Rum for one (the Cuban song)

16 Apr

Sette anni che non faccio un viaggio e ora che Brian è sistemato nella struttura giusta e che mi sembra di aver finito di attraversare un periodo difficile e turbolento della vita, mi pare il momento adatto per farne uno. Fantastico di mete esotiche tipo Vietnam spinto dal tour che fece lì non troppo tempo fa il mio amico Massimo Bonelli o tipo Patagonia grazie alle suggestioni mai sopite ricevute dai libri di Sepulveda, ma poi mi faccio due conti in tasca, sondo il mio animo e decido di venire a più miti consigli. Una sera su SKY Tg 24 sento che gli Usa stanno riallacciando le relazioni diplomatiche con Cuba … guardo la groupie e le dico: “devo portarti a Cuba prima che ...”. Il riflesso è incondizionato, è la considerazione più banale da fare, ma voglio che abbia la possibilità di vedere l’ultimo afterglow di quello che fu un’idea di mondo diverso. Io ci son già stato dieci anni fa ma poco importa, amo quell’isola, la sua storia, e ci torno volentieri.

Pochi mesi dopo mi trovo a Malpensa in procinto per partire due settimane per la “chiave del golfo”,  Cuba appunto. Sono un pochino nervoso, soffro di vertigini (e ti pareva…) e i voli aerei mi danno da fare, in più ho dormito solo due ore ma ad ogni modo son qui.

Malpensa - Blue Panorama Starship (foto di TT)

Malpensa – Blue Panorama Starship (foto di TT)

Imbarco, allacciarsi le cinture, si parte. Stringo forte la mano alla groupie, lei si gasa per l’accelerazione del decollo, io perdo l’equilibrio, la testa acquista una rotazione tutta sua, cerco di pensare a MICK RALPHS, recito i titoli di WILDLIFE dei MOTT, quelli di STRAIGHT SHOOTER, non basta, aggiungo i nomi dei titoli dei due album dei FIRM, quelli di CUT LOOSE, di IN THROUGH THE OUTDOOR according to Tim Tirelli. L’aereo non smette di salire e di destabilizzarmi, sto per iniziare con gli album dei DETECTIVE ma poi mi dico “ecchecazzo an s’ pol menga”, svuoto la mente, guardo la mano della groupie: è viola, mollo la presa … siamo finalmente ad alta quota, il Boeing 767 adesso rolla placidamente, posso ricompormi. A metà traversata do un’occhiata al finestrino, ma solo un momento, è meglio che non mi soffermi troppo a guardare di sotto…

Atlantic crossing (foto di TT)

Atlantic crossing (foto di TT)

Il comandante è Roberto Reggianini, un modenese ex pilota di caccia dell’areonautica militare, mi sento tranquillo. Undici ore in economy sono lunghe da passare, mi chiedo quando e se mai potrò permettermi un viaggio in business class. Penso al mio amico Athos,  lui dice che in realtà sono un radical chic … forse ha ragione: faccio tanto il guevarista ma poi voglio volare in prima classe.

Alle 22,30 atterriamo al José Marti. A Cuba sono le 16,30. Dieci anni fa il viaggio dall’aeroporto all’albergo Havana Libre, in centro, fu una folgorazione, ero nel bel mezzo dei miei studi sulla rivoluzione, e toccare finalmente con mano la città che sentivo mia fu una rivelazione, piena com’era di cartelloni di propaganda alla revoluciòn e alle figure ad essa centrali. Questa volta niente di tutto ciò, il Chateau Miramar è all’estrema periferia, ci arriviamo attraversando anonime calle e piccole avenida. L’albergo è un quattro stelle, ma per i nostri standard  non è nemmeno un due. In camera nulla funziona, il cibo lofi, il servizio di basso ordine, tutto molto diverso dalla mia precedente esperienza. L’Habana Libre era ed è un splendido cinque stelle che mostrava (e immagino mostri tuttora) i segni decadenti della realtà cubana post rivoluzione, oltre che simbolo della rivoluzione stessa ( in origine era L’Hotel Hilton, requisito da Fidel Castro quando questi entrò trionfalmente all’Avana i primi giorni del 1959 trasformato in base operativa iniziale.)

Mi torna in mente di nuovo Athos. Che posso farci, sono un europeo, un occidentale, i miei standard sono questi. Ad ogni modo faccio il reset, mi posiziono in modalità Cuba, seguo lo stream della città e tutto diventa più morbido e meno impegnativo.

Jet lag blues: lunedì mattina, Havana – sveglio alle 3.

L’Avana mi sembra la stessa di dieci anni fa, senonché sono spariti tutti i visual “pubblicitari” propagandistici della Rivoluzione come ho già detto. È un colpo al basso ventre che per un po’ mi lascia senza fiato. Parlando con alcuni cubani capisco che loro apprezzano la mancanza di questi cartelloni, io invece mi sento orfano di icone che sentivo fondamentali. Ma lo skyline della città mi lascia comunque a bocca aperta, sento di appartenere ad essa, quasi quanto l’Emilia …

Habana skyline (Foto TT)

Habana skyline (Foto TT)

Tappa d’obbligo alla Plaza De La Revoluciòn, contemplo con ammirazione i due visual giganteschi del CHE e di CAMILO CIENFUEGOS, la groupie si emoziona un po’; sento turisti che confondono CAMILO e lo stesso CHE con FIDEL CASTRO, scuoto la testa e penso che l’umanità non ha futuro… posso capire CIENFUEGOS, ma GUEVARA!!!

Tim in Plaza De La Revoluciòn (foto Saura T.)

Tim in Plaza De La Revoluciòn (foto Saura T.)

Camilo Cienfuegos -  Plaza De La Revoluciòn (foto Saura T.)

Camilo Cienfuegos – Plaza De La Revoluciòn (foto Saura T.)

Giro per la città vecchia e per le sue quattro piazze principali con piacere, ma porto in giro la mia nostalgia per un’era che si sta inesorabilmente concludendo. Alcuni cubani sui trent’anni mi vedono passare e intonano l’ultima frase del ritornello di quello che per me è l’inno nazionale della mia anima …“comandante Che Guevara” canticchiano, mi volto e li saluto militarmente.

Mi chiedo cosa possano pensare dell’ennesimo europeo imbevuto della retorica guevarista, ma d’altra parte la mia mise lascia pochi dubbi sul mio essere …

Il Che Guevara dei poveri (Poor man Che Guevara) Playa Veja, Habana (photo Saura T.)

Il Che Guevara dei poveri (Poor man Che Guevara) Playa Veja, Habana (photo Saura T.)

 Mi sembra che i turisti siano aumentati in modo esponenziale, c’è ne sono davvero tantissimi, d’altra parte lo sono anche io, ma la sensazione è quella che Cuba sia diventata giusto una delle varie mete caraibiche, spogliata come sembra dal turismo più romantico, quello legato alla storia degli ultimi sessant’anni.

Mi fermo a bere un Rum. Il barista ci fa ” Rum for two?” e io,  visto che la groupie non beve alcolici, “No, rum for one” e mentre lo dico sento JIMMY PAGE che parte col riff …

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Prima di tornare al quartiere Miramar, dove ho l’albergo, sosta obbligata al teatro Karl Marx dove la groupie deve fotografare la venue dove dieci anni fa RICK WAKEMAN ha tenuto un concerto.

Teatro Karl Marx, Habana (photo Saura Terenziani)

Teatro Karl Marx, Habana (photo Saura Terenziani)

Dopo cena decidiamo di tornare in centro. Passiamo dal Taberna Café lì a ridosso della Plaza Veja,  dove nel pomeriggio avevamo tentato di prenotare un tavolo per la sera (30 cuc, quindi 30 euro a testa, e tre consumazioni comprese), ma tutti i posti erano esauriti. Era prevedibile, è probabilmente il locale migliore dell’Avana, quello dove puoi ascoltare il vero son di Cuba, dove ogni sera si materializza il Buona Vista Social Club. Venti minuti ad ascoltare, lì fuori, quel sound così profondo e poi un salto all’ Ambus Mundo (sito nel palazzo dove soggiornava Hemingway) e al Café Paris. Passeggiare di sera tra quelle vie è molto suggestivo, la notte rende sfumate le ferite e le difficoltà della città e il tutto assume un aspetto più dolce. Una giovane cubana mi si avvicina, mi chiede il nome e intavola un discorso fatto di luoghi comuni sull’Italia. Poi mi dice che è incinta e che non ha da mangiare. “Tieni un dollaro baby, ma non raccontarmi storielle”.

Plaza Veja by night, Habana   (photo Saura Terenziani

Plaza Veja by night, Habana (photo Saura Terenziani

Per tornare ci affidiamo ad uno di quei taxi “privati”, una Chevrolet Bel Air del 1955 rosso scuro. Il cubano alla guida sfreccia senza paura lungo il Malecon, e percorrerlo su una delle macchine per cui Cuba è famosa, in una notte stellata col mare che sbuffa poco lontano, è una sensazione notevole.

1955 Chevrolet Bel Air (Photo TT

1955 Chevrolet Bel Air (Photo TT)

Jet lag blues: martedì mattina, Havana – sveglio alle 4.

Diretto a sud destinazione Santa Clara. Mi fermo a pranzo sul bayou cubano vicino Playa Giron e poi proseguo verso il mausoleo di Che Guevara. Mentre la attraverso, Santa Clara, non sembra cambiata di una virgola. Povera, malmessa, spoglia eppure accogliente. La grande piazza della Rivoluzione appare quasi d’improvviso, la groupie ha un sobbalzo. Entriamo subito a visitare le lapidi del Che e dei suoi companeros. La groupie individua quella del Che e inizia a commuoversi sul serio, ha gli occhi umidi e rossi, la capisco, io feci lo stesso dieci anni fa, e anche oggi un fervore particolare mi scuote. Appoggio la mano sulla lapide, saluto il Comandante. Non si possono fare foto, così ne rubo una da internet …

Interno del mausoleo Guevara - Santa Clara (photo internet)

Interno del mausoleo Guevara – santa Clara (photo internet)

Rivedo con piacere anche il museo a lui dedicato, e il mio guevarismo risale come un fiotto purissimo dal mio animo.

Mi fermo per un momento di raccoglimento anche nel parco lì accanto, dove sono sepolti altri guerriglieri che hanno combattuto col Che …

Santa Clara, il riposo dei guerriglieri del Che (photo Sauta T)

Santa Clara, il riposo dei guerriglieri del Che (photo Sauta T)

Santa Clara, Plaza de la Revoluciòn (photo TT)

Santa Clara, Plaza de la Revoluciòn (photo TT)

Santa Clara, Plaza de la Revoluciòn (photo TT)

Santa Clara, Plaza de la Revoluciòn (photo TT)

Un salto poi a rivedere il treno pieno di soldati che il Che fece deragliare, mossa che gli permise di conquistare la città di Santa Clara. Lì nelle vicinanze un vecchio e una vecchia male in arnese chiedono l’elemosina. Do 5 dollari ad ognuno. Mi abbracciano, mi augurano tutto il bene, sembrano sinceri. Io ricambio l’abbraccio, il vecchio sembra interrogarsi circa la mia gentilezza, gli dico in spagnolo “y soi un hombre de esquierda“. Mi sorride e mi abbraccia di nuovo.  Poco dopo mi corre dietro, mi chiama, “Hombre, hombre” e mi allunga una banconota della valuta locale per i residenti, il valore economico è irrisorio, ma quello spirituale immenso: su entrambi i lati appare Che Guevara. Ci lasciamo guardandoci negli occhi, augurandoci buona fortuna. Te quiero Santa Clara.

Santa Clara, the train to nowhere (photo TT)

Santa Clara, the train to nowhere (photo TT)

Santa Clara gets it right (Photo TT)

Santa Clara gets it right (Photo TT)

Spiritual Graffiti - Santa Clara (Photo Saura T)

Spiritual Graffiti – Santa Clara (Photo Saura T)

A Santa Clara alloggiamo nel bel complesso Los Caneyes, struttura di un certo livello. Abbiamo una “capanna” tutta nostra, semplici architetture ad omaggiare gli indios che vivevano qui prima che arrivassero i conquistadores spagnoli.

La capanna dello zio Tim - Los Cayenes, Santa Clara (photo Saura Terenziani)

La capanna dello zio Tim – Los Cayenes, Santa Clara (photo Saura Terenziani)

Los Cayenes - Santa Clara (photo Saura TT)

Los Cayenes -Santa Clara (photo Saura TT)

Cenetta a due con la groupie. Osservo i turisti canadesi, l’ambiente del ristorante credo varrebbe un minimo di etichetta seppur informalissima, ci sono tra l’altro due flautiste e una contrabassista che emanano aria sonora gradevole, ma vedo piccole mandrie di nord americani arrivare con le braghe corte ed infradito oppure vestiti come lo zio Fedele. Usciamo, due passi in questa oasi isolata dalla città, contemplo la luna cubana che romantica splende sopra di noi. Ci fermiamo al bar a bordo piscina, al barista indico una bottiglia di rum, “Rum for two?” mi fa, vorrei spiegargli che non sono un nordamericano,  ma il riff di PAGE che sento nelle orecchie mi ferma ancora una volta.

Jet lag blues: mercoledì mattina, Santa Clara – sveglio alle 5.

Ripartiamo, di nuovo southbound. Trinidad, nella parte vecchia, è uno splendore di  città, ristrutturata per il cinquecentesimo anniversario dalla fondazione dello scorso anno, ti mostra le vesti del colonialismo spagnolo di cinque secoli fa. Giro per la città e mi dico “sei a Cuba Tim Tirelli … niente male”.

A man and his blues in Trinidad (Photo Saura T)

A man and his blues in Trinidad (Photo Saura T)

Trinidad blues (photo Saura Terenziani )

Trinidad blues (photo Saura Terenziani )

Trinidad (photo Saura T)

Trinidad (photo Saura T)

Tardo pomeriggio in albergo, tre stelle, sul mare. C’è il tempo di fare il primo bagno della stagione, prendo la groupie e mi butto. Il mare in questa zona non è quello del nord,  qui raggiunge si è no la sufficienza, ma ci si adatta. Mi sdraio sul lettino ad asciugarsi al sole con un cuba libre in mano … la vita potrebbe andar peggio.

La cena si svolge in un ristorante affollatissimo, di nuovo mandrie di umani che si alimentano. Slavi, russi, canadesi … una calamità. Uomini in sandali con e senza calzino e in maglietta o in canottiera, donne vestite come se fossero le modelle di una sfilata di moda del cattivo gusto. Cuba, sempre dignitosa da questo punto di vista, è sfregiata da questa fiera della cafonaggine. La formula è all inclusive e una banda di croati prende possesso del bar ordinando tre drink ciascuno. Mi intrufolo, ordino un mojito,  ringrazio il barman e me ne fuggo lontano. Sto diventando misantropo.

E’ il primo viaggio che faccio con la groupie, ed è anche il suo primo vero viaggio di una certa importanza, la osservo alle prese con situazioni a lei tutto sommato nuove, vedo che si adatta senza tanti problemi, sorrido, che razza di donna è la groupie …

Groupie in Cuba (foto TT)

Groupie in Cuba (foto TT)

Jet lag blues: giovedì mattina, Trinidad,  sveglio alle 6 (il blues del fuso orario allenta la presa)

Lascio dunque la bella Trinidad, dopo un viaggio di circa due ore arrivo a Sancti Spiritus e rimango a bocca aperta. E’ la prima città di questa parte di Cuba che vedo per la prima volta e l’impatto mi esalta. Sempre stile coloniale ovviamente ma piuttosto differente da quello di Trinidad, comunque uno spettacolo.

Sitting and Thinking in Sancti Spiritus (Photo Saura T)

Sitting and Thinking in Sancti Spiritus (Photo Saura T)

José Marti blues in Sancti Spiritus (Photo Saura T)

José Marti blues in Sancti Spiritus (Photo Saura T)

Downtown Sancti Spiritus (photo Saura T)

Downtown Sancti Spiritus (photo Saura T)

Ripartiamo. Ci fermiamo a mangiare al Fiume Blu, al Rio Azul insomma, in piena campagna zona Ciego de Avila. Bella atmosfera campagnola e buon cibo. Un orchestrina suona su un palchetto sito di fianco a un fiumiciattolo per allietare gli avventori. Inizialmente non ci faccio caso,  penso sia il solito complesso mediocre alle prese con la muzak latino americana e invece dopo un paio di pezzi vengo attratto dalla loro proposta, una sorta di jazz-son suonato benissimo e molto, molto elegante. La groupie drizza le orecchie, il bassista deve essere il leader e suona molto, molto bene. Dopo qualche pezzo vado da loro e lascio 5 cuc e, nel mio spagnolo improbabile, li ringrazio per la bella musica. La cantante mulatta e i musicisti mi sorridono e mi inondano di gracias. Si avventurano quindi a mo’ di dedica per me in qualche evergreen italiano,  suonato con una delicatezza ed eleganza invidiabili. La groupie va a complimentarsi con il bassista, gli stringe la mano, lui, un tipo riservato e sulle sue,  è colpito. La cantante viene a chiederci se siamo musicisti e, una volta capito, ci spiega come sia importante per loro, i GENS, questo nostro apprezzamento. Ci tiene a sottolineare che stanno facendo il possibile per diversificati dai mille complessini cubani che fanno la solita roba commerciale.Rinaldo, credo che il bassista si chiami così, va al microfono e dice che il prossimo pezzo lo dedica a noi. E’ una splendida cavalcata strumentale dove si alternano in momenti solisti lui all basso, il trombettista, il pianista e i percussionisti. Un trionfo. Devo scappare, vado a stringe la mano a tutti i musicisti, la cantante mi bacia, mi chiedono il nome, opto per quello ufficiale “Stefano, Estèban…” ,” Ciao Stefano, buena suerte, buon viaggio”, ormai ci sentiamo fratelli, prima di scappare via dico ” viva Cuba, viva Italia, viva la buena musica, viva la revoluciòn”.

Gens, Rio Azul, Ciego de Avila, (photo TT)

Gens, Rio Azul, Ciego de Avila, (photo TT)

Che bello quello spirito di fratellanza.

Attraverso un altro pezzo di pianura cubana e arrivo a Camagüey, città spesso snobbata dai turisti. La visiterò stasera dopo cena e domattina, intanto mi sistemo in hotel, mi faccio una doccia e mi piazzo nel cortile interno a scrivere queste note sul tablet mentre sorseggio un daiquiri. Mucho gusto, Camagüey.

Writes of springtime in Camaguey (photo Saura T)

Writes of springtime in Camaguey (photo Saura T)

La sera dopo cena cerco il locale La Casa Della Trova, pago un cuc e vi entro. Sono insieme ad altri amici italiani conosciuti a Cuba. La atmosfera è quella da centro sociale ricreativo, o da dopo lavoro ferroviario,  tavolini posti in un bel cortile interno, il palco posto in fondo con i bagni alla sinistra e alla destra. Arriva il complesso, 13 anziani musicisti cubani  che sembrano usciti anch’essi da Buena Vista Social Club; 40 minuti di musica eccellente piena di verve. Il chitarrista fa spavento.

Casa Della Trova - Camaguey (Photo Saura Terenziani)

La Casa della Trova, Camaguey, aprile 2015 (photo TT

La Casa della Trova, Camaguey, aprile 2015 (photo TT

Mentre mi godo lo spettacolo, ringrazio il padre dei quattro venti che mi ha spinto fin qui e osservo la groupie che si gode ogni piccola sfumatura della musica, mi bevo l’ennesimo drink ed elaboro il fatto che sto cadendo in un vortice alcolico. Faccio mente locale, oggi ho già bevuto due birre, una piña colada, un mojito, un daiquiri e un cuba libre, ed è la media che sto tenendo da inizio settimana. Sopporto molto di più l’alcol e a volte non mi riconosco più.  Non ero io quello che fino a due anni fa era succube della dispepsia funzionale, quello che se beveva una bibita fredda se ne stava un giorno intero sul divano con nausea fortissima e con un mal di testa inimmaginabile, incapace di qualsiasi azione? E ora guardatemi un po’, butto giù drink alcolici on the rocks come se niente fosse, misteri del blues!  Rientro in camera, mi preparo per la notte, prima di coricarmi do un’occhiata al frigo bar, valuto se aprire una bottiglietta di rum … uhm … desisto,  per oggi va bene così,  chi mi credo di essere, Ernest Hemingway?

Jet lag blues: venerdì mattina, Camagüey, sveglio alle 5.30.

Camagüey fu costruita a mo’ di dedalo per disorientare i pirati, leggo che è consigliabile noleggiare un bici taxi e toccare le quattro o cinque piazzette caratteristiche che non potrebbero essere raggiunte con altri mezzi. La guida aggiunge che così si aiuta chi fa il bici-tassinaro.  Dopo un minuto mi sono già pentito, sono in imbarazzo … io e la groupie nei due posti coperti posteriori e il poveretto ad arrancare sui pedali per le stradine strette. Mi sento come il colonizzatore bianco e ricco che sfrutta l’indigeno o il negro. Il giro ad ogni modo vale la pena, Camagüey è assai particolare e ti regala in alcuni momenti il vero sapore di Cuba. Aiuta poi il fatto che la parte orientale dell’isola sembra ancora legata alla retorica della rivoluzione: cartelloni, installazioni, murales sono lì a ricordarlo spesso. Ogni volta che ne incontriamo uno io e la groupie incrociamo lo sguardo e ci scambiamo un veloce segno di assenso.

Camaguey (photo Tim Tirelli)

Camaguey (photo Tim Tirelli)

Camaguey (photo Saura Terenziani)

Camaguey (photo Saura Terenziani)

Camaguey (photo Saura Terenziani)

Camaguey (photo Saura Terenziani)

Home chat in Camaguey (photo Saura T)

Home chat in Camaguey (photo Saura T)

Inizia poi il lungo viaggio verso Santiago de Cuba lungo la carrettera Central.

Santiago bound (Photo Saura Terenziani)

Santiago bound (Photo Saura Terenziani)

Una breve visita a Bayamo e arriviamo a Santiago verso sera, prima di arrivare all’albergo sosta alla Plaza de la Revolucion (le piazze principali a Cuba si chiamano tutte così).

Jet lag blues: sabato mattina, Santiago,  sveglio alle 6,45 … inizio a riprendere il ritmo.

Santiago non è male ma non mi prende. Sì certo, la bella piazzetta principale, la casa di Velasquez, il municipio dal cui balcone Fidel fece il primo discorso, la via con le belle case dei francesi scappati da Haiti, ma il feeling non scatta. Però di prima mattina siamo alla Caserma Moncada, quella dove Fidel il 26 luglio 1953 tentò il primo assalto insieme ad un gruppetto di disperati.  L’operazione fallì dal punto di vista militare, ma dal punto di vista politico fu un successo, in quella mezz’ora l’epopea castrista e rivoluzionaria iniziarono il percorso.

Il museo all’interno dell’edificio con visita guidata e spiegazione in italiano e una cosa che non potevo perdermi. Sto attaccato alla bella cubana che ci spiega con sobrietà ma anche con passione la vicenda. Non mi perdo uno parola, mi emoziono, a tratti ho gli occhi lucidi. Riguardo i fori dei proiettili che ancora incorniciano l’esterno di quest’ala della caserma, caserma che ora è una bella scuola.

Caserma Moncada (photo Saura T)

Caserma Moncada (photo Saura T)

Raul Castro giovanissimo e imprigionato - Museo Moncada (photo Saura Terenziani)

Raul Castro giovanissimo e improgionato – Museo Moncada (photo Saura Terenziani)

Nel cortile attiguo c’è una festa, si celebra il 4 aprile, gli alunni avranno una settimana di vacanza, sono intenti a fare una sorta di saggio, bambini che ballano antiche danze francesi, i genitori tutt’ intorno che assistono … poi la festa termina, agli scolari viene dato un diploma in ricordo della giornata, qualcuno rimette musica cubane nell’impianto … genitori che ridono, bambini che corrono, il sole che batte forte, un sentimento di gioia che pare sincero … in quelle stanze e in quei cortili in cui vennero torturati e uccisi i ribelli sessant’anni fa.

Pranzo al ristorante vicino al Morro, il forte che difendeva l’entrata sul mare della città, una terrazza dove mangi all’aperto mentre contempli il mar dei Caraibi.  Nel ristorante ci è venuto anche Paul McCartney,  è tutto scritto sulle tovagliette di carta. Mentre gironzolo attorno a Santiago, la Sierra Maestra fa da contorno … al solo pensiero mi viene un brivido.  Devo tornare di nuovo a Cuba e fare le escursioni sulla Sierra nei posti da dove è partita la rivoluzione.

Sierra Maestra vicino a Santiago (photo Saura Terenziani

Sierra Maestra vicino a Santiago (photo Saura Terenziani

Pomeriggio di relax, risalgo da una bella nuotata nella piscina dell’albergo, mi sdraio sul lettino al sole e sorseggio una piña colada. Passa la groupie ” Dura la vita del rivoluzionario eh ?!” Già.

È sabato sera. Insieme agli amici italiani decidiamo di fare un salto in centro. Cinquanta minuti di passeggiata attraverso la città. Molti giovani in giro, tantissimi davanti alla discoteca da dove proviene pessima musica. Ma poi entriamo alla Casa della Trova e la musica diventa subito vera, profonda, sincera. Ancora una volta il Buena vista Social Club ti si materializza davanti. Il locale, 5 metri x 5, dove siamo stipati in parecchie decine è il posto più blues che io abbia mai visto dopo l’Old Absinthe House di New Orleans (sul cui modello fu ricreato il bar della cover di In Through The Out Door dei LED ZEPPELIN). Il bagno è un qualcosa di terribilmente caratteristico. Vi si accede dalla stanzetta adiacente, la porta di legno è a “tendine”, la privacy non è certo il massimo. Un metro e mezzo per un metro e mezzo, al centro un water, lo sciacquone che non funzione, la tazza ormai piena di piscio. Niente altro, nemmeno un lavandino. Vi vedo entrare anche alcune donne, non capiscono come facciano.L’esperienza però è fantastica. Sono in piedi appoggiato ad una porta laterale e osservo questi esseri umani quasi in preda all’isteria, alla fine di ogni pezzo tutti si spellano le mani, un trionfo per il gruppo.

La Casa Della Trova -Santiago De Cuba - aprile 2015 (photo TT)

La Casa Della Trova -Santiago De Cuba – aprile 2015 (photo TT)

Tre donne austriache di fianco a me continuano ad ordinare rum. Sono brille. Una di loro si mette a ballare con un nero nello stanzino accanto alla sala principale. Io sono appoggiato al varco di passaggio. Dietro di me un baretto derelitto, la atmosfera è da blues profondo del centro america, siamo nel 2015 ma sembra di essere in una epoca lontana. Una delle due austriache rimaste sedute attacca bottone al mio amico di Roma, di qualche anno più vecchio di me; si chiama come me, ma in quell’occasione si fa chiamare Francisco. E’ un tipo fantastico, entra in empatia con tutti in pochi secondi. Sta al gioco, si diverte, e gli piace entrare in contatto con l’umanità. La tipa lo punta, dopo un po’ gli chiede il nome dell’albergo in cui sta, Francisco si defila. Mi racconta la cosa, ci facciamo due risate, che si tramutano presto in una sorta di tristezza: le donne di una incerta età e sole a volte sono davvero disperate.

Usciamo, non resistiamo più al caldo e al tanfo di sudore-piscio-rum del locale. La groupie resta dentro a godersi fino in fondo il son cubano genuino. Nemmeno il tempo di uscire e Francisco è già lì che parla con due cubane. Certo, sono donne che cercano quel tipo di avventure, ma mi chiedo come faccia Francisco ad entrare in contatto così facilmente con tutti. E’ uno spettacolo d’uomo. Ripenso a quello che ho visto poco fa nella backroom del locale, due italiani di mezza età, più o meno miei coetanei ma che sembrano miei zii e vestiti appunto come lo zio Fedele, accompagnati da due giovani cubane tiratissime. Niente di cui sorprendersi, accade in tutte le parti del mondo, ma vederle abbracciate a due matusa un po’ sfigati mentre un po’ annoiate si bevono una bibita, mi fa male, molto male, e capisco che idealizzo troppo Cuba.

Santiago De Cuba (Photo Saura Terenziani)

Santiago De Cuba (Photo Saura Terenziani)

Santiago by night (photo Saura Terenziani)

Santiago by night (photo Saura Terenziani)

Santiago de Cuba blues (photo Tim Tirelli )

Santiago de Cuba blues (photo Tim Tirelli )

Santiago de Cuba blues (photo Tim Tirelli)

Santiago de Cuba blues (photo Tim Tirelli)

Domenica mattina, termina la settimana di tour, lasciamo Santiago diretti a Guardalavaca via Holguin. L’arrivo al resort Playa Pesquero è un po’ traumatico, per lo spirito. Dopo giorni passati on the road, rilassarsi un po’ non è affatto male, ma le comodità, i comfort e il lusso di questo bel cinque stelle stride con quello che abbiamo appena visto. Io e la groupie siamo un po’ in difficoltà, non è facile passare da una situazione all’altra senza un po’ di trambusto nell’animo. Mi dico che non mi devo sentire in colpa, che non posso cambiare il mondo, che dopotutto sto aiutando Cuba visto che il resort è per il 51% in mano allo stato e per il 49% in mano a privati, che lo stesso Fidel è venuto nel 2003 ad inaugurare questo bel complesso, e che è il turismo a tenere in vita Cuba … ma la sensazione di disagio persiste.

Il resort è grandissimo, più di novecento stanze, ad occhio e croce ci deve essere una media di mille/duemila presenze a settimana, ma non sembra, gli spazi sono enormi e a volte sembra sia deserto. Certo, il bar principale nella lobby alla sera è pieno zeppo di persone, lo stesso dicasi per il ristorante a buffet principale, ma se vuoi evitare le proposte dell’ animazione e la vita da turista standard puoi farlo e ritagliarti i tuoi spazi. Io e la groupie siamo fortunati, ci hanno riservato una stanza in una della case più vicine al mare, in più al primo piano, così evitiamo che animaletti entrino a trovarci.

Play Pesquero (Photo TT)

Play Pesquero (Photo TT)

La piscina è da mille e una notte e il mare davvero splendido. Me lo ricordavo bene, ma immergermi di nuovo in quelle acque smeraldo è una sensazione meravigliosa.

Piscina di Play Pesquero (foto di TT)

Piscina di Play Pesquero (foto di TT)

Playa Pesquero Beach (Photo TT)

Playa Pesquero Beach (Photo TT)

Meditabondo al mar dei Caraibi (photo Saura T)

Meditabondo al mar dei Caraibi (photo Saura T)

Mi ritrovo con alcuni amici italiani, il già citato Stefano-Francisco, Elisa, Paola, Franca, Michi e Gabri. I primi quattro partiranno a metà settimana, mentre noi rimaniamo fino a domenica. L’unica escursione che faccio è quella sul katamarano, con snorkeling e bagno coi delfini in una delfinario naturale sito in una baia sul mare. Non avevo considerato il fatto che navigare su quel tipo di imbarcazioni mi rende seasick, così non mi godo appieno la gita, ma riesco ugualmente a sfangarla. Un tuffo con maschera e pinne per vedere quel po’ di pesci colorati che ci sono da queste parti e poi il bagno con i delfini. Nel gruppetto siamo io, la groupie, Franca, Michi e la Gabri; l’istrutture ci affibbia una delfina chiamata Doris (penso subito alla mia amica e collega Simona che in ufficio tutti chiamiamo Doris appunto). Anche qui io e Saura ci facciamo qualche scrupolo, delfini ammaestrati e pazienti che giochicchiano con i turisti, non ci sentiamo esattamente a nostro agio, ma il delfinario non è male, è ampio, è sul mare, e qui ci portano anche i bambini con problemi per un po’ di Dolphin Therapy; organizzano queste escursioni coi turisti proprio per sostenere economicamente la struttura. Con questa giustificazione io e Saura cerchiamo di goderci il momento, perché dopo tutto giocare con un delfino non è una esperienza da poco. Un ultimo bacio a Doris e di nuovo sul katamarano.

A Salty Dog - sul Katamarano  zona Guardalavaca (foto Saura T)

A Salty Dog – sul Katamarano zona Guardalavaca (foto Saura T)

La settimana a Playa Pesquero mette sul piatto un paio di questioni: la Deriva Alcolica e il Problema Canadese.

DERIVA ALCOLICA: anche qui bevo più del solito. Almeno due birre e in media quattro drink (tutti a base di rum) al giorno. Una sera dopo cena mi sparo un margarita, e poco dopo Michi mi porta un Santiago 11 (rum invecchiato). Non sono duro da grattare, ma la groupie deve guidarmi fino alla nostra casetta. Non perdo mai il controllo ma rimango in quella bolla di quasi felicità dove tutto è più bello. Se aggiungiamo che per quindici giorni mi scordo completamente di internet, del lavoro, di Sky, dell’Inter, di quello che succede nel mondo, direi che ho quasi raggiunto il nirvana. Non mi scordo del tutto del Rock, non so perché ma ho in mente PRESENCE, e avrei una voglia matta di ascoltarlo, ma sul telefonino ho solo PHYSICAL GRAFFITI, ITTOD (according to TT) e una manciata di altri dischi (BILLY JOEL, ELTON JOHN, RICK DERRINGER, BAD CO, YES, JOHNNY WINTER, UFO, RICK WAKEMAN, CLAPTON. VAN HALEN, WHO e GENESIS). Ma dopo tutto lanciare la modalità random, contemplare il mare e bere un bel drink on the rocks è un gran bel vivere.

IL PROBLEMA CANADESE: avevo letto su internet qualcosa a proposito, ma non vi avevo dato il giusto peso. Il 30% del turismo di Cuba è costituito da canadesi e fin qui niente di male, il fatto è che, come dice Alejandro – il cubano che si occupa degli italiani nel resort- una volta che atterrano a Cuba i canadesi si trasformano. Evidentemente passare dai -30 ai +30 gradi li stordisce. Così, li vedi tutti, e dico tutti, passeggiare per il resort con dei thermos. Caffè? Acqua? Macché, sono pieni di cuba libre, di daiquiri, di mojito. Roba da non credere. Alle sette e mezza hanno già occupato tutti i posti della piscina, bivaccano lì fino alle 16, bevendo a più non posso, fanno una salto in stanza e alle 18 (alle 18!) sono tutti a tavola pronti per la cena. Dalle 19 alle 24 li trovi seduti ai tavoli o ai divani del bar principale della lobby a sorseggiarsi un drink (alcolico) dietro l’altro. Quei pochi che vengono in spiaggia, si tengono sempre stretto il loro thermos. Alcuni fanno addirittura il bagno con esso. Uno invece del thermos ha un boccale di birra da una pinta con un coperchio in metallo con annessa cannuccia. Dentro vi sono due/tre piantine di menta, e ogni volta che il bicchiere si svuota va al bar a riempirlo di mojito. Sono basito. A colazione mi capita di vedere due donne sui trentacinque anni, bersi un cappuccino e poi un prosecchino a testa. Mi guardo in giro e vedo che su altri tavoli di sono dei calici pieni di prosecco. Sono le otto di mattina.

Questa formula dell’all inclusive mi sa che reca danni, certo è comoda, ma chi non riesce a contenersi è destinato ad una brutta fine. Come buona parte dei nord americani almeno il 50% dei canadesi è sovrappeso, per non dire obeso, e vederli gonfiarsi senza sosta di drink è triste. Non parliamo poi del cibo che ingurgitano, a colazione è frequentissimo vedere piatti stracolmi di frittata, bacon e patatine fritte, e si tratta di uomini e donna di almeno (e ripeto almeno) 100 chili. Ho sempre pensato ai canadesi come ad un popolo civile, riservato, illuminato, ma devo ricredermi. Non fanno troppo casino, ma non sono un bello spettacolo. Poi, alla sera mentre percorri i romantici vialetti che portano alla tua casetta, tra cieli stellati, brezze marine e sguardi languidi, li vedi barcollare e fermarsi a pisciare sulle aiuole perché non ce la fanno a trattenerla fino al prossimo lavatory, oppure lasciare bicchieri mezzi pieni sui bei vasi che ornano i vialetti, tanto che gliene importa, ci pensano poi gli schiavi cubani a rimettere tutto a posto. Poveri canadesi, che misere vite che devono avere.

Gli amici che ho incontrato in questa Cuba adventure, una volta capito che sono un appassionato dell’argomento, mi hanno spesso fatto domande sulla storia della rivoluzione castrista, a volte mi sono fatto prendere dal fervore guevarista che mi pervade e mi sono lasciato andare ad approfondimenti intensi, spero di non averli annoiati, ma direi di no dalla continua attenzione che dimostravano. Tutti mi hanno chiesto un consiglio su quale libro leggere a proposito, a tutti ho consigliato “Che Guevara – una vita rivoluzionaria” di JOHN LEE ANDERSON, giornalista americano del Time che per cinque anni studiò a fondo la vita di Guevara e la rivoluzione cubana. E’ una biografia sobria, veritiera, ben fatta, scritta da un americano, lontano perciò da certe partigianeria tipiche di alcune biografie scritte da autori sudamericani.

Una cosa che ho visto confermata è l’ossessione che hanno tutti con il tipo di vita che fanno i cubani. Non è certo un bel vivere, ma noto che il sottolineare continuamente la cosa succede solo con Cuba. Io non ho girato molto, ma qualcosa l’ ho vista, e non mi pare ad esempio che gli egiziani, i maldiviani, gli abitanti di Capo Verde o di Zanzibar se la passino meglio. Ma non ho mai sentito nulla a riguardo, se non qualche veloce considerazione. Con Cuba invece tutti a pontificare. Sembra quasi che non si sia capaci di considerare null’altro che un sistema capitalista. A Santo Domingo, ad Haiti, in Giamaica, i poveri fanno una vita di merda ma nessuno si scandalizza come si scandalizza con Cuba. Fidel ha le sue colpe, nessuno lo mette in dubbio, ma credo anche che cinquant’anni (cinquanta!) di embargo avrebbero affossato qualunque nazione. E poi non dimentichiamo che a Cuba la alfabetizzazione è al 100%, la percentuale di laureati è al 27% (in Italia siamo al 22%), le cure sanitarie garantite a tutti e di livello altissimo se comparate con quelle del centro e sud america, e la mortalità infantile è tra le più basse al mondo (stessa percentuale del Canada ad esempio). Certo occorre cambiare, Raul lo sta facendo, il popolo ha bisogno di tante cose, ma lo stesso vale per tanti, troppi paesi.

Forse sono di parte, ma mi pare di riuscire a notare in parti eguali i pro e i contro. Alla fine quello che conta è che Cuba la sento dentro di me e che venire qui mi rende la vita migliore. L’ultimo giorno inizio a sentire turbamenti. L’ultimo bagno, l’ultimo sole e poi al pomeriggio il pullman per Holguin. All’areoporto la fila per il check in è lunga. Una parte del nastro trasportatore non funziona, e tutto va avanti a singhiozzo. Capisco solo alla fine cosa sta succedendo, quando vedo il mio amico Michi, d’accordo con la cubana che sta allo sportello, che si mette a spostare le valige bloccate in zona check in. Roba da matti: quello che non funzionava erano solo i primi metri di nastro trasportatore. Bastava che uno degli addetti spostasse via via le coppie di valige dei passeggeri che di volta in volta si presentavano allo sportello per risolvere il tutto. Invece, quasi nessuno interveniva, nemmeno i passeggeri davanti agli sportelli che da quella posizione avrebbero dovuto capire tutto. Si sparge la voce che non ci sono più posti vicini, impreco, passare nove ore e mezzo a fianco di uno sconosciuto in classe economica mi pare una tortura. Tocca a noi. In un misto di italiano, spagnolo, inglese chiedo con la massima gentilezza se per noi e nostri amici c’è la possibilità di avere quattro posti vicini. La cubana, evidentemente grata a Michi dell’aiuto, fa un cenno con la testa, stampa i biglietti e mi indica le posizioni. Capisco che sono vicini, ma deve esserci qualcosa d’altro, il suo sguardo, serio ma ammiccante deve avere un secondo significato. Ci rechiamo di corsa a pagare le tasse e poi al controllo passaporti e bagagli a mano. Giusto il tempo per andare in bagno ed è già tempo per imbarcarsi. Non ho nemmeno un momento per spendere gli ultimi cuc rimasti. Saliamo sull’aereo e li scopriamo il perchè dell’ammiccamento della cubana allo sportello: ci ha messi in “blue class” (la business class della Blue Panorama). Con Michi e Gabri ci abbracciamo, non ci pare vero. Sciampagnino, menù, cena niente male, gambe allungate quanto vuoi, e bella dormita dalle 23 alle 5. Tutti dovrebbero volare in questo modo.

Tim in Blue Class (photo Saura T)

Tim in Blue Class (photo Saura T)

Chiedo alla groupie che voto da alla vacanza, “9” mi risponde, il 10 sarebbe arrivato se fossimo riusciti a cenare con Raul Castro, ma evidentemente il comandante in jefe del momento è troppo occupato con Barack …

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Ad ogni modo ripensando al viaggio e alla vacanza, devo dire che tutto è andato bene e che sono molto soddisfatto di quanto ho fatto, visto, goduto. Cuba ha avuto un effetto notevole sul mio spirito, sul mio corpo, sotto tutti i punti di vista, e sottolineo tutti. Sì, perché anche dal punto del sexual drive, mi sono ritrovato di colpo ventenne. Che cazzo di effetto hanno i viaggi, i nuovi orizzonti, le piccole avventure come queste. Hasta siempre, Cuba.

POSTILLA:

siamo tornati ormai da quattro giorni, ma non riusciamo a liberarci dal Cuba blues. Saura ha persino pubblicato un breve video su youtube con foto e brevi riprese, video che allego qui sotto. L’Emilia ci va stretta in questi giorni, io mi sento un po’ soffocare, avrei già voglia di ripartire, ma l’heat of the moment passerà e spero di mettermi tranquillo, almeno per un po’, perché so che prima o poi tornerò.

6 Risposte a “Rum for one (the Cuban song)”

  1. the best guitar in Zianigo.....maybe 16/04/2015 a 19:16 #

    …aahhh,avevo intuito che questi giorni di silenzio erano dovuti a Cuba .Grazie per il bel resoconto del viaggio e alla bass player Saura per le belle foto..Adesso che sei tornato però (permettimi di dire),vacci piano con le….bibite,tenere quel ritmo ,no buono,ma in vacanza ci può stare.Anche io quando vado ,raramente ,in viaggio mi concedo qualche pacchetto di sigarette e qualche sigaro ….

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  2. lucatod 16/04/2015 a 20:44 #

    Welcome back ! Direi che ti sei calato perfettamente nella parte , il tuo look pare una via di mezzo tra Mick Jones e Jimmy Page (la sciarpa d’ordinanza) , ma soprattutto dal punto di vista logistico , non sei certo partito impreparato . Gran bell’articolo .
    Ovviamente condivido i punti che hai citato , come la cafonaggine di una parte dei turisti , o i soliti luoghi comuni riguardo Cuba . Con un sistema capitalistico , buona parte della popolazione potrebbe addirittura perdere il poco che gli è garantito .

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  3. mikebravo 16/04/2015 a 21:43 #

    Bel reportage Tim! Da leggere tutto d’un fiato!
    Bella la citazione dell’ERNESTO scrittore.
    Cuba ti ha fatto bene e se ti ha messo voglia di ascoltare PRESENCE
    ti ha fatto benissimo.
    Vedi poi che la copertina dell’album ci azzecca.
    Ed in una delle foto che avete scattato c’è uno strano oggetto nero…

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  4. Paolo Barone 17/04/2015 a 16:31 #

    Bellissimo Resoconto di Viaggio, me lo sono veramente goduto!
    Ci voleva questa apertura Cubana sul Blog…

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  5. bodhran 18/04/2015 a 11:42 #

    Bentornato!
    Post letto di filata. Come dici tu chissà se ci guadagneranno con questa “apertura”. Temo che come in alcuni paesi dell’est aumenteranno le catene di negozi, arriveranno porti di lusso per gli yacht, ma diminuiranno l’assistenza medica, l’istruzione e una certa dignità dell’essere non ricchi. La china è quella, ce ne stiamo accorgendo via via anche noi, e non è una bella china.

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    • the best guitar in Zianigo.....maybe 20/04/2015 a 04:28 #

      mah,forse (a parte gli americani ) non si può avere tutto.Comunque riguardo l’istruzione quado lavoravo c’era anche una cubana che un mio collega aveva sposato e lei era laureata ma faceva l’operaia,ricordo che nutrivo molti dubbi sulla qualità della sua laurea (anche se non ho titoli per giudicare).Resta il fatto che ora so che non andrò mai a Cuba:dopo questo resoconto è come se ci fossi stato (quasi,ma li c’è il vino?) ….mannaggia…..

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