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Rolling Stones “Black and Blue”(1975/2025 super deluxe edition) TTTT½

9 Dic

Black and Blue è sempre stato, per me, uno di quei dischi che definisco “obliqui”: album che non risultano pienamente riusciti, oppure che riflettono periodi in cui le band non si trovavano nelle migliori condizioni, o ancora lavori nati in momenti di transizione.

The-Rolling-Stones-Black-and-Blue-Photo-by-Hiro-1976

Ho sempre subito il fascino di questi lavori: forse perché sono fatto così, o forse perché mi interessa ascoltare i risultati che emergono da momenti particolari. Inutile aggiungere, dunque, che Black and Blue è un disco che mi piace molto (e ovviamente la sua peculiare “colorazione cromatica” gioca a suo favore).

Siamo alla fine del 1974: Mick Taylor lascia la band, insoddisfatto del proprio ruolo. Il gruppo inizia a preparare un nuovo album con l’idea che le relative session possano anche funzionare come “audizioni” per scegliere il nuovo chitarrista.
Tra l’inizio di dicembre 1974 e aprile 1975, e poi tra ottobre 1975 e febbraio 1976, si svolgono le sedute di registrazione, con il contributo di vari ospiti tra cui Billy Preston e Nicky Hopkins.

Vengono utilizzati diversi studi: il Musicland di Monaco di Baviera, il Rolling Stones Mobile (per le session di Rotterdam) e il Mountain Recording di Montreux.
I chitarristi coinvolti — sia per il vero lavoro in studio sia per semplici jam session — sono Peter Frampton, Jeff Beck, Rory Gallagher, Robert A. Johnson (musicista di Memphis), Johnny “Shuggie” Otis (multistrumentista di Los Angeles), Wayne Perkins e Harvey Mandel. A questi si aggiunge naturalmente anche Ron Wood, che nel 1975 partecipa al tour come secondo chitarrista.

Verso la fine di quell’anno i Faces, gruppo di cui Wood fa parte, si sciolgono: diventa quindi quasi inevitabile per lui entrare a far parte dei Rolling Stones. Gli altri chitarristi britannici, in particolare Beck e Gallagher, vengono considerati forse troppo tecnicamente dotati e brillanti per integrarsi in una rock’n’roll band come i Rolling Stones.

Black and Blue esce il 23 aprile 1976: arriva 1° negli USA, 2° nel Regno Unito, 11° in Italia, 1° nei Paesi Bassi, 2° in Canada e così via. Questa nuova edizione “superiore di lusso” — oltre al tanto materiale bonus — mette in evidenza il nuovo mix dell’album originale, curato dal solito Steven Wilson.

La nuova moda di “ripulire a fondo” le registrazioni storiche è un argomento delicatissimo. Una cosa è la rimasterizzazione, cioè un intervento sul master stereo originale per migliorarne la resa; un’altra è il remix, che significa rivedere l’intero bilanciamento originario intervenendo su ogni singolo strumento. In passato sono stato piuttosto critico su queste operazioni (come dice il mio amico Picca, è un po’ come ritoccare la Gioconda con Photoshop), mentre oggi sono meno rigido.

Sia chiaro: trovo insopportabili i remix che stravolgono completamente gli originali — quelli pensati per rendere più “moderna” certa musica (quello che hanno fatto gli Whitesnake, per dire, è da galera!). Al contrario, ascolto volentieri i nuovi mix che rispettano il canovaccio originale e cercano unicamente di dare un respiro più ampio alla musica. Anche qui, volendo, ci sarebbe comunque da fare distinzioni.

Black and Blue è sempre stato considerato il disco degli Stones degli anni Settanta con il suono migliore: è facile quindi capire perché Wilson sia intervenuto con molta cautela. E infatti si percepisce una musica che “respira” con più facilità, senza però allontanarsi troppo dal ricordo sonoro che ciascuno di noi ha in mente.

Hot Stuff è costruita sul riff funk di Keith Richards e su un approccio marcatamente black fino a quando non si apre in un più convenzionale — ma riuscitissimo — formato canzone. Splendido il lavoro di Harvey Mandel alla chitarra solista.

Hand of Fate riporta il disco su canoni più tipicamente Stones: un andamento rock al tempo stesso delicato e deciso, con chitarre ritmiche splendide e, ancora una volta, una solista di grande qualità grazie a Wayne Perkins. Un momento davvero notevole.

Segue il rifacimento di Cherry Oh Baby, brano reggae del 1971 dell’artista giamaicano Eric Donaldson. La versione dei Rolling Stones è piuttosto fedele all’originale; le chitarre sono affidate a Richards e Wood.

Il piano introduce Memory Motel, una toccante canzone d’amore scritta con la schietta delicatezza della vita on the road. Mick Jagger la interpreta come solo lui sa fare, mentre Keith aggiunge ulteriore pathos con il suo intervento vocale. Se ci mettiamo anche un tocco del piano Fender Rhodes, il quadro è completo. Una meraviglia che solo gli Stones sanno creare.
Non c’è molta chitarra in questo brano, ma quel poco che c’è è suonato magnificamente da Harvey Mandel. La band è coesa — alla maniera dei Rolling Stones, s’intende — tutto sembra perfettamente al suo posto… non resta che lasciarsi commuovere dal ricordo di amori passati, sfumati in lontananza.

Hannah honey was a peachy kind of girl
Her eyes were hazel
And her nose was slightly curved
We spent a lonely night at the Memory Motel
It’s on the ocean, I guess you know it well

It took a starry night to steal my breath away
Down on the waterfront
Her hair all drenched in spray

Hannah baby was a honey of a girl
Her eyes were hazel
And her teeth were slightly curved
She took my guitar and she began to play
She sang a song to me
Stuck right in my brain

You’re just a memory of a love
That used to be
You’re just a memory of a love
That used to mean so much to me

She got a mind of her own
And she use it well, yeah
Well she’s one of a kind
Got a mind

She got a mind of her own, yeah
And she use it mighty fine

She drove a pick-up truck
Painted green and blue
The tires were wearing thin
She done a mile or two
When I asked her where she headed for
“Back up to Boston I’m singing in a bar”

I got to fly today on down to Baton Rouge
My nerves are shot already
The road ain’t all that smooth
Across in Texas is the rose of San Antone
I keep on a feeling that gnawing in my bones

You’re just a memory of a love
That used to mean so much to me
You’re just a memory girl
You’re just a sweet memory
And it used to mean so much to me

Sha la la la la

You’re just a memory of a love
That used to mean so much to me

She got a mind of her own
And she use it well, yeah
Mighty fine
‘Cause she’s one of a kind

She got a mind of her own
She’s one of a kind
And she use it well

On the seventh day my eyes were all a glaze
We’ve been ten thousand miles
Been in fifteen states
Every woman seemed to fade out of my mind
I hit the bottle I hit the sack and cried

What’s all this laughter on the 22nd floor
It’s just some friends of mine
And they’re busting down the door

Been a lonely night at the Memory Motel

You’re just a memory girl, just a memory
And it used to mean so much to me
You’re just a memory girl, you’re just a memory
And it used to mean so much to me
You’re just a memory girl, you’re just a sweet old memory
And it used to mean so much to me
You’re just a memory of a love that used to mean so much to me

She’s got a mind of her own and she use it well yeah
Well she’s one of a kind

Hey Negrita (Inspiration by Ron Wood) è un rock a tempo medio costruito sulle chitarre di Richards e Wood, tenuto caldo da venature nere, tra funk e accenni reggae. Niente male anche l’assolo di Ronnie, energico e ben inserito nell’andamento del brano.

Melody (Inspiration by Billy Preston) scivola sulle lente cadenze di uno swing venato di blues; qui Billy Preston è in primissimo piano — piano, organo, cori — perfetto sparring partner di Jagger. Melody deve parecchio a Do You Love Me, dal suo album del 1973, e l’influenza è evidente senza risultare pesantemente imitativa.

Fool to Cry, fortunatissimo singolo tratto dall’album, è un’altra di quelle canzoni di cui sono innamorato: il modo in cui la canta Mick Jagger, il testo, la ragazza che vive nella parte povera della città… I Rolling Stones restano immensamente rock anche quando si cimentano nelle ballate. Il nuovo mix sembra amplificare ulteriormente l’emozione del brano. Nicky Hopkins, al piano e al sintetizzatore (archi), è semplicemente spettacolare.

You know, I got a woman
(Daddy, you’re a fool)
And she live in the poor part of town
And I go see her sometimes
And we make love, so fine
I put my head on her shoulder
She said, “Tell me all your troubles.”
You know what she said? she said

“Daddy you’re a fool to cry
You’re a fool to cry
And it makes me wonder why.”

Crazy Mama si muove su territori che i Rolling Stones hanno percorso molte volte: un classico rock / rock’n’roll nel loro stile più riconoscibile. Ron Wood e Keith Richards sono alle chitarre, con Keith anche al basso. Una chiusura di disco che testimonia come i Rolling Stones, nonostante tutto, siano ancora pienamente sé stessi.

Album particolare, dunque, ma vivo, denso, palpitante; forse imperfetto, ma pur sempre una fotografia nitida di quei mesi.

◊ ◊ ◊

I Love Ladies è la prima outtake: un tempo medio non banale, una buona canzone, semplice nella scrittura,  per quanto mi riguarda quasi tutto ciò che Mick e Keith hanno composto in quegli anni Settanta mi tocca nel profondo.

La cover di Shame Shame Shame, pezzo disco-rock del 1975 di Shirley & Company, non è affatto male: simile all’originale, ma suonata con l’anima dei Rolling Stones. Volendo essere pignoli, ci si può chiedere perché non siano state incluse Slave, Start Me Up (in versione reggae) e Carnival To Rio (registrata insieme a Eric Clapton), tutte registrate nel periodo in cui Black and Blue veniva confezionato.

Chuck Berry Style Jam (con Harvey Mandel) è un’improvvisazione rock’n’roll generica di oltre cinque minuti, mentre Blues Jam (con Jeff Beck) arriva quasi a dieci. Quest’ultima aiuta a immaginare come sarebbero stati i Rolling Stones con Jeff Beck al posto di Ron Wood: in questo lungo blues Jeff sembra amalgamarsi col gruppo, anche se a tratti la sua inventiva emerge in modo così evidente da sembrare forse fuori luogo nel contesto.

La Rotterdam Jam (con Jeff Beck e Robert A. Johnson) è più movimentata e, a tratti, sconfina nel jazz-rock, un territorio sulla carta ostile ai Rolling Stones, ma che sembra funzionare piuttosto bene. Lo stesso vale per Freeway Jam (con Jeff Beck), brano scritto dal grande Max Middleton e apparso nell’album Blow by Blow di Beck del 1975. I Rolling Stones lo trasformano in un quasi-shuffle bluesato, su cui Jeff Beck si inserisce alla sua maniera. Curioso: ascoltando questi episodi, si ha quasi l’impressione che Jeff Beck nei Rolling Stones non sarebbe stato un corpo estraneo.

Anche in questo caso ci si chiede che fine abbiano fatto le jam session registrate con Rory Gallagher.

Chiaro che, ascoltando la registrazione dal vivo del 1976 a Earls Court, non si può non notare come Ron Wood si fosse calato perfettamente nel ruolo di seconda chitarra del gruppo. I brani tratti da Black and Blue risultano convincenti: il gruppo li affronta con la giusta determinazione. Hand of Fate non fa prigionieri, Hey Negrita è grintosa, Fool to Cry, suonata con un effetto flanger incisivo, acquista ancora più forza e supera a pieni voti l’esame live. Forse solo le tastiere appaiono un po’ pacchiane, ma il resto funziona davvero: qualche piccola imperfezione qua e là non fa che aggiungere valore all’onestà musicale e al flusso vitale che un vero musicista rock deve avere. Il riff di chitarra ritmica di Hot Stuff appare leggermente meno fluido, ma il resto della band entra con decisione nel ritmo del pezzo.

In conclusione, la super deluxe edition è di grande valore. Black and Blue resta un album da riscoprire e approfondire, e i Rolling Stones continuano a meritarsi il titolo di migliore rock’n’roll band di tutti i tempi.

◊ ◊ ◊

Black and Blue The Rolling Stones 4CD+blu-ray super deluxe

    • CD 1: Black and Blue – Steven Wilson 2025 Mix
      1. Hot Stuff
      2. Hand Of Fate
      3. Cherry Oh Baby
      4. Memory Motel
      5. Hey Negrita (Inspiration by Ron Wood)
      6. Melody (Inspiration by Billy Preston)
      7. Fool To Cry
      8. Crazy Mama
    • CD 2: Outtakes and Jams
      1. I Love Ladies
      2. Shame, Shame, Shame
      3. Chuck Berry Style Jam (With Harvey Mandel)
      4. Blues Jam (With Jeff Beck)
      5. Rotterdam Jam (With Jeff Beck and Robert A. Johnson)
      6. Freeway Jam (With Jeff Beck)
    • CD 3: Live at Earls Court 1976
      1. Honky Tonk Women
      2. If You Can’t Rock Me/Get Off My Cloud
      3. Hand Of Fate
      4. Hey Negrita (Inspiration by Ron Wood)
      5. Ain’t Too Proud To Beg
      6. Fool To Cry
      7. Hot Stuff
      8. Star Star (Starfucker)
      9. You Gotta Move
      10. You Can’t Always Get What You Want
      11. Band Intro
      12. Happy
      13. Tumbling Dice
      14. Nothing From Nothing
      15. Outa-Space
    • CD 4: Live at Earls Court 1976
      1. Midnight Rambler
      2. It’s Only Rock ‘n’ Roll (But I Like It)
      3. Brown Sugar
      4. Jumpin’ Jack Flash
      5. Street Fighting Man
      6. Sympathy For The Devil
    • Blu-ray
      Black and Blue Steven Wilson Atmos Mix and Steven Wilson Stereo Mix
      1. Hot Stuff
      2. Hand Of Fate
      3. Cherry Oh Baby
      4. Memory Motel
      5. Hey Negrita (Inspiration by Ron Wood)
      6. Melody (Inspiration by Billy Preston)
      7. Fool To Cry
      8. Crazy Mama
      Les Rolling Stones Aux Abattoirs, Paris-Juin 1976
      1. Band Intro
      2. Honky Tonk Women
      3. Hand of Fate
      4. Fool To Cry
      5. Hot Stuff
      6. Star Star
      7. You Gotta Move
      8. You Can’t Always Get What You Want
      9. Band Introductions
      10. Happy
      11. Outa Space
      12. Jumpin’ Jack Flash
      13. Street Fighting Man
      Live at Earls Court (Atmos & stereo)
      1. Band Intro
      2. Honky Tonk Women
      3. If You Can’t Rock Me/Get Off My Cloud
      4. Hand Of Fate
      5. Hey Negrita
      6. Ain’t Too Proud To Beg
      7. Fool To Cry
      8. Hot Stuff
      9. Star Star (Starfucker)
      10. You Gotta Move
      11. You Can’t Always Get What You Want
      12. Happy
      13. Tumbling Dice
      14. Nothing From Nothing
      15. Outa-Space
      16. Midnight Rambler
      17. It’s Only Rock ‘n’ Roll (But I Like It)
      18. Brown Sugar
      19. Jumpin’ Jack Flash
      20. Street Fighting Man
      21. Sympathy For The Devil

Vi sono inoltre i seguenti formati:

5LP+Blu-ray super deluxe

2LP deluxe

2CD deluxe

Van Halen – Balance (Expanded Edition – Warner/Rhino Records 2025) – TTT¾

3 Set

Nuova edizione di Balance dei Van Halen pubblicata poco fa in occasione del trentesimo anniversario dell’uscita dell’album; il cofanetto consiste in 2LP/2CD/Blu-ray, è tuttavia possibile acquistare le singole versioni a 2 CD e 2 LP. Questo è il mio album preferito del periodo che va dal 1991 al 2012, era non particolarmente brillante per il gruppo. Approfitto di questa uscita per riascoltare il disco e per scriverne, chissà che dopo tutti questi anni non mi arrivi qualcosa di diverso.

Balance è un album che per certi versi si discosta dal carattere californiano tipico di molti lavori del gruppo, già dalla copertina si intuisce che i toni sono differenti: due gemelli congiunti (anche detti gemelli siamesi) su di una altalena in un desolato ambiente postatomico, il font usato che richiama caratteri del medioevo, l’Uomo Vitruviano di Leonardo Da Vinci raffigurato sul CD. Anche il titolo del primo pezzo, Il Settimo Sigillo (vedi il film del 1957 di Ingrid Bergman), contribuisce a fare di Balance un album più serio del solito, lo stesso dicasi per il nuovo look della band, anni novanta e piuttosto composto. Diversi critici scrissero che i VH avrebbero dovuto tornare al Rock divertente e meno impegnato dei primi anni, io non ho mai condiviso queste sciocchezze e ho sempre pensato che, sebbene fosse un album più oscuro degli altri e non del tutto riuscito, era da apprezzare l’intento del gruppo nel prendere una direzione diversa. L’album comunque arrivò al primo posto della classifica USA conquistandosi il triplo di disco di platino (3.000.000 di copie vendute).

The Seventh Seal si apre con un canto di monaci tibetani prima che un riff di chitarra, al contempo tenebroso e frizzante, inneschi il gruppo. Brano particolare, al passo coi tempi (siamo nel 1995 appunto), senza cadere nei gemiti strascicati tipici di quel decennio. Can’t Stop Lovin’ You cambia subito registro, ariosa, orecchiabile e probabilmente richiesta dal produttore Bruce Fairbairn; costruita su un giro armonico usatissimo i VH riescono comunque a renderla spumeggiante. Bello l’assolo di Eddie, efficaci certe aperture e l’arrangiamento.

Don’t Tell Me (What Love Can Do) rimane in bilico tra luce e tenebra, chitarra ritmica che gioca sull’effetto tempi dispari prima di rigettarsi sui canoni più consoni. Non amo particolarmente il modo di cantare di Hagar, in questo pezzo lo capisco una volta di più. Amsterdam è super, ritmo possente e a tratti funk; il testo riflette le considerazioni (piuttosto banalotte) di Hagar (tipica visione statunitense turistica) sulla città. Belle prove dei fratelli Van Halen. Gran pezzo.

“Big Fat Money” è un heavy Rock scatenato con un cantato che a tratti ricorda It’s the End of the World as We Know It (And I Feel Fine) dei R.E.M. (1987). Molto particolare la base ritmica che fa da sfondo all’assolo di chitarra. “Strung Out” è uno degli strumentali dell’album, proviene dagli anni ottanta, ad essere generosi la si potrebbe chiamare avant-garde, in realtà è Eddie che si diverte, durante una vacanza estiva, a giochicchiare con un pianoforte agendo direttamente sulle corde dello strumento stesso. Al produttore Bruce Fairbairn, a cui furono dati diversi nastri da ascoltare, piacque e finì così sul disco.

Trovo che “Not Enough” sia molto bella, un’agrodolce canzoncina d’amore, ben cantata, ben suonata, ben interpretata. Testo semplice tuttavia efficace. L’assolo di chitarra suonato su una tonalità minore, per quanto classicissimo, è delizioso.

“Aftershock” ha una scrittura standard in campo VH, pezzo minore (con tracce dei Metallica). “Doin’ Time” è il secondo strumentale, basato sul lavoro della batteria. A me Alex Van Halen come batterista piace, dunque ascolto questo strumentale senza fatica, certo, anche qui, scelta bizzarra. Segue “Baluchitherium”, brano a cui semplicemente non è stata aggiunta una melodia e un testo. L’inizio ricorda certi strumentali di Steve Vai dei primi anni novanta.

Si prosegue con “Take Me Back (Déjà Vu)”, uno dei momenti migliori di quest’album, basato su un riff  scritto da Edward Van Halen negli anni settanta. Il lavoro sulla chitarra acustica non è complicatissimo ed è di una purezza e bellezza disarmanti … tra l’altro suonato con un tocco magnifico, che gran chitarrista che era Edward Van Halen; l’elettrica, il basso e la batteria entrano bene movimentando il brano. Indovinato, come spesso accade, il break dedicato all’assolo di chitarra e molto carino anche il finale.

“Feelin’” ha un inizio tipico del Classic Rock di quegli anni, evocativo e misterioso, il ritornello è più convenzionale; nella base dell’assolo di chitarra la velocità aumenta e Edward, con la solista, cerca sentieri meno canonici.

Il materiale bonus contiene tre brani in studio rari, e un set dal vivo Live At Wembley Stadium, London, England (June 24, 1995).

“Crossing Over”, che uscì come B-side del singolo “Can’t Stop Lovin’ You” per la versione statunitense e bonus track nel CD per ilo mercato nipponico, ha il suo perché, traccia inusuale ma intensa … in alcuni brevi momenti ci sento Kashmir dei Led Zeppelin (minuto 3:48 e nella coda finale). “Humans Being” uscì nel 1996 come singolo per la colonna sonora del film Twister. Nulla di eclatante ma, ancora, nell’intermezzo a tempo dimezzato succedono cose buone. “Respect The Wind” è uno strumentale, anch’esso proveniente dalla colonna sonora del film Twister, la chitarra solista vanhaleggia, piuttosto bene, in modalità seriosa.

Valido il live del 1995, il gruppo suona con convinzione e facilità, certo, sono i VH degli anni novanta, con suoni suoni e approcci diversi, ma rimangono pur sempre loro.

  • Data di Uscita: 15/08/2025
  • Formato: Doppio CD / Doppio LP / 1 Blu ray
  • Etichetta: Rhino records

Balance (Expanded Edition) 2LP/2CD/Blu-ray tracklisting

LP One: Original Album: 2023 Remaster

Side One
“The Seventh Seal”
“Can’t Stop Lovin’ You”
“Don’t Tell Me (What Love Can Do)”
“Amsterdam”

Side Two
“Big Fat Money”
“Strung Out”
“Not Enough”
“Aftershock”
“Doin’ Time”

LP Two

Side One
“Baluchitherium”
“Take Me Back (Déjà Vu)”
“Feelin’”

Side Two
Etching

CD One: 2023 Remaster
“The Seventh Seal”
“Can’t Stop Lovin’ You”
“Don’t Tell Me (What Love Can Do)”
“Amsterdam”
“Big Fat Money”
“Strung Out”
“Not Enough”
“Aftershock”
“Doin’ Time”
“Baluchitherium”
“Take Me Back (Déjà Vu)”
“Feelin’”

CD Two
“Crossing Over”
“Humans Being”
“Respect The Wind”
Live At Wembley Stadium, London, England (June 24, 1995)
“The Seventh Seal” *
“Feelin’” *
“Ain’t Talkin’ ‘Bout Love” *
Guitar Solo *
“You Really Got Me” *
“When It’s Love” *
“Jump” *
“Right Now” *

Blu-ray
“Don’t Tell Me (What Love Can Do)” – Promo Video
“Can’t Stop Loving You” – Promo Video
“Amsterdam” – Promo Video
“Not Enough” – Promo Video
“The Seventh Seal” – Live at Target Center, Minneapolis, MN (July 30, 1995) *
“Humans Being” – Promo Video

* Previously Unreleased

JOHN MILES, Music Hall, Boston Mass, 02 april 1977 – TTTT½

7 Ago

Questa è la prima registrazione live relativa agli anni settanta di John Miles che trovo, ne sono davvero felice visto che quello del biondo di Jarrow non è un nome di cui ci sia tanto materiale in giro. Nell’aprile del 1977 John e la sua band erano in tour negli Stati Uniti, il secondo album era appena uscito e Miles cercava di farsi strada anche nel Nord America.

In aprile e maggio apriva i concerti dei Boston (a volte insieme ai Journey), oppure di Manfred Mann’s Earth Band (a volte da solo a volte insieme ai Lake e ai Genesis), o anche dei Supertramp. Come si può capire dalla recensione che allego qui sotto del concerto del 5 aprile, la John Miles Band in quel periodo faceva una gran bella figura, il gruppo era rodato, preparato, pronto …cosa avrei dato per poter assister ad un concerto di quel tour.

Recensione concerto 1977 BOSTON- JOURNEY-JOHN MILES

Ho scritto più volte su questo blog come il singolo Music uscito nel 1976 mi catturò completamente, per me e per il mio amico per le palle Biccio (pianista extraordinaire) diventò il manifesto programmatico della nostra adolescenza. Al primo della classifica olandese e belga, al 2° in Italia, al 3° in UK, al 10° in Germania e 88° in USA, Music nel 1976 fu un gran successo in Europa; Biccio lo portò ad uno dei saggi di pianoforte a cui partecipava regolarmente (insieme a mia sorella che – siamo nella seconda metà degli anni settanta – pianista anch’ella in quella occasione portò Maple Leaf Rag versione di Keith Emerson). Miles partecipò anche al Festivalbar del 1976.

Ritorniamo a noi, il tour del 1977 fu una meraviglia, la caparbietà giovanile, i primi due album da promuovere (Rebel del 1976 e Stranger In The City del 1977), la cazzimma (pur di stampo inglese) … la John Miles Band era un nome su cui puntare.

La splendida registrazione audience in questione si apre con House on the Hill, B-side del singolo “Remember Yesterday”, scelta coraggiosa ma forse un tantino azzardata, ma quelli erano anni in cui la musica era una cosa seria, il rigore dell’essere artista non andava confutato. Il brano è un buon Hard Rock elaborato con un ottimo assolo di John alla chitarra; Pull the Damm Thing Down dal primo album mette in circolo l’ottima musicalità prodotta dalla John Miles Band, il pezzo, molto bello, è costruito con l’alternarsi del tight but loose, luci e ombre, forza e tenerezza. John lo canta con la sua voce STRAORDINARIA con passione e anima. Certi passaggi delle tastiere sono un po’ dozzinali, ma la metà degli anni settanta è tipica per questo uso molto discutibile delle stesse. Elegante l’assolo di chitarra. Sette minuti di bellezza Rock. Grande apprezzamento da parte del pubblico, evidentemente colpito dal savoir faire del gruppo.

Stand Up (and Give Me a Reason) dal secondo album e un altro gran pezzo, chitarre Rock, ritornelli spensierati e la solita classe ineguagliabile. Difficile non ripetersi e non perorare la causa di Miles, un musicista completo, voce magnifica e abilità straordinarie alla chitarra e al piano. Finale denso di improvvisazioni tra chitarra e voce. Altri sette minuti di leggiadria. 

1977 tour BOSTON – JOURNEY-JOHN MILES

Music è presentata come quarto pezzo pezzo e con quell’inizio delicato e melodico riempie la Music Hall di Boston di magia, peccato solo per le tastiere ordinarie. Parte quindi la sezione Rock e il conseguente assolo di chitarra. John ritorna poi al piano e il pubblico si emoziona tanto; certo non è facile sostituire l’orchestra della versione in studio con una tastiera, ma il risultato regge. Di nuovo il tempo Rock ed ostinato su cui le tastiere cercano di riprodurre gli archi dell’orchestra, John torna a cantare … e quell’ultima doppia strofa riesce a darmi i brividi anche adesso, dopo tutti questi decenni

Music was my first love
And it will be my last
Music of the future
And music of the past
To live without my music
Would be impossible to do
In this world of troubles
My music pulls me through

Il pubblico gradisce tantissimo e tributa alla band un applauso a tutto tondo, l’emozioni riempiono l’aria. Highfly fu il primo singolo dell’era che conta di Miles, pubblicato nel 1975 arrivò al 17° posto delle classifiche UK e al 68° di quelle USA, posizioni davvero niente male per un artista sconosciuto, e infatti quando John lo introduce il pubblico sottolinea il gradimento. High Flyer è un gran pezzo che colpisce nel vico, è brillante, per certi versi molto inglese: un sfumatura rococò, una glam, una decisamente Rock. John la canta con il piglio giusto, la band lo segue con la consueta abilità. Tre minuti e mezzo tirati, lucidi, assolutamente convincenti. Il pubblico esplode … è gratificante sentire il pubblico così caldo per un artista che alla fine dei conti non riuscì mai a sfondare del tutto nel mercato statunitense. Chiude il concerto Slow Down, quello che all’epoca era l’ultimo 45 giri uscito e che arrivò 10° in UK e 34° in USA, un ottimo successo per John Miles. Slow Down ha un ritmo ballabile su cui si innestano chitarre Rock, il clavinet e una grinta mica da ridere. Il pubblico a questo punto è tutto dalla sua parte, batte le mani a ritmo e accompagna il brano. John canta benissimo, spingendo la voce con passione scatenata. Buono l’assolo di tastiere, molto anni settanta. John si lancia quindi nell’assolo di chitarra trattata con l’effetto Talk Box (Peter Frampton, Jeff Beck e Joe Perry anyone?). John Miles qui è travolgente, la vibrazione della musica nera è evidente, il funk e il rock che si accoppiano con foga, il gruppo e il pubblico in perfetta e sfrenata sintonia … baby won’t you please slow down … finale da pelle d’oca. Thank you, goodnite, God bless you. la John Miles Band lascia il posto ai Journey e ai Boston.

Io sono di parte, lo so, John Miles è uno dei miei artisti preferiti, ma sfido chiunque a non ammettere che, al di là dei gusti, John Miles in quei primi due anni era una forza della natura capace di unire eleganza e approccio decisamente (Hard) Rock. Qui sotto il link al concerto competo. In John Miles we trust!

◊ ◊ ◊ 

JOHN MILES
Music Hall
Boston Mass
April 2nd 1977
Hezekiahx2 Analog Master
to 1st Gen Reel to Reel at 7.5 ips
Transferred and Presented By Krw_co

LINEAGE HEZEKIAHX2 MASTER CASSETTE TO REEL TO REEL 1ST GENERATION AT 7.5 IPS >
TEAC A-7300 REEL TO REEL W/MANUAL AZIMUTH ADJUSTMENT>CREATIVE SOUNDBLASTER X-FI HD MODEL #SB1240 WAV(24/96KHZ)>MAGIX AUDIO CLEANING LAB FOR KRW TRACK MARKS VOLUME ADJUSTMENT AND EDITS>WAV(16/44.1KHZ)>TLH FLAC 8
Sony TC 153ECM-99 1 point stereo mic on a cane
Analog masters no longer exist (recycled after transfer to reel).

THE BAND
John Miles lead vocals keyboards guitar
Bob Marshall bass
Barry Black drums
Gary Moberley keyboards

SETLIST
1 Intro
2 House on the Hill
3 Pull the Damm Thing Down
4 Stand Up (and Give Me a Reason)
5 Music
6 Highfly
7 Slow Down

◊◊◊

John Miles sul blog:

Addio a John Miles (born John Errington; 23 April 1949 – 5 December 2021)

JOHN MILES suona “Music” nel programma omonimo di Canale 5 (11 gennaio 2017)

JOHN MILES “The Decca Albums” (Caroline-Decca-Universal 2016) – TTTTT

Bluesitudine: ALAN PARSONS PROJECT with JOHN MILES “Shadow Of A Lonely Man” 1978

JOHN MILES “Decca Singles 1975-79” (2012 7T’s Records / Cherry Red Records) – TTTTT

JOHN MILES European Tour 1979 tour program

Flashes from the Archives of Oblivion: JOHN MILES “Rebel ” (Decca 1976 – Universal /Lemon Recordings Remaster 2008) – JJJJ1/2

 

Rod Stewart, Forum di Assago, Milano 10/05/2025 – TTT

25 Mag

Sono qui ad Assago perché la Yamaha girl non ha mai visto Rod Stewart in concerto e questa potrebbe essere l’ultima possibilità, dopotutto Rod è del ’45, ottant’anni suonati. Non fosse per lei non sarei certo venuto, Rod ormai è lontano dai miei canoni musicali e non, e sono un po’ preoccupato di sporcare i ricordi che ho. Lo vidi all’autodromo Santa Monica (oggi Misano) nel 1983 e all’arena di Verona nel 1986, entrambi i concerti furono molto soddisfacenti, Rock, easy listening e ballate melodiche in un gran momento di forma del biondo (si fa per dire) di Highgate.

Nel corso del tempo ho seguito Rod per i suoi indimenticabili anni (1967/69) con il Jeff Beck Group e per alcuni album da solista che ho amato particolarmente [Atlantic Crossing (1975), A Night on the Town (1976), Foot Loose & Fancy Free (1977), Blondes Have More Fun (1978), Tonight I’m Yours (1981), Camouflage (1984) con Jeff Beck alla chitarra]. Per quanto mi riguarda è poi andato alla deriva sia dal punto di vista musicale, che da quello politico e ho perso interesse. Stasera non mi aspetto granché ma al di là del costo dei biglietti è pur sempre un concerto di uno che ha fatto del Rock come si deve e che ha venduto 120 milioni di dischi in tutto il mondo.

Rod Stewart Milano 10 maggio 2025 b – foto Tim Tirelli

Il Forum è sold out, la capienza è di 15.800 posti, il colpo d’occhio notevole. Ore 21 e qualche minuto, si parte.

Infatuation … e il primo pensiero è per Jeff Beck.

Lo accompagnano 13 musicisti, tra cui sei giovani donne (backing vocals, arpa, mandolino, banjo, etc etc) che nel corso del concerto prendono il controllo quando Rod va dietro alle quinte per i vari cambi d’abito.

Dopo quattro pezzi appare chiaro che è uno spettacolo che ha poco a che fare col Rock. Il gruppo ha una strumentazione usata senza amplificatori – accorgimento purtroppo in auge di questi tempi – col risultato di ottenere certo meno chiasso sul palco e meno sbattimento ma anche un suono pessimo, distorsioni fasulle e il peggior suono di batteria che io abbia mai sentito in un contesto del genere. Vi è anche la tirata assai fuori contesto a favore dell’Ucraina, con tanto di filmato, mah …

Su tutto però c’è l’effetto “Las Vegas” o meglio “serate da ultimo dell’anno delle reti Mediaset”, quello svilimento dell’arte trasformata in uno spettacolo nazional popolare a cui il pubblico (in verità non tutto) ormai sembra essersi arreso.

La voce non è niente male per un ottantenne, la usa bene, ovviamente a volte fatica ma lo fa in un maniera che rende la performance comunque apprezzabile e poi lo sappiamo Rod è un bravo showman peccato appunto l’approccio troppo gigionesco e commerciale.

Stewart ricorda il suo lontano passato con Rolling And Tumbling, cover di Muddy Waters, versione danzereccia ma con buon lavoro alle chitarre.

Young Turks è energica e convincente o forse mi pare così solo perché è stata la colonna sonora dell’anno in cui ho fatto il militare.

La mise rosa shocking appare  perlomeno pacchiana, ma lo si sa, a Rod Stewart è sempre piaciuto andare sopra le righe.

Con I’d Rather Go Blind (Etta James cover) la mia attenzione si alza, sono un fan di Etta James e Rod sa come affrontare il brano nel modo giusto.

Il concerto si snoda secondo i canoni di cui sopra, diversi i brani che sono stati capitoli della mia vita …

Rod Stewart Milano 10 maggio 2025 b – foto Tim Tirelli

The First Cut Is the Deepest, Baby Jane, I Don’t Want To Talk About It, Hot Legs

Rod Stewart Milano 10 maggio 2025 c – foto Tim Tirelli

… peccato siano scomparse le nuance dell’impegno musicale, la vibrazioni primordiali del Rock e del Blues; certo, stiamo parlando di RS del 2025, non ci aspettavamo certo i template degli anni sessanta e settanta, ma essere stati costretti a sorbirci Hot Stuff di Donna Summer durante una delle sue fughe dietro le quinte non è stato il massimo.

Rod Stewart Milano 10 maggio 2025 b – foto Tim Tirelli

Anche un pezzo scanzonato di enorme successo ma pur sempre valido come Da Ya Think I’m Sexy? sembra aver perso il battito primitivo, pare annacquato e inoffensivo.

Si chiude con Sailing e Sweet Little Rock And Roller. Cala il sipario senza che Rod saluti il pubblico. A me è parso un po’ deluso dal fatto che i 15.000 del Forum lo abbiano applaudito sì, ma non si siano scatenati (ad inizio concerto aveva provato senza successo a far alzare il pubblico dalle sedie). Già un altra volta in Italia ebbe da dire per una cosa del genere, arrivando ad usare epiteti sgradevoli. Magari è solo una sensazione mia.

Due biglietti (platea) a 195 e passa euro l’uno, due panini una birra e una coca, telepass autostrada, diesel … più di 500 euro. Ne è valsa la pena? Non ne sono sicuro. Il giorno dopo chiediamo ad un coppia di amici della Yamaha Girl che abbiamo incontrato al Forum se a loro il concerto è piaciuto: “mica tanto, troppi lustrini” è la loro risposta. Già.

Scaletta:

  1. Infatuation
  2. Tonight I’m Yours (Don’t Hurt Me)
  3. It’s a Heartache
    (Bonnie Tyler cover
  4. Some Guys Have All the Luck
    (The Persuaders cover
  5. Rollin’ and Tumblin’
    (Muddy Waters cover
  6. Rhythm of My Heart
    (Marc Jordan cover
  7. Forever Young
  8. The First Cut Is the Deepest
    (Cat Stevens cover)
  9. Tonight’s the Night (Gonna Be Alright)
  10. Young Turks
  11. Proud Mary
    (Creedence Clearwater Revival cover) (Sung by background singers
  12. Maggie May
  13. I’d Rather Go Blind
    (Etta James cover)
  14. Baby Jane
  15. Hot Stuff
    (Donna Summer cover) (Sung by background singers
  16. I Don’t Want to Talk About It
    (Crazy Horse cover
  17. If You Don’t Know Me by Now
    (Harold Melvin & The Blue Notes cover
  18. Da Ya Think I’m Sexy?
  19. Stay With Me
    (Faces song
  20. Hot Legs
  21. Sailing
    (The Sutherland Brothers Band cover)

    ENCORE:

  22. Sweet Little Rock & Roller
    (Chuck Berry cover)

Michael Schenker – Alcatraz, Milano 01/05/2025 – TTTT

4 Mag

REWIND (Riavvolgere)

Sono un adolescente, ho scoperto il Rock e amo passare i sabati pomeriggio al Peecker Sound di Furméżen, qui nell’Emilia Centrale, il più grande negozio di dischi della zona, accanto alla ben nota discoteca Picchio Rosso. Ho sempre una gran fame di Rock e acquistare LP (ellepì, insomma long playing, quelli che oggi vengono chiamati vinili) è una necessità spirituale, carnale, intellettuale, non ci sono (fortunatamente) internet e la possibilità di avere “tutto e subito”, i dischi o si comprano o si chiede ad un amico di metterceli su musicassetta, la formazione e il chilometraggio Rock te lo fai con sacrifici, ricerche, brividi continui; leggi i nomi di certi gruppi su Ciao 2001, Popster/Rockstar, Il Mucchio Selvaggio, Melody Maker (qualche copia arriva faticosamente sino alla stazione dei treni di Mutina), cerchi di capire di che Rock si tratti e se ti ispirano ti butti nell’acquisto (senza mai avere sentito nulla prima di allora). In realtà io vado molto a sentimento visivo, capito più o meno il genere sono le copertine ad irretirmi: Johnny Winter And/Live, Second Winter, Straight Shooter (Bad Company), Brain Salad Surgery (ELP) ad esempio … quegli album mi arrivano grazie a quelle copertine che ancora oggi mi fanno tremare. Nel grande negozio stavolta mi soffermo davanti alla lettera U degli scaffali/espositori, ho letto di recente qualcosa sugli UFO. Force It mi colpisce: in copertina due persone si baciano dentro ad una vasca da bagno contornata da un’orgia di rubinetti posizionati in una prospettiva surrealista quasi Magrittiana. L’edizione è una delle prime stampate per il mercato statunitense, con l’immagine ammorbidita, rendendo trasparente la coppia nella vasca col risultato di non mostrare chiaramente il sesso della coppia stessa e infatti, forse anche grazie ai pruriti adolescenziali, penso siano due donne. Per molti anni avrò questa convinzione (ma non sono il solo). Torno a casa, il sabato sera lo passo con gli amici – raccolti intorno ad un giradischi economico – a scoprire nuovi mondi. Let It Roll, High Flyer, Out In The Street, Mother Mary mi colpiscono in una maniera che risulterà indelebile.

FAST FORWARD (Avanti Veloce)

Autostrada del Sole, direzione Medhelan, o Mediolanun, qual dir si voglia; sosta all’Autogrill di Placentia, mi parte un ventello (come direbbe il mio amico Stivone) per un trancio di pizza margherita, un panino col crudo e un pezzetto di cioccolato. Con me la mia navigatrice preferita, la Yamaha Girl. Usciamo a Casalpusterlengo per rientrare a Lodi, visto la lunga coda dovuta ad un incidente. Lascio la Barriera Sud, mi immetto sulla tangenziale est e cerco di arrivare a nord della città; nemmeno il tempo di infilarmi in Via Valtellina che un furgone sta per lasciare vuoto un parcheggio a 100 metri dall’Alcatraz: what a stroke of luck! (che culo!, insomma). Due passi, un gelato, il ripensare che qui incontrai per la seconda volta il mio amico Polbi (colonna di questo blog e della mia vita) 26 anni fa (concerto di John Paul Jones) ed entriamo; sul palco gli Human Zoo, uno dei due gruppi spalla, heavy metal germanico anni duemila che naturalmente non fa per me. Alle 21 precise dall’impianto del locale parte Immigrant Song, si spengono le luci e poco dopo Michael Schenker, il grandissimo chitarrista degli UFO (e del MSG), appare sul palco. Con lui quattro musicisti di tutto rispetto pur con carriere in posizioni e gruppi di terza/quarta fascia: Erik Grönwall (cantante svedese classe 1987, venuto alla ribalta col talent show svedese Idol, e in passato cantante di Heat, New Horizon e persino degli Skid Row in una delle varie reincarnazioni), Bodo Schopf (batterista tedesco classe 1960, veterano di infiniti progetti e gruppi tra cui McAuley Schenker Group), Barend Courbois (bassista dei Paesi Bassi classe 1967 che ha suonato con Zakk Wylde, Adrian Vandenberg, White Lion, Mike Tramp, Michael Schenker Group), Steve Mann (chitarrista/tastierista londinese classe 1955, collaborazioni con Lionheart, McAuley Schenker Group, Sweet).

Sono un uomo di una (in)certa età ma pare che dentro di me vi sia a tratti ancora lo spirito del ragazzetto, infatti vedere Schenker entrare sul palco mi emoziona tantissimo; la partenza è classicissima, Natural Thing brano deciso in cui Michael divide gli interventi di chitarra con Steve Man; nemmeno il tempo di chiudere il pezzo che è già tempo di Only You Can Rock Me … volutamente avevo evitato filmati youtube, scalette e ogni notizia sul tour in atto, preferisco essere sorpreso e così è stato … mi commuovo, ho i tremori, sussulto, ah se il Tim adolescente potesse essere qui con me! Erik mi piace sin da subito, certo, qualche deriva metal, qualche cliché ma bella voce e, pur carico, non sfocia mai nel patetico come tanti, troppi cantanti heavy metal. Hot ‘n’ Ready e capisci definitivamente che MS è ancora in gran forma: bel suono (accoppiata Marshall e Gibson Flying V), gran begli assoli e il giusto approccio. Il super classico Doctor Doctor trascina il pubblico in un vortice elettrico; come sappiamo è un rock quadrato, molto teutonico, ma è pure molto trascinante. Mother Mary continua a mantenere alto il livello dell’Hard Rock proposto, Hard Rock che si quieta un attimo durante l’inizio della sempre bella I’m A Loser per poi riprendere a scintillare grazie al prosieguo di questo pezzo che ho nel cuore, dove Schenker alla solista suona da dio.

This Kid’s e il suo trasformarsi da Hard Rock potente a Blues ostinato e geometrico dove gli assoli di chitarra e di tastiere forgiati da fabbri esperti quali Michael e Steve parlano alle nostre pance. Il brano sfocia in Lights Out, cavalcata elettrica di derivazione Zeppeliniana, scritta da Schenker, Parker, Mogg e Way e che pare rifarsi agli scontri del 1976 tra i partecipanti del Notting Hill Carnival e la polizia (sempre poco tenera con immigranti e gente di colore), tra l’altro lo stesso evento ispirò i Clash per (il loro singolo) White Riot. Nata da un riff di Pete Way è chiaramente ispirata a Achilles Last Stand dei Led Zeppelin. In questo contesto live la prova di tutta la band è convincente. Schenker, anche qui, semplicemente stupendo.

Michael Schenker Group – MILANO – Alcatraz – 1 May 2025 – foto Saura Terenziani

Il Medley (Pipstick Traces – Between the Walls) non mi dice granché, non gradisco questo tipo di strumentali strappalacrime, ma Love to Love mi riporta in alto … misty green and blue Love to, love to love you … ah Michael Schenker, ah gli Ufo! Segue Let It Roll, il mio imprinting. La sezione lenta e melodica ad ampio respiro, rende questo tipo di Hard Rock memorabile, light and shade … è così che gli UFO spaccano. Parte Can You Roll Her e la reggiana dagli occhi di ghiaccio che ho di fianco parte le profondità cosmiche, uno dei suoi pezzi degli UFO preferiti; Michael alla slide. Reasons Love, ancora da Heavy Petting del 1976, pezzo che ho sempre reputato anonimo precede l’apoteosi finale: Rock Bottom. Il Riff potentissimo, l’andamento, il ritornello semplice ma efficacissimo, la parte più lenta riflessiva e lirica e  poi, e poi l’assolo di chitarra, anche stasera uno dei suoi più belli … mistero, melodia, velocità, luce nel buio.

“Do you wanna hear one more? Two more?” ci chiede Michael alla fine, e allora via di nuovo lungo i sentieri dell’Hard Rock anni settanta, quello che ancora oggi è imbattibile: Shoot Shoot e Too Hot to Handle. Bella prova della band (e altri due assoli brillanti ) e Too Hot To Handle, nelle parole di Schenker stesso dedicata a due suoi compagni d’arme che non sono più con noi: “next song, in memory of Pete Way and Paul Raymond”.

Riassumendo, il concerto di Michele Tavernari all’Alcatraz è stato a tratti magnifico e comunque di ottimo livello. Finissimo Hard Rock proveniente da un’altra era reso con classe e coerenza. Grazie Michael, grazie Erik, Steve, Barend e Bod.

Michael Schenker – Alcatraz Milano 01-05-2025 foto Tim Tirelli

Michael Schenker – Alcatraz Milano 01-05-2025 foto Tim Tirelli

Michael Schenker – Alcatraz Milano 01-05-2025 foto Tim Tirelli

Michael Schenker – Alcatraz Milano 01-05-2025 foto Tim Tirelli

 – VIDEO DI ALTA QUALITA’ (trattandosi di un audience) DEL CONCERTO COMPLETO –

un ringraziamento sentito all’autore

Tour Lineup:

Michael Schenker – Guitar

Erik Grönwall – Vocals

Bodo Schopf – Drums

Barend Courbois – Bass

Steve Mann – Keys/Guitar

Setlist:

Natural Thing

Only You Can Rock Me

Hot ‘n’ Ready

Doctor Doctor

Mother Mary

I’m a Loser

This Kid’s

Lights Out

Medley (Pipstick Traces – Between the Walls)

Love to Love

Let It Roll

Can You Roll Her

Reasons Love

Rock Bottom

Shoot Shoot

Too Hot to Handle

PER RICORDARE GLI UFO:

Rick Wakeman “Final Solo Tour” Parma 2 marzo 2025 – TTTT

6 Apr

Chi legge questo blog sa che abbiamo entrature presso lo staff italiano che di solito porta Rick Wakeman in Italia. La pollastrella è una fan super appassionata del grande Rick pertanto negli ultimi due lustri lo abbiamo incontrato parecchie volte, e in Italia e a Londra.

Rick Wakeman è ovviamente il keyboard wizard, uno dei due (l’altro era Keith Emerson) più grandi tastieristi della musica Rock, membro degli Yes e titolare di alcune opere da solista in grado di vendere milioni di copie (soprattutto The Six Wives of Henry VIII).

In occasioni del suo tour italiano siamo andati a vederlo e a trovarlo a Parma, nel bell’auditorium Paganini (720 posti).

Incontrare Floro, Francesca e Clelia (fan indefessi del maestro) è sempre un gran piacere, lo stesso dicasi per Claudio (indomito promoter), Paolo (manager) e Paolo P, il medico (nonché grande fan del biondo di Perival) che segue Rick durante i tour nello stivale.

Rick entra sul palco accompagnato da un un grande applauso, il camminare è un po’ insicuro, Rick non è più un giovanotto, ma Rimane un uomo comunque in gamba e un pianista spettacolare. Una volta raggiunto il piano a coda introduce brevemente la serata.

Rick Wakeman marzo 2025 Parma

La scaletta non è molto diversa da quelle proposte gli anni addietro.

L’apertura del concerto è dedicata alle mogli di Enrico VIII: Catherine of Aragon / Catherine Howard (la mia preferita).

Si prosegue con le collaborazioni fatte ad inizio anni settanta con Cat Stevens e David Bowie: Morning Has Broken / Space Oddity / Life on Mars,

quindi segue il momento Yes: The Meeting / And You and I / Wonderous Stories e puntualmente arrivano grandi applausi dal pubblico; si passa poi a King Arthur: Arthur / Guinevere / The Last Battle / Merlin the Magician.

Sul finale del concerto immancabili ecco i Beatles: Help! / Eleanor Rigby.

Rick saluta e dopo poco torna per i due bis:

Excerpts from Journey to the Centre of the Earth e The Gig (per me quest’ultima è sempre una delizia).

Rick Wakeman marzo 2025 Parma – Foto Tim Tirelli

L’auditorium Paganini tributa a Wakeman un caloroso applauso finale.

Poco dopo lo incontriamo, è sempre carino con noi (ma in verità lo è con tutti i fan che incontra, sempre disponibile e paziente)

Rick e Saura marzo 2025 Parma foto Tim Tirelli

Scambio due chiacchiere con lui e ci diciamo arrivederci.

Rick Wakeman marzo 2025 Parma - FotoTim Tirelli

Rick Wakeman marzo 2025 Parma – Foto Tim Tirelli

Un ultimo abbraccio con lo staff e siamo in autostrada diretti a est. Nelle orecchie ancora la maestria di Rick Wakeman, a 75 anni mantiene ancora un livello tecnico ed espressivo molto, molto alto. Che talento, che doti, che garra. Alla prossima Rick.

Yuma (featuring Johnny La Rosa) (2019 Maputo Productions) – TTTT

15 Set

Questo è un disco del gruppo/progetto Yuma, capitolo che si aggiunge alla discografia di Johnny La Rosa creato con l’aiuto di Parmiggiani e Tramalloni, validissimi partner musicali di Johnny. Ho riflettuto a lungo se parlare di questo disco visto che conosco Johnny da diversi decenni, se si frequenta il giro dei musicisti e degli appassionati di musica Rock della mia generazione della Regium-Mutina County si finisce per conoscere un po’ tutti, con lui poi il rapporto si è fatto più stretto nel corso degli anni, ad ogni modo mi son detto, il disco mi piace parecchio perché non devo scriverne?

In queste zone Johnny è una sorta di istituzione, un po’ come Southside Johnny and the Asbury Jukes ad Asbury Park, New Jersey o Bob Seger a Detroit, la sua musica composta da un blend aromatico di Rock, Blues, soul, roots e americana riecheggia spesso nei locali qui nell’Emilia centrale. Cantante e chitarrista dotato, sale sui nostri palchi spesso da solo o in compagnia di occasionali compagni di viaggio, una sorta di Robert Leroy Johnson della terra dei Cappelletti.

Tornando a Yuma, si comprende sin da subito che è un progetto importante pieno di musica bella, e di musica bella oggi in giro non ce n’è quasi più, merito dei brani di Johnny e del lavoro dei suoi due pards, Marco Parmiggiani (Rufus Party, Desmoines): chitarre, steel guitar e Ulisse Tramalloni (Julie’s Haircut): Batteria.

Fat City ha un ritmo sostenuto, si tratta di un Rock alla Tom Waits, qualche nuance garage e l’anima Rock and Roll. Bleeding Heart continua sullo stesso sentiero ma è più articolato, un bel Rock americano con accenti contemporanei e la tradizione sempre a portata di mano. Four O’ Clock Flowers … la voce di Johnny e trame sonore che la sostengono, un bordone su cui Johnny lancia il suo blues profondo all’universo.

Johnny La Rosa Yuma_cover

Con Hammers prendono corpo le ballate da beautiful loser di cui Johnny è un vero maestro. Piena di pathos la steel guitar di Parmiggiani, preciso il lavoro di batteria di Tramalloni. Lowland Night è ritmata, una fugace e introspettiva incursione notturna caratterizzata da una chitarra col wah wah sussurrato ma comunque vibrante. Con Driving Wheel le lacrime iniziano a scendere … brano lento tenuto per mano dalla batteria di Ulisse e cullato dalla bellissima steel guitar di Marco. Questi sono i pezzi per gli uomini di blues come noi, queste sono le canzoni adatte a questo blog. Chapeau, Johnny.

Johnny La Rosa

Silver Train rolla veloce su intrecci di chitarre e percorsi che corrono paralleli alle blues highway americane e finisce per buttarsi nel bayou, quello che Ry Cooder ha descritto perfettamente tante volte, nel rivolo chiamato Hell / Hate. Pussy Lover non si discosta troppo, ma certo è più percussiva e decisa. Sweet Temptation richiama alla mente i Rolling Stones degli ultimi decenni, bel Rock, volitivo e denso. Po’ Roustabout è diretta al centro della nostra anima, storie di manovali, di lavoratori saltuari, di poveri diavoli senza abilità particolari, quelli che abitano l’altro lato del sogno americano. Come già scritto qui Johnny La Rosa è un maestro, cantore della popolazione che vive sul confine di non si sa bene cosa. Chitarre che ti accompagnano al tramonto, andamento melodico che appartiene un po’ a tutti, bel tratteggio ritmico e grandi chitarre. Poi, certo, la voce di Johnny scolpita dalle lunghe estati emiliane, dagli odori della grande pianura … la nostra terra, voce abituata al controcanto di grilli e cicale e a cambiare registro quando lento scende l’autunno. In questo campo, per me, pochi come Johnny.

Silent Killer è un crescendo di sensazioni sonore, le chitarre sono di nuovo intriganti e bellissime. In un mondo “Rock” fagocitato dalla narrazione heavy metal, dalle chitarre sempre spinte al massimo, da un approccio tout court e dozzinale mi chiedo se qualcuno si accorga che vi sono maniere diverse, in campo Rock, di far interagire le chitarre elettriche, di “posarle” sulla musica, di interpretarle.

Marco Parmiggiani (courtesy Gloria Annovi)

Pouring Rain ci dà di tremolo e di steel guitar, tempo alla Rolling Stones e, cazzo, ancora chitarre sublimi! Pioggia battente su questo bel pezzo sfumato ma di una foggia precisa. Gran drumming (e anche qui si potrebbe riproporre il discorso appena fatto e disquisire sulle batterie metal). Lonely Dream è una sorta di talking blues, un pezzaccio alla John Lee Hooker seppur ovviamente più movimentato e moderno.

Due parole in più per il finale … Nowhere Bound ti spezza il cuore, un inno a chi, come noi, non è diretto da nessuna parte in particolare e se lo è è certo diretto verso i guai. La steel guitar – che ben si amalgama alla chitarra di Johnny – descrive bene la dolce malinconia di chi, lo scriviamo spesso qui sul blog, come noi è alla perenne ricerca del proprio nido di stelle pur sapendo che non esiste; e allora via, incamminàti in solitaria verso strade secondarie e deserte, verso questo infinito quesito: chi siamo, da dove veniamo, dove stiamo andando? Quattro minuti magnifici in cui l’essenza di Johnny La Rosa viene fotografata perfettamente a fuoco … non lo ringrazierò mai abbastanza per canzoni come questa.

La traccia non finisce qui, dopo un minuto di silenzio eccola la ghost track del disco, il solo Johnny con la chitarra, in secondo piano il mondo col suo rumore di fondo ci porta nella “città desolata dei sogni infranti, dove stanno quelli col cuore spezzato”, la Lonsome Town cantata a suo tempo (nel 1958) da Ricky Nelson. Johnny ne dà una versione personale, meno sdolcinata, meno mainstream, di certo più blues (in senso lato). Un altro piccolo capolavoro. 

Yuma

Yuma: Ulisse Tramalloni, Giovanni Bianchi (appare nella nuova formazione), Johnny la Rosa.

Yuma è un progetto vincente proposto da alcuni beautiful losers, progetto che magari si perderà nel marasma isterico di questa era confusa e artefatta dove musica e società si sono ormai perse, ma rimane una isola dove rintanarsi ogni tanto e godere della salubre aria sonora creata da Ulisse, Marco e Johnny La Rosa.

Giù il cappello!

 
TRACKLIST 
  • 1. Fat City
  • 2. Bleeding Heart
  • 3. Four O’ Clock Flowers
  • 4. Hammers
  • 5. Lowland Night
  • 6. Driving Wheel
  • 7. Silver Train
  • 8. Hell / Love
  • 9. Pussy Lover
  • 10. Sweet Temptation
  • 11. Po’ Roustabout
  • 12. Silent Killer
  • 13. Pouring Rain
  • 14. Lonely Dream
  • 15. Nowhere Bound

Johnny La Rosa : voce e chitarra
Marco Parmiggiani : chitarre, steel guitar
Ulisse Tramalloni : batteria

Registrato e missato da Andrea Rovacchi al Sonic Temple Studio di Parma.

Qui è possibile ascoltare i brani dell’album:

https://www.rockit.it/yuma/album/yuma/45102

BLACK CROWES, Milano 27-05-2024 – TTTT

4 Giu

Milano, Teatro Arcimboldi, lunedì 27 maggio 2024.  Sono venuto a vedere i Black Crowes insieme a Lollo e alla Lotty che ci raggiunge da Genova. I fratelli Robinson hanno il loro nuovo album da portare in giro ed è dunque cosa buona e giusta essere presenti all’evento. I BC sono uno di quei gruppi che qui sul blog si amano, punto; negli anni novanta le migliori chitarre Rock (per come lo si intende qui) erano le loro. Il sound, l’amalgama, le accordature aperte, la trama … una meraviglia.

Stasera il gruppo spalla è quello dei Jim Jones All Stars, garage rock and roll con sfumature blues e punk. Non sono impressionato ma lo ascolto volentieri, il battito e l’approccio primordiale del rock and roll servono sempre. Il pubblico va e viene, al momento il teatro è pieno per metà … incrocio e saluto Antonio “Rigo” Righetti, musicista di Modena della mia generazione che conosco piuttosto bene (a lungo bassista di Ligabue e amante di questo tipo di Rock).

Sgomberato il palco dalle loro cose, ci si prepara all’arrivo dei Black Crowes. Il Teatro ora è pieno, circa 2400 persone.

Black Crowes, Teatro Arcimboldi, Milano 27/05/2024 foto Tim Tirelli

Black Crowes, Teatro Arcimboldi, Milano 27/05/2024 foto Tim Tirelli

Dall’impianto esce It’s A Long Way To The Top degli AC/DC e la band entra in scena. Bedside Manners definisce l’inizio dello show, il gruppo rolla deciso sin dalle prime battute.

Chris Robinson invita tutti ad alzarsi: “questo è un cazzo di concerto Rock, forza in piedi”. Alla fine del primo pezzo continua nell’intento di smuovere la gente, se la prende con un poveretto sulla destra che rimane seduto, poi, se interpreto bene, anche con uno del servizio d’ordine che cerca di limitare l’uso dei cellulari. Non mi è piaciuta questa tirata, se fossi stato io a prenderci sotto avrei mandato Chris Robinson a farsi dare dove si nasano i meloni, come diciamo qui. Uno ad un concerto non è obbligato a fare quello che dice un cantante su di giri, uno può aver acquistato un biglietto per lo spettacolo proprio perché pensava di potere stare seduto, magari per problemi personali, magari perché non gli andava di ballare. Insomma, io fossi stato in lui avrei evitato, ma d’altra parte sappiamo cosa sono i cantanti.

Black Crowes, Teatro Arcimboldi, Milano 27/05/2024 foto Tim Tirelli

Black Crowes, Teatro Arcimboldi, Milano 27/05/2024 foto Tim Tirelli

Il palco ha un gusto retrò, sapori provenienti da vecchi circhi o da vecchi locali statunitensi, tutto molto carino; notevoli gli ampli di chitarra presenti sul palco, tra cui Marshall, Vox , Orange e Fender. Coriste, batteria e tastiere sulla pedana (assai) rialzata. Si rivede al basso Sven Pipen, all’altra sei corde il chitarrista argentino Nico Bereciartua.

Black Crowes, Teatro Arcimboldi, Milano 27/05/2024 foto Tim Tirelli

Black Crowes, Teatro Arcimboldi, Milano 27/05/2024 foto Tim Tirelli

I brani del nuovo album non sono affatto male e dal vivo si difendono, chiaro che quando la band propone i classici, quelli che abbiamo tatuati sul l’animo, beh … il resto passa un po’ in secondo piano. Twice As Hard, Thorn in My Pride, Sting Me, Jealous Again, Remedy sono tra le più belle cose che si possano sentire oggi in un contesto live. She Talks to Angels poi ci trasporta tra le profondità cosmiche. L’acustica di Rich Robinson, le malinconie della melodia, la slide (suonata su una chitarra con lo stringbender), la band che con eleganza rende omaggio ad una grande, grande, canzone. Penso agli amici e conoscenti che vanno a vedere l’ennesimo concerto heavy metal e poi si perdono brani del genere, mah … per me sono questi i momenti che definiscono il vero senso del Rock.

https://www.youtube.com/watch?v=eul4ugcl6yo

Durante Goodbye Daughters Of The Revolution tracce chiare dei Rolling Stones e magari anche dei Faces o meglio Rod Stewart. Tra le cover, oltre alla classicissima Hard To Handle di Otis Redding, segnalo High School Confidential di Jerry Lee Lewis. 
L’impianto dell’Arcimboldi non è all’altezza … il suono pare confuso, poco chiaro, impastato … inaccettabile per un concerto di bella musica Rock in un teatro indoor. Rifletto poi sul fatto che i Black Crowes oggi non sono più una vero gruppo, ora si tratta di due fratelli che assumono chi gli pare e vanno in giro senza gli orpelli dei rapporti passati (mi riferisco al batterista Steve Gorman). Se non altro prendono a bordo gente capace e in linea con il Rock proposto … una volta dissolti i gruppi è difficile mantenere coerenza artistica ed onestà musicale, ma i Fratelli Robinson & Friends in qualche modo portano a casa il risultato.

Black Crowes, Teatro Arcimboldi, Milano 27/05/2024 foto Tim Tirelli

Black Crowes, Teatro Arcimboldi, Milano 27/05/2024 foto Tim Tirelli

A fine concerto rimango a respirare le ultime vibrazioni Rock ancora nell’aria, il pubblico defluisce, mi incammino verso lo spazio esterno antistante al teatro dove Lollo e Lotty mi stanno aspettando. Nemmeno il tempo di uscire e…

“Tim!! Ciao Tim!!”

Guardo il giovane uomo che mi chiama. Sul momento penso a qualcuno che ho incontrato da qualche parte di cui non ricordo volto e nome.

“Ciao, scusa, tu sei …?”

“Non ci conosciamo, sono un lettore del tuo blog, Michele da Verona, non ho mai scritto, faccio parte della maggioranza silenziosa, volevo solo dirti di continuare a scrivere e di non fermarti, ti leggo sempre.”

Abbraccio questo caro amico sconosciuto, non so nulla di lui, eppure lo sento immediatamente vicino. Potenza del blog. Che i lettori del blog vadano ai concerti dei Black Crowes mi riempie il cuore.

E allora con l’animo pieno di Rock e di good vibrations via di nuovo verso sud est, verso quella parte di pianura al contempo placida e frenetica in cui sono nato e cresciuto. L’ora è tarda, il mood si fa riflessivo, cerco di non ascoltare le centurionate musicali che Lollo vuole farmi ascoltare, mi isolo in uno di miei momenti blues, in lontananza verso sud le luci sugli appennini brillano … ci scommetto che c’è oro in quelle colline.

Scaletta:

Bedside Manners
Dirty Cold Sun
Twice as Hard
Gone
Goodbye Daughters of the Revolution
Sister Luck
Cross Your Fingers
High School Confidential
Thorn in My Pride
Wanting and Waiting
Hard to Handle
She Talks to Angels
Follow the Moon
Sting Me
Jealous Again
Remedy

Bis:
God’s Got It

AC/DC, Arena RCF, Reggio Emilia, 25-05-2024 TTTT

31 Mag

Mesi fa l’umana con cui vivo mi convince a comprare i biglietti per gli AC/DC in occasione del loro ritorno in Italia, per di più nella nostra città, in pratica dietro casa. A conti fatti spendiamo (tra costo ticket, prevendita e non precisate tasse) 170 e passa euro a biglietto … una follia mi dico. Il fatto è che del concerto di Imola del 2015 ricordiamo poco, eravamo lontani dal palco in un posto (l’autodromo appunto) che mal si presta ad un evento del genere, così volevamo riuscire a vederli in maniera consona, ecco il perché di due biglietti Zona Rossa, quella più vicina al palco. In fondo gli AC/DC ci piacciono, personalmente non faccio parte dell’esercito che li venera, tuttavia amo molto qualche loro album (e ovviamente con Back In Black – che ho vissuto in diretta da adolescente – ho un rapporto carnale) e apprezzo il loro approccio, sì perché mettono in scena quello che sono senza tiramenti: working class australiana di provenienza scozzese (e per quanto riguarda Brian Johnson della Britannia zona Newcastle) che parla alla pancia delle persone ma con un linguaggio che pesca nelle paludi del blues più genuino.

Passano i mesi ed eccoci a sabato scorso, giorno del concerto. Da qualche anno abbiamo in città una delle più belle e funzionali arene outdoor d’Italia, ne siamo orgogliosi e questa è l’occasione per godercela appieno. Parcheggiamo a Gavassa e poi a piedi fino al Campo Volo, alle 17 siamo all’entrata dell’Arena, un po’ di attesa per capire a che punto è Doc, che viene da Milano per veder Angus, poi decidiamo di entrare. Un saluto e un abbraccio a Marzia R e Giorgio (abbiamo colori di fasce differenti) e alle 17:30 siamo nella Red Zone, nemmeno troppo lontani dal palco.

AC/CD – Reggio Emilia – Red Zone – foto TT

Un’oretta di bivacco per riprendere le forze prima della tempesta di watt che ci attende, un paio di panini, una birra e verso le 19 su in piedi. E’ il momento del gruppo spalla, i Pretty Reckless; trattasi di gruppo statunitense di heavy rock odierno, messo in piedi da una ex modella. Personalmente penso non siano niente di che, gamma espressiva limitata, tutti i pezzi (forse tranne uno) molto simili, nessun guizzo particolare. 

Alla 20 i tecnici salgono sul palco, tolgono gli strumenti dei Pretty Reckless, levano i teli, svelano la strumentazione del gruppo australiano e procedono ad un minimo di soundcheck. Do uno sguardo d’insieme al palco: è uno spettacolo.

AC/CD – Reggio Emilia – Red Zone – foto TT

Il sistema audio utilizzato unisce quello degli AC/DC a quello proprio della Arena RCF e sembra davvero potente. Mi soffermo sulla grafica che appare sui grandi maxischermi,

AC/DC, Reggio Emilia, 25-05-2024 foto Tim Tirelli

AC/DC, Reggio Emilia, 25-05-2024 foto Tim Tirelli

poi sulla campana dell’inferno … rifletto sui 100.000 biglietti venduti, di cui sembra 6.500 all’estero e 8.000 nella sola Reggio Emilia.

AC/DC, Reggio Emilia, 25-05-2024 foto Tim Tirelli

AC/DC, Reggio Emilia, 25-05-2024 foto Tim Tirelli

20:45 inizia lo show.

Siamo a 15/20 metri dal palco, la visuale è buona è il suono notevole: potente, chiaro, rotondo. La prima impressione è che Brian, 76 anni, con la voce sia messo meglio del previsto e, se si può dire, che Angus appaia un pochino arrugginito, forse i 69 anni si fanno sentire e inoltre questa è solo la seconda data del tour.

Si procede con Demon Fire (da Power Up), Shot Down in Flames e Thunderstruck il cui inizio è un pochino sfasato, ma sia chiaro, Angus per tutto il concerto terrà il punto suonando sempre con l’attacco giusto e – inutile dirlo – con molto gusto. E’ solo che gli anni passano e il tempo lascia il segno, la scioltezza a tratti sgocciola e le sbavature diventano inevitabili, ma anche questo è Rock (se comunque si resta su questo alto livello), mostrarsi umani ma con la giusta cazzimma, e Angus, lasciatemelo dire, di cazzimma ne ha da vendere.

Segue il pezzo il cui titolo mi fa sempre ridere.

Alla chitarra ritmica Stevie Young, nipote di Angus, fa il suo lavoro; Chris Chaney il polistrumentista statunitense (chitarra/basso/batteria) rimane su linee di basso molto basilari, il suo lavoro non sembra granché ma visto il suo palmares (Shakira, Beth Hart, Adam Lambert, Alanis Morissette, Avril Lavigne, Bryan Adams, Sara Bareilles, Gavin Degraw, Meat Loaf, Jane’s Addiction) deve essere comunque un bravo musicista. Matt Laug è un battersita Rock americano molto quotato, qui lo conosciamo per il suo lavoro con Vasco Rossi, con gli AC/DC si limita alla ritmica essenziale del gruppo ma è chiaro che dentro dì sé avrebbe numeri da sfoggiare mica da ridere.

Guardare i video caricati su youtube, ascoltarli dal computer o dal cellulare non rende giustizia al sound del gruppo, sound che ripeto è potente, grandioso, forte e tutto questo senza assordare. Produzione di altissimo livello. Brava RCF Arena, bravi AC/DC, è così che si deve presentare il Rock.

Shot in the Dark (da Power Up), Stiff Upper Lip e poi Saura (l’umana che cito all’inizio) che parte a razzo verso le stelle non appena parte la sua preferita … 

Benché il tempo tenuto sia quello tipico degli AC/DC si intuisce che Laug sia un batterista molto talentuoso, proprio per come tiene il ritmo. Angus carico a mille e Brian MICIDIALE: a un76 enne che ancora canta i pezzi degli AC/DC andrebbe fatta una statua. Il gruppo continua con Sin City, Rock ‘n’ Roll Train, Dirty Deeds Done Dirt Cheap, High Voltage, Riff Raff prima di arrivare alla leggendaria You Shook Me All Night Long. Io prediligo gli AC/DC con Brian Johnson e lo capisco ogni volta dalle sensazioni che provo. Mi piacciono i pezzi con belle melodie, bei giri di chitarra e in generale il songwriting più attento. Ho stimato molto anche Bon Scott, ma i successi che si basano su boogie ordinari – seppur divertenti – tipo High Voltage e TNT non fanno per me. Ad esempio al loro posto avrei preferito Moneytalks e cose simili.

Ci immettiamo quindi sull’autostrada per l’inferno e Reggio Emilia, esplode.

AC/DC, Reggio Emilia, 25-05-2024 foto Tim Tirelli

AC/DC, Reggio Emilia, 25-05-2024 foto Tim Tirelli

Brian poi comincia a raccontarci di una donna non esattamente carina e minuta. Ottimo qui Matt Laug alla batteria.

In Let There Be Rock Angus si produce nel classico e interminabile assolo; capisco la showmanship, ma la cosa si fa un pochino controproducente con Angus portato a ripetere fraseggi e trucchetti che sono luoghi comuni della chitarra rock e che forse sarebbe bene limitare. Immagino che i fan in senso stretto vivano questo momento come un’apoteosi dovuta, per quanto riguarda me registro il fatto che tutto si fa un pochetto esagerato: 20 minuti la durata totale del pezzo di cui 16 di assolo di chitarra suonato improvvisando sulla base di un solo accordo. Ma Angus è anche questo. He doesn’t give a fuck.

ACDC, Reggio Emilia, 25-05-2024 foto Saura Terenziani.pg

ACDC, Reggio Emilia, 25-05-2024 foto Saura Terenziani.pg

Pochissimi minuti di break e poi i due bis finali. TNT e quindi il saluto di rito: For Those About To Rock, con tanto di cannoni e fuochi artificiali.

Saluto con un ultimo applauso il grande Brian, il magico Angus e gli altri ragazzi della band e dopo due ore e passa me ne vado compiaciuto e sazio di Rock viscerale, stasera gli AC/DC hanno dato una grande lezione di Rock e per qualche momento mi illudo che il Rock sia ancora vivo e vegeto, fino a quando non leggo il messaggio di un amico che mi informa che quattro giorni dopo sarà a Milano a vedere i Metallica: “mercoledi chiudo questo mini tour con i Metallica tickets VIP (su pedana dedicata con free drinks)”. Uhm, tickets vip, pedana dedicata, free drinks … ecco, lo so, è il mio solito pippone, ma se il Rock diventa una cosa per ricchi, se nelle prime file e negli spazi dedicati vanno manager, commercialisti, dirigenti, notai, avvocati e gente simile invece dei veri fans, qualche domandina sullo stato della Musica Rock dovremmo farcela, a meno che per Rock non si intenda semplice intrattenimento (e dunque ci si lasci guidare da logiche statunitensi) e si spogli la musica che amiamo (o meglio, che tanto abbiamo amato e per cui abbiamo lottato) dalle sfumature socio-culturali, umanistiche e contenutistiche.

Scaletta:

  1. If You Want Blood (You’ve Got It)
  2. Back in Black
  3. Demon Fire
  4. Shot Down in Flames
  5. Thunderstruck
  6. Have a Drink on Me
  7. Hells Bells
  8. Shot in the Dark
  9. Stiff Upper Lip
  10. Shoot to Thrill
  11. Sin City
  12. Rock ‘n’ Roll Train
  13. Dirty Deeds Done Dirt Cheap
  14. High Voltage
  15. Riff Raff
  16. You Shook Me All Night Long
  17. Highway to Hell
  18. Whole Lotta Rosie
  19. Let There Be Rock (include assolo di chitarra di Angus Young)
    Encore:
  20. T.N.T.
  21. For Those About to Rock (We Salute You)

Television “Marquee Moon” (1977-2024 Rhino High Fidelity) – TTTTT

9 Mar

La Rhino ha fatto uscire ad inizio gennaio la versione high fidelity del vinile del primo album dei Television, è dunque cosa buona e giusta riprendere in mano questo disco straordinario, rivangare il passato e scrivere qualche riflessione.

Television Marquee Moon - Rhino High Fidelity 2024

Seconda metà degli anni settanta, sono un ragazzino che ha scoperto la musica Rock e che oramai ne è completamente irretito. Vivo di Rock, respiro di Rock, sogno di Rock. I dischi che si sono fusi col mio DNA sono usciti l’altro ieri e io son certo di vivere la contemporaneità, fino a che dalla perfida Albione arriva un movimento che vuol spazzare via tutto quello che io ho appena iniziate ad amare, quel Rock in technicolor che si sta fondendo con la mia stessa vita. Rimango dapprima perplesso, il nuovo Rock che arriva dalla Britannia è una scarica potente ma persino al giovane Tim pare musicalmente modesto (e in bianco e nero) rispetto ai capolavori dell’umanità che uno dopo l’altro mi sto procurando (spendendo tutti i risparmi messi da parte), ma in un secondo momento mi adeguo alla nuova ondata, d’altra parte sono figlio del mio tempo. Amoreggio col Punk (Ramones/Sex Pistols/Clash/Damned/Dead Kennedys), meno con la New Wave (Police, Blondie, Joe Jackson, Devo, Nina Hagen e poco altro) fino a quando non scopro Marquee Moon, primo album di un gruppo di New York che propone un Rock che non riesco a definire ma che entra tra le pieghe della mia anima, i Television.

Television Marquee Moon - Rhino High Fidelity 2024 inner

Nel 1972 Thomas Joseph Miller (Tom Verlaine) e Richard Lester Meyers (Richard Hell) dopo essersi trasferiti a New York dal Delaware formano i Neon Boys insieme al batterista Billy Ficca; attivi dal 1972 al 1973 si sciolgono per ricostituirsi nel giro di 24 ore con nome di Television aggiungendo alla formazione un altro chitarrista, Richard Lloyd . Tra il 1974 e il 1975 riescono a suonare in locali di NY poi diventati leggendari, il CBGB e il Max’s Kansas City costruendosi così una nomea che cattura l’interessa di alcune etichette. In quegli anni registrano un demo tape prodotto da Brian Eno, ma Verlaine non è soddisfatto della produzione. Nel 1975 dissidi interni portano Richard Hell a lasciare il gruppo, viene sostituito dal più regolare Fred Smith (basso). Nel 1976 vengono messi sotto contratto dalla Elektra e Verlaine, che non vuole sottostare al volere di un produttore, chiede loro di essere affiancato da un ingegnere del suono, la scelta cade sul grande Andy Johns perché a Tom piaceva molto il lavoro fatto da Andy per l’album Goats Head Soup dei Rolling Stones.

Television Marquee Moon - Rhino High Fidelity 2024 inner 2

Il disco esce nel febbraio del 1977, già il titolo suggerisce suggestioni, cosa si riesce a vedere al di sopra delle insegne luminose di New York? Qualcuno scrisse che “più che la luna sono dunque le insegne al neon a definire l’atmosfera del disco.”

Television Marquee Moon - Rhino High Fidelity 2024 studio

Tutto l’album è una meraviglia, atmosfere lunari … nuovi territori chitarristici … testi pastorali e al contempo metropolitani che attingono alla vita divisa in scenette di Lower Manhattan. Grande risalto al lavoro delle due chitarre, eccentriche, sperimentali, fredde e calde allo stesso tempo e comunque sempre Rock, anche nei momenti più glaciali.

See No Evil è un (nuovo) Rock deciso, accordi ostinati, fraseggi ripetuti, cantato che definisce il periodo. Ottimo l’assolo di chitarra di Richard Lloyd. Bel momento d’apertura. 

Television Marquee Moon - Rhino High Fidelity 2024 studio 2

Venus è stupenda, una sorta di tango ballato nelle strade illuminate dalle insegne di Lower Manhattan.  Lavoro di chitarre intrigante. L’assolo di Verlaine è fatto di ricami.

Television Marquee Moon - Rhino High Fidelity 2024 photos

Ho sempre pensato che da Friction il nostro indimenticato Ivan Graziani abbia preso idee per la sua Monna Lisa. Ad ogni modo anche questo brano convince. Efficace l’assolo di chitarra di Tom Verlaine fatto di suggestioni sonore. Di nuovo viluppo di chitarre sublime.

Television Marquee Moon - Rhino High Fidelity 2024 notes

Marquee Moon è semplicemente magnifica, oltre 10 minuti di musica colta, elegante, razionale e al contempo piena di vigore. Riuscite le aperture tra un capoverso e l’altro del pezzo. Nel cantato Verlaine ricorda Jagger. Bella prova di Billy Ficca alla batteria (che sembra sempre arrivare tardi a certe mosse ritmiche) ben assistito da Fred Sonic Smith al basso. L’assolo di Verlaine (dopo il terzo ritornello) sembra trasportarci lungo sentieri lunari immaginari … brividi. L’intervallo subito dopo il lungo assolo di Tom e prima della ripresa finale è stupefacente. Questo brano è un capolavoro assoluto della musica Rock.

Television Marquee Moon - Rhino High Fidelity 2024 disc

Anche in Elevation Ivan Graziani deve aver preso una decisa ispirazione dato che l’arpeggio ricorda parecchio quello di Fuoco Sulla Collina; il brano è magnetico, immaginate i Pink Floyd di Animals in versione newyorkese e con l’approccio punk/cerebrale.

In Guiding Light la voce di Verlain mi ricorda ancora quella di Mick Jagger. Questa è una ninna nanna elettrica arricchita da un bel pianino. Assolo di chitarra di LIoyd. Un altro piccolo gioiello.

Television Marquee Moon - Rhino High Fidelity 2024 disc b

Prove It era uno dei brani del disco che ascoltavo più spesso. E’ basato su un giro melodico comune (tipo quello di Stand By Me) che ben presto però viene rinnegato dal resto della canzone. I Television sapevano sorprendere, sempre.

L’ottava e ultima canzone dei Marquee Moon è Torn Curtain, la tenda strappata che viene tirata, il sipario piuttosto angosciante che chiude lo spettacolo. Lacrime, il ritorno agli anni passati, chitarre lancinanti, la fine del disco ci lascia con l’animo in subbuglio.

Television Marquee Moon - Rhino High Fidelity 2024 back

Marquee Moon uscì l’8 febbraio 1977 negli Stati Uniti e il 4 marzo nel Regno Unito, dove ebbe un successo inaspettato e raggiunse il numero 28 nella classifica degli album. Nella Top 30 britannica finirono i due singoli del disco, parte di questo successo fu anche instillato da quanto il grande giornalista Nick Kent scrisse per il New Musical Express.

Mentre era in vacanza a Londra dopo il completamento di Marquee Moon, Verlaine si accorse il gruppo guadagnò appunto la copertina del New Musical Express, informò l’ufficio stampa di Elektra e questa organizzò un  tour nel Regno Unito per capitalizzare quel successo. In maggio fecero il tour nei grandi teatri in UK, per Verlaine fu un sollievo esibirsi in quegli spazi molto più grandi rispetto ai piccoli club in cui era abituato a suonare. Il gruppo di supporto era quello dei Blondie e ciò creò qualche malumore, Verlaine pensava non fosse una buona scelta causa la diversità artistica, in generale i rapporti furono freddi, i Television sembravano poco accomodanti nei confronti del gruppo spalla.

In Usa suonarono come supporto a Peter Gabriel, ma il tour fu poco gratificante visto che il pubblico medio dell’ex Genesis non accolse positivamente i Television. L’Elektra inoltre non pubblicizzò a dovere Marque Moon che arrivò a vendere solo 80.000 e dunque non entrò nemmeno nella Top 200. Nel 1978 uscì il secondo album Adventure, buon successo di critica ma ancora vendite irrisorie. Malumori, poco successo commerciale, l’uso di droghe da parte di LIoyd … è così che il gruppo si sciolse.

Rimane un mistero per me il perché questo album non compaia in tutte le discoteche degli amanti della musica Rock, perché sia chiaro: questo disco è un’opera eccezionale.

Elenco tracce

A1 See No Evil

Guitar [Guitar Solo] – Richard*
3:56
A2 Venus

Guitar [Guitar Solo] – Tom*
3:48
A3 Friction

Guitar [Guitar Solo] – Tom*
4:43
A4 Marquee Moon

Guitar [Guitar Solo After Second Chorus] – Richard*
Guitar [Guitar Solo After Third Chorus] – Tom*
10:43
B1 Elevation

Guitar [Guitar Solo] – Richard*
5:08
B2 Guiding Light

Guitar [Guitar Solo] – Richard*
Written-By – Lloyd*Verlaine*
5:36
B3 Prove It

Guitar [Guitar Solo] – Tom*
5:04
B4 Torn Curtain

Guitar [Guitar Solo] – Tom*
7:00

Crediti

  • Art Direction – Tony Lane (2)
  • Art Direction [Rhino Hi-Fi], Design [Rhino Hi-Fi] – Rachel Gutek
  • Artwork [Back Cover Art] – Billy Lobo
  • Bass, Vocals – Fred Smith (7)
  • Booklet Editor [Rhino Hi-Fi Editorial] – Sheryl Farber
  • Drums – Billy Ficca
  • Engineer – Andy Johns
  • Engineer [Assisted By] – Jim Boyer
  • Guitar, Vocals – Richard Lloyd
  • Keyboards – Tom*
  • Lacquer Cut By – Kevin Gray
  • Lead Vocals, Guitar – Tom Verlaine
  • Liner Notes – David Fricke
  • Logo [Rhino Hi-Fi] – Lisa Glines
  • Lyrics By – Verlaine*
  • Management – The Wartoke Concern, Inc.*
  • Management [Rhino Hi-Fi] – John Telfer (2)
  • Mastered By – Greg CalbiLee Hulko
  • Mixed By – Andy Johns
  • Mixed By [Assisted By] – Jimmy DouglassRandy Mason
  • Photography By – Robert Mapplethorpe
  • Photography By [Rhino Hi-Fi Photo Editor] – Amelia Halverson
  • Producer – Andy JohnsTom Verlaine
  • Production Manager [Rhino Hi-Fi Packaging Manager] – Kristin Attaway
  • Project Manager [Rhino Hi-Fi Project Assistance] – Jutta KoetherLauren GoldbergMike WilsonSteve WoolardSusanne SavageTruman Lusson
  • Songwriter [Booklet Credit] – Billy FiccaFred Smith (7)Richard LloydTom Verlaine
  • Songwriter [Label Credit] – Verlaine* (tracce: A1 to B1, B3, B4)
  • Supervised By [Rhino Hi-Fi Project Supervision] – Patrick Milligan
Marquee Moon track use the full-length version, which times out at 10:43 although the label says 9:58.
AAA cut from the original stereo master tapes by Kevin Gray.
Pressed on 180-gram heavyweight vinyl at Optimal.
Heavyweight glossy, tip-on gatefold jacket.
Features an exclusive insert with notes by David Fricke, featuring commentary from band members Richard Lloyd, Fred Smith, and Billy Fica.
Limited numbered edition of 5,000.Runouts are etched, =1 and +1 are mirrored.Recorded at A & R Studios, New York City
Mixed at Atlantic Studios…
Mastered… at Sterling Sound Inc.
All songs published by Double Exposure Music, Ltd.℗ & © 2024, 1977 Elektra Entertainment, a Warner Music Group Company.
Manufactured for & Marketed by Rhino Entertainment Company, a Warner Music Group Company, 777 S. Santa Fe Avenue, Los Angeles, CA 90021. Made in U.S.A.©1977 Double Exposure Music, Ltd. ASCAPOn the labels: Made in Germany. GEMA/BIEMBooklet: All songs… published by Rocking Gorillas Music.