E’ l’una di notte e Strichetto, la gattina che si è accasata da noi ormai alcuni mesi fa, mi sveglia. Do un’occhiata fuori dalla finestra, sul cemento del cortile vedo disegnata qualche folata di neve. Torno a letto, provo a riaddormentarmi. Cerco la posizione ideale ma ormai ho perso il sonno, i pensieri turbinano dentro alla maruga (la testa insomma), i blues – feroci come sempre – ballano come tanti diavoletti azzurri. Guardo la sveglia, sono le 2,30, scendo dal letto, mi infilo tuta e maglione e mi sposto in sala a leggere. Prima di versarmi liquido sul divano sotto una coltre di panni, mi accorgo che attraverso la vetrata della porta d’ingresso risplende nella notte un pesante velo bianco, apro la porta: nevica.
Mi sistemo e prendo in mano Notre Dame de Paris di Victore Hugo (nell’edizione Economica Universale Feltrinelli naturalmente). Ore 3,40, Strichetto continua ad avere la mattana, si sveglia anche la pollastrella con cui vivo. Prepariamo una ciotola d’acqua e un po’ di cibo e chiudiamo la Stricchi (insieme a Raissa, una delle nostre gatte, quella saggia) su nel sottotetto. Ore 4, torniamo a letto, la neve fiocca.
Al risveglio la neve ha ricoperto le campagne e le strade, per me ogni volta è uno spettacolo che lascia a bocca aperta. Mi metto in macchina. La Sigismonda (la mildly blues mobile) rolla piano sulle blue highway (le strade basse di campagna insomma),
l’impianto passa Fingerprint File dei Rolling. Quel funk caldo ed avvolgente mi mette a mio agio.
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Amo molto i Rolling Stones di Goats Head Soup (1973) e It’s Only Rock And Roll (1974), benché siano comunque album di successo (sono entrambi almeno dischi di platino in USA) li considero in qualche modo dischi obliqui e si sa, io ho una predisposizione naturale per quel tipo di album, quelli che non li senti citare spesso tra i dischi preferiti dei vari gruppi. E’ la formazione e il momento dei RS che preferisco, Mick Taylor alla solista e un Keith Richards superbo (perlomeno relativamente al suo modo di suonare e interpretare la chitarra), quando non si limitava a fare semplicemente Keith Richards. Arrivano poi Till The Next Goodbye, Time Waits For No One e If You Want To Be My Friend e scatta il mood (l’umore insomma), che sta tra il cosmico e il melanconico.
Avanzo a 30/40 all’ora su strade bianche. E’ neve fine e leggera quella che cade, il paesaggio si veste naturalmente di poesia. Faccio un passo indietro nell’elenco degli album dei RS che ho nella chiavetta, parte Goats Head Soup.
Attraverso lande desolate che si stemperano nel bianco,
quando parte Coming Down Again. E’ una canzone di Keith Richards che parla dei giorni in cui Anita Pallenberg lasciò Brian Jones per mettersi con lui, la canta lo stesso Keith (con l’aiuto di Mick). Come sempre accade però ognuno di noi la fa sua e la riempie di significati personali; stamattina potrebbe riferirsi alla neve che di nuovo vien giù, oppure al fatto che a volte ci si ritrova diretti verso l’abisso.
E’ sufficiente l’intro al piano di Nicky Hopkins per posizionare il mio animo sul versante blues. Ogni volta che ascolto questo pezzo non posso fare a meno di seguire il giro di basso suonato (benissimo) da Mick Taylor, quando poi parte il sax di di Bobby Keys al minuto 3:55 guardo il cielo e mi riscopro un piccolo essere umano sperduto su di un piccolo pianeta del sistema solare.
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L’album prosegue con Silver Train, Hide Your Love e Winter, quest’ultima è parte integrante del mio DNA ed è un pezzo in cui non dovrebbe essere presente Richards, nonostante ciò l’introduzione a due chitarre (Jagger-Taylor) è ugualmente stupenda.
E’ una di quelle canzoni che mi descrive perfettamente. Quando Mick Taylor inizia l’assolo con quella nota lunga, le mie cellule si scompongono e iniziano a fluttuare in quel pezzo di cosmo che ho sopra di me. Torno in me, uomo di blues tutto d’un pezzo che arranca, si piega ma non si spezza sotto i colpi perenni del blues. Quando gli archi riempiono gli ultimi spazi bianchi del quadretto dipinto magistralmente da Mick Jagger, passo sotto platani imbiancati e mi sento un tutt’uno con la musica.
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Arrivato in ufficio la magia finisce. Sono solo, le colleghe temono la neve. Sbrigo le cose più urgenti e poi, visto che la nevicata si fa costante, nel primo pomeriggio torno verso casa. Sono le 15,30 devo ancora pranzare, sono a casa solo, la Domus Saurea è gelata
Accendo la stufa e faccio partire il riscaldamento a manetta. Palmiro prova ad uscire ma dopo pochissimo è di nuovo in casa, un po’ annoiato dal fatto che non può godersi a dovere le ore d’aria.
Mi preparo qualcosa da mangiare… una pasta in bianco, un bicchiere di lambrusco e un arancio, guardo la misera messa in tavola, con Palmiro e Strichetto a fare da sentinelle e mi chiedo se esiste qualcuno più blues di me.
Metto su i Free tanto per stemperare le paturnie.
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Mi affaccio a Facebook, giusto il tempo per leggere le immancabili lamentele della gente circa la neve. Ora, è chiaro che la neve non piaccia a tutti, ma mi sorprende ogni volta l’isterismo che avviluppa le persone, quello che nasce da tutto ciò che può intralciare le attività umane. Questa mancanza di prospettiva, questa visione antropocentrica temo ci porterà all’estinzione. Quello che mi pare curioso è che uno non può nemmeno spendere belle parole riguardo la neve, uno non può sperare che venga a nevicare perché altrimenti viene assalito con commenti il più delle volte gratuiti e volgarotti, come se fenomeni naturali come la neve dipendessero dal desiderio di alcune persone. Un genio arriva a scrivere “ma quelli a cui piace la neve sono tutti dei mantenuti?”. Il poveretto non riesce a capire che anche noi snow-lovers dobbiamo fare la rotta (e che rotta! Per i non emiliani: fare la rotta vuol dire liberare cortili e strade dalla neve), che anche noi dobbiamo fare decine di km per andare al lavoro, e in ultimo che accettare gli eventi e i fenomeni naturali sarebbe corredo minimo delle menti mediamente intelligenti.
Inutile cercare di spiegare quello che la gente come me prova:
https://www.3bmeteo.com/giornale-meteo/scopri-gli-8-motivi-perch–la-neve-ci-rende-felici-68547
Già, inutile discutere, molta gente è così, vive perennemente sul proprio pianerottolo, un po’ come quelli che criticano e dileggiano chi – come me – posta foto di gatti. Non li sfiora il pensiero che loro fanno esattamente lo stesso quando pubblicano le solite, innumerevoli foto di figli, nipoti, cani, chitarre, dischi o qualsivoglia oggetto/mammifero per loro importante. Questa mancanza di visione, di ristrettezza di vedute mi colpisce sempre, l’equazione sembra essere “quello che non interessa a me è una stupidata”.
Giusto per rimanere in tema, scendo a fare la rotta.
Il mattino successivo. Nevica, seppur debolmente. Provo a partire per l’ufficio ma desisto, la stradina stretta e tortuosa che mi collega al resto del mondo sembra una pista da bob, meglio non rischiare. Faccio uscire Palmiro per una sgambata, ma dopo 10 minuti è già davanti alla porta che chiede di entrare. Il diavoletto nero della Tasmania si stende ad asciugare dinnanzi alla stufa.
Verso metà mattina riesco ad arrivare al Consorzio di Borgo Massenzio per comprare una pala più grande e un sacco di sale. Mi piace sempre tanto andare al Consorzio, sembra di entrare in uno di quei negozi di decenni fa, l’atmosfera è autenticamente blues, un dipinto vivente della vecchia Emilia.
Mi metto a pulire il cortile, impiego più di due ore, ogni tanto faccio una pausa e mi dedico ad osservare il paesaggio dai miei soliti scorci preferiti…
torno in casa spolto come chi sa (dall’emiliano: molto fradicio). Ho il corpo indolenzito, una doccia calda e poi riposo, che significa guardare vecchie puntante di The Walking Dead stagioni 1-4 attraverso l’orizzonte della maruga di Palmiro.
Il tardo pomeriggio lo passo nello studiolo a contatto con la mia musica.
Palmiro è un po’ imbronciato, quando non può star fuori qualche oretta gli viene il blues.
La sera mi affaccio dalla porta, è una notte silente, il candore della neve rende la veduta piene di suggestioni…
Sabato. Mi sveglio alle 4:50. Orario da uomini di blues. So già che non riuscirò a riprendere sonno. Mi alzo, accendo stufa e termosifoni e mi metto al computer a scrivere questo articolo. La groupie si sveglia verso le 6,30, anche questo sabato deve andare al lavoro. Le preparo una cioccolata in tazza. Faccio colazione e lascio uscire i gatti. Dopo mezz’ora sono già lì che chiedono di entrare. Li asciugo, dopo di che li vedo dirigersi verso il divano. Comoda la vita da gatti qui alla Domus.
Inizio ad ascoltare i cofanetti di Edgar Winter appena usciti
ma poi arriva la stanchezza e mi metto sul divano anche io. Palmir sente il bisogno del suo umano e mi si butta addosso.
Verso mezzogiorno torna a nevicare. E’ una nevicata intensa, copiosa, il mio animo si risolleva in un minuto. Mi metto in macchina, ho appuntamento con la pollastrella alla Coop per la spesa settimanale. Un paio d’ore dopo il ritmo cala, ma mentre torno alla Domus rimetto i Rolling, con Moonlight Mile il quadretto è di nuovo perfetto.
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Malgrado la stanchezza per il poco sonno e per l’indolenzimento dovuto dalla rotta fatta ieri, mi sento tonico, dinamico, in controllo di me stesso, sorrido del potere che la neve ha su di me, ma poi all’improvviso le nubi, il blues tenebroso che si alza, la tempesta che sento arrivare: domani ci sarà il derby, la mesta condizione in cui si trova la mia squadra non lascia presagire nulla di buono, così mi ritrovo di nuovo sotto i colpi del (black and) blues. Maledetto football, maledette passioni.
Goats Head Soup , It’s Only Rock And Roll e Sticky Fingers sono gli album dei Rolling Stones che preferisco e ascolto più volentieri . Hai ragione , i primi due sono spesso sottovalutati sia dai fans che da alcuni componenti del gruppo (Keith .. chissà perché?) , ma io li trovo , assieme a S.F , i lavori meglio prodotti e suonati della loro intera discografia . Non esiste un loro album prima e dopo che contiene brani sviluppati così bene , con delle parti di chitarra suonate finalmente come ci si aspetterebbe da dei professionisti .
Riguardo alla maleducazione o all’intolleranza presente sui social , mi trovo completamente d’accordo con te e sono il motivo principale per il quale ho sempre evitato di farmi un profilo facebook .
Comunque .. bel post , belle foto … e bei gatti !
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A Tim, ma ‘ndo azz abiti? Vedendo il filmato in Bluesmobile, sembra nel Nebraska di Springsteen ( …nel Nebraska non ci sono mai stato , neh…)
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