ANNO NUOVO, MORTE NUOVA di Giancarlo Trombetti (ovvero la fine del CD e gli scenari possibili)

14 Nov

Non è vero che Feisbuk non serve a niente. Ogni tanto c’è l’amico che ti segnala un articolo o una notizia che a te era sfuggita e che proprio ti fa piacere leggere. Marco mi segnala un articolo che compare, ripreso, sul Rockol.it diretto dal mio amico Zanetti : “Major pronte ad abbandonare il Cd nel 2012”. Leggo avido le prime righe: secondo un magazine di rete, Side Line, le rimanenti quattro (…o tre? mah?) Grandi Etichette, starebbero per accordarsi sull’interruzione della produzione del compact disc entro il 2012. Nessuna delle etichette coinvolte smentisce, cosa che farebbe pensare a una solida base di realtà nell’affermazione. “Il piano “segreto” dell’industria discografica prevedrebbe la sostituzione pressoché totale e in tempi brevi dei cd con la musica in streaming e in download distribuita attraverso piattaforme come Spotify e iTunes.” continua il pezzo…

stupisco: meraviglioso….vado avanti: “La produzione di supporti “fisici” resterebbe conseguentemente confinata alle costose edizioni limitate e di lusso destinate al pubblico dei fan e dei collezionisti e che in effetti proliferano già sul mercato o ai packaging speciali di dischi nuovi come il recentissimo “Lulu” di Lou Reed e Metallica”.

Geniale, creativo, spettacolare! Resto di sasso. Non avevo mai assistito a un suicidio in diretta e vederne uno per la prima volta con il sangue che ti schizza addosso fa sempre un certo effetto. Mi godo il momento, un po’ come i fan dello splatter vedono e rivedono al rallentatore la testa del protagonista che esplode nel corso del cineforum organizzato a casa dell’amico di turno. E concludo: ma certo, quando uno è una capra priva di qualsiasi riflesso che non sia quello condizionato, quando si è di fronte all’assoluta mancanza di conoscenza del mercato, quando si è giunti al posto che si occupa solo per una concatenazione di eventi, spararsi nelle palle perché stamani al capanno non passano tordi mi pare la soluzione più logica. Ed il fucile va pur sempre scaricato, no?

Un momento. Un paio di respiri profondi e riflettete con calma. Perché il massacro prossimo venturo cui state assistendo non è cosa che non vi tocchi; forse lo credete con un po’ di ingenuità, ma così non è. Tentiamo di riassumere brevemente: il passaggio dal vinile a 45 giri a quello a 33 molto più remunerativo e importante non avvenne per una precisa previsione del mercato. Fu un passaggio dettato dalla scoperta del mercato stesso che ciò che stava sottoterra era diventato di uso comune e che il mainstream, la cresta dell’onda, era diventata l’onda stessa. Con il 33 giri, per vent’anni esatti, la discografia riuscì ad incassare l’incassabile, spesso per caso, molto più spesso per fortuna cieca che viene comunemente definita come “culo mostruoso”. Le storie sul rifiuto dei più grandi artisti da parte di direttori artistici rincoglioniti sono note a tutti.

Così venne la fine degli ottanta, quando la guerra del “supporto magico” intrapresa tra l’olandese Philips e la giapponese Sonyallo scopo di moltiplicare percentuali attive diminuendo contemporaneamente costi e giacenze condusse all’invenzione del compact disc. Il tempo di strappare dalla bocca degli acquirenti/dipendenti il vinile fornendogli il solo cd come tramite e lasciar digerire loro un raddoppio dei costi a fronte di un dimezzamento, o quasi, delle spese e qualcuno scoprì la rete. Econ essa la necessità, oltre che il piacere, di condividere, scambiare e passare file da un capo all’altro del mondo civilizzato in un batter d’occhio. La valanga prese dimensioni incontenibili con la diffusione di quell’infernale aggeggio per imberbi creato dal genio di Jobs: l’ iPod. Da quel momento la musica, la sua fruizione, la diffusione e, conseguentemente, la vendita non furono più le stesse. E il sistema, inteso come mercato se ne andò bellamente a meretrici; lo abbiamo detto più volte e diamolo pure come fatto acquisito. Il fatto che al fiuto e all’orecchio, alla creatività e all’istinto si fosse sostituita una macchina da guerra in grado di gestire i mercati ma non di crearne di nuovi fece il resto.

In sostanza, da quel calcio negli organi riproduttori, il music business non si riprese più. Sì, qualcuno si mise a far causa alla casalinga di Seattle piuttosto che al ragazzino di Boston, chiedendo qualche centinaio di milioni di dollari di danni, giusto per far ridere il lettore del quotidiano di turno, ma nella pratica i discografici si misero serenamente a sedere sull’altro lato della strada a osservare la propria azienda che bruciava. Lasciando che negli ultimi vent’anni crescessero nuove generazioni totalmente prive dell’istinto e della volontà di acquisto; per i ragazzi di oggi la musica è una “cosa” che si trova sul web e che si ascolta dopo averla scaricata gratuitamente. Una strana evoluzione del concetto dei settanta “la musica è nostra e non paghiamo!”. Questo fino ad oggi. Perché oggi, nella tragicomica vicenda arriva il colpo di teatro, l’essenza del genio, l’intervento del deus ex machina che tutto risolve. Il mercato è a pezzi? Il cd è durato poco o nulla, certo meno del previsto? La possibilità di riprodurselo all’infinito con una lira a casa propria ha ucciso la diffusione del supporto ufficiale? Il web ha fagocitato qualità ed ha inibito le facoltà intellettive di chi sarebbe pagato per trovare soluzioni? Bene! E loro con una rete che distribuisce e accoglie come un’immensa ameba in perenne espansione qualsiasi espressione musicale che fanno? Decidono di tagliare fino in fondo la voce costi! Se non produrremo più cd non spenderemo più inutilmente un penny per stamparli, distribuirli e vederli invenduti. La soluzione? Ma esattamente quella che ha ucciso la musica stessa: il download a pagamento. Incredibile, stupefacente. In particolare nel primo corollario di quella legge che decreta la morte della musica commerciabile: però il cd esisterà sempre nelle edizioni speciali, costosissime e vendute a un pubblico ben individuato. E nel mondo, i restanti coraggiosissimi rivenditori ancora in attività, che si barcamenano tra edizioni da duecento euro e ristampe a 9,90, terminate le scorte, ripuliranno le vetrine, licenzieranno i dipendenti e attenderanno tranquillamente che le quattro (o tre?) majors forniscano loro qualche edizione speciale a qualche centinaio di euro o dollari per il loro pubblico speciale.

Praticamente delle gioiellerie. A meno che Amazon non si prenda la responsabilità di gestire tutto il mercato.

E mentre i ragazzini continueranno a scambiarsi file compressi buoni solo per le loro scatoline di fiammiferi, progressivamente la musica che ci circonda – nei centri commerciali, nei negozi, negli altoparlanti sparsi ovunque intorno alle nostre vite – diventerà dapprima sempre più banale per trasformarsi in sempre più rara e massificata; inutile.  Il blues suonato con le gocce di sudore che cadono sulle sei corde, il jazz che trascina e avvolge, il rock che ti fa saltare e aumentare il battito, il country che profuma di erba e fieno perderanno il loro stimolo vitale per sopravvivere solo nell’esibizione dal vivo, nel luogo dove tutto diverrà conosciuto e noto senza promozione, senza mercato, su passaparola, esattamente come il mainstream del 1969 rappresentò quella cresta dell’onda che spostò il baricentro dal 45 giri al 33 sulla base dell’ignoto che diventava noto, comune a tutti. Ed andrà a finire, così, che forse tra vent’anni rinascerà una nuova classe di discografici che capirà come si gestisce un’Arte e la si vende senza banalizzarla, senza ucciderla.

Non so se vivrò abbastanza da vedere questa ulteriore fase del ricorso storico, ma una cosa per certa: ho abbastanza viveri nella mia discoteca per andare tranquillamente a letto strafregandomene del file scaricato da internet su un HD che potrò collegare al mio pc così come al mio televisore digitale e mentre navigherò utilizzandolo come browser in attesa del programma preferito, mi ascolterò….nulla. Non me ne frega proprio nulla. Finché potrò andare in camera mia, accendere il mio vecchio impianto, scegliere se ascoltare le AR o le JBL e metter su un vecchio disco del 1971, registrato in una sala da concerto che non esiste più, presentato da un promoter che è morto e la cui foto di copertina venne scattata contro il muro di un piccolo ristorante tenuto da una anziana nera chiamata Mama Louise che a quei ragazzi faceva credito finché non fossero stati in grado di pagarle i pranzi con il loro lavoro

….mi sono barricato, cancellate tutto quel che volete, datemi solo il tempo di metter da parte un paio di puntine di riserva per il mio braccetto e posso campare a lungo.  Cazzi vostri.

Giancarlo Trombetti 2011 (c)

3 Risposte to “ANNO NUOVO, MORTE NUOVA di Giancarlo Trombetti (ovvero la fine del CD e gli scenari possibili)”

  1. francesco prete 14/11/2011 a 09:50 #

    Analisi lucidissima Giancarlo, che altro aggiungere? Che anch’io di viveri ne ho a sufficienza. E lo stesso discorso potrebbe applicarsi al Cinema: ti è mai capitato di provare a vedere un film scaricato dalla rete? Del resto c’è chi ad un buon bicchiere di barolo o di brunello preferisce il… tavernello (toh, fa pure rima). Beh, appunto, cazzi loro!

    "Mi piace"

  2. mikebravo 14/11/2011 a 15:01 #

    Scusa Tim se faccio casino sbagliando rubrica .
    Ci tenevo a dire che dovesse cessare la produzione di CD nel 2012,
    nascerebbe senz’altro il collezionismo del CD come successe per il vinile.
    Il vinile é poi tornato in produzione anche se moderata.
    Dal punto di vista tecnico, il vinile, se conservato correttamente
    e ascoltato con le dovute precauzion,
    non si usura nel tempo e la qualita’ del suono non si altera.
    Al contrario al CD , non so se a torto o ragione,
    é stata attribuita una durata .della qualita’ nel tempo piu’ breve.
    Il tutto sarebbe legato allo strato di vernice che lo ricopre.
    Ricordo un servizio su MOJO che consigliava per assurdo
    il frigo per la conservazione della qualita’ dei CD..!!!!!??????
    .

    "Mi piace"

  3. Paolo Barone 14/11/2011 a 15:48 #

    Articolo bello e interessantissimo, al solito Grande Giancarlo!
    Nel frattempo, dove abito io in questi mesi autunnali, area metropliitana di Detroit, hanno aperto un po’ di nuovi negozi di dischi.
    Vendono vinile al 90% di cui più’ della meta’ appena stampati, e il resto in stampe originali a costi ragionevoli. Nessun cd nuovo, una piccola sezione di cd usati a prezzi irrisori. Buon reparto libri, riviste specializzate e magliette varie. Non c’e’ la folla, ma non sono mai, dico mai, stato l’unico cliente in negozio, anzi. Alcuni sono aperti ormai da un paio d’anni. Un altra piccola considerazione, Margaret ha prodotto un disco nuovo due anni fa con un etichetta italiana. Hanno stampato quasi solo copie in vinile, e una piccola quantità di cd perché’ lo ha richiesto lei personalmente. Vinili venduti e ristampati più’ volte, i cd sono quasi tutti ancora li’. Certo, stiamo parlando di un mercato assolutamente underground, ma ho la sensazione che la produzione musicale di massa, mainstream, sia ormai veramente finita, come Giancarlo ci ha ben raccontato.
    Compreremo vinili, cd in edizioni speciali e cofanetti, in negozi molto specializzati e su internet. Come del resto sto/stiamo già’ facendo da anni. O no?!

    "Mi piace"

Lascia un commento

Questo sito utilizza Akismet per ridurre lo spam. Scopri come vengono elaborati i dati derivati dai commenti.