Earth live a Roma, Init, 29 gennaio 2015 di Paolo Barone

17 Feb

Quando si tratta di musica a me piace rischiare. Una delle cose piu’ belle che si possano fare e’ comprare un disco solo perche’ attratti dalla copertina, andare a un concerto cosi, al buio, buttarsi e vedere cosa ne esce fuori. Si rischia qualche euro, niente di piu’, e male che vada ritentiamo la prossima volta. Ma alle volte capita il colpo di fortuna che vale mille, la scoperta che ti cambia (perlomeno) la giornata. Per me e’ sempre stato cosi, e in un certo qual modo continua ad esserlo anche oggi ai tempi di youtube e spotify che tutto si ascolta al volo senza muovere il culo da casa. All’inizio ci sono caduto pure io in questa cosa, ho dato uno sguardo alle band su internet prima di andare a vederle live e il risultato e’ stato che spesso sono rimasto a casa. E ho fatto male. Per fortuna l’ho capito abbastanza presto che questo sistema di valutazione preventiva in rete non fa per me, e sono tornato, solo o in compagnia, a vedere i concerti senza “preview”.

Con questo spirito qualche giorno fa sono andato insieme ad una amica rocker a vedere gli Earth, all’Init di Roma.

Ci siamo spinti fuori di casa in una serata freddina e piena di pioggia sottile, abbiamo fatto mille giri di tutti i palazzi per cercare parcheggio, ma alla fine eravamo all’Init giusto in tempo. E qui due parole sul valore aggiunto di andare a vedere un concerto all’Init o al Circolo degli Artisti a Roma bisogna che le dico. Questi due club praticamente incollati, un po’ piu’ piccolo e underground il primo, piu’ famoso il secondo, si trovano sotto, ma dico proprio sotto, un grande acquedotto romano. Per cui, mentre sei li’ in fila per il biglietto oppure nello spazio all’aperto del club, alzi la testa e sei sormontato da duemila anni di storia architettonica. Ma ditemi voi se non a Roma dove?! Mah! Magie continue della mia citta’… Comunque, rapimento estetico-storico a parte, dopo un pochino di fila siamo entrati in un Init molto pieno. Prima sorpresa della serata, non me lo aspettavo, ormai mi sto abituando a Detroit dove per un concerto come questo se ci ritroviamo in quindici e’ una seratona. Sul palco suonano i Black Spiritual, jazz rock psichedelico un po’ prevedibile, e noi approfittiamo per guardarci in giro.

Il locale e’ veramente molto pieno, la scena Heavypsych romana e’ molto viva a quanto pare. Eta’ media sulla trentina con qualche picco molto piu’ in su e poco piu’ in giu’, moderatissimo consumo di alcolici, lunghe barbe quasi obbligatorie per i maschietti. Al banco di magliette e dischi splendono le copertine dei vinili degli Earth e i poster fatti da Malleus per la data del giorno prima a Milano. Prezzi ragionevoli, qualcuno compra anche prima del concerto, i membri della band girano in sala piuttosto divertiti. Finalmente i Black Spiritual si arrendono e noi ci sistemiamo in piedi su delle strategicissime panchine ai lati della sala, con una visione rialzata perfetta.

Earth

Pochi minuti e gli Earth sono sul palco. Basso, chitarra e batteria, niente microfoni per la voce. Il bassista chiede che non si usino falsh per fare le foto, e il concerto inizia. La musica parte, fa pochi passi, e si ferma in un eterno moto circolare. Tutto gira su se stesso, accordo dopo accordo sempre uguale, lento ed inesorabile. Passano i minuti, e nulla cambia, la musica degli Earth continua nella sua danza immobile e il pubblico resta incantato a seguirla. Io e la mia compagna di avventura musicale ci guardiamo un po’ perplessi, siamo figli di altri suoni e questa dimensione live ci coglie impreparati. Parte, dopo buoni 15 minuti, un secondo brano. Stessa cosa, una volta impostati gli accordi iniziali tutto diventa un mantra infinito. A questo punto inizio a guardarmi intorno, un po’ distratto dalla mia indole rock and roll…Niente, sono quasi tutti persi nella musica. Perlomeno la stragrande maggioranza del pubblico lo e’, con qualche fan che inizia ad andare in un suo mondo interiore accompagnato dal suono che esce dalle casse. E’ come essere in un concerto dei Black Sabbath senza Ozzy, e con tutti i musicisti imbottiti di tranquillanti.

Cerco di ragionarci, di capire un po’ meglio questa cosa….non mi sto “divertendo” ma sento che c’e’ qualcosa…sento molta comunicazione fra musicisti e pubblico…e’una proposta diversa e coraggiosa questa degli Earth, un modo molto personale e differente di essere nel mondo Hard & Heavy. Alla lunga pero’ non riesco ad entrare veramente nel concerto, ne resto fuori e anche piuttosto annoiato. La mia amica senza tante seghe mentali guarda speranzosa verso il bar e l’uscita…

L’Init ha anche questo di buono, puoi andare al bar rimanendo di fatto nella sala del concerto ma in maniera molto piu’ distante e distaccata. Ci passiamo qualche minuto in questa zona franca, e poi decidiamo di tornare a riveder le stelle e l’acquedotto maestoso nella notte di Roma.

Passano i giorni e il ricordo del concerto non mi lascia. Ci penso e ci ripenso, rivedo la batterista dare quei pochi colpi lenti e prcisi con un fare molto teatrale…Il chitarrista al centro del palco…alla fine mi decido per dare agli Earth un altra possibilita’, quella dell’ascolto casalingo sereno e rilassato. Ormai so cosa aspettarmi, e mi metto comodo cuffie in testa ad ascoltare un paio di loro dischi in streaming.

Bastano pochi minuti, e vengo beatamente intrappolato dalle spire dei loro suoni.

Lontani dalla dimensione live, in un ambito piu’ comodo e intimo, riesco anche io ad entrare nella loro musica ed e’ una bella scoperta. Sento ancora i Sabbath, ma non solo, anzi, sempre meno. In qualche strano modo mi fanno pensare alle colonne sonore di Morricone ma anche a Link Wray, ai suoi suoni di chitarra lenti e dilatati su ‘Rumble”…E in breve diventano una piacevole colonna sonora dei miei pensieri. Una bella scoperta alla fine gli Earth, diversissimi da tutto e tutti, credo che resteranno con me nei momenti giusti, accompagnandomi in qualche esplorazione interiore, con il lento incedere del loro infinito mantra elettrico.

 

 

3 Risposte a “Earth live a Roma, Init, 29 gennaio 2015 di Paolo Barone”

  1. bodhran 17/02/2015 a 11:38 #

    A me le recensioni che ho letto paiono un po’ sopravvalutarli, però sono interessanti, certo chi ha amato i Kyuss negli anni 90 e via via le loro diramazioni (queens of the stone age, le innumerevoli Desert Sessions, fino ai Them Crooked Vultures con il “nostro” John Paul Jones) non resterà deluso, ma certamente nemmeno particolarmente folgorato. Di certo registrare al Rancho de la Luna e ospitare Mark Lanegan in un brano è proprio sintomo di legarsi a quel mondo. Ma che erano tornati di moda i 90s era già un po’ e io ne sono anche felice, quelle sonorità hanno iraperto un bel periodo nella storia del rock. Poi però mi vengono in mente le parole di Zappa “Non è necessario immaginare la fine del mondo nel fuoco o nel ghiaccio, ci sono due altre possibilità: una sono le scartoffie e l’altra la nostalgia. Quando calcolate il lasso di tempo tra L’EVENTO e LA NOSTALGIA DELL’EVENTO, lo spazio sembra stabilizzarsi a circa UN ANNO MENO PER OGNI CICLO. Entro il prossimo quarto di secolo i cicli di nostalgia saranno praticamente così vicini che la gente non sarà più in grado di fare un passo senza provare già nostalgia per quello appena fatto. A quel punto tutto si ferma e arriva la Morte per Nostalgia.”
    E sono sempre in bilico tra il già sentito e il da sentire…. senza schierarmi mai.

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  2. DoC 17/02/2015 a 12:37 #

    Grande Polbi m’hai fatto venir voglia di ascoltarli, anche per il gusto di provarci, come dici tu, che sarà anche fine a se stesso ma che sono assolutamente d’accordo ha il suo bel perché ! Mi hai anche ricordato di cercar qualcosa di Link Wray !!! Ti vedo all’Eudi a Bologna, by ze way ? Io spero di fare lì tutto il we, magari reunion estemporanea con Mastro Tim ? Baci, DoC

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  3. Paolo Barone 17/02/2015 a 17:33 #

    DoC! Che darei per essere all’Eudi…per la prima volta in vita mia dovrò saltare. Non ci posso pensare ma purtroppo non posso lasciare Detroit in quei giorni…un incubo, ma e’ così…
    Link Wray! Non ne abbiamo mai parlato nel Blog (Hey Tim!) eppure e’ un chitarrista importantissimo per gli sviluppi della nostra musica. Se non ricordo male Page e’ un fan, e nel video It Might get Loud suona il vinile di Rumble. Per quel che vale un mio consiglio, non essendo un esperto in materia, posso dirti che ho una bellissima raccolta in cd, si chiama “Rumble! The best of Link Wray” della Rhino. E’ un cd che ascolto spessissimo, soldi spesi bene vedrai che ne vale la pena, e di facilissima reperibilita’.
    Bodhran, io sono un fan crescente dei Kyuss. Nel senso che più passa il tempo e più mi piacciono! Ora come ora li inserisco a pieno titolo fra le band fondamentali della storia dell’Hard Rock. Adoro tutta la scena Desert Stoner, ma i Kyuss erano veramente una cosa speciale. Vorrei segnalare a tutti un intervista con John Garcia apparsa su Rumore di questo mese. E’ difficile leggere una confessione umana di questo spessore e sincerità, altro che le solite cazzate delle rockstar.
    Pero’ io non sento il suono della nostalgia nella musica degli Earth.
    Non credo che nessuno negli anni 90 suonasse come loro, e i loro album dell’epoca sono molto diversi rispetto al corso attuale. Secondo me la loro e’ una musica originale che non cammina sulle gambe della nostalgia. Molto bella comunque la tua citazione Zappiana!

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