Vengo a sapere che alla biblioteca Panizzi di Regium Lepidi si tiene una mostra fotografica relativa a vecchi scatti di famiglie del territorio.
Ci arrivo col fiato corto il penultimo giorno, venendo poi a sapere che la mostra è prorogata sino a fine settembre.
Entro nella sala …
e mi metto a soppesare le foto e il passato delle genti che prima di me hanno abitato queste strade, queste piazze, queste campagne.
Guardo con attenzione la foto di una vecchia famiglia contadina intenta a consumare un pasto …
quella di un paio di donne e di una bambina al lavoro nei campi …
quella di un edificio così blues che nemmeno in Mississippi …
L’ambiente invita alla meditazione, alla riflessione sul ciclo della vita, sul fatto che chissà magari tra cento anni ci saremo noi su quei muri.
Contemplo ogni foto, ogni particolare …
la pollastrella sembra fare lo stesso …
termino il giro e mi soffermo su di una delle ultime foto.
Ne valuto ogni dettaglio, ogni personaggio in essa ritratto. Cerco di carpirne i pensieri, le aspettative, i sogni.
Nei fogli esplicativi a disposizione del pubblico leggo la didascalia: “Studio Vaiani – Gruppo Di Famiglia circa 1935 – ristampa da negativo”.
Correggo la datazione, siamo nel 1937 (se non addirittura nel 1938) e rimango a fissare la foto, pensando a quanto io sia legato a questa città, a questa terra, a quei visi che mi sono tanto familiari. Fatico a staccarmi da quella famiglia, commosso do un’ultima occhiata alla biondina sulla destra, incrocio il suo sguardo, vedo me stesso. Che bimbetta che eri, Mother Mary.

Famiglia Fernando Imovilli – Mostra fotografica “Famiglie – Un mondo di relazioni”” – Reggio Emilia 2019 – Foto TT
Non ci dovremmo dimenticare delle nostre
radici. Non scordarle mai, ritrovarle anche
in una foto che ti emoziona.
Un’immagine che ti ricorda che anche tua
madre e’ stata bambina.
Un viaggio nel tempo che molti non
praticano piu’.
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Nell’ultima parte del post ho sorriso pensando a chissà quale particolare può averti fatto cambiare la data di una foto. Invece non era una foto qualsiasi.
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Resto sempre colpito dalla dignità di quelle facce, fare una foto era una cosa seria ai tempi. Magari l’occasione per mettersi il vestito migliore anche quando non si aveva niente. Era un altro mondo quello dei nostri genitori e nonni e non è passato neanche un secolo. Da quella miseria sono passati attraverso una guerra e hanno ricostruito tutto. Mi chiedo se noi, generazioni successive, cresciute nel benessere del dopoguerra, saremmo capaci di fare altrettanto
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