Se nasci con qualche dote attitudinale per il songwriting e non trovi sbocco professionale, sei fritto. Sì perché per tutta la vita ti crogiolerai al pallido sole delle tue composizioni, un sole che non ti scalderà, che non riuscirà a togliere il pallore che ti porti dentro e fuori. Devi allora inventarti una vita, un lavoro, accontentarti di magre soddisfazioni perché nella tua testa tu eri nato per fare qualcosa d’altro, per vivere della tua musica. Al sabato vai a fare la spesa e ti dici, in dialetto, “non si è mai visto JOHNNY WINTER far quei lavori qui”.
Perché il problema principale è con chi ti confronti. Se hai davanti PAUL McCARTNEY, i LED ZEPPELIN, KEITH EMERSON,PETE TOWNSHEND PROKOFIEV, che altro puoi fare se non piegare il capo e dire ” è giusto che siate voi a fare musica, anzi la storia della musica” ma se come termine di paragone hai certi nomi di successo la cui gamma espressiva è vicina allo zero, il cui canto è monocorde, e che in venticinque anni di carriera hanno scritto più che altro canzoni che sono la fotocopia l’una dell’altra, beh allora qualche mal di stomaco ti viene.
Sì perché, quando poi leggi certi commenti di taluni operatori musicali dove vengono criticate le cover band e le tribute band e tu, pur capendo il senso della cosa, ti ci ritrovi in mezzo, t’ incazzi. Sì perché che ne sanno loro? Magari hanno suonato in un paio da band da giovani, poi a vent’anni hanno smesso, ma per quelli come te che non sono riusciti a smettere di stare attaccati ad una chitarra, al Rock, ad una canzone, giunti a questa età, cosa dovrebbero fare, vendere tutto e non farsi più vedere in giro? Sarebbe cosa buona e giusta probabilmente, ma chi è che ne ha il coraggio?
Fa presto JOHN PAUL JONES a dire che le tribute band proprio non gli piacciono, luì è nato negli anni giusti, nel posto giusto (poi certo, ha aiutato il fatto che fosse un gran musicista). Fosse nato in Italia tre o quattro lustri dopo, che avrebbe fatto? Il session man? Avrebbe arrangiato Jingle per laTV? Bassista per ANGELA BARALDI? Produttore degli STADIO? Tutte cose nobili, ma un pelo lontano dal mega successo interplanetario avuto con i LED ZEPPELIN (quel tipo di successo che ti dà la tranquillità economica per tutto il resto della tua vita). E forse per arrotondare sarebbe approdato anch’egli ad una tribute band (di professionisti) degli ABBA o dei QUEEN.
Non sono qui a difendere in senso stretto le tribute e le cover band, ci mancherebbe, anche io le critico spesso… se fai una tribute band devi farlo perché ami in modo completo un certo artista, perché conosci nel profondo i significati della sua proposta, perché hai il senso, perché la tua rilettura ha in qualche modo un suo motivo di esistere. Molte tribute band nascono per calcolo, trovano un nome di successo da replicare, assemblano musicisti bravi e partono in tour. E’ sufficiente che il cantante o le cantanti indossino il costumino giusto per irretire il pubblico da sagra da paese, solo una esigua minoranza mette in piedi uno spettacolo coerente, ben fatto e degno di plauso.
Lo stesso discorso vale più o meno per le cover band, serve un filo logico, un comune denominatore tra i pezzi in scaletta, uno straccio di proposta sensata e con una identità precisa. Difficile usare il concetto di originalità quando si fanno cover, ma per lo meno occorrerebbe provare. Al di là delle concessioni che bisogna fare quando suoni all’interno di un gruppo (se vuoi un po’ di pace e di good vibrations un minimo di democrazia la devi garantire) è necessario trovare un equilibrio tra pezzi che possano piacere al pubblico, a te stesso e che al tempo stesso non siano consunti. Io sono il primo a non sopportare i gruppi che al giorno d’oggi se fanno un pezzo di HENDRIX suonano FOXY LADY o PURPLE HAZE, se affrontano i CREAM propongono WHITE ROOM e SUNSHINE OF YOUR LOVE, e magari per far urlare la gente ci infilano anche SWEET HOME ALABAMA dei LYNYRD SKYNYRD. Quei pezzi andavano bene al massimo fino agli anni novanta, se devi fare HENDRIX hai almeno altri venti pezzi piuttosto conosciuti a cui attingere, perché cedere alla pigrizia e appoggiarti al trito e ritrito? Il pubblico in quel caso invece di applaudire dovrebbe alzarsi e andarsene. Va bene che la gente vuole ascoltare solo cose che conosce, ma che so, SPANISH CASTLE MAGIC no? Persino ALL ALONG THE WATCHTOWER andrebbe bene, non la senti spesso suonare dal vivo. Non ci vuole tanto, non sto mica dicendo di fare BURNING OF THE MIDNIGHT LAMP (che ad ogni modo se qualcuno la facesse mi inginocchierei davanti al palco durante l’intro) o PALI GAP…
Non parliamo poi dei gruppi di musicisti che si ritrovano senza aver provato a fare del pseudo blues, dozzinale, scolastico, da avanspettacolo. Non basta un cappello in testa, una canottiera, l’aria da working man americano per essere credibili, occorre che il gruppo abbia un progetto. Cerchiamo allora di fare le giuste distinzioni, e di non mettere tutti sotto lo stesso tetto generico della “Cover band”.
Eppure quando leggo queste critiche all’imperante dittatura delle tribute band mi faccio prendere dai sensi di colpa, perchè anche io ho la mia naturalmente. Così faccio un breve excursus circa la mia modestissima carriera musicale, riporto a galla i nomi dei gruppi e il tipo di repertorio:
1978/79 THE QUARCK, THE SALLOW BAND, THE STRANGERS – cover cantautori e pezzi Rock.
1980/81 FANTASCA CENDER – pezzi originali
1982/83 MIDNIGHT RAMBLERS – cover Rock anni settanta.
1986 TIM TIRELLI And The Candy Store Rockers – pezzi originali (registrazione demo tape)
1988/1993 CATTIVA COMPAGNIA – pezzi originali (registrazione 4 demotape)
1993 MALAVOGLIA – pezzi originali – (registrazione 2 demotape)
1994/1995 TRENI LOCALI – pezzi originali (registrazioni 2 demotape)
1996/1997 TIM TIRELLI Radioblues – pezzi originali (registrazione demotape)
1999 CATTIVA COMPAGNIA – pezzi originali (registrazione CD autoprodotto)
1999/2006 ZEPPELIN EXPRESS – tribute band
2006/2015 CATTIVA COMPAGNIA – cover, tribute, pezzi originali
2015/2016 THE EQUINOX – tribute band
Così, a chi ti conosce solo per quanto fatto negli ultimi anni e ti viene a tirare le orecchie perché fai cover e tributi ti verrebbe da prenderlo per il copetto, fargli leggere questo misero elenco e dirgli “cover e tribute a chi?”
Alla fine però, a questa età, che altro puoi finire a fare – se vuoi ancora avere la possibilità di fare qualche data – se non una tribute band o una cover band, dove se hai fortuna il gestore del locale ti lascia suonare tre o quattro pezzi tuoi? Io non so come sia per chi scrive pezzi di musica diversa, ad esempio per chi fa metal, black metal, neo prog, garage… magari per loro è più naturale – visto il genere meno immediato – pensare ad autoproduzioni, al mercato indipendente, ma per chi scrive canzoni (che poi siano Rock, Blues, punk , alternative o che altro non ha importanza), per chi in qualche modo è cresciuto con i cantautori, con la canzone d’autore, l’unica approdo voluto era il rapporto con una etichetta discografica, perché i tuoi pezzi li vedevi lì, in classifica. E’ così per tutti gli autori di canzoni che conosco. Molti sono amici. C’è quello che ha pubblicato un disco per una major che però è diventata una cosa fine a se stessa e sembra aver elaborato il fatto, ma poi tra le pieghe dei discorsi scorgi che sotto sotto la brace è ancora vivissima, quello che pensa di essere un incompreso, il miglior autore in circolazione e continua a sfornare cd auto prodotti che nemmeno i suoi amici ascoltano, quello che si appoggia al ricordo di un successo sfiorato, quello che quando riascolta i suoi vecchi demotape cerca di nascondere il pianto amaro dietro ad una risata auto ironica, quello che ha fatto parte di una cult band, che ancora vive come se fosse al culmine della sua esperienza e che parla di se stesso in terza persona. Siamo tutti simili, tutti pensiamo che le nostre canzoni fossero (e siano) potenzialmente dei successi “ah, se solo…”
Chissà, forse non è così, o forse sì, fatto sta che non riusciamo a sganciarci dalla cosa, a metterci il cuore in pace. Quando riascolti i demotape o le registrazioni casalinghe relative alle canzoni che scrivesti e registrasti tanti anni fa insieme al tuo partner musicale di allora, rimani stupefatto, irretito. Magari non eravate BATTISTI, DE GREGORI, DE ANDRE’, JAGGER-RICHARDS, LENNON-MACCA, ma paiono così graziose e migliori di tante, troppe, cose uscite in quegli anni in Italia. Quando poi durante i pochi concerti che fai con uno dei tuoi gruppi proponi una delle tue ultime canzoni, quella a cui forse soei più legato, quella che chiami la tua TEN YEARS GONE (con le dovutissime proporzioni) e senti che a fine pezzo, qualcuno tra il pubblico ti grida “bravo Tim!” scuoti la testa e ti commuovi. Quando poi, invi la stessa registrazione live ad un amico giornalista musicale per farti dare un parere e questi ti scrive ““Ti faccio i sinceri complimenti per QUEL CHE CANTAI, rubacchia la solita scala in minore, ma è tremendamente bella, anche le parole, e il tuo assolo è davvero molto bello”, ecco che poi ti sento peggio del solito. Perché è chiaro che se scrivi dei pezzi vuoi solo sentirti dire che sono belli, ma se li fai sentire a gente selezionata – per capire da fuori come possono sembrare, per sapere se sei tu suggestionato da te stesso o se qualcosa di un qualche valore riesci davvero a scriverlo – e il ritorno è positivo… beh i rimpianti aumentano.
Durante una recente chiacchierata un tuo amico ti ha detto “il Rock è una passione e basta“. Tu vuoi bene a questo tuo amico ma in fondo che ne sa, lui è avvocato e non si è mai cimentato col songwriting, lui fruisce il tutto da fan, da amante della musica, e va benissimo, fortunato lui ti viene da dire, ma non riesce ad immaginare il tormento interiore e il baccano che fa quel cassetto strapieno di canzoni che non ne vogliono sapere di mettersi a dormire.
Così, continui la tua esistenza miserella, e ogni mattina in macchina mentre vai al lavoro, quando senti che divaghi e naufraghi tra le tue canzoni, ti dici “Piedi per terra Tim Tirelli, non sei MICK RALPHS, you’re NOT THE HOOPLE”.

Tim – studio daze 1996
Eran belle canzoni Tim…sono belle canzoni. Capisco i blues derivanti dal mancato sbocco ma non è poco quel che ti resta. Anzi.
Piedi per terra, ok, ma…su la testa little brother e canzoni sempre nel cuore.
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Conosco molti musicisti, ho sempre visto e avvertito esistenze difficili.
Arthur Brown che ancora ha difficoltà a trovare un etichetta o un locale che paghi il giusto. Ma non ha perso l’entusiasmo a settanta e passa anni. Jim McCarty che da lezioni di chitarra e suona quasi tutte le settimane in un bar per tre o quattro ore di fila, ma tutto sommato mi sembra contento di poterlo fare. Oppure Lenny Kaye, che fatica sempre a trovare un equilibrio con se stesso, una vita passata all’ombra di Patti. O ancora Dennis Coffey, che ha contribuito con la sua chitarra a creare il suono della Motown e ora suona in un piccolo pub davanti a non più di dieci persone per volta.
Ne conosco tanti, e per un motivo o un altro siete tutti insoddisfatti ma sempre legatissimi alla vostra musica per fortuna.
L’unico che mi sembra sereno e’ il mio amico Bloodshot Bill. Sempre in giro per il mondo, aereo, macchina, nave o treno per lui e’ lo stesso. Dorme in albergo, in furgone, nel retro dei locali, a casa di qualcuno (o anche qualcuna). Sempre nel circuito Rockabilly a suonare ovunque e comunque i suoi pezzi, un contratto con una label americana indipendente (manco troppo piccola, Norton Records), e una moglie e due figli a casa che lo aspettano in Canada. Una volta mi ha detto: Con il tipo di musica che faccio ho capito subito che non avrei mai avuto un successo vero. E allora? Vado in giro a suonare le mie cose, sono felicissimo così, non resisterei più di una settimana a fare un lavoro normale.
Ho incontrato un paio di volte Meg dei White Stripes e ho visto poche persone più infelici in vita mia. Una pena. E mi dicono che era lo stesso quando suonava con Jack.
La tua e’ una riflessione importante e piena di possibili punti di vista.
Stessa cosa per le cover band. Ne esistono di ottime e di pessime, sono totalmente d’accordo con te. Forse in Italia ce ne sono un po’ troppe, e la colpa più grande e’ del pubblico. Si e’ del tutto impigrito, non vuole rischiare più nulla, nemmeno nelle sonorità più familiari, niente non e’ più disposto ad alcuna apertura, e per chi come te ha delle bellissime canzoni nel cassetto e’ dura…ma le abbiamo ascoltate in tanti e ci sono piaciute tanto. Non e’ poco.
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La penso come Paolo Barone, inutile prendersela con le cover/tribute band quando è il pubblico che sceglie l’andazzo. E i gestori dei locali perchè dovrebbero fare altrimenti se un gruppo che fa pezzi originali gli fa vendere 5 birre mentre con la cover band ne vende 50? Perchè poi il pubblico sia diventato così poco curioso non lo so, e forse nemmeno mi interessa più.
Personalmente anche con l’ultimo gruppo con cui ho suonato la scelta è stata di fare solo pezzi propri, ben sapendo che avremmo trovato pochissime date.
Ma se si ha l’esigenza di scrivere musica, che lo si faccia di lavoro, per passione o per caso, per me la la cosa da fare è scriverla. Punto e basta. Senza preoccuparsi delle conseguenze. Una bella canzone resta una bella canzone. E fortunato chi la sente.
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Sin da ragazzino ho suonato la chitarra in diversi gruppetti , si facevano cover e pezzi nostri ma non ho mai avuto l’opportunità (le mie limitate capacità tecniche) di suonare la musica che ho sempre amato . Più che altro , punk , reggae/ska , musica pesante con qualche cover dei Rage (che nemmeno avevo mai ascoltato) e simili , insomma robetta .. la cosa più vicina ai miei gusti suonata davanti ad un pubblico (rassegna musicale studentesca …) sono stati tre pezzi sputtanatissimi dei Black Sabbath .
Non ho mai condiviso con nessun’altro la mia passione per il rock classico , quindi mi sono adeguato , ma tutto sommato mi sono divertito .. questo ovviamente da NON musicista .
Il discorso delle cover band è difficile stabilirlo , dipende dalla qualità dei musicisti e dal modo di presentare i pezzi . Ci sono quelli che propongono nella stessa scaletta hit vari come With or Without You degli U2 a Rock’n Roll , Anothe Brick In The Wall , roba dei toto .. e allora bisogna darsela a gambe . Ma se dietro c’è un serio progetto , con musicisti che conoscono quello che suonano e lo fanno con una certa coerenza , meritano davvero . Un gruppo vero insomma . Come il vostro .
Il discorso delle canzoni nel cassetto , ovviamente non posso comprenderlo , però sta di fatto che questo paese non ha mai avuto spazio per il ROCK . Magari per la musica melodica , cantautorale , progressive , ma rock proprio no .
Se mi si chiede il nome di un personaggio rock nostrano , penso a Vasco , che comunque è perlopiù un cantautore . Anche il suo pubblico non è mica rock .
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Come anche Tim intuisce nella sua riflessione, oggi e’ più facile trovare un proprio spazio se si fa riferimento ad un genere preciso, a una tribù (in senso buono) di riferimento. Ecco, il mio amico Bloodshot Bill che citavo prima e’ un tipico esempio in questo senso. Rockabilly, Garage, Hardcore, tutte le derive del Metal ecc. hanno sviluppato ormai da tempo un loro circuito indipendente ed autonomo, con etichette, locali, piccoli promoter e tutto. Ho visto mettere in piedi un tour europeo di due mesi, seguito da tre settimane sulla west coast americana, tutto auto organizzato. Alle volte locali molto pieni, alle volte festival di tre giorni, ma anche piccoli club da quindici persone…Molte avventure da ricordare, e alla fine si torna a casa con qualche soldo, tipo mille-millecinquecento euro se va bene. Ho visto molti musicisti con un doppio lavoro, che consente di andare in tour ma anche avere una base economica, ma ho visto anche quelli che vivono solo di questo e pure con famiglie sulle spalle! Nelle piccole culture rock credo esista ancora, e in tutto il mondo, la voglia e il bisogno di dare spazio a nuove band, a nuovi artisti. Nel poprock classico purtroppo non e’ più così da molti anni, e come ci racconta benissimo Tim, e’ molto dura. E come dice Lucatod, in Italia forse ancora di più.
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Forse nei primi settanta, anche in Italia, c’era la possibilita’ per i gruppi
di farsi conoscere, incidere e magari toccare una piccola fama.
Era un’ epoca di grande fermento e non era cosi’ difficile incidere un
album per una etichetta.
Per rimanere poi nelle enciclopedie di questi giorni.
Vedo oggi negli scaffali ristampe di progressive band italiane dell’epoca
dai nomi piu’ assurdi e dalle musicalita’ piu’ diverse che sono state stampate
persino in giappone e sono oggetto di collezionismo assurdo.
Si’, pfm, banco, orme, osanna, balletto di bronzo……..ma anche tanti gruppi
che hanno vissuto ben poco successo ma che ora per un album sono
ricordati nei libri di progressive.
Altri tempi ed allora Tim era ancora un cinno.
Alla fine dei settanta è sbucato Vasco Rossi, un fenomeno tutto italiano.
Dal cantautorato al metal che adesso spara sul palco.
E poi Ligabue, una vita da mediano mica tanto.
Riguardo al progressive italiano dei primi settanta, dischi di gruppi che
allora hanno fatto la fame e magari si sono sciolti dopo l’album di
debutto, sono scambiati oggi tra i collezionisti a migliaia d’euro.
E piu’ il gruppo ha venduto poco, piu’ la prima stampa vale.
Gigi pascal e la pop officina meccanica ?
Conoscete questo gruppo ?
L’album di debutto omonimo originale vale diverse migliaia di euro.
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Da inesperto penso che se oggi uscissero i nuovi Beatles, Stones, Zeppelin & Co. anni ’60-70 non se ne accorgerebbe forse nessuno.
Loro hanno riempito degli spazi vuoti con le loro musiche, il loro tempo e sopratutto con i loro miti praticamente insostituibili ed inattaccabili, per questo cover bands a iosa (U2 a bizzeffe) e difficoltà estrema ad ascoltare (e forse proporre) qualcosa di nuovo ed originale, siamo un po’ tutti schiavi di quell’epoca irripetibile, con forse l’unica eccezione (personale) per il Blues, che sarà sempre uguale ma sembra non morire mai.
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P.S ..Se a Cuba impazziscone per le ultra 70enni Pietre Rotolanti, sarà fame di rock okay, ma i Miti sono duri a morire o no?
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