KING CRIMSON Lucca 25 Luglio 2018 – di Giancarlo Trombetti

30 Lug

Il nostro Giancarlo Trombetti – rock scriba extraordinaire – ci racconta dei KC a Lucca qualche giorno fa.

Diciamoci la verità : per esprimere un parere su questo concerto, basterebbe dire… emozionante, bellissimo. Il guaio è che chi scrive, di musica e non, è solitamente logorroico, debordante, e sente il dovere di dovervi ricoprire di parole per descrivere le proprie emozioni che sa Iddio se mai corrisponderanno alle vostre.
Io non sono da meno, per cui andate o oltre o mettetevi comodi.

Fa caldo a Lucca, niente afa, ma un caldo sufficiente a spingermi a utilizzare il ventaglino bianco sponsorizzato e cortesemente regalatomi all’ingresso del palchetto centrale. I biglietti sono un dono di chi mi accompagna e il loro costo, cui oramai dovremo abituarci, esoso. Vi risparmio la annosa domanda del perché un Cristo che mostri fiducia nell’organizzatore e nell’artista e che lo dimostri acquistando in notevole anticipo il biglietto, debba anche pagare una quindicina di euro di “diritti di prevendita”… un po’
come se prenotando un ristorante vi chiedessero di pagare un quid solo perché avete deciso di essere così cortesi di chiedere loro di riservarvi un tavolo… ma non importa: se non fossero diritti si tratterebbe di qualcos’altro, di un qualsiasi altro modo di leccarci via un altro trentino approssimativo in due con stile e destrezza.

Se il conto della cena la scorsa volta era stato eccessivo, la pizza stavolta entra nella top five delle schifezze che ho cercato di farmi entrare in bocca. Parlo di cibo. Difficilmente ho mangiato un pane arabo moscio come una mousse lasciata un paio d’ore fuori dal frigo. Con le cene a Lucca sono sfortunato…
Con parte di quell’impasto che mi galleggia nello stomaco, vado con un minimo anticipo sul posto. C’è Leo in regia, come sempre, e voglio far due chiacchiere. L’amico mi racconta che il management dei Crimson è ossessivo e puntiglioso oltremodo. Il controllo sulle telecamere è assoluto e nessuna ripresa potrà essere effettuata dal palco. Pare che solo una piccola remotata laterale sia di supporto alle tre che Leo ha piazzato quasi in parallelo dietro al mixer. Fortuna vuole che il ragazzo abbia notevole esperienza
e sappia come ovviare a tre telecamere che danno praticamente il medesimo punto di ripresa; uno schermo che ne accoglie due insieme è una soluzione che permetterà alla maggior parte del pubblico di vedere particolari e volti altrimenti lontani.

“Nessuna telecamera dovrà interagire e separare il pubblico dall’artista rappresentando un elemento di disturbo nella fruizione della musica”, dettano gli accordi. Ma non basta. Sui due lati del palco due cartelloni specificano che nessuna foto o ripresa potrà essere effettuata dal pubblico, pena l’allontanamento dal concerto. Identico messaggio viene ribadito in italiano ed inglese prima dell’inizio dei due tempi dello spettacolo. Non si fanno sconti. Davanti a noi un ragazzino di diciassette anni fa
tenerezza. “Ho scoperto i Crimson ascoltando i dischi di papà, l’anno scorso, a maggio”, specifica. E lo vedo mentre tenta di catturare un’immagine, un ricordo, di quello che sicuramente deve essere il suo primo concerto. Il padre lo guarda orgoglioso…Penso che forse…forse… questa generazione ha qualche soggetto che la salverà.

Con precisione svizzera, il gruppo entra sul palco. E’ immediatamente chiaro che non stiamo per assistere a un concerto rock. In primo luogo la disposizione delle tre batterie, in prima fila, profuma già di anomalo. Di batteristi con ego smisurati ne abbiamo visti, ma tre elementi che dominano il fronte palco fa capire che il suono dipenderà da loro, vedremo come. I batteristi vestono in nero. Dietro a loro Fripp e gli altri tre musicisti, indossano un panciotto nero. Siamo abituati da tempo all’immagine pubblica di Robert
Fripp, un chitarrista e compositore che ha attraversato gli ultimi cinquant’anni di rock inglese senza dar luogo a follie estetiche, senza ricorrere a palcoscenici multimediali, senza alcuna necessità che far parlare la musica che, di volta in volta, ha deciso di proporre. Certamente un personaggio schivo, particolare, avulso dalla scena, anche se al tempo stesso un leader di difficile gestione, durissimo con i suoi collaboratori, sicuramente una immensa rottura di palle per chi debba sorbirselo tutti i giorni. E non a caso il turbinio di musicisti all’interno del gruppo ne è la riprova. Una sorta di Zappa ma senza l’elemento dissacratore. Fripp si è sempre preso assolutamente sul serio.
Che non stiamo per assistere a un concerto rock è chiaro dal resto dell’iconografia. I musicisti sono concentrati sul loro lavoro; nessuna concessione allo spettacolo, nessun sorriso o movimento che non sia quello strettamente necessario a suonare il proprio strumento. Il tastierista a tratti appare marmoreo. Dall’estrema destra Fripp, seduto, accenna a qualche parte di tastiera e suona la sua chitarra, controllando con un ghigno a metà tra il Mr Burns dei Simpsons e Dexter, il killer seriale. Ma è l’intera atmosfera voluta e chiesta da Robert Fripp che impone una fruizione della musica assolutamente passiva ma concentrata. Nel caso qualcuno non avesse compreso che non è possibile nemmeno accendere i propri cellulari, una voce cortese invita a tenerli in tasca, ma non solo… se proprio il pubblico desidera portare a casa uno scatto del gruppo, viene specificato che Tony (così nell’annuncio) desidera farci una foto a fine spettacolo. Quello sarà il momento per tirare fuori i cellulari e portarsi a casa un ricordo.

In un silenzio quasi tombale e senza, incredibilmente, un solo cellulare acceso a illuminare i pochi centimetri di portata, dopo l’applauso di benvenuto, partono i tre batteristi con una breve miscela di quello che andremo a seguire a momenti. Non ci vogliono le conoscenze tecniche che non possiedo percapire che a ognuno dei tre è stato assegnato un compito diverso. Pat Mastelotto, a sinistra ha la batteria accordata in una tonalità più tonda e bassa, oltre ad avere una serie di percussioni e oggetti il cui suono
aggiunge come riempitivo un po’ ovunque; Gavin Harrison a destra ha il suo kit accordato in toni più secchi, acuti, nessuna percussione al di là di una serie di mini tom elettronici. Jeremy Stacey ha compiti a sé. Suona sui pezzi più vecchi, in parte, e girato suona un piano elettrico le cui note, in un primo momento, non si è in grado di afferrare la provenienza, dato che né Fripp, né Bill Rieflin, il tastierista principale, non ne sono autori.
Pare incredibile la scelta di avere i tre batteristi in primo piano, ma il tappeto continuo, ininterrotto, di ritmiche e contrasti fa capire come questa versione dei King Crimson sia guidata proprio dalle batterie. Ma ciò che impressiona è l’immenso muro di suoni bassi che Tony Levin emana nella sua quasi assoluta immobilità. Una vera trama dalla presenza incombente, che pressa e avvolge il tutto e di cui i batteristi e i virtuosismi dei singoli scalano di volta in volta la vetta. Si ha la percezione che se Levin si fermasse, metà
del suono del gruppo verrebbe a mancare. Quello che ci piomba addosso non è il semplice suono di un basso che supporta la batteria dettando i tempi, ma una struttura a piani che gli strumenti devono scalare se vogliono emergere dalle torri di note che sostengono il tutto. L’impressione raddoppia, triplica, quando Levin imbraccia il suo stick a dodici corde, quello che fa emette suoni che fanno credere che sopra le nostre teste stia per scatenarsi un temporale.

Il suono diventa una cattedrale incombente, e sui pinnacoli si inerpicano il sax di Mel Collins, sempre distorto e jazzato, aggressivo e tagliente come una chitarra e le due chitarre di Fripp e del polacco Jakko Jakszyk. Un quadro elettrico di rara forza, che lascia volare fantasia e desiderio. I Crimson dei 70 ne escono non come fantasmi ma come vivide immagini. Assolutamente presenti. Se un appunto sia necessario fare, va al Jakko, dall’impronunciabile nome. Laddove la voce non manca e appare sempre all’altezza, il suo strumento dovrebbe forse essere un contraltare più netto allo stranissimo ma debordante stile di Fripp.

Per me che non sono un tecnico, vedere il suo pollice sinistro che spinge il retro della tastiera mentre la mano scivola velocemente come se stesse suonando una slide fa un po’ effetto. I colpi di penna sono ritmici, robusti, ma quello che rendono in musica ed effetti, fanno dell’isterico Robert un maestro nel suo genere. Un chitarrista il cui suono è riconoscibile e perfetto per quello che deve evocare. Un suono distorto, e solo apparentemente privo di una melodia, che, al contrario, è estremamente presente in tutti i
brani e i medley della sua produzione.

La scaletta pesca maggiormente nel disco d’esordio e in Larks’, ma per me non è una sorpresa… di nascosto mi era stata fatta sbirciare prima dell’inizio insieme al semi-isterico accordo e alle sue restrizioni. Per me i Crimson fino a Red sono una miniera di suoni ed emozioni mai dimenticate. La lunga Starless, resa in chiusura in una versione semplicemente micidiale è uno squarcio nella miniera dei miei ricordi di ragazzo, quando Larks e Starless rappresentavano per me il contro-progressive, la prova che c’era vita
oltre una chitarra elettrica e una pedaliera e che un sax ed un violino ti aprivano nuovi universi. Erano gli anni in cui iniziavo ad andare decisamente oltre il muro dell’hard e del blues. E ne ero sorpreso, Zappa a parte.

Ma è necessario adesso provare a spiegare il senso dell’uso di tre batterie. Un anziano fan parmense, ai miei dubbi sulla presenza di tre diversi batteristi, mi spiega che avranno medesimi compiti e ritmiche in sincrono. Previsione errata. Ogni batterista ha un proprio preciso compito, e un preciso suono, perfettamente percettibile dopo un po’ di orecchio. Mastelotto e Harrison non solo si dividono i compiti – il primo dedito alle percussioni e alla rumoristica quando al secondo toccano le parti preponderanti – ma si alternano anche all’interno del medesimo brano, eseguendo le loro rullate in perfetta alternanza e, dato il suono diverso, donando al medesimo brano tinte diverse ogni manciata di secondi, minuti. In buona fede non saprei chi scegliere in quanto a risultati, ma mi sbilancio e dico Pat, anche se il solo finale in Starless è riservato a Gavin. Con gli altri due che lo applaudono. Il centrale Stacey pare assentarsi a minuti, e rivolto lateralmente rispetto alla sua cassa, pare occuparsi a lungo d’altro. La nostra pure buona posizione centrale non ci fa immediatamente realizzare che si sta dedicando a parti di piano elettrico, posto in modo tale da non farcelo vedere. A lui sono riservati i tempi nei brani più vecchi, in particolare, ma è la resa globale del loro suono che caratterizza fortemente l’insieme. I Crimson di questo tour sono un gruppo a trazione ritmica che rimbalza sulle mura che Levin innalza con il suo basso. Il resto vola alto al di sopra. Dopo un’oretta ci si fa l’orecchio, ma l’impatto iniziale è impressionante.

Quando Larks lacera Piazza Napoleone, mi tornano in mente le mie avventure di ragazzo nei suoi teen finali, la prima auto, gli amici, i simposi casalinghi dedicati a interpretare questo o quel disco. Erano anni, quei tre, quattro primi dei settanta, spensierati e incoscienti. Fin troppo, direi oggi. Ma era giusto così : nella vita c’è sempre tempo per i problemi che inevitabilmente arriveranno, e quell’estate del 73 era marcata, tra l’altro, proprio dalle cavalcate elettriche di quel disco dal titolo surreale. Le altre che verranno dal successivo, fino a quella Starless che su Red chiude un periodo luminoso e la cui melodia non mi lascia da allora. Erano anni incredibili per la nostra musica, e la scelta era tra mille uscite tutte di estrema qualità. Erano gli anni in cui era necessario guardare…alle cinquanta lire… prima di gettarsi in spese voluttuarie, per i più. Ma per me la musica era cibo, cultura, piacere, emozione, scoperta, maturità. Quando proprio non esisteva possibilità di accantonamento, si dividevano i compiti : uno comprava un 33, l’altro un altro. Poi ci si scambiavano e registravano su quelle infami cassettine, sperando di resistere quanto più possibile fino a trovare il modo di comprarsi…la prossima aria per i propri polmoni. Anni
irripetibili, per la bellezza sconfinata della musica che ci avvolgeva e per quello che riuscivamo a fare per non restare indietro. I King Crimson hanno avuto uno spazio enorme nel mio cuore in quei tempi. Averli davanti ancora 45 anni dopo non è una operazione di nostalgia, ma una emozione immensa. Specialmente perché non sembrano invecchiati di un giorno. Nel suono. La mia ultima volta era stata una trentina di anni fa e credevo che non li avrei più risentiti così luminosi. Indistruttibile Roberto…mi freghi sempre.

Così, il nostro concerto di musica classica contemporanea va a finire. So già che la mia adorata Starless chiuderà il concerto, prima dell’inevitabile, ancor oggi emozionante, Schizoid Man. Si accendono le luci bianche. I sette si alzano contemporaneamente, come a un segnale invisibile. Fermi davanti ai loro strumenti, estraggono in parte i loro cellulari, le loro macchine fotografiche. Ci inquadrano, Finalmente sorridono e tornano a essere umani. Torna in mente il messaggio iniziale…
“Tony vi vuole fare una fotografia, sarà quello il momento in cui potrete farlo anche voi”… anche Fripp si unisce e ci fotografa. Noi lo facciamo, finalmente, con loro.
Lo scambio è totale, adesso. L’uno prende un ricordo dell’altro. Grazie. Pubblico pagante in delirio. Groppo alla gola. Possiamo andare.

©Giancarlo Trombetti 2018

 

Scaletta:

Larks’ Tongues in Aspic, Part One
Peace: An End
Pictures of a City
The Court of the Crimson King
Moonchild
Cirkus
Lizard (Bolero, Dawn Song, Last Skirmish, Prince Rupert’s Lament)
Islands
Indiscipline
Hell Hounds of Krim
Discipline
Neurotica
Radical Action (To Unseat the Hold of Monkey Mind)
Level Five
Epitaph
Easy Money
One More Red Nightmare
Larks’ Tongues in Aspic, Part Two
Starless

16 Risposte a “KING CRIMSON Lucca 25 Luglio 2018 – di Giancarlo Trombetti”

  1. Amduscia 30/07/2018 a 17:26 #

    C’ero anch’io al concerto. Solo una parola: bellissimo… una di quelle esperienze che nonostante siano a termine (a proposito, il concerto è iniziato alle 21, ha avuto una pausa di 20 minuti tra i due set e si è concluso alle 24:10… mica male….) ti si incastonano dentro e non possono non essere rimeditate dopo giorni… mi succede anche con (pochi) film e con i buoni libri…
    Grazie al recensore che ha riassunto in maniera egregia la serata. Unica nota di diversità: personalmente ho sentito poco Levin, forse anche per il muro di fuoco dei tre davanti!!!

    Lunga vita al Re!

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    • Giancarlo T. 30/07/2018 a 17:55 #

      In buona fede, non ho idea di dove tu fossi nella piazza, io stavo a fianco a quella statua con il sedere di fuori, al centro. Posso garantirti che Levin a momenti e specialmente con lo stick, dominava il suono, lo prendeva per mano. Un peccato che tu non possa averlo goduto al meglio. Le considerazioni da aggiungere sarebbero molte…ma tutto ha un limite, no ? :)

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      • Amduscia 31/07/2018 a 15:12 #

        settore H: rispetto alla statua di Napoleone più vicino al palco ma anche più decentrato; ottima visuale su Harrison, Fripp e Mastelotto.
        Possibile che il mio udito si sia settato sulle batterie anche perché alla mia prima esperienza cremisi in un contesto dal vivo e sinceramente all’attacco di LTIA I sono andato in trance :)

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  2. Paolo Barone 02/08/2018 a 08:51 #

    Quel che separa Giancarlo da quelli come me. Ho visto questo tour a novembre in Michigan e ancora non trovo le parole per descrivere le sensazioni e le emozioni provate. Trombetti ci regala questa bellissima riflessione quasi in diretta….
    Per me è stato uno dei concerti più belli di tutta la mia vita.
    Visti in un teatro di medie dimensioni, seduto nelle prime file, ho ricordi millimetrici di questa esperienza pazzesca.
    Scaletta un po’ diversa, ma per il resto Giancarlo ha detto quello che non riuscivo a dire.
    Starless con le luci del palco che viravano al rosso cremisi, e Mel Collins a soffiare un vento cosmico, sarà un ricordo che mi accompagnerà per sempre.
    I King Crimson del 2018 sono un mondo a se, nessuna band con tutta questa storia sulle spalle ha un approccio come il loro. Una forza vitale impressionante.

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    • Giancarlo 03/08/2018 a 16:59 #

      Paolino, sei sempre troppo buono con me. Ci tieni sul serio a quella pizza, eh ? 😛 le luci rosse, scure, su Starless, hai ragione sono state un arrivederci speciale. Mai utilizzate nel resto del concerto… ma è pur vero che si può analizzare tutto. Tim poi ci cazzia se andiamo troppo lunghi 😀😀😀

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  3. bodhran 03/08/2018 a 12:23 #

    Non è questa la mia formazione preferita dei KC (io sono tra i tifosi delle formazioni con Belew- tutte e tre) ma se c’è un musicista che, mantenendo una sua coerenza, non ha paura di andare avanti, anche spiazzando il proprio pubblico, questo è Fripp. Che tra l’altro continua a suonare benissimo, altro che rocker imbolsiti e dalle dita rallentate!

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  4. Tiziano il V° cavaliere dell'apocalisse 03/08/2018 a 12:46 #

    …ah se quella volta Lake non se ne fosse andato. Ma come disse Fripp, non potevano suonare di draghi volanti e principi tristi tutta la vita. Io li ho seguiti diciamo fino a “Starless and…”. ultimamente ho ascoltato (solo una volta”) il cd “Vrooom” : per me semplicemente inascoltabile. Comunque Fripp è un genio. Interessante il fatto che sia lui sia Lake andavano a lezione dallo stesso maestro…

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    • Giacobazzi 03/08/2018 a 16:27 #

      Ah, e io che pensavo Fripp fosse autodidatta …

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      • Tiziano il V° cavaliere dell'apocalisse 04/08/2018 a 12:47 #

        …seeee, il maestro è (era?) Don Stricke. Comunque , per esempio,ascolta la parte di chitarra acustica in Cirkus , da Lizard, disco che ho consumato.

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    • bodhran 03/08/2018 a 18:32 #

      Un tentativo di ascolto della trilogia anni 80 io lo farei…..

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      • Paolo Barone 04/08/2018 a 08:55 #

        La trilogia anni ottanta è un capolavoro, Discipline in testa!

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      • Amduscia 04/08/2018 a 10:59 #

        Ai tre dischi degli anni 80 ci sono arrivato tramite una prima assimilazione del Double Trio e l’ascolto intenso del cofanetto multidisco di Thrak l’anno scorso…
        Delle tre fasi di godimento di un’ opera – ruminatio, cogitatio, contemplatio- per quanto riguarda Discipline, Beat e TOAPP, sono alla ruminatio.

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  5. Tiziano il V° cavaliere dell'apocalisse 04/08/2018 a 12:53 #

    la triologia ce l’ho. Un amico poco tempo fa si è liberato dei cd che aveva e me li ha regalati. Lui ha tutto archiviato nel pc. Li ascolterò. Preferibilmente in auto. Mi concentro meglio. Ormai non sono capace di ascoltare musica nell’impianto di casa, ho sempre qualcosa che mi distrae. Non ho più 15 anni. Ma sicuramente sarà come per gli Yes di Sauriana memoria (storico il suo “Yes-trattato) : Anche se ci saranno belle composizioni, non ci sarà l’emozione che procuravano e procurano ancora quelle che ascoltavo all’epoca…

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  6. mikebravo 04/08/2018 a 17:41 #

    Leggendo questo bellissimo reportage da lucca ( ero in quella piazza la sera del 24 da
    turista ) mi sono chiesto come mai dal 1971 ad oggi non mi sono fatto prendere dai king crimson.
    Ho amato alcuni loro album del primo periodo ma solo il primo incondiziontamente.
    E dopo islands non riesco a memorizzare una singola canzone dei lavori successivi.
    Ma come in un film di hitchcock, facendo mente locale, posso risalire ad un motivo che ha generato in me una specie di blocco per il gruppo.
    L’ascolto che mi fece soffrire un caro amico del doppio disco dei CENTIPEDE, genero’ nel sottoscritto un blocco psicologico nei riguardi del gruppo.
    E sicuramente keith tippett non lo digerii da subito negli album dei king crimson.

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    • Tiziano il V° cavaliere dell'apocalisse 05/08/2018 a 13:04 #

      eeeeh si , Centipede è fuori dai KC anche se ci suonano diversi membri esterni.Tippett lo vidi dal vivo quando venne da spalla ai Perigeo : un pianismo tutto improvvisazione e tutto un cercar di tirar fuori suoni nuovi. Ma ascoltati Prince Rupert Awakes seguito dal Bolero…

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  7. dancingavocado 05/08/2018 a 22:50 #

    Io vidi i KC a novembre 2016,Teatro auditorium conciliazione a Roma. Seppur Jakko Jaskysz non faccia gridare al miracolo come voce (preferivo Lake) Il gruppo è stato favoloso,in particolar modo,oltre ai classici di in the court of the crimson king e in the wake,su RED e Larks tongues in aspic part II. Epitaph e In the court of the crimson king da brividi,suoni fantastici,batterie stupende ( uno dei tre era molto Bonhamiano nel tocco) uno dei più bei concerti che abbia mai visto.

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