Mi sale l’irrequietezza, che a dire il vero è la condizione standard del mio essere (si sa, sono un uomo di blues) ma che di questi tempi, vissuti confinati in casa con ancora meno aspettative del solito riguardo il futuro, diventa quel velo di crepe nere da indossare di cui ogni tanto parlo. Ho più tempo per pensare, per coniugare in prima persona il verbo struggersi, per giocare insomma con la mente e i suoi tarli. La percezione del limite di cui parlavo al tempo in cui frequentavo Julia si fa più intensa, tutto diventa relativo, l’insoddisfazione per quello che ho combinato nella vita (cioè nulla) diventa sempre più ingombrante e ho la netta sensazione – per usare una frase che ho scritto ieri a qualcuno – che la mia vita assomigli ad un continente sempre meno solido che va sgranarsi in piccole isole lacerate dal vento.
La pollastrella coglie al volo le mie paturnie e così, dall’unica uscita settimanale per la spesa, torna con un ovetto di pasqua che mi rinfranca (per un paio di minuto) lo spirito.
Ma la pasqua è anche fonte di altra insofferenza, perché anche quest’anno ricevo parecchi messaggi d’auguri, a sfondo religioso o dalla grafica kitsch, e invece di essere grato alla gente che si prende la briga di farmi sapere che mi pensa mi chiedo se chi mi invia tali cose abbia la minima consapevolezza di chi io sia; già, perché il senzadio che sono tende ad innervosirsi quando l’aspetto religioso inonda il quotidiano. In questo periodo i tre uomini che sono (lo ricordo per i meno attenti: Stefano/Tim/Ittod) sono in perenne combutta, Tim riesce a stento a gestire il più riflessivo e formale Stefano e l’impulsivo preda della furia iconoclasta Ittod, ed è quest’ultimo che in queste ore tende a sopraffare gli altri due. E’ facile immaginare in che modo reagisca Ittod quando riceve le immagini di coniglietti, di ovetti colorati e del figlio di vostro signore che risorge … corre a sacramentare in aperta campagna per poi mettere su certi bootleg per tentare di contenere il furore trasgressivo.
Tim cerca così di tornare al comando, con l’aiuto di sua sorella che si limita a scrivergli “Buona festa Timone” e Ivan Graziani.
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Ma la primavera del mio scontento, tanto per citare John Steinbeck, continua, ci si mette anche la pizza (ordinata alla nostra pizzeria locale preferita) che arriva fredda e sottosopra. E’ vero, io e la pollastrella viviamo nel posto in riva al mondo, in una stradina stretta stretta con la numerazione sballata (prima della Domus Sarua col numero civico 1 ci sono due case, costruite in un secondo momento, che hanno la numerazione 1/1 e 1/3) però se nella ordinazione scrivo indicazioni molto dettagliate, non puoi impiegare un quarto d’ora per fare 900 metri con Stefano al telefono che ti segue metro per metro. Capisco che consegnare pizze a domicilio sia una cosa nuova per una pizzeria di livello come la vostra, però … così finisco per mangiare una Regina alta – che di solito è uno spettacolo – che sembra una pasta tiramolla che solo la Weiss media (tiepida) riesce a fare scivolare lungo l’esofago.
Cerco riparo nell’ultimo numero di Ken Parker nella versione riproposta da La Repubblica-L’Espresso 2020 …
e provo a distrarmi concentrandomi su una foto dei LZ a Preston il 30 gennaio 1973. Chissà cosa avrei provato io avessi avuto la possibilità di essere lì. Già dal 1970 il gruppo in America era abituato a riempire arene indoor da 20.000 posti come il Madison Square Garden (addirittura due volte lo stesso giorno come accade quel settembre) e il Los Angeles Forum, eppure in Europa nel 1973 ancora saliva su palchi più adatti ai gruppi di Tim Tirelli che a loro.
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Il turbamento persiste, salgo in soffitta, tiro fuori dalla custodia la mia Les Paul numero 1, rispolvero un vecchio amplificatore a malapena funzionante, attacco il distorsore e mi lancio nelle mie fantasie, accennando riff del Dark Lord, di Johnny Winter e di Mick Ralphs.
Nel tardo pomeriggio decido di fare due passi nelle campagne desolate dietro alla Domus. Come sempre sono ossessionato dalla mia visione blues dei paesaggi, delle costruzioni e manufatti umani. Vecchie pompe in disuso, steccati di eternit usurato, chiuse arrugginite incastonate su fossi mentre il sole filtra tra vecchi pioppi e splende nella pigra ora del meriggio sulla stradina che riporta alla Domus.
Deciso a stancarmi il più possibile nell’intento di sbarazzarmi di me stesso, inizio anche a tagliare i cespuglietti d’erba ribelli che il trattorino non riesce a radere. Smetto poco dopo, non si è mai visto Johnny Winter far quei lavori qui!
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Rientro in casa, una doccia e un Southern Comfort spero mi diano un po’ di pace.
Guardo fuori dalla finestra la luce aranciata del pomeriggio e so che a questo punto solo una cosa può sistemarmi l’animo … già, solo con il lato 3 di Physical Graffiti a manetta lo spirito inizia ad essere meno tenebroso. Sono solo in casa, apro le finestre, l’aria prende a circolare tra le stanze, la brezza tiepida della primavera pomeridiana profuma di vita, alzo il volume e lascio che la musica inondi il mio animo e le campagne circostanti.
E poi uno si chiede, ma come mai sei così fissato con i Led Zeppelin? Non è una fissazione, è semplicemente l’ancora che mi tiene al riparo nella baia quando il mare è in tempesta, è il fuoco che mi scalda quando arriva l’inverno glaciale sull’anima, è l’acqua che spegne la mia autocombustione naturale, è la torcia che mi guida tra le tenebre sino a casa , è la vita che pulsa nel petto, è la bussola che evita il vagabondare senza meta tra i sentieri dove gli altri non vanno, e la risposta ai quesiti ancestrali, è la forza che fa andare avanti quando raggiungi l’età della paura, è la neve che attutisce il frastuono, è la potente onda oceanica che trasporta in altre dimensioni, è il mio modo di pregare, ovvero quietarmi e confidare nel mistero dell’esistenza, è infine la consapevolezza che, malgrado a volte il loro corso possa cambiare, i fiumi sempre raggiungono il mare …
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in the light we will find the road
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Ciao Carissimo Tim!! Splendido!! Scrivi sempre divinamente. Sembrava di stare con te ad ammirare il paesaggio e provare le stesse sensazioni che la musica dona! Poi hai citato il mio eroe Johnny Winter il texano dai capelli di ghiaccio e dal cuore blues bollente; mi hai fatto venire in mente la prima volta che l’ascoltai a 16 anni nel suo LP omonimo: fu colpo di fulmine! Da lì non ho mai smesso di acquistare suoi vinili e cd. Che emozione che provai, sempre nella mia adolescenza, quando trovai in un negozio di vinili usati “First Winter” della Buddah Records, vinile 180 gr.!! Insieme a Rick Wakeman, è sempre nel mio cuore. Poi l’uovo di Pasqua dell’Inter, la foto la farò vedere al Presidente del mio Club, il mitico Inter Club Pesaro. A presto Amico mio e tanti saluti a Saura anche da parte di Francesca e Clelia.
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Quello che scrivi è altamente condivisibile.
La fissazione per i led zeppelin pure.
Ieri leggevo un libro su di loro.
Poi al termine della lettura ho avuto modo di pensare:
CAVOLO; LEGGERE DI LORO DOPO TUTTI QUESTI ANNI…
E TROVARE ANCORA TANTI MOTIVI PER FARLO…..
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Foto come quelle di Preston sono quelle che mi affascinano di più. Già io son dell’idea che la dimensione migliore per un concerto sia quella piccola/media, e non quella dei palasport o, peggio mi sento, degli gli stadi. In più trovo l’epoca naif del rock la più bella, quando avevi su un palco di dimensioni umane un “complesso” che suonava, senza troppi fronzoli. Figuriamoci poter essere in quelle condizioni con i LZ sul palco…
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