Mi sono commosso nel leggere le ultime pagine, Greg sapeva che era alla fine, la malattia era ormai allo stato terminale, nonostante ciò non ha indugiato in retorica e sentimentalismo.
E’ un libro (in inglese) che si legge benissimo, scorrevole, semplice, ben fatto. Come in tutte le autobiografie di grandi rockstar, il racconto è senza dettagli tecnici importanti per i fan in senso stretto, ma sentir parlare in prima persona uno come Greg Lake è piacevolissimo. Esamina secondo il suo modo di essere le fasi della sua carriera musicale, riflette insieme al lettore sugli sviluppi di certe scelte, analizza gli aspetti musicali.
Con estrema lucidità descrive il suo periodo nei King Crimson, seppur appena 22enne aveva consapevolezza che quel primo album era davvero qualcosa di unico e diverso.
Con la stessa lucidità attraversa il periodo più intenso della sua vita musicale, quei primi 5 anni (1970-74) degli Emerson Lake & Palmer così pieni e ricchi di musica (e successo).
Con un certo fatalismo rilegge gli anni da orizzonti perduti della band: l’aut aut di Keith Emerson (“album e tour con orchestra o non continuo”) che costò al gruppo la perdita dell’identità rock, della coesione del gruppo, di grosse quantità di denaro e della giusta rotta.
L’errore di aver spinto troppo sull’acceleratore del cambiamento nel momento di iniziare la sua carriera solista nei primissimi anni ottanta, e la foschia presente nelle seguenti reunion o nuove incarnazioni del gruppo.
La sincerità intrisa, come detto, di fatalismo e disillusione fa sì che la stima per l’uomo mai venga meno. Confida teneramente che quando accettò di sostituire John Wetton negli Asia per quel famoso concerto al Budokan di Tokyo del 1983, lo fece perché gli arrivò una offerta economica impossibile da rifiutare, ma che poi deciseedi non proseguire la collaborazione perché per lui l’aspetto musicale e il concetto di gruppo erano prioritari rispetto al successo commerciale.
Alcune pagine non sono esattamente interessanti, dedicate come sono a progetti extra ELP degli anni duemila, ma è solo un breve momento.
All’interno del libro un buon numero di belle foto, e alla fine la immancabile selected discography. Autobiografia quindi riuscita e lettura scorrevolissima. Alla fine rimane il rimpianto di non averlo visto dal vivo con più frequenza e di sentire – una volta di più – la mancanza di un gruppo che, come pochissimi altri, ho amato (e amo) intensamente. ELP per sempre!
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ciao Tim,
non ho ancora avuto l’occasione di leggere l’autobiografia di Lake, che sicuramente si preannuncia una lettura interessante, dato lo spessore del personaggio, splendida voce e musicista a tutto tondo.
scorrendo le tue impressioni, mi viene però qualche dubbio sulla sua completa sincerità.
il Greg Lake che a fine 1983 sceglierebbe di non proseguire la sua storia con gli Asia (“perchè l’aspetto artistico è prioritario rispetto al successo commerciale”) è lo stesso Lake che aveva appena pubblicato (‘Manoeuvres’ è proprio dell’83) due dischi piuttosto deboli e decisamente pop, a mio parere scritti pensando alle classifiche e al conto in banca, non certo all’Arte.
e mi costa ammetterlo,considerando la stima che ho per l’artista, e soprattutto perchè su quei dischi ci suona il mio chitarrista preferito.
insomma, non proprio una verginella disinteressata ai legittimi guadagni di un album pop ben fatto; naturalmente ho quei due album e mi piacciono anche, ma insomma sono easy listening, ballate, zuccherose canzoni AOR, e neppure di serie A.
infatti io la storia degli Asia la sapevo un po’ diversa, ovviamente basata su dichiarazioni rilasciate negli anni, comunque attendibili ragionandoci un po’ su.
Steve Howe non andava d’accordo con John Wetton e ne impose il licenziamento, che ottenne, grazie al suo indiscusso e meritato carisma.
finito il tour, si pose il fatidico problema… “e adesso chi li scrive quei bei singoli di successo che ci hanno procurato tanti bei soldoni”?
quindi tornò, a furor di popolo e di management, Wetton, che ottenne la testa di Howe. e naturalmente anche Lake si ritrovò fuori.
non il classico “I quit”, dunque, ma un più prosaico “you’re sacked”.
parlando in generale, queste biografie hanno sicuramente degli spunti storici interessanti, alcune (penso a quelle di Lemmy o Glenn Hughes) sono divertentissime e molto crude, ma credo vadano prese con le pinze, sia perchè non necessariamente un grande musicista è anche un valido maitre-a-penser, sia perchè l’onestà intellettuale dell’autore spesso viene sacrificata nel nome dell’orgoglio o quantomeno di una versione autoreferenziale, se non proprio paraculamente travisata, dei fatti.
e poi lo ammetto, anche per non prendermi troppo sul serio… io adoro gli Asia e John Wetton è uno dei miei artisti preferiti in assoluto, guai a chi me lo tocca! :-D
alla prossima,
Giovanni
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Greg Lake aveva fatto dei concerti “strani”, con le basi, in cui ha ripercorso tutte le tappe della sua carriera inframmezzati con delle chiacchiere col pubblico in cui aveva raccontato anche cose molto personali. Ad esempio, ha riconosciuto che veniva da una famiglia molto povera, e che quando ha ricevuto la sua prima chitarra non credeva ai suoi occhi. Decisamente poco rock star… Immagino quindi che il libro debba essere ancora più intimo. Grande Greg, musicista e uomo immenso.
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Ho visto ELP nel 1973 ed ho rivisto ELP nel 1997 ovvero a distanza di oltre 24
anni.
Mastodontica produzione nel primo concerto.
Piccola arena nel secondo concerto.
Stessa grande emozione.
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C’è liberta di parola ma molto banalmente, Greg Lake per me non si discute; si ama e basta, gli si deve eterna riconoscenza per l’eredità artistica che ha lasciato a noi comuni mortali. Anche se in vita sua avesse scritto solo “Take A Pebble”, un titanico capolavoro.
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libertà di parola…allora ci metto “The sage”, un pezzo Stellare
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Personalmente trovo i suoi primi due album da solista molto gradevoli (Manouvres mi piace proprio) , niente di esaltante ma non è stato l’unico gigante dei ’70 che ha dovuto correggere il tiro nel decennio seguente . Non trovo molta differenza tra un brano come Big Log e Slave To Love . Sono entrambi due bei pezzi ma accolti in maniera differente dal pubblico . Greg Lake avrebbe meritato maggiore attenzione .
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