Sabato mattina, giornata fredda, cielo terso. Al Café Des Antilles Franca mi prepara il solito, cappuccio e krapfen.
Il bel blu del cielo che filtra dal tetto trasparente del centro commerciale fa a botte con l’illuminazione elettrica che avvolge il bar. La crema del krapfen che scende lungo la gola e il cappuccino aiutano il mio equilibrio sul mondo. La gente passa, stamane non la osservo, sono assorto nei miei pensieri.
Entro alla Coop. Ci sono due addette accanto ad una specie di urna e cartelloni elettorali, i soci coop sono chiamati a scegliere il nuovo Consiglio di Zona. Mi avvicino. “Buongiorno signore vuole votare?” mi chiede la addetta che ho già visto mille volte all’interno del supermercato. “Sì, ma non conosco nessuno dei nomi e delle faccine del manifesto elettorale, quindi le chiedo una cosa in modo schietto: mi indicherebbe tre nominativi di sinistra? Un uomo e due donne se possibile. Mi fido di lei.” La addetta coglie al volo la richiesta e mi indica – spiegandomi per sommi capi chi sono le persone in questione – i nomi. La ringrazio molto e lei aggiunge “Guardi, un tempo ero di sinistra anche io, lo sono ancora, sebbene oggi non si capisca più tanto dove trovarla la sinistra o cosa significhi essere di sinistra”. “E’ vero” le dico “ma dobbiamo pur continuare a cercare di fare qualcosa e a credere in certe valori, no? E voi che siete donne cercate di prendere in mano questo mondo, non vedete cosa ne stiamo facendo noi uomini? 2022 ed ecco un’altra guerra…” L’ addetta mi guarda, siamo più o meno della stessa generazione, nel suo sguardo vedo il carattere dell’Emilia dell’immaginario collettivo, la osservo aggiustarsi la felpa rossa della Coop che indossa, un cenno d’intesa, un mezzo sorriso ed entrambi torniamo alle nostre faccende, sotto ai pallidi raggi del Sol dell’Avvenire.
In farmacia devo acquistare qualcosa contro il mal di blues:
“Buongiorno vorrei una confezione di … Nurofen?“
“Non lo so, me lo dica lei, vuole il Nurofen?” mi dice la farmacista.
“Ha ragione, non avrei dovuto usare il tono da punto interrogativo, ma è che in passato spesso non riuscivo a ricordare esattamente il nome del farmaco …”
La farmacista sorride, si avvicina allo scaffale e me ne consegna una confezione. Mentre pago le dico: “Scusi ancora per il punto interrogativo, ha ragione, chissà quante stranezze da parte dei clienti deve sopportare ogni giorno…”
“Si figuri, anzi, mi ha fatto sorridere. Buona giornata.” Fossi un cantante ne avrei approfittato per attaccare bottone.
Da lontano la pollastrella guarda la scena, la raggiungo. “Niente, non c’è niente da fare, cadono sempre tutte ai tuoi piedi!” “Cadono ai miei piedi? Mo’ magari, ma non è così, non sono mica Jimmy Page!“
Al banco della gastronomia, in fila in attesa del mio turno. La giovane nuova commessa, di cui ho parlato nel post del 30 gennaio scorso, mentre chiama il numero da servire incrocia il mio sguardo, mi riconosce e con la solita cortese enfasi mi saluta sottolineando il lei. Nel frattempo un coppia di persone avanti negli anni è intenta a chiedere un pollo arrosto all’addetta della gastronomia. Sono vestiti nello stile sportivo-elegante-neutro da gente della terza età con la pilla (con possibilità economiche insomma). Trattano la commessa con un tono che non mi piace nemmeno un po’, è chiaro che si sentono di un’altra casta, le danno del tu ed aggiungono alla cosa una malcelata forma di disprezzo, la trattano come una serva. Li osservo ancora un po’, continuano con il loro fare annoiato e altezzoso. Impiegano interi minuti a scegliere il pollo. Mi passano vicino, si accorgono che li sto osservando, ho l’impulso di dir loro “Che ci fate qui? Andate all’Esselunga borghesi di melma”, ma faccio rientrare Ittod nei ranghi e mi sforzo di rientrare in modalità Stefano.
Io e la pollastrella siamo in reparti dell’ipermercato diversi, essendo un uomo sono un po’ inetto nel trovare gli articoli segnati sulla lista della spesa, dunque il mio compito è essenzialmente spingere il carrello (e al limite scegliere birre, lambrusco e frutta). Una giovane donna seguita da un figlio è vestita di tutto punto, un completo bianco un po’ retrò, un basco in testa, un viso da bambolina annoiata. Porta tacchi altissimi contro i quali sbatte il carrellino della spesa che trascina.
Ritorno a casa e ricevo una telefonata inaspettata, a quanto pare in giro c’è ancora qualcuno che mi corteggia, professionalmente parlando. Mi dirigo poi a Corrigium ad acquistare sacchi di pellet; ormai costano come l’oro, ma chi vive in campagna e non ha l’allacciamento al gas di città (il metano insomma) fare un pieno di GPL nel bombolone dietro casa al giorno d’oggi significa chiedere un mutuo ad una banca o vendere le proprie Gibson Les Paul
Mentre torno mi fermo al cimitero di Saint Martin On The River, porto i fiori a Brian e a Mother Mary, un momento di raccoglimento in cui puntualmente mi commuovo, quindi risalgo in macchina. Rifaccio per partire ma non riesco. C’è una forza magnetica che mi tiene incollato, una vibrazione atavica, un sentimento che mi scoppia nel cuore, che inonda l’anima, deborda, travolge il mio essere e come un fiume dirompente si dirige over the hills and far away … verso le colline che vedo a sud insomma. Mi chiedo ancora come sia possibile che un uomo di una (in)certa età quale sono sia ancora così incapace di governare i sentimenti e i blues, e continui a perdersi nelle profondità cosmiche dalle quali poi è difficile fare ritorno sani di mente.
Eppure sono razionale, so perfettamente che il nido di stelle non esiste, ma allora perché spendere così tante energie in una attività tanto futile? Venerdì ho partecipato ad un corso nella azienda in cui lavoro …diversity management, intelligenza emozionale, empatia … un corso diretto da due docenti di altissimo livello e in cui occorre interagire molto con se stessi e con gli altri. In uno dei vari momenti ci è stato chiesto di scrivere su cinque post it, da apporre sopra ad una nostra foto da bambini, cinque cose che ci descrivono. Oltre a scrivere che sono nato in una stazione dei treni il giorno del solstizio d’inverno (un classico per TT) e sciocchezzuole simili, in uno ho semplicemente vergato “sono irrequieto”. Ecco, appunto irrequieto, e quindi, come cantava McKinley Morganfield, Can’t Be Satisfied.
Lo si vedeva già da quando ero piccolo che ero irrequieto, ero già un ometto di blues
Eppure pur sentendomi sperduto, qui nel buco del culo del mondo, al contempo mi sento vivo, col cuore che batte forte. Sono ormai 40 minuti che sono qui fermo nel parcheggio del cimitero di Saint Martin … dietro di me un piccolo parco, poco più distante il campo da calcio e poi tanta campagna, la campagna brulla di febbraio pronta ad esplodere al primo fiotto di vita, un po’ come succede a me, e su in alto il cielo blu dell’Emilia.
Torno in me, accendo la Sigismonda, la blues mobile insomma, e faccio ritorno a Borgo Massenzio. Attraverso il paese che era di mia madre, rivedo i posti in cui sono stato da piccolo con lei, poi viro verso sud. Campagna aperta a vista d’occhio e il car stereo che passa Nonfiction dei Black Crowes; me lo suggeriscono anche loro, devo lasciare le mie fantasie e tornare alla realtà, ma il cuore continua battere forte …
I’m no builder, I’m no gardener
I sing some songs ….
Some like their water shallow
And I like mine deep …
Avrei bisogno di parlare col mio amico di Roma, lui saprebbe cosa dirmi, ma c’è una guerra in atto, tutte queste paturnie individuali mi mettono in imbarazzo, non voglio che pensi che sono ripiegato su me stesso, anche se è il mio amico voglio che mi veda con gli occhi di sempre.
Ma intanto i Corvi Neri continuano a circumnavigare la mia anima…
Ecco come mettere a frutto in modo creativo i momenti di perplessità e inquietudine che tutti noi attraversiamo. E certe canzoni dei Black Crowes sono un valido adiuvante. Questo post mi è piaciuto davvero moltissimo, è pieno di spunti che anch’io vivo e condivido
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