile occidentalizzazione. L’ho visto con i miei occhi lo scorso anno, ormai l’ epopea della rivoluzione non interessa più a tanti, troppi cubani, le ragazzine e i ragazzini non vogliono altro che il cellulare e sentirsi come i loro coetanei occidentali…se lo vuole il popolo, così sia…certo, rimane un po’ di malinconia e di nostalgia verso un secolo, il novecento, e un’idea che tramonta definitivamente.

Comandante en jefe Fidel, non scriverò come hanno fatto tutti, Hasta La Victoria Siempre, benché abbia tatuata questa frase sul mio animo mi sa che oggi è fuori luogo, ti dico solo addio e grazie per avermi fatto credere e sognare che una via diversa fosse possibile. Come ti disse quella volta CAMILO CIENFUEGOS durante il primo comizio all’Havana, quando lo guardasti in cerca di un sostegno, di un incoraggiamento… ” Vas Bien, Fidel.”

Santiago De Cuba 2015 (Photo Saura Terenziani)

Santiago De Cuba 2015 (foto Saura Terenziani)

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3 Risposte to “Addio a Fidel Castro”

  1. mikebravo 28/11/2016 a 14:14 #

    Letto tutto di un fiato….tostissimo e sentito.

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  2. Francesco 29/11/2016 a 18:50 #

    Gracias Tim, grazie per questa bellissima testimonianza. Io ricordo la mia prima volta a Cuba, marzo 1986, davanti a me vedevo solo il mare dei Caraibi e quello sciocco idealismo che ancora mi porto dietro. Prima di partire mi ero informato presso un centro di malattie infettive per sapere quali vaccinazioni avrei dovuto fare (così come avevo fatto due anni prima per il Sudan): ebbene, nessuna vaccinazione obbligatoria, nessuna consigliata. Eppure nell’opuscolo che mi era stato consegnato, ad esempio, per Haiti – che dista da Cuba solo poche bracciate – le vaccinazioni obbligatorie erano 3-4. Già, un’area, quella Caraibica, estremamente depressa, povera e culturalmente arretrata, dove la maggior parte delle persone faceva (fa) la fame a fronte di ricchezze inestimabili concentrate in poche mani, e tutto questo sotto regimi che definire sanguinari è dire poco (il nome Baby Doc fa venire in mente qualcosa?) Ma Cuba no, e me ne resi conto di persona viaggiando su quegli autobus dove non esistevano biglietti, la gente saliva e metteva la monetina in una specie di salvadanaio. I giovani soprattutto, curati, colti, parlare con loro era un piacere (parentesi: una turista canadese per quasi tutto il mio soggiorno a L’Avana ha creduto che io fossi cubano, forse il più bel complimento che abbia mai ricevuto nella mia vita). Magari poi un’altra volta parleremo delle ombre, che pure ci sono state nella storia della Cuba socialista, ma adesso no, adesso resta solo la commozione per una perdita che sì, chiude definitivamente il 1900 come ha detto Ezio Mauro, ma chiude anche tante speranze in tutto il mondo. Hasta siempre!

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