Non sono mai riuscito ad entrare nel mondo del grunge, alle mie orecchie pare un miscuglio di ritagli dell’hard rock classico degli anni settanta unito ad un modo di cantare strascicato che non sono mai riuscito a digerire. Ne riconosco però l’aspetto contenutistico, l’onestà intellettuale, la bona fide musicale. Certo, qualcosa mi piace, certi battiti d’ali dei PJ, dei SOUNDGAREDEN, degli ALICE IN CHAINS, MOTHER LOVE BONE e, di conseguenza, TEMPLE OF THE DOG, troppo poco però per ritenermi anche solo conoscitore del genere. Mi incuriosisce molto il sentimento da comunità che lega i fan dei PEARL JAM ad esempio, mi piace l’atteggiamento di VEDDER e compagni, magari preferisco cose più sgargianti, ma l’ossatura della musica Rock sta in sentimenti di questo tenore. Nel piccolo mondo del nostro blog abbiamo MASSIMO BONELLI (label manager extraordinaire) e BODHRAN che amano molto i PJ e proprio quest’ultimo è stato l’altra sera a vederli a San Siro (la culla del calcio), ecco dunque qualche breve riflessione a riguardo.
È andata così, lunedì mattina arrivo al lavoro e mando due righe a Tim “venerdì sera ero a San Siro a vedere i Pearl Jam. Ne sono uscito con la rafforzata consapevolezza che il rock and roll non è morto e non morirà”. Risposta immediata del nostro: “Okay. Mi piacerebbe scrivessi qualcosa … anche solo brevi riflessioni per il Blog. Io sono a Roma…ieri sera Rolling Stones”.
E se il commander-in-chief chiama, le truppe devono rispondere.
La breve premessa è che questo è un racconto “di parte”, tutta l’infornata musicale americana a cavallo tra ’80 e ’90 è stata per me una reale boccata d’ossigeno, dopo quel periodo di cotonature losangeline, improbabili abbigliamenti, improbabili atteggiamenti e suoni che non riuscivo a digerire in alcun modo.
Finalmente si potevano riascoltare delle band che a fine concerto “puzzavano di sudore”, che sul palco non recitavano la parte di una certa idea platonica di rocker. E così, come un live dei Soundgarden in un piccolo club a Roma fu una vera e propria epifania, ricordo di aver ascoltato “Alive” dall’album di esordio e di aver comprato il disco l’immediato giorno dopo.
Quella scena poi è stata al solito inglobata dal business, al solito qualcuno ha pagato troppo caro il successo, altri sono spariti, i Pearl Jam in un modo o in un altro son riusciti a trovare un equilibrio e arrivare ad oggi mantenendo la loro integrità.
Passati 25 anni sono sul prato di San Siro, spalti gremiti (il calcio proprio non mi interessa, ma capisco che correre dietro ad un pallone tra quelle 4 mura di tifosi sia un’esperienza), palco semplice, due schermi, luci che si riveleranno molto eleganti ma senza nessun “effetto speciale” e poi la musica, tanta, tanta musica.
Il concerto è stato preceduto dall’ingresso di Eddie Vedder prima della partita dell’Italia per una versione in solitaria di Porch. Sconfitta calcistica subito dimenticata alle 20,40 quando inizia il concerto.
Al solito la domanda era “con cosa inizieranno?”, la scaletta da anni varia tantissimo da data a data, stavolta è partenza morbida per i primi 4 brani, l’audio non è eccellente, per una mezz’ora buona stiamo in tensione, poi per fortuna al mixer sbrogliano la matassa e aprono il gas.
Sul palco nessuno si è risparmiato, a partire da un Vedder claudicante ma in grado di tenere botta anche nei momenti più tirati. Hanno percorso tutti gli album, accompagnati dal pubblico che di pezzi ne canta a squarciagola parecchi, questa cosa da una parte non mi piace, ma dall’altra ai live dei PJ si respira un’aria di comunità e alla fine non la avverto patetica come in altri casi (l’ho detto, questo è un racconto di parte). Che sia reale o meno questo fare tutt’uno tra palco e platea forse è uno degli elementi che ha salvato i PJ negli anni.
C’è stato quindi il tempo per celebrare l’anniversario di “fidanzamento” di Eddie Vedder, come ci ha raccontato avvenuto proprio a Milano, cantare buon compleanno alla moglie di Matt Cameron (batterista originario dei Soundgarden, che è stato un orologio atomico insieme al basso di Jeff Ament, e continua ad essere uno dei batteristi più interessanti degli ultimi 20 anni, almeno nel mio personalissimo cartellino).
Nota per il blog, tra i brani suonati anche Given to Fly, spudorato omaggio a Going to California degli Zep.
Pubblico spettacolare anche nei momenti più rabbiosi, più tirati, senza doversi preoccupare di salvare la buccia tra poghi non richiesti, questo succedeva tot anni fa.
Il primo dei due classici bis è stato di 9 pezzi (nove, alla faccia dell’encore!), e poi il secondo breve ma intenso, hanno dovuto tagliare tre brani dalla scaletta causa coprifuoco di San Siro: “Alive” e “Rockin’ in the Free World” in uno stadio esultante completamente illuminato, una visione spettacolare.
Hanno salutato alle 23,45: 3 ore di fuoco di fila ininterrotto per 34 pezzi. Per un attimo mi sono fatto rabbia nel non aver preso il biglietto anche per la seconda data italiana a Trieste, ma tant’è, in questo caso davvero chi si accontenta gode.
Pensando agli Stones due giorni dopo a Roma posso solo dire “It’s only rock ‘n’ roll, but I like it”.
Setlist:
Release
Nothingman
Sirens
Black
Go
Do the Evolution
Corduroy
Lightning Bolt
Mind Your Manners
Pilate
Untitled
MFC
Given to Fly
Who You Are
Sad
Even Flow
Swallowed Whole
Setting Forth (Eddie Vedder song)
Not for You
Why Go
Rearviewmirror
Encore 1:
Yellow Moon
Elderly Woman Behind the Counter in a Small Town
Thin Air
Just Breathe
Daughter (con citazioni di W.M.A., Let it Go, It´s OK)
Jeremy
Better Man
Spin the Black Circle
Lukin
Porch
Encore 2:
Alive
Rockin’ in the Free World (Neil Young cover)
Yellow Ledbetter
Ammirare i Pearl Jam non è essere di parte ma capire che ciò che più ti affascina non è semplicemente rock’n roll ma un movimento culturale che sai essere dalla parte giusta. Eddie Vedder e compagni, in 25 anni, hanno fatto delle scelte talvolta difficili pur di non cedere alle regole dello show business. Il premio è un pubblico che li ama profondamente, che ne apprezza la parte più spregiudicata come quella più profonda e romantica. Cinque musicisti che non amano l’eccessiva spettacolarità quanto la trascinante comunicazione. Relegarli al fenomeno “grunge” è da mediocri impiegati della Treccani. Il loro linguaggio è universale non provinciale. Eddie Vedder e compagni sanno amare ed il loro concerto non è mai artefatto e prevedibile.. quello che ricevono .. ritornano con gli interessi. Eddie Vedder e compagni sanno farsi amare con quella sottile spontaneità e quella profonda sensibilità che la cultura del rock ha saputo diffondere, anche se non frequentemente, nell’arco di mezzo secolo.
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Ammetto di avere amato il grunge: per i testi, per la musica e per quella sua particolare “attitude”, non ho mai smesso di vederlo come portatore di qualcosa di “politico” nel senso di espressione di una critica, di una dissonanza, di una frattura, di un disagio dopo l’edonismo anestetizzante degli anni ’80… il look tra il post ’68, il pre-hippie, il surf-straccione, il ritorno a qualcosa di sporco, di non omologato, in certi casi anche di ribelle in un universo di modaioli moribondi. Vidi i Pearl Jam in concerto molti anni fa, credo fosse il ’96 – li ho amati e li amo. C’è una mostra fotografica a Milano dedicata a loro, visitabile, mi pare, fino al tre luglio, e penso proprio che, almeno questa, non me la perderò. :-)
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Bella recensione, grazie, hai trasmesso l’atmosfera del concerto anche a noi che non c’eravamo. Molto bello anche il fatto che il concerto sia durato tre ore, ormai molti gruppi tendono a limitarsi a sole due ore.
Anche la locandina vintage mi sembra un piccolo, e piacevole, omaggio ai nostri Zeppelin.
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MASSIMO: tutto vero quello che scrivi, ma personalmente non mi sento un impiegato della Treccani. Uso la parola grunge per comodità e comunque non a sproposito. Se smettessimo di usare questi termini …grunge, rock, hard rock, punk rock, metal … mi chiedo come faremmo a scrivere di musica e farci capire. Certo, hanno dei limiti ma se usate con un po’ d’intelligenza non possono che aiutare.
Forse i Pearl Jam sono diventati un gruppo rock a tutto tondo, ma non credo di offendere nessuno, tanto meno il senso comune della musica rock, se accosto il termine grunge a loro.
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Sono sempre sintonizzato sulle onde psicocosmiche di Sister Sara Crewe, e anche per me il Grunge e’ stato una boccata di aria fresca quando e’ arrivato sulla scena rock dei primissimi anni novanta. A dire il vero, per una serie di coincidenze, sto tornando ad ascoltarlo dopo una lunga assenza. In particolare ho da poco riscoperto Live Through This delle Hole, che disco grandioso ragazzi. Che donna rock Courtney Love…Una personalità enorme, puramente rock and roll, e un grande talento sia sul palco che in studio. Per non parlare della sua prova di attrice nel film Larry Flint. Speriamo di vederla di nuovo in azione quanto prima. Nirvana, Alice in Chains, Mudhoney rimarranno per sempre una pagina importante della storia del rock. Grazie Bodhran per questo bellissimo pezzo sui Pearl Jam e grazie Tim per aver ancora una volta allargato gli orizzonti del Blog.
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Grazie a voi per i complimenti
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Pearl Jam, Soundgarden e Nirvana me li sono ascoltati parecchio nei primi 90.
Tuttora ripenso al concerto dei Nrvana a Modena che mi sono perso.
Avrei voluto esserci.
Non avevo neanche quarant’anni ed il rock prometteva ancora tanto.
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