Certo, lo so, questo è il mio blog, ma come faccio a non pubblicare queste note tratte dagli interscambi sui massimi sistemi che siamo soliti avere via email io e Picca?
Da Modena Fats a Nonantola Slim
Oh Timmy,
noi abbiamo questa immagine delle rock stars edulcorata da decenni di pugnette e giornali inglesi tipo NME/MOJO/UNCUT/CLASSICROCK, ed è giusto così, è la nostra passione.
Quando mi è capitato di essere nelle vicinanze delle seconde linee del rock, gli oscuri faticatori da centrocampo per intenderci, ho avuto questa sensazione di routine, di lavoro duro, di riffs fabbricati come bulloni col tornio, di rullate surgelate.
Mi ricordo i Black Sabbath con Iommi, Tony Martin e il povero Cozy Powell aggirarsi nel backstage del palapanini coi jeans e le reebok, tinti, parruccati, con le pancione da birra, le chiappette in caduta libera, le fronti sempre più ampie con le attaccature in fuga.
Niente di male, per carità. E’ lavoro.
Uno se li immagina costantemente in estasi da ispirazione, magari (visto il genere e il pedigree) alle prese con messe nere, groupies minorenni e droghe spaventose.
Invece girava del tè, delle Cutty Sark e del pollo allo spiedo freddo.
Poi, alle nove, eccoli uscire dal camerino come 4 vichinghi satanici, come 4 barbari usciti da una Spada di Shannara o da un fumetto di Conan, e salire sul palco completo di croce rovesciata ivi trasportata nel pomeriggio dal sottoscritto e da Andrea Minelli, ottimo chitarrista jazz e facchino assieme a me in quell’occasione.
E’ working class del rock.
Interludio…..
Prendiamo adesso quello che era l’Inghilterra dopo la guerra fino a Love Me Do.
Un posto sfigato, grigio, piovoso, bombardato da Hitler fino all’ignoranza, con le donne meno attraenti del globo intero.
Poi, per qualche misterioso motivo contingente, da Liverpool, ripeto Liverpool, e cioè il posto più sfigato tra i posti sfigati, scatta la Beatlemania.
Lì non c’è mica il blues come non c’è mica Bill Monroe, non c’è mica Woody Guthrie o il gospel o un cazzo…
Il top sono Lonnie Donegan e Cliff Richards.
Dopo 5 minuti di Love Me Do, spuntano come prataioli un numero impressionante e forse irripetibile di cantanti, chitarristi, matti, pop stars, gruppi, managers, grafici, autori, mignotte, tossici, capelloni, batteristi, i quali, questo si in perfetto stile coloniale britannico, dopo 6 minuti da Love Me Do hanno conquistato il mondo.
Se contiamo gli abitanti del Regno Unito del 1963/64 e consideriamo quante rock più o meno stars sono spuntate da quel turbillon, immagino che la media sia formidabile.
Vabbè la lingua inglese, ma ragàz che roba…
Beh Timmy, vuoi dire che se fossimo stati lì anche noi, 18enni nel 65, non saremmo riusciti a dare il nostro piccolo morsetto alla torta?!?
Adesso però magari non saremmo aristocrazia rock come Jimmy o Rod o Elton o Sir Paul o Bowie.
Forse tu saresti chitarrista di una versione ‘survivor’ degli Humble Pie a cercare date nei pub delle Highlands con Marriott morto e Frampton che vi fa causa, e io sarei corista e chitarrista ritmico di Manfred Mann o dei riuniti Herman’s Hermits.
Tutte le sere a phonarci la pelata per ricostruire una gnagna ormai sparita e a strizzarci la pancia nei jeans elasticizzati.
Valà che è meglio essere i due miti nonantolo-modenesi che siamo, vacca boia!
Bacini,
Picca
Giunti ormai ai festeggiamenti del cinquantenario del tale album,
non essendo in vista reunions o pubblicazioni inedite, non potendo
credere che i greta van fleet siano i nuovi zeppelin ( con nikka costa
alla voce :-) ), occorre trovare motivazioni profonde per continuare
ad essere intrippati nella saga del dirigibile.
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