MAX STEFANI scrive, il giorno dopo il concerto degli WHO a BOLOGNA e dopo aver letto evidentemente commenti entusiastici, questa considerazione su FB:
“io li ho visti negli anni sessanta, settanta e anche primi anni ottanta. bei concerti anche se niente di cui strapparsi i capelli. ma se così è stato vuol dire che o a settanta anni si suona meglio che a venti/trenta (senza dimenticare che sono solo 2 su 4) o che avete voluto vedere di più di quello che avete visto. come succede d’altra parte anche con springsteen.”
Da quando seguo Stefani con più attenzione su facebook, mi accorgo di essere spesso in sintonia con lui e, malgrado io abbia cambiato idea negli ultimi anni circa l’andare a vedere i vecchi gruppi, conservo sempre un atteggiamento un po’ disincantato.
E’ con questo spirito che mi butto sulla Bazzanese in modo di arrivare al palasport evitando di prendere l’autostrada, ancora scottato dalle tre e più ore di fila in occasione del concerto di McCartney alcuni anni fa. Alle 18,30 entro nel parcheggio (10 euro) e mi godo l’atmosfera pre concerto. Mi guardo in giro: tutti hanno indosso una maglietta degli WHO, solo io e qualche altro disperato indossiamo quella dei LED ZEPPELIN. Incontro diversi amici con cui scambio qualche battuta.
L’Unipol Arena è un bel palasport, uno dei più capienti d’Europa (più di 15.000 posti, c’è chi dice 19.000), peccato che i seggiolini siano stretti e poco comodi. Nulla a che vedere con quelli della O2 Arena di Londra. Ho uno di quei biglietti da 92 euro, sono sulle tribune a sinistra guardando il palco, biglietto acquistato (senza avere la possibilità di scelta del posto) nel quarto d’ora iniziale del primo giorno di vendita, parecchi mesi fa. Il mio amico Frank, che ha comprato tre biglietti due giorni prima del concerto, è nel settore sotto al mio e ha dunque posti migliori. Misteri della mai limpida vendita biglietti in Italia.
Il palasport è pieno per metà quando alle 20 entra il gruppo di supporto, gli SLYDIGS. Quattro (+ un session man) giovinastri britannici che provengono dalle parti di Manchester. La loro proposta (anche visiva) è un brit pop rock sull’onda di quello degli OASIS. Tra le loro canzoni scorgo riferimenti plateali a ARE YOU GONNA GO MY WAY di Kravitz e SYMPATHY FOR THE DEVIL dei Rolling. E’ tutto un “fucking” di qua e un “fucking” di qua, ci tengono a darsi un aria da inglesacci del nord. Ricevono una buona risposta del pubblico. Io rimango impassibile, per incantare me non è sufficiente sculettare a ritmo di un grigio brit pop, provenire dalla perfida Albione e calarsi nella parte … i ragazzi non hanno i pezzi.
Verso le 21 l’Unipol Arena è piena. Qualche posto vuoto sulle tribune qua è la, ma il colpo d’occhio è impressionante.
Poco dopo arrivano gli WHO. Senza tanto clamore, si presentano sul palco in maniera semplice e disinvolta. Un’entrata non ad effetto. Curiosa questa cosa. Qualche parola. PETE sembra di buon umore. Gli accordi di I CAN’T EXPLAIN… si dia inzio alle danze.
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Seguono the SEEKER e WHO ARE YOU. Mi vedo sorpreso, la verve del gruppo è notevole, quello che sento davvero buono. Malgrado siano accompagnati da session men, riescono a dare credibilità alla musica Rock che mettono in scena. Scatto una foto…eccoli qui dunque gli WHO. L’emozione sale, PETE TOWNSHEND e ROGER DALTREY non sono esattamente figure di secondo piano della musica che più amo.
WHO ARE YOU
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THE KIDS ARE ALRIGHT, I CAN SEE FOR MILES… che bello risentire questi pezzi dal vivo avvolto da una energia che temevo non mi arrivasse. Il pubblico della Unipol Arena è tutto per loro. Pete dice qualcosa in Italiano, capiamo che intende qualcosa che sta per “let’s go crazy” ma evidentemente sbaglia accento e pronuncia e nessuno capisce la frase esatta. Parte MY GENERATION ed è buffo vederla suonata da due settantenni, ma l’ossimoro diventa un divertente siparietto tutto sommato credibile.
MY GENERATION
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Sì, sì, TOMMY certo, QUADROPHENIA certo, ma vogliamo parlare di WHO’S NEXT? Potrebbero suonarlo per intero e tramortirci con canzoni Rock di una bellezza inarrivabile. Quando PETE inizia l’arpeggio di BEHIND BLUE EYES, un brivido intenso mi irretisce.
BEHIND BLUE EYES
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Nel introdurre BARGAIN, sempre dallo stesso magnifico album, TOWNSHEND cita la data del 1972, è un errore, l’anno d’uscita è il 1971, mi verrebbe da correggere PETE, e in quell’istante capisco quanto rompicoglioni siamo diventati noi appassionati, sempre attenti a date, dati, formazioni e minuzie del genere.
Più o meno a metà concerto mi sovviene una prima impressione, completamente positiva. DALTREY non ha più una gran voce, ma pensavo peggio. Regge l’urto del Rock degli WHO e si disimpegna con astuzia ed esperienza. Mi tolgo il cappello davanti a lui. TOWNSHEND stasera è un gran trascinatore e il suo lavoro sulla chitarra mi piace proprio. Probabilmente non è quello del 1976, eppure suona tutto con classe, convinzione e buona tecnica. Rimane un fuoriclasse e restare ad ammiralo è una cosa naturale. Alla seconda chitarra c’è il fratello di PETE, sbriga il lavoro in maniera diligente.
05:15
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Dopo 05:15 e THE SEEKER arriva lo strumentale THE ROCK con DALTREY che nella presentazione usa parole di affetto e di stima nei confronti del suo partner musicale. Bella prova.
Ogni tanto, mentre guardo questi due giganti sul palco, mi dico ” cosa cazzo mi sto perdendo…se solo Jimmy Page non fosse vittima dell’accidia e prigioniero della sua torre d’avorio, quanto sarebbe bello divertirsi nel rivederlo sul palco”. A fine concerto sarà un pensiero che anche i miei amici Lollo e Frank mi confesseranno di aver fatto. Non che io sia a favore di una reunion dei LZ, sarei molto più interessato ad un tour della Jimmy Page Band, però ammetto che rivederli insieme su di un palco mi darebbe una gran gioia. Spengo queste considerazioni e ritorno agli WHO.
LOVE, REIGN O’ER ME mi commuove, chi è – tra le anime blues – che non si è sentito almeno una volta come Jimmy? Rain on me…rain on me…grazie WHO.
EMINENCE FRONT (il brano del 1982 tratto da IT’S HARD) e AMAZING JOURNEY sono il preludio al finale: PETE canta THE ACID QUEEN, quindi parte con l’ introduzione di PINBALL WIZARD e alla fine ci invita ad abbandonarci a SEE ME FEEL ME.
Il finale è un po’ scontato, ma i due pezzi non perdono nulla del loro valore, della loro freschezza, della loro bellezza…
BABA O’ RILEY
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WON’T GET FOOLED AGAIN
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E’ un trionfo. In WON’T GET FOOLED AGAIN, PETE si lancia nella famosa scivolata sulle ginocchia, scivolata che gli riesce perfettamente. Vedere un 71enne fare uno sgobbo di quel tipo genera una sorta di isteria, un incantesimo: tutti i 15.000 in quel preciso istante sono convinti che il Rock sia vivo e che lo sarà per sempre. (Due sere dopo, però, a Milano, la scivolata di PETE sulle ginocchia sarà rovinosa e comica, segno che il Rock, forse, se non è morto, è vicino alla fine).
Il pubblico tributa al gruppo una serie di ovazioni a cui neppure gente scafata come loro rimane indifferente. I due sono palesemente colpiti dalla quantità e qualità di affetto, amore e riconoscenza. Ci mettono un po’ prima di lasciare il palco. Durante la presentazione del gruppo impressiona il coro “Pino Pino Pino” intonato più volte, Pino Palladino è un vero eroe da queste parti. Io rimango un po’ perplesso. Sicuramente è bassista di gran talento ma rimane essenzialmente un session man: versatile, impeccabile, preparato, però un po’ ingessato, inamidato. Nel corso della sua carriera ha suonato con grossi nomi del Rock (tra l’altro, visto che siamo su questo blog, citiamo il fatto che Paul Rodgers e Jimmy Page avevano pensato a lui per i FIRM ma Palladino declinò, per poi far parte alcune anni dopo dei THE LAW di Kenny Jones e Paul Rodgers), ma anche con altri discutibili.
ZAK STARKEY è un batterista giusto per il gruppo attuale. Non mi ha impressionato come credevo, ma è al posto giusto. JOHN COREY alle tastiere mi è piaciuto molto. Anch’egli è in pratica un session man (non scordiamo il suo lavori con Eagles e Don Henley), ma possiede un tocco da membro fondante di gruppo rock. Certi suoi passaggi pianistici mi hanno toccato l’animo.
Un ultimo saluto e i musicisti escono dal palco. Nessun bis. Meglio così. Un gruppo con questa integrità e con questi contenuti non ha bisogno di assoggettarsi a certe manfrine.
La notte fuori dal palasport è fresca, le facce degli amici sorridenti. Siamo tutti convinti che sia stato un gran concerto Rock, persino io, pensate un po’. Lascio che l’ingorgo fuori dal parcheggio si sfilacci e poi mi lascio trasportare dalla placida corrente della Via Emilia verso i miei territori.
Il giorno dopo sui social e sugli spazi musicali affini è tutto un fiorire di Rock di qua, Rock di là, Rock di su, Rock di giù.
Malgrado qualche eminenza grigia scriva, a proposito del concerto di Bologna, che “se vi dicono che il rock e morto…è una balla…è morto per i deboli per quelli che non sognano più per i pavidi per i comodi per quelli che non ci credono e non ci hanno mai creduto” io non sono mica convinto. Quasi quasi penso che il Rock sia morto proprio perché ieri sera ho visto un gran concerto Rock. Sì perché è stato un gran concerto Rock tenuto da settantenni (e comunque si potrebbe pure discutere sull’uso di tre, tre, tastieristi e, se non ho inteso male, ogni tanto di alcune basi, escluse quelle arcinote di Baba O’Riley e Won’t get Fooled Again), perché il giovane gruppo di supporto non ha mostrato nessuna arma convincente contro il mito, perché il Rock (quello vero) come impatto sociale e culturale al giorno d’oggi è ad un livello prossimo allo zero. Riesce ancora a far parlare di sé grazie a questo tipo di concerti, ma temo che quando i grandi nomi chiuderanno il sipario, il Rock, quello vero, rimarrà solo un ricordo nella mente degli appassionati.
Poi, sì, certo, il Rock resiste nella vita di tutti i giorni in gente come noi, nelle pieghe musicali dei gruppetti di cui facciamo parte, nella rappresentazione che mettiamo in scena nei pochi posti in cui riusciamo ad esibirci, ma sarà sempre più un fenomeno di nicchia. E se proprio mi lascio andare alla malinconica razionalità il Rock lo si può trovare – tranne rarissime eccezioni – fino al 1979 o addirittura solo fino ai primissimi anni settanta. Ma è meglio non pensarci. Per stasera W il Rock, ovunque esso sia, W gli WHO.
Scaletta:
1.I Can’t Explain
2.The Seeker
3.Who Are You
4.The Kids Are Alright
5.I Can See For Miles
6.My generation
7.Behind Blue Eyes
8.Bargain
9.Join Together
10.You Better You Bet
11.5:15
12.I’m One
13.The Rock
14.Love, Reign O’er Me
15.Eminence Front
16.Amazing Journey
17.The Acid Queen
18.Pinball Wizard
19.See Me, Feel Me
20.Baba O’Riley
21.Won’t Get Fooled Again
Per quanto riguarda i grandi concerti , oggi più della musica conta l’evento in se .. “stasera vado a vedermi gli WHO” non suona tanto male …. perdono i pezzi ma fanno la stessa cosa dal 1982 ..
Sono spesso d’accordo con le tue riflessioni , però non vedo nel ROCK un ideale o qualcosa di immacolato che oggi viene (s)venduto (a caro prezzo) , credo che rock e business siano sempre andati a braccetto . L’aspetto culturale/rivoluzionario a mio parere è secondario (o inesistente) , riflesso di quello che accadeva ai tempi .
A livello musicale c’è stata invece una continua evoluzione , almeno fino al punk , poi i grandi nomi hanno riproposto le solite cose e quelli nuovi hanno rivisitato il prezioso lascito in maniera più o meno originale .
Probabilmente si è trasformato in qualcos’altro , magari non più fenomeno di massa ma relegato alla scena indie (che a me non interessa) .
– Mi chiedo come abbiano fatto i fans strettissimi ad affezionarsi a Pino Palladino , grande professionista (azzeccato proprio per la differenza con il suo predecessore) però troppo morbido . John Entwistle era un cazzo di carro armato .
Meno male che i LZ si sono sciolti .
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Questa volta dissento anche io da te, caro Luca. Mai pensato di associare il termine “immacolato” al Rock, però è indubbio che in un certo periodo il Rock ha avuto contenuti (testi e musica) di spessore altissimo. E’ altrettanto indubbio che la musica Rock sia stata la più importante rivoluzione culturale del novecento. Negare questo mi sembra quantomeno azzardato.
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Non lo nego affatto (sopratutto musicalmente) . Però ho la sensazione che la maggior parte di questi musicisti abbiano contribuito “involontariamente” a questa rivoluzione culturale . Il Pubblico li ha adottati come portavoce , ma spesso gli artisti ne erano del tutto estranei (o semplicemente seguivano la moda del momento ) .
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A proposito di “ideali” Rock, cosa pensi degli Ac/dc con Axl Rose? Io tutto il male possibile, e tu Tim?
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C’è una frase che mi ha fatto riflettere, nel post:
“Malgrado siano accompagnati da session men, riescono a dare credibilità alla musica Rock che mettono in scena”, perchè alla fine il rock va avanti se chi lo suona è credibile, e poco importa l’età o la dimensione del palco (tanti dei nostri gruppi all’inizio delle carriere non erano “indie”?).
Così come ci sono gruppi di ragazzini che non lo sono perchè son lì a recitare di suonare il rock, così ci sono vecchietti che quando sono sul palco suonano per il gusto di suonare (o quantomeno questo è quello che danno a credere al pubblico). A quel punto non serve nemmeno una fanfara per annunciare l’entrata, si monta su e one two three four. Un anno fa circa ero a vedere Gilmour e uscii con un po’ di amaro in bocca, è vero come dice Luca che talvolta conta più essere ad un concerto (ma ha detto meglio, ad un “evento”) che il concerto in quanto tale. Pare che gli Who dribblino abilmente questo rischio. Eh si, Page non ci è riuscito, d’altra parte l’idea di concerto come evento l’ha quasi inventata lui, peccato ne sia rimasto intrappolato.
My generation suona strana suonata dai settantenni? E’ un pezzo che non ha più età
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Per chi vuole tutto di Page, esiste un 45 giri di Roger Daltrey edito per la TRACK
che reca sulla prima facciata il brano THINKING.
Nel retro THERE IS LOVE, suona la chitarra Jimmy Page.
Anno 1973.
Inedito su LP.
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There is love si puo’ trovare nel cd rimasterizzato dell’album DALTREY
come bonus track.
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