Rolling Stones “Black and Blue”(1975/2025 super deluxe edition) TTTT½

9 Dic

Black and Blue è sempre stato, per me, uno di quei dischi che definisco “obliqui”: album che non risultano pienamente riusciti, oppure che riflettono periodi in cui le band non si trovavano nelle migliori condizioni, o ancora lavori nati in momenti di transizione.

The-Rolling-Stones-Black-and-Blue-Photo-by-Hiro-1976

Ho sempre subito il fascino di questi lavori: forse perché sono fatto così, o forse perché mi interessa ascoltare i risultati che emergono da momenti particolari. Inutile aggiungere, dunque, che Black and Blue è un disco che mi piace molto (e ovviamente la sua peculiare “colorazione cromatica” gioca a suo favore).

Siamo alla fine del 1974: Mick Taylor lascia la band, insoddisfatto del proprio ruolo. Il gruppo inizia a preparare un nuovo album con l’idea che le relative session possano anche funzionare come “audizioni” per scegliere il nuovo chitarrista.
Tra l’inizio di dicembre 1974 e aprile 1975, e poi tra ottobre 1975 e febbraio 1976, si svolgono le sedute di registrazione, con il contributo di vari ospiti tra cui Billy Preston e Nicky Hopkins.

Vengono utilizzati diversi studi: il Musicland di Monaco di Baviera, il Rolling Stones Mobile (per le session di Rotterdam) e il Mountain Recording di Montreux.
I chitarristi coinvolti — sia per il vero lavoro in studio sia per semplici jam session — sono Peter Frampton, Jeff Beck, Rory Gallagher, Robert A. Johnson (musicista di Memphis), Johnny “Shuggie” Otis (multistrumentista di Los Angeles), Wayne Perkins e Harvey Mandel. A questi si aggiunge naturalmente anche Ron Wood, che nel 1975 partecipa al tour come secondo chitarrista.

Verso la fine di quell’anno i Faces, gruppo di cui Wood fa parte, si sciolgono: diventa quindi quasi inevitabile per lui entrare a far parte dei Rolling Stones. Gli altri chitarristi britannici, in particolare Beck e Gallagher, vengono considerati forse troppo tecnicamente dotati e brillanti per integrarsi in una rock’n’roll band come i Rolling Stones.

Black and Blue esce il 23 aprile 1976: arriva 1° negli USA, 2° nel Regno Unito, 11° in Italia, 1° nei Paesi Bassi, 2° in Canada e così via. Questa nuova edizione “superiore di lusso” — oltre al tanto materiale bonus — mette in evidenza il nuovo mix dell’album originale, curato dal solito Steven Wilson.

La nuova moda di “ripulire a fondo” le registrazioni storiche è un argomento delicatissimo. Una cosa è la rimasterizzazione, cioè un intervento sul master stereo originale per migliorarne la resa; un’altra è il remix, che significa rivedere l’intero bilanciamento originario intervenendo su ogni singolo strumento. In passato sono stato piuttosto critico su queste operazioni (come dice il mio amico Picca, è un po’ come ritoccare la Gioconda con Photoshop), mentre oggi sono meno rigido.

Sia chiaro: trovo insopportabili i remix che stravolgono completamente gli originali — quelli pensati per rendere più “moderna” certa musica (quello che hanno fatto gli Whitesnake, per dire, è da galera!). Al contrario, ascolto volentieri i nuovi mix che rispettano il canovaccio originale e cercano unicamente di dare un respiro più ampio alla musica. Anche qui, volendo, ci sarebbe comunque da fare distinzioni.

Black and Blue è sempre stato considerato il disco degli Stones degli anni Settanta con il suono migliore: è facile quindi capire perché Wilson sia intervenuto con molta cautela. E infatti si percepisce una musica che “respira” con più facilità, senza però allontanarsi troppo dal ricordo sonoro che ciascuno di noi ha in mente.

Hot Stuff è costruita sul riff funk di Keith Richards e su un approccio marcatamente black fino a quando non si apre in un più convenzionale — ma riuscitissimo — formato canzone. Splendido il lavoro di Harvey Mandel alla chitarra solista.

Hand of Fate riporta il disco su canoni più tipicamente Stones: un andamento rock al tempo stesso delicato e deciso, con chitarre ritmiche splendide e, ancora una volta, una solista di grande qualità grazie a Wayne Perkins. Un momento davvero notevole.

Segue il rifacimento di Cherry Oh Baby, brano reggae del 1971 dell’artista giamaicano Eric Donaldson. La versione dei Rolling Stones è piuttosto fedele all’originale; le chitarre sono affidate a Richards e Wood.

Il piano introduce Memory Motel, una toccante canzone d’amore scritta con la schietta delicatezza della vita on the road. Mick Jagger la interpreta come solo lui sa fare, mentre Keith aggiunge ulteriore pathos con il suo intervento vocale. Se ci mettiamo anche un tocco del piano Fender Rhodes, il quadro è completo. Una meraviglia che solo gli Stones sanno creare.
Non c’è molta chitarra in questo brano, ma quel poco che c’è è suonato magnificamente da Harvey Mandel. La band è coesa — alla maniera dei Rolling Stones, s’intende — tutto sembra perfettamente al suo posto… non resta che lasciarsi commuovere dal ricordo di amori passati, sfumati in lontananza.

Hannah honey was a peachy kind of girl
Her eyes were hazel
And her nose was slightly curved
We spent a lonely night at the Memory Motel
It’s on the ocean, I guess you know it well

It took a starry night to steal my breath away
Down on the waterfront
Her hair all drenched in spray

Hannah baby was a honey of a girl
Her eyes were hazel
And her teeth were slightly curved
She took my guitar and she began to play
She sang a song to me
Stuck right in my brain

You’re just a memory of a love
That used to be
You’re just a memory of a love
That used to mean so much to me

She got a mind of her own
And she use it well, yeah
Well she’s one of a kind
Got a mind

She got a mind of her own, yeah
And she use it mighty fine

She drove a pick-up truck
Painted green and blue
The tires were wearing thin
She done a mile or two
When I asked her where she headed for
“Back up to Boston I’m singing in a bar”

I got to fly today on down to Baton Rouge
My nerves are shot already
The road ain’t all that smooth
Across in Texas is the rose of San Antone
I keep on a feeling that gnawing in my bones

You’re just a memory of a love
That used to mean so much to me
You’re just a memory girl
You’re just a sweet memory
And it used to mean so much to me

Sha la la la la

You’re just a memory of a love
That used to mean so much to me

She got a mind of her own
And she use it well, yeah
Mighty fine
‘Cause she’s one of a kind

She got a mind of her own
She’s one of a kind
And she use it well

On the seventh day my eyes were all a glaze
We’ve been ten thousand miles
Been in fifteen states
Every woman seemed to fade out of my mind
I hit the bottle I hit the sack and cried

What’s all this laughter on the 22nd floor
It’s just some friends of mine
And they’re busting down the door

Been a lonely night at the Memory Motel

You’re just a memory girl, just a memory
And it used to mean so much to me
You’re just a memory girl, you’re just a memory
And it used to mean so much to me
You’re just a memory girl, you’re just a sweet old memory
And it used to mean so much to me
You’re just a memory of a love that used to mean so much to me

She’s got a mind of her own and she use it well yeah
Well she’s one of a kind

Hey Negrita (Inspiration by Ron Wood) è un rock a tempo medio costruito sulle chitarre di Richards e Wood, tenuto caldo da venature nere, tra funk e accenni reggae. Niente male anche l’assolo di Ronnie, energico e ben inserito nell’andamento del brano.

Melody (Inspiration by Billy Preston) scivola sulle lente cadenze di uno swing venato di blues; qui Billy Preston è in primissimo piano — piano, organo, cori — perfetto sparring partner di Jagger. Melody deve parecchio a Do You Love Me, dal suo album del 1973, e l’influenza è evidente senza risultare pesantemente imitativa.

Fool to Cry, fortunatissimo singolo tratto dall’album, è un’altra di quelle canzoni di cui sono innamorato: il modo in cui la canta Mick Jagger, il testo, la ragazza che vive nella parte povera della città… I Rolling Stones restano immensamente rock anche quando si cimentano nelle ballate. Il nuovo mix sembra amplificare ulteriormente l’emozione del brano. Nicky Hopkins, al piano e al sintetizzatore (archi), è semplicemente spettacolare.

You know, I got a woman
(Daddy, you’re a fool)
And she live in the poor part of town
And I go see her sometimes
And we make love, so fine
I put my head on her shoulder
She said, “Tell me all your troubles.”
You know what she said? she said

“Daddy you’re a fool to cry
You’re a fool to cry
And it makes me wonder why.”

Crazy Mama si muove su territori che i Rolling Stones hanno percorso molte volte: un classico rock / rock’n’roll nel loro stile più riconoscibile. Ron Wood e Keith Richards sono alle chitarre, con Keith anche al basso. Una chiusura di disco che testimonia come i Rolling Stones, nonostante tutto, siano ancora pienamente sé stessi.

Album particolare, dunque, ma vivo, denso, palpitante; forse imperfetto, ma pur sempre una fotografia nitida di quei mesi.

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I Love Ladies è la prima outtake: un tempo medio non banale, una buona canzone, semplice nella scrittura,  per quanto mi riguarda quasi tutto ciò che Mick e Keith hanno composto in quegli anni Settanta mi tocca nel profondo.

La cover di Shame Shame Shame, pezzo disco-rock del 1975 di Shirley & Company, non è affatto male: simile all’originale, ma suonata con l’anima dei Rolling Stones. Volendo essere pignoli, ci si può chiedere perché non siano state incluse Slave, Start Me Up (in versione reggae) e Carnival To Rio (registrata insieme a Eric Clapton), tutte registrate nel periodo in cui Black and Blue veniva confezionato.

Chuck Berry Style Jam (con Harvey Mandel) è un’improvvisazione rock’n’roll generica di oltre cinque minuti, mentre Blues Jam (con Jeff Beck) arriva quasi a dieci. Quest’ultima aiuta a immaginare come sarebbero stati i Rolling Stones con Jeff Beck al posto di Ron Wood: in questo lungo blues Jeff sembra amalgamarsi col gruppo, anche se a tratti la sua inventiva emerge in modo così evidente da sembrare forse fuori luogo nel contesto.

La Rotterdam Jam (con Jeff Beck e Robert A. Johnson) è più movimentata e, a tratti, sconfina nel jazz-rock, un territorio sulla carta ostile ai Rolling Stones, ma che sembra funzionare piuttosto bene. Lo stesso vale per Freeway Jam (con Jeff Beck), brano scritto dal grande Max Middleton e apparso nell’album Blow by Blow di Beck del 1975. I Rolling Stones lo trasformano in un quasi-shuffle bluesato, su cui Jeff Beck si inserisce alla sua maniera. Curioso: ascoltando questi episodi, si ha quasi l’impressione che Jeff Beck nei Rolling Stones non sarebbe stato un corpo estraneo.

Anche in questo caso ci si chiede che fine abbiano fatto le jam session registrate con Rory Gallagher.

Chiaro che, ascoltando la registrazione dal vivo del 1976 a Earls Court, non si può non notare come Ron Wood si fosse calato perfettamente nel ruolo di seconda chitarra del gruppo. I brani tratti da Black and Blue risultano convincenti: il gruppo li affronta con la giusta determinazione. Hand of Fate non fa prigionieri, Hey Negrita è grintosa, Fool to Cry, suonata con un effetto flanger incisivo, acquista ancora più forza e supera a pieni voti l’esame live. Forse solo le tastiere appaiono un po’ pacchiane, ma il resto funziona davvero: qualche piccola imperfezione qua e là non fa che aggiungere valore all’onestà musicale e al flusso vitale che un vero musicista rock deve avere. Il riff di chitarra ritmica di Hot Stuff appare leggermente meno fluido, ma il resto della band entra con decisione nel ritmo del pezzo.

In conclusione, la super deluxe edition è di grande valore. Black and Blue resta un album da riscoprire e approfondire, e i Rolling Stones continuano a meritarsi il titolo di migliore rock’n’roll band di tutti i tempi.

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Black and Blue The Rolling Stones 4CD+blu-ray super deluxe

    • CD 1: Black and Blue – Steven Wilson 2025 Mix
      1. Hot Stuff
      2. Hand Of Fate
      3. Cherry Oh Baby
      4. Memory Motel
      5. Hey Negrita (Inspiration by Ron Wood)
      6. Melody (Inspiration by Billy Preston)
      7. Fool To Cry
      8. Crazy Mama
    • CD 2: Outtakes and Jams
      1. I Love Ladies
      2. Shame, Shame, Shame
      3. Chuck Berry Style Jam (With Harvey Mandel)
      4. Blues Jam (With Jeff Beck)
      5. Rotterdam Jam (With Jeff Beck and Robert A. Johnson)
      6. Freeway Jam (With Jeff Beck)
    • CD 3: Live at Earls Court 1976
      1. Honky Tonk Women
      2. If You Can’t Rock Me/Get Off My Cloud
      3. Hand Of Fate
      4. Hey Negrita (Inspiration by Ron Wood)
      5. Ain’t Too Proud To Beg
      6. Fool To Cry
      7. Hot Stuff
      8. Star Star (Starfucker)
      9. You Gotta Move
      10. You Can’t Always Get What You Want
      11. Band Intro
      12. Happy
      13. Tumbling Dice
      14. Nothing From Nothing
      15. Outa-Space
    • CD 4: Live at Earls Court 1976
      1. Midnight Rambler
      2. It’s Only Rock ‘n’ Roll (But I Like It)
      3. Brown Sugar
      4. Jumpin’ Jack Flash
      5. Street Fighting Man
      6. Sympathy For The Devil
    • Blu-ray
      Black and Blue Steven Wilson Atmos Mix and Steven Wilson Stereo Mix
      1. Hot Stuff
      2. Hand Of Fate
      3. Cherry Oh Baby
      4. Memory Motel
      5. Hey Negrita (Inspiration by Ron Wood)
      6. Melody (Inspiration by Billy Preston)
      7. Fool To Cry
      8. Crazy Mama
      Les Rolling Stones Aux Abattoirs, Paris-Juin 1976
      1. Band Intro
      2. Honky Tonk Women
      3. Hand of Fate
      4. Fool To Cry
      5. Hot Stuff
      6. Star Star
      7. You Gotta Move
      8. You Can’t Always Get What You Want
      9. Band Introductions
      10. Happy
      11. Outa Space
      12. Jumpin’ Jack Flash
      13. Street Fighting Man
      Live at Earls Court (Atmos & stereo)
      1. Band Intro
      2. Honky Tonk Women
      3. If You Can’t Rock Me/Get Off My Cloud
      4. Hand Of Fate
      5. Hey Negrita
      6. Ain’t Too Proud To Beg
      7. Fool To Cry
      8. Hot Stuff
      9. Star Star (Starfucker)
      10. You Gotta Move
      11. You Can’t Always Get What You Want
      12. Happy
      13. Tumbling Dice
      14. Nothing From Nothing
      15. Outa-Space
      16. Midnight Rambler
      17. It’s Only Rock ‘n’ Roll (But I Like It)
      18. Brown Sugar
      19. Jumpin’ Jack Flash
      20. Street Fighting Man
      21. Sympathy For The Devil

Vi sono inoltre i seguenti formati:

5LP+Blu-ray super deluxe

2LP deluxe

2CD deluxe

Notte bianca che nessuno la può dormire …

30 Nov

Il demone delle notti senza sonno ritorna. Mi ghermisce, mi scaravolta sul letto, mi costringe ad alzarmi una, cento, mille volte.
Blues quotidiani, universali e tenebrosi si mescolano nei miei pensieri. Cerco di aggrapparmi a Capo d’Africa, quel lungo blues di FDG che mi offre un appiglio in questa notte bianca che nessuno la può dormire, mentre bramo una terra promessa laggiù, sull’orizzonte, che forse non si materializzerà mai.

Stanotte notte bianca
Che nessuno la può dormire
C’è qualcosa che ci manca
Che non sappiamo definire

Una spiaggia tranquilla
Una terra promessa
L’inferno e il Paradiso
Dove un giorno potremmo sbarcare
A cavallo di un nuovo sorriso
E fumare a mezzogiorno
Con il cuore che batte leggero
E guardare la vita che è intorno
Dove la vita è bella davvero

La sveglia suona alle 6:30, ma che importa: sono sveglio da sempre. È il momento di prepararmi a fare la fila per tre, rispondere sempre di sì, comportarmi da persona civile. E intanto ritorno dentro al mio mondo sbiadito.

Come un povero (anti)cristo mi reco in stazione alle prime luci dell’alba. Salgo sul treno, attraverso un pezzetto dell’Emilia centrale e arrivo a destinazione. Mi concentro sul lavoro, poi vado da solo in mensa, pensando alla Ghirlandina di Mutina come a un faro che, nonostante tutto, mi tiene ancora sulle giuste coordinate.

Mutina, tardo novembre 2025 – foto TT

Torno al lavoro. Invece di fare la pausa caffè, cedo all’impellente bisogno di scrivere il testo di Fool to Cry sulla lavagna bianca del mio ufficio. Da giorni quella canzone mi si è piantata nella testa, ostinata come un pensiero che non vuole slacciarsi.
La storia che Mick Jagger racconta — quella donna che vive nella parte povera della città, quel sentimento sfilacciato che attraversa tutta la canzone — continua a suggestionarmi. Ogni volta riemerge, come se trovasse un varco preciso nel mio umore e vi si incastrasse senza chiedere permesso.

Quando lei vive nella parte povera della città – Uomo di Blues, tardo novembre 2025 foto LM

La sera, mentre sul treno riprendo il mio ruolo di pendolare verso casa, penso al vecchio Brian. Oggi avrebbe compiuto gli anni, e questo mi predispone a riflettere sulle eredità che ci lasciano i nostri padri, i nostri nonni, i nostri familiari.
Lascio da parte l’eredità materiale — aspetto che, ahimè, non mi riguarda — perché un’eredità non è soltanto ciò che si riceve, ma anche ciò che ci vincola, ci schiaccia, ci definisce. E dalla quale, forse, ci si può deviare o liberare, ma solo con un’enorme fatica. Quando ciò che resta non è più eredità, ma detrito.

Scuoto la testa, provo a ripulire i pensieri. Entro in casa: la mia bassista preferita è alle prese con l’ennesima passione. Questa volta è il momento dei book nook. Mi sorprende sempre il suo bisogno di creare, di dare forma alle cose, di — come dice lei — “mettere ordine al caos”.

Book Nok Blues – La Bassista Preferita, Domus Saurea nov 2025 – Foto TT

La porto a mangiare una pizza nel nostro posto di riferimento, in via Gramsci, a Regium Lepidi. La pizzeria è già addobbata: le festività natalizie hanno ammantato questi ultimi giorni di novembre di una luce più morbida, quasi sospesa.

La Hermione Granger dei poveri posa il cellulare sul tavolo. Mi basta una rapida occhiata allo schermo perché gli occhi mi si inumidiscano.
Un pensiero improvviso, il ricordo di Palmiro — il gatto Palmiro insomma — che ancora mi fa male. Un’assenza che, dopo quasi due anni, faccio ancora fatica a gestire. Un legame così profondo tra un umano e un felino speciale… una fine che non riesco ancora del tutto a elaborare.

Shadow of a Black Cat – Pizzikotto di Via Gramsci Regium Lepidi – tardo novembre 2025 – foto TT

E allora faccio di nuovo ricorso a piccoli escamotage per risollevare l’umore. Esco a cena con Mar e Siuvio in un grazioso ristorantino nel centro storico di Nonatown, il mio paese natale, proprio sotto la Torre dell’Orologio.

Back where I belong – Nonatown tardo novembre 2025 – foto Marcya Like

Oppure vado a vedere Lorenz in concerto, uno dei pochi con cui posso parlare di musica Rock — quella vera. Guardare il mio amico imbracciare la Les Paul (o la Stratocaster, come spesso fa nella band in cui suona oggi) e vivere il Rock e il Blues come pochi sanno fare mi fa sentire meno solo.

Lorenz e i Cuore Nero Blues Band – 28-11-2025 Red Pub Scandiano foto W. Lucchi)

SERIE TV:

_The Beast In Me (USA 2025) – TTTT

Con Claire Danes ( Homeland) e Matthew Rhys (The Americans)

FILM:

_Train Dreams (USA 2025) – TTT¾

Un’intima riflessione su amore, perdita, memoria, e su quanto spesso la vita “ordinaria” contenga bellezza e dolore allo stesso tempo; un racconto silenzioso e profondo su un uomo comune, che vive — e resiste — in un mondo che cambia troppo in fretta. Idaho fine ottocento e inizio novecento. Film da guardare.

PLAYLIST:

The good old blues boys 1969 single

Donovan at his best – 1968

Lisetta La Magra (o anche Lisetta di Latta) del 1974 rimessa nuovo nel 2024

Lei che vive nella parte povera della città, io che piango e mi chiedo il perché. I Rolling del 1976.

Larry Williams 1957 (with thanks from Johnny Winter.)

CODA

Malgrado tutto il blues del sentirsi una scimmia evoluta su una roccia sospesa nell’universo, la vita batte ancora forte nel mio petto. Mi emoziono per piccole grandi cose: il modo dorico greco, i CD che ho ripreso ad acquistare (dopo che due anni fa ho iniziato a vendere su una di quelle piattaforme in cui privati comprano e vendono la mia collezione Rock e non solo), i Far Away Eyes di certe donne, le virili e solide amicizie che ancora riesco a coltivare, i venti freddi che soffiano da nord, i dischi di Johnny Winter del periodo 1970-1975, la super deluxe edition di Black and Blue dei Rolling Stones e i graffiti spirituali che, con una certa soddisfazione, porto addosso.

E allora, d’accordo… va bene. Cercherò di essere a casa per Natale.

TT’s SCHOOL OF ROCK XIII: Van Halen

9 Nov

Tredicesima School of Rock quella dell’equinozio d’autunno del 2025 e dunque – qui faccio il solito  copia incolla – nuovo ritrovo modello “Dopolavoro” nei locali della azienda per cui lavoro. Sospinto dalla volontà del nostro dirigente GLB eccomi di nuovo davanti al gruppo dei fedelissimi e affezionati colleghi che con dedizione e passione si assiepano – dopo l’orario di lavoro – nella (mia amatissima) Sala Blues (where the dreams come blue), la grande sala informale dell’azienda dotata di un vero e proprio impianto hi-fi. Avendo saltato la puntata estiva per motivi logistici, staserà c’è il sold out, anzi siamo in sovra prenotazione (vabbeh, over booking), non tanto per i Van Halen in sé, quanto per la voglia di stare di nuovo insieme ad ascoltare un po’ di buona musica.

Mi prendo una mezz’oretta prima dell’inizio per raccogliere i pensieri, immergermi nella silenziosa sala vuota e preparare ellepì e cd.

Sala Blues – settembre 2025 foto Tim Tirelli

 

Sala Blues VH – settembre 2025 foto Tim Tirelli

 

Sala Blues VH – settembre 2025 foto Tim Tirelli

Verso le 18 arrivano i primi colleghi, alcune groupie voglio farsi una foto, accontentiamole …

Groupies – Sala Blues – settembre 2025 foto Siuvio do Brazil

spiego ai colleghi che questa puntata della School Of Rock ha preso corpo dopo che qualcuno di loro mi ha inviato un messaggio, di cui riporto solo un paio di frasi (la prima e l’ultima), molto lusinghiero per la School Of Rock tutta:

“Ho riletto alcuni articoli del tuo blog in questi giorni, tra cui quelli delle prime School of Rock e ho sentito un senso di malinconia, anche se non le ho vissute … Ho scoperto che la potenza di un istante puro può cambiare profondamente l’identità di qualcuno.”

Parto quindi con la School Of Rock vera è propria introducendo la puntata di questa sera:

Io rompo sempre le scatole con la musica, con il Rock “contenutistico”, quello che deve dire qualcosa di profondo.
Eppure, se parliamo dei Van Halen, bisogna riconoscere che la loro è una musica da intrattenimento puro: il sole della California, le belle ragazze, il Rock duro ma pieno di melodie accattivanti, testi frizzanti e mai banali, anche se semplici e votati principalmente al divertimento.

E allora, perché parlare dei Van Halen, potrebbe chiedersi qualcuno di voi …
Beh, perché Eddie Van Halen (EVH) è stato uno dei chitarristi Rock più influenti e importanti della musica che tanto amo.
Prima di lui, i quattro cavalieri dell’apocalisse della chitarra erano Eric Clapton, Jeff Beck, Jimi Hendrix e Jimmy Page.
Quando arrivò lui, i quattro appena citati entrarono di colpo nella categoria della “vecchia scuola” (anche se, per Jeff Beck, qualche distinzione andrebbe fatta).

EVH ha modernizzato la chitarra Rock, portandola a un livello superiore con il suo stile, fatto di hammer-on e tapping.
Come raccontava lui stesso, durante un concerto dei Led Zeppelin al Los Angeles Forum, (direi nel marzo 1975 o più probabilmente nel giugno del 1977), vide Page eseguire l’assolo di Heartbreaker tenendo la mano destra sollevata. Van Halen si chiese: “E se, mentre faccio quello, aggiungessi le dita della mano destra sulla tastiera?”

Quella tecnica esisteva già — ci sono perfino video di chitarristi italiani che nel 1965 la usavano su chitarre classiche — ma è stato Eddie Van Halen a portarla a un livello cosmico.

Sfortunatamente, il suo genio ha anche aperto la strada a una marea di segaioli: migliaia di chitarristi tecnicamente impressionanti ma che, troppo spesso, sono diventati giocolieri della sei corde. Straordinari nelle dita, sì, ma poveri nella musica vera, quella che arriva al cuore.

Tim Tirelli’s School Of Rock VH sett 2025 – foto Marcella Tin

Racconto in breve la storia del padre di due fratelli Alex e Edward, ovvero Jan Van Halen: il musicista che mise le basi per una leggenda del rock.

Prima ancora dei Van Halen che hanno fatto la storia del rock, c’era infatti Jan Van Halen, il padre di Alex ed Eddie, un uomo la cui vita fu segnata dalla musica, dal sacrificio e da un’instancabile passione.

Dalle radici olandesi al jazz europeo

Nato ad Amsterdam nel 1920, Jan mostrò fin da giovane un grande talento musicale. Suonava clarinetto, sassofono e pianoforte, esibendosi in orchestre jazz e swing in tutta Europa, fino allo scoppio della Seconda Guerra Mondiale.

La guerra e il destino in Indonesia

Nel 1939 si arruolò nella Forza Aerea Olandese, ma il suo talento musicale lo tenne lontano dal fronte: fu infatti destinato a esibirsi nelle bande militari anche durante l’occupazione tedesca.
Dopo il conflitto si trasferì in Indonesia, allora colonia olandese, dove conobbe Eugenia van Beers. I due si sposarono nel 1950 a Giacarta, prima di rientrare nei Paesi Bassi.

Una nuova vita in America

Dal loro matrimonio nacquero Alex (1953) ed Eddie (1955). Nel 1962 la famiglia decise di emigrare negli Stati Uniti, stabilendosi a Pasadena, California.
Jan continuò a suonare in piccoli locali come il Continental Club e il La Miranda Country Club, ma per mantenere la famiglia dovette svolgere lavori umili: faceva il lavapiatti, addetto alle pulizie e guardiano notturno.
Nonostante le difficoltà, trasmise ai figli un profondo rispetto per la disciplina e la musica. Eddie ricordava spesso:

“Sapevo cosa significava la musica fin dal mio primo ricordo di mio padre che teneva una nota sul clarinetto più a lungo possibile.”

Dalla tragedia alla nascita di una band

Nel 1972, un grave incidente gli costò un dito, ponendo fine alla sua carriera musicale. Ma proprio in quell’anno, Alex ed Eddie formarono la loro prima band, i Mammoth, che poco dopo sarebbe diventata Van Halen.

L’ultimo riconoscimento

Nel 1982, Jan ebbe la sua rivincita personale: partecipò come ospite all’incisione del brano “Big Bad Bill (Is Sweet William Now)”, contenuto nell’album Diver Down dei Van Halen.

Gli ultimi anni

Jan Van Halen morì nel 1986, a 66 anni, in California. È sepolto al Forest Lawn Memorial Park di Glendale.
La sua influenza — tra talento, rigore e anche momenti difficili legati all’alcol — lasciò un segno profondo nella vita e nella musica dei suoi figli, che ne raccolsero l’eredità trasformandola in leggenda.

Tim Tirelli’s School Of Rock VH sett 2025 – foto Marcella Tin 2

Proseguo entrando nel merito. Tutto comincia negli anni ’60, quando Alex ed Eddie Van Halen iniziano a suonare insieme da ragazzini. Curiosamente, all’inizio i ruoli erano invertiti: Eddie era alla batteria e Alex alla chitarra — finché, per puro istinto, decisero di scambiarsi gli strumenti, trovando così la combinazione perfetta. Eddie, oltre a chitarrista, era anche un eccellente pianista, talento che lo accompagnerà per tutta la carriera.

La loro prima band, i Broken Combs, nacque nel 1964, seguita da diversi progetti fino ai Genesis (1972) e poi ai Mammoth. Fu solo con l’arrivo del carismatico David Lee Roth che arrivò anche l’idea del nome definitivo:

Dovremmo chiamarci Van Halen!

Da lì cominciò la scalata. Suonando instancabilmente nei locali di Pasadena e dell’area di Los Angeles — come il mitico Gazzarri’s — il gruppo si costruì una solida reputazione. Un demo prodotto da Gene Simmons dei Kiss attirò l’attenzione di addetti ai lavori come Doug Messenger, chitarrista di Van Morrison, che segnalò la band al produttore Ted Templeman della Warner Records.

Nel 1978 uscì il primo, leggendario album: “Van Halen”.
Il disco ha venduto oltre 10 milioni di copie solo negli Stati Uniti e conteneva brani entrati nella storia del rock come “Runnin’ with the Devil”, “Ain’t Talkin’ ’bout Love”, “Jamie’s Cryin’”, la cover dei Kinks “You Really Got Me”, e soprattutto “Eruption” — l’assolo strumentale di Eddie Van Halen che rivoluzionò la chitarra elettrica e rese celebre la tecnica del tapping a due mani.

Da quel momento, la band non fu più solo un gruppo locale: i Van Halen divennero un simbolo del rock moderno, aprendo una nuova era di virtuosismo, energia e spettacolo.

School of Rock VH settembre 2025 e – foto Siuviu

Accelero, il tempo stringe e rendo partecipi i cari colleghi che dopo l’esordio travolgente del 1978, i Van Halen non si fermarono più. Iniziò difatti un periodo di attività frenetica, fatto di pubblicazioni a ritmo serrato e lunghissimi tour che li consacrarono come una delle band più potenti del rock americano.

Nel 1979 uscì “Van Halen II”, il secondo album in studio, pubblicato dalla Warner Bros Records. Il disco raggiunse il sesto posto nella classifica Billboard e conteneva brani di successo come “Dance the Night Away” e “Beautiful Girls”quasi sei milioni di copie solo negli Stati Uniti. La critica lo accolse positivamente: la Rolling Stone Album Guide ne lodò “l’atmosfera piacevole e festaiola”, perfettamente in linea con lo spirito della band.

Negli anni successivi, i Van Halen mantennero un ritmo impressionante:

  • “Women and Children First” (1980) – oltre 3 milioni di copie vendute in USA

  • “Fair Warning” (1981) – circa 2 milioni di copie

  • “Diver Down” (1982) – più di 4 milioni di copie

Ma fu con “1984”, pubblicato proprio in quell’anno, che la band toccò l’apice del successo: oltre 10 milioni di copie vendute, trainate da hit come “Jump”, “Panama” e “Hot for Teacher”.

Quella fase storica, caratterizzata dal carisma di David Lee Roth alla voce e dal genio di Eddie Van Halen alla chitarra, si concluse nel 1985, chiudendo il primo capitolo leggendario della band.

School of Rock VH settembre 2025 f- foto Siuviu

Ovviamente faccio ascoltare al gentile pubblico i momenti più significativi degli album del gruppo, compresi i primi due con Sammy Hagar, difatti annuncio che dopo il trionfale tour del 1984, i Van Halen attraversarono un momento di svolta: David Lee Roth lasciò la band per dedicarsi alla carriera solista, mentre Eddie Van Halen cercava un nuovo equilibrio musicale.

Roth, nel frattempo, stava vivendo un grande successo con il suo EP “Crazy from the Heat”, trainato da cover come “California Girls” e “Just a Gigolo”. Ma le divergenze artistiche e il desiderio di maggiore controllo creativo portarono inevitabilmente alla separazione.

Dopo vari tentativi di trovare un nuovo cantante — tra i nomi contattati anche Patty Smyth e Daryl Hall — Eddie conobbe Sammy Hagar, ex voce dei Montrose e autore del successo “I Can’t Drive 55”. La chimica fu immediata.

Nel 1986 nacque così l’album “5150”, registrato nei nuovi 5150 Studios di Eddie a Los Angeles. Il disco segnò l’inizio della “fase Hagar” e un nuovo stile più melodico e radiofonico, senza perdere la potenza del rock Van Halen.
Trainato dal singolo “Why Can’t This Be Love”, 5150 raggiunse il numero 1 della Billboard 200 e vendette oltre 6 milioni di copie solo negli Stati Uniti.

Due anni dopo, nel 1988, uscì “OU812” (da leggere “Oh You Ate One Too”), secondo capitolo con Hagar alla voce. L’album replicò il successo del precedente, debuttando anch’esso al primo posto in classifica e vendendo più di 4 milioni di copie.
Brani come “When It’s Love”, “Finish What Ya Started” e “Black and Blue” consolidarono la nuova identità della band: un rock più maturo e raffinato, ma sempre energico e trascinante.

Con 5150 e OU812, i Van Halen dimostrarono di poter rinascere anche dopo un cambiamento radicale, inaugurando una nuova era di successi che li avrebbe portati a dominare le classifiche per tutto il decennio.

Il tempo stringe, ma vale la pena accennare agli ultimi capitoli della storia dei Van Halen con Sammy Hagar alla voce.
Dopo il successo di 5150 (1986, oltre 6 milioni di copie vendute in USA) e OU812 (1988, più di 4 milioni), la band pubblicò nel 1991 “For Unlawful Carnal Knowledge”, spinto dal singolo “Right Now” e vincitore di un Grammy Award come miglior album hard rock. Anche questo lavoro raggiunse il numero 1 della Billboard 200 e vendette oltre 3 milioni di copie negli Stati Uniti.

Nel 1995 arrivò “Balance”, l’ultimo album con Hagar alla voce: un disco più cupo e introspettivo, ma comunque di grande successo, capace di toccare ancora una volta la prima posizione in classifica e di vendere circa 3 milioni di copie negli USA.

https://timtirelli.com/2025/09/03/van-halen-balance-expanded-edition-warner-rhino-records-2025-ttt%c2%be/

Dopo un periodo di tensioni interne, David Lee Roth fece temporaneamente ritorno nel 1996, aprendo la strada a una lunga fase di cambiamenti e reunion intermittenti. La band tornò stabilmente con lui nel 2012, pubblicando “A Different Kind of Truth”, ultimo album in studio, accolto positivamente dai fan storici.

Purtroppo, la storia dei Van Halen si è chiusa con una nota dolorosa: il 6 ottobre 2020, Eddie Van Halen è scomparso dopo una lunga battaglia contro il cancro. Con lui se ne è andato non solo un chitarrista rivoluzionario, ma uno dei più grandi innovatori della musica rock e per quel che può valere, uno dei miei musicisti Rock preferiti.


Il tempo è scaduto, ringrazio di cuore tutti gli amici intervenuti e chi ha condiviso per la 13esima volta questa passione per la  School of Rock di Tim Tirelli.

Chiudo come sempre, con la mia solita frase di congedo:

New York, goodnight! 🎸

Video filmato da Siuviu Zanzi e Marcy Tin

◊ ◊ ◊

RP New York Goodnight

◊ ◊ ◊

 

la School Of Rock sul blog:

XII

TT’s SCHOOL OF ROCK XII: The Who

XI

TT’s SCHOOL OF ROCK XI: Queen

X

TT’s SCHOOL OF ROCK X: Santana

IX

TT’s School Of Rock Episodio IX PFM è contenuta all’interno di:

When the blues is in league with the freeway

VIII

TT’s SCHOOL OF ROCK VIII: Free & Bad Co

VII

TT’s SCHOOL OF ROCK VII: Led Zeppelin

VI

TT’s SCHOOL OF ROCK VI: DEEP PURPLE

V

TT’s SCHOOL OF ROCK V: Eric Clapton

IV

TT’s SCHOOL OF ROCK: Emerson Lake & Palmer

III

– TT’s School Of Rock Episodio 3 GENESIS è contenuta all’interno di:

https://timtirelli.com/2022/07/29/il-terrore-del-sabato-mattina-e-altri-blues-assortiti/

II

Tim Tirelli’s School Of Rock – episode 2

I

Tim Tirelli’s School Of Rock

Il passero che pigola fuori dalla finestra

7 Nov

Le foglie di ippocastano arrivano fino alle caviglie, albeggia, la mattina si annuncia caliginosa, un passero pigola fuori dalla finestra e io sono qui davanti all’ennesima bozza di articolo a chiedermi se valga ancora la pena continuare con questo spazio, tra pochi mesi saranno 15 anni di blog, roba da non credere.

Autumn leaves at the Domus … ottobre 2025 – Foto Tim Tirelli

Autumn leaves at the Domus … ottobre 2025 – Foto Tim Tirelli

Nel 2011 i blog erano quasi una novità, l’impatto che ebbe questo – nel suo piccolo – fu notevole o comunque inaspettato: in breve una comunità di donne e uomini di blues si raccolse intorno ai miei scritti; oggi, nell’era smodata di internet, dei social, dell’apparire ad ogni costo, i blog sembrano stare appena a galla, io non posso certo lamentarmi, la congregazione che segue questo diario digitale è sempre solida, affezionata ed appassionata, tuttavia mi pongo con frequenza la domanda di cui sopra.

Ogni volta che mi assalgono questi dubbi però capita qualche piccolo segnale che mi fa dire “però, Tim Tirelli, niente male”.

Dopo aver pubblicato questo articolo diverse decadi fa (alcune decine di giorni or sono insomma … lo scrivo in caso qualcuno si confondesse con la maledettissima lingua inglese)

https://timtirelli.com/2025/09/21/blues-at-an-exhibition/

l’amico LIZN mi invia questo messaggio: “qui hai vinto!! Ti sei superato…complimenti veramente, vorrei leggere le tue parole in un qualsiasi quotidiano … pelle d’oca”. Ora, al di là della generosità eccessiva nei miei confronti, lui fa parte di quella piccola cerchia di amici strettissimi con i quali schiettezza, sincerità e onestà intellettuale sono un valore fondante e dunque prendo per buono ciò che mi scrive.

Lo stesso giorno un altro caro amico e firma prestigiosa (molto prestigiosa) del giornalismo musicale italiano aggiunge: “Il tuo sì che è un blog in costante evoluzione, ferma restando l’eccellenza del critico musicale dimostrata nella recensione di Balance dei Van Hagar!”

Ora, magari è autoreferenzialità (concetto che detesto in verità), ma questi messaggi hanno contribuito a farmi dire “ma sì, andiamo avanti, almeno per un altro po’” e fanno parte dei segnali che noi umani, sempre abili ad autosuggestionarci, pensiamo siano connessioni tra le nostre vite e l’universo.

◊ ◊ ◊

IL LOOK FIGO E DECADENTE DI CERTE ROCKSTAR NEGLI ANNI SETTANTA

Scambio di sensazioni col nostro Paolo Barone (Polbi insomma).

Invio questa foto al mio amico, aggiungendo “uguale al Page di quegli anni”

Lo Scilla boy mi risponde prontamente:

Sì, i veri toxic twins del rock and roll, altro che Tallarico e Perry.
Keith ha sempre rivendicato la sua estraneità alla società borghese, facendo di ogni eccesso una bandiera pirata, anche furbescamente e nel tempo capitalizzando questo suo atteggiamento pure come scelta di marketing…al tempo stesso mi sento di dire con una sincerità di fondo indiscutibile. Jimmy al contrario ha sempre cercato di mitigare e negare le sue derive, anche quando erano palesi. Ha sempre rifiutato un etichetta di ribelle rock, ma anche il resto dei LZ non ha mai fatto diversamente. Gli Stones hanno esibito la loro decadenza da nobiltà pirata, forse anche come eredità dell’immagine costruita da Oldham. Gli anti Beatles, quelli pericolosi, che vanno in giro con la crema del jet-set e pisciano sui muri di una stazione di servizio. Paul Getty e gli spacciatori marsigliesi che entrano insieme dalla porta principale di Villa Nellcôte.
Tutt’altra aria nel giro Zep. Forse chissà, a loro volta influenzati dalla linea di Peter Grant, proletario del dopoguerra che non gradiva per la sua band un marchio crime-chic alla Andrew Oldham, ma gli eccessi e le sostanze che giravano nell’entourage Zeppelin, sappiamo che erano maggiori e con un livello di pericolosità complessiva ineguagliabile nel circuito rock del tempo.
Keith ci ha dato Life, uno dei libri più belli che raccontano il mondo del rock dagli anni sessanta a oggi, senza troppi filtri e non nascondendo affatto le walks on the wild side fra tossicodipendenze, litigi, e una vita spesso fuori dalla legge.
Perché oggi, dopo decenni e decenni, Page, Plant e Jones non vogliano fare altrettanto per me non è facile da capire. Un racconto in prima persona dei dieci anni o giù di lì in cui i Led Zeppelin erano quello che erano, sarebbe un contributo fondamentale. Lo vedremo mai? Ho molti dubbi…se ci pensi tutto il fronte Zeppelin è molto autocensurato. Non si capisce bene perché ormai. Stones, Keith e Wyman hanno raccontato di tutto. Altre rockstar idem. Il fascino del rock è anche questo essere stato un mondo senza regole, non come oggi che si portano le mamme anziane backstage. Ma oggi è tutto diverso purtroppo.

GATTI ALLA DOMUS

Qui alla Domus l’amore per i gatti (e per gli animali tutti) è ormai noto, e io amo osservarli alle prese con i cambi di stagione e con le variazioni della loro età.

Ragnatela — la Ragni, insomma — che ha diciassette anni e mezzo (ottantasei anni umani), tende ormai a non allontanarsi più di tanto: sonnecchia, riposa, riflette sul tempo che cambia e sul perché non sia più la meravigliosa reginetta tutto pepe dei lustri andati.

Ragnatela – autunno 2025 Domus Saurea – foto Tim Tirelli

Honecker (Polbi una volta mi ha detto che l’aver dato un nome del genere è stata una scelta molto punk…) ha poco più di due anni (ventiquattro anni umani) ed è un giovanotto pieno di energia ed esuberanza. Esce alle sette del mattino e torna verso le otto di sera, quando il buio, qui in campagna, ci avvolge in un velo di crepe nere — come fa talvolta il blues.

A ogni minuto di ritardo la preoccupazione sale, e ci ritroviamo a percorrere chilometri tra le vigne e i campi bagnati d’erba, con la speranza che il fascio di luce delle torce ci faccia scovare il luogo in cui il nostro giovane felino si trova.
Il più delle volte torniamo esausti, infreddoliti e sconfitti… fino a quando il nostro tabby (va beh, soriano) preferito non si presenta come se nulla fosse davanti alla porta di casa, proprio quando la notte inizia a scendere fitta.

Ci fa penare, ma come si fa a non amarlo?

Honecker the beautiful one – nov 2025 – foto Tim Tirelli

SERIE TV

_Nessuno Ci Ha Visto Partire (MEX 2025) – TTT¾

_L’Infiltrata / Legenden – (DK 2025) TTT½

_Due Tombe – (ES 2025) TTT¼

FILM

_A House Of Dynamite (USA 2025) – TTTT

Solitamente questo genere di film statunitensi sono tutti uguali, noiosi e imbevuti della solita retorica USA, questo invece colpisce nel segno (doppio senso non intenzionale) e inoltre ha infastidito la Casa Bianca.

PLAYLIST

Heavy Metal (Take a Ride) (Soundtrack Version) 1981 · Don Felder

John Cale 1975

John Cale 2024

Leslie 1976

JC 1973

CODA

Dopo aironi, fagiani, cicogne, gufi, civette e corvi, i dintorni della Domus Saurea si arricchiscono di un’altra specie di volatile: l’Ibis Sacro.
Rimango sempre piacevolmente sorpreso quando anche animali meno comuni riescono a sopravvivere in un ambiente ormai così profondamente modificato dall’uomo.

Ibis Sacro alla Domus – novembre 2025 – foto Tim Tirelli

Mi è bastato fare due passi di notte nei dintorni della House of Blues in cui vivo per scorgere, oltre la coltre di foschia, i quartieri industriali che si stendono al di là della campagna: fabbriche, industrie, strade, cemento… profitti insensati.
(Vogliamo parlare del bonus che avrà quest’anno EM da Tes*a?)

Poco rispetto per l’ambiente, tecno-fas**smo, iperliberismo, crescita vertiginosa del numero degli umani su questa terra — otto miliardi! — non possiamo farcela. Pagheremo un conto salatissimo, ma nessuno, al momento, sembra preoccuparsene.

A tratti, qui, ci si sente al fronte. Non si perde la speranza, certo, tuttavia nemmeno sotto ai frassini e alla grande luna di queste notti trovo quiete per la mia coscienza.
Meglio canticchiare qualcosa…

Autumn night at the Domus Saurea – novembre 2025 – Foto Tim Tirelli

“Extraterrestre, portami via
Voglio una stella che sia tutta mia
Extraterrestre, vienimi a pigliare
Voglio un pianeta su cui ricominciare”

Percival Everett “James”(2025 La Nave di Teseo) – TTTT

23 Set

James, l’ultimo romanzo di Percival Everett, è una rivisitazione potente e coraggiosa del classico Le avventure di Huckleberry Finn di Mark Twain. Ma questa volta, a raccontare la storia non è il giovane Huck, bensì il suo compagno di viaggio: Jim, lo schiavo fuggitivo.

Non si tratta di un semplice cambio di prospettiva: Everett trasforma profondamente la narrazione originale, restituendo dignità, voce e complessità a un personaggio che nell’opera di Twain rimaneva spesso ai margini.

Il romanzo ha ricevuto un’eccezionale accoglienza dalla critica internazionale, conquistando tre dei più prestigiosi premi letterari americani: il Kirkus Prize 2024, il National Book Award per la narrativa e il Premio Pulitzer per la narrativa 2025. Riconoscimenti che testimoniano il suo valore letterario e il suo impatto culturale.

Più che una riscrittura fedele, James è una reinterpretazione libera e consapevole. Molte scene dell’originale sono rielaborate o condotte verso esiti del tutto diversi. I due protagonisti, Jim e Huck, restano insieme per buona parte del viaggio, ma nel momento in cui si separano, è la voce di Jim a guidarci, con i suoi pensieri, i suoi ricordi, le sue paure — al contrario di Twain, che seguiva solo il punto di vista di Huck.

Anche i personaggi secondari vengono rivisitati, spesso con tratti più sfaccettati, complessi o addirittura ribaltati rispetto alla versione classica. Everett non ha paura di prendersi libertà creative, e in questo risiede gran parte della forza narrativa del libro.

James è un romanzo che non fa sconti. Affronta con lucidità e schiettezza la storia della schiavitù, la brutalità del razzismo e le contraddizioni profonde dell’America delle origini. È una lettura intensa, talvolta cruda, ma necessaria. Nonostante la durezza di alcuni passaggi, il romanzo riesce anche a intrattenere e a coinvolgere profondamente, alternando momenti di azione, riflessione e lirismo.

Il finale è particolarmente toccante: rapido, umano, quasi epico nella sua semplicità, d’altronde quando “i fiumi raggiungono il mare” si avverte un senso di compiutezza.

Un elemento che potrebbe sollevare qualche dubbio è la notevole cultura che James dimostra: conosce filosofia, legge, discute temi morali con consapevolezza e profondità. Il testo non chiarisce mai del tutto dove o come abbia acquisito questa istruzione — un aspetto che può apparire poco realistico, almeno in termini storici.

Tuttavia, Everett sembra suggerire che anche uno schiavo — figura tradizionalmente privata di voce e sapere — possa essere portatore di intelligenza, dignità e pensiero. È un’operazione simbolica e politica, che colpisce nel segno.

James è molto più di un omaggio a Twain: è un atto di riscrittura storica, un racconto alternativo che restituisce centralità a chi, nella letteratura e nella storia, è stato troppo a lungo marginalizzato. Un romanzo potente, urgente, e pienamente meritevole dei premi ricevuti.

Se amate la grande narrativa americana, il blues e siete pronti a vedere un classico con occhi nuovi, James è una lettura da non perdere.

◊ ◊ ◊

https://lanavediteseo.eu/portfolio/james/

Hannibal, una cittadina lungo il fiume Mississippi, lo schiavo Jim scopre che a breve verrà venduto a un uomo di New Orleans, finendo per essere separato per sempre dalla moglie e dalla figlia. Decide, quindi, di scappare e nascondersi nella vicina Jackson Island per guadagnare tempo e ideare un piano che gli permetta di salvare la sua famiglia. Nel frattempo, Huckleberry Finn ha simulato la propria morte per sfuggire al padre violento recentemente tornato in città, e anche lui si rifugia nella stessa isola. Come tutti i lettori delle Avventure di Huckleberry Finn sanno, inizia così il pericoloso viaggio – in zattera, lungo il fiume Mississippi – di questi due indimenticabili personaggi della letteratura americana verso l’inafferrabile, e troppo spesso inaffidabile, promessa di un paese libero. Percival Everett parte dal capolavoro di Mark Twain per raccontare la storia da un punto di vista diverso, quello di James, ma per tutti Jim, mostrando tutta l’intelligenza, l’amore, la dedizione, il coraggio e l’umanità di quello che diventa, finalmente, il vero protagonista del romanzo. Un uomo disposto a tutto pur di sopravvivere e salvare la propria famiglia, un uomo che da Jim – il nomignolo usato in senso spregiativo dai bianchi per indicare un nero qualsiasi, indegno anche di avere un nome proprio – sceglie di diventare James, e sceglie la libertà, a ogni costo.

Percival Everett con l’umorismo, l’arguzia, lo stile e l’intelligenza che lo contraddistinguono e che l’hanno reso uno degli scrittori più importanti della sua generazione, ci regala un romanzo che cattura il lettore dalla prima all’ultima pagina e che diventerà un punto fermo nella storia della letteratura americana. James è un grande libro che non ha paura di raccontare la vera storia d’America, e dei soprusi e violenze che l’hanno costellata.

Traduzione di Andrea Silvestri.

Vincitore del Premio Pulitzer 2025

Percival Everett

Percival Everett insegna alla University of Southern California. Ha scritto numerosi libri, tra i quali: Deserto americano (2004), Ferito (2005), La cura dell’acqua (2007), Non sono Sidney Poitier (2009), Percival Everett di Virgil Russel (2013), Quanto blu (La nave di Teseo, 2020), Telefono (La nave di Teseo, 2021), Gli alberi (La nave di Teseo, 2023; finalista al Booker Prize e vincitore dell’Anisfield-Wolf Book Award). Per i suoi lavori Everett ha ricevuto lo Hurston/Wright Legacy Award e il PEN Center USA Award for Fiction. Vive a Los Angeles. Da questo romanzo Cord Jefferson ha tratto il film American Fiction, con Jeffrey Wright e Tracee Ellis Ross, candidato a 5 premi Oscar e 2 Golden Globe, vincitore del BAFTA per la migliore sceneggiatura non originale.

Blues at an exhibition

21 Set

Ogni settimana che passa, rimango basito da come stia andando il mondo. Ogni volta si raggiungono livelli per me inimmaginabili e inconcepibili.

Senza arrivare a toccare l’argomento più drammatico di tutti — quello relativo a quell’esercito che combatte annientando civili inermi, in una guerra come non se n’erano mai viste su questa terra — rimango colpito ogni settimana di più dalla violenza contenuta nelle parole, negli atti, nei provvedimenti presi da presidenti, governi, Stati.

La spinta, ormai fuori controllo, verso governi con posizioni estreme; la democrazia continuamente presa a schiaffi; la voglia di autarchia, ovvero quella melma di concetti fondativi dell’etica cinica e stoica, orientata verso l’ideale del «bastare a sé stessi», dipendendo il meno possibile dalle cose del mondo per avvicinarsi allo stato di perfetta adiaforia e atarassia.

I popoli si fanno greggi, e vogliono al comando l’animale forte — e così, al comando, ci finiscono guitti (e guitte), capaci solo di parlare alla pancia della gente, spingendo le società verso l’integralismo religioso, il conservatorismo più bieco, il fascismo. Tutte cose contro natura.

Per un boomer come me, questo mondo è inconciliabile. Invece di darci agli altri, di portare avanti l’umanesimo, di costruire società dei diritti e della fratellanza tra gli uomini, ripiombiamo in un’epoca dove a guidarci sono sciocche superstizioni, visioni ottuse, violenza.

L’anno scorso, in una splendida giornata primaverile, fatta di sole e cieli blu, su una terrazza romana, ero a pranzo con una famiglia di cui mi sento parte — quella dell’amico, carne della mia carne. Parlavo con Mino, uno dei miei attuali adulti di riferimento, nonché padre dell’amico suddetto, e gli confidavo le mie impressioni, le mie paure, le mie angosce circa il mondo d’oggi.

Mino, forte della sua esperienza, della sua età, della sua capacità di pensare, mi rassicurava.

Vorrei avere la sua forza e la sua visione positiva, perché, ad oggi, l’istinto sarebbe quello di cercarmi un posto in riva al mondo e isolarmi da tutto questo chiasso, da questo clangore di spade, da questa follia.

Il guado‍ – Alessandro Tofanelli – circa 2020 (Olio su tela)

ADDIO A ROBERT REDFORD

Qualche giorno fa se ne è andato a 89 anni il grande, grandissimo, Robert Redford, figura indispensabile per il sottoscritto e per questo blog. Polbi mi manda un messaggio: “Piangiamo insieme la scomparsa del più fico di tutti” e mi allega questo link aggiungendo “uno dei finali più Rock And Roll della storia del cinema:

Già, senza pensare al mio film preferito in assoluto, “Jeremiah Johnson”, un western anti western memorabile, drammatico, poetico, blues, liberamente basato sulla vita del mountain man John Johnston (alias John Johnson alias William Garrison).

https://timtirelli.com/?s=Jeremiah+Johnson&submit=Ricerca

Oltre a Butch Cassidy and the Sundance Kid del 1969 e Jeremiah Johnson del 1972, andrebbero citati quasi tutti i film che ha fatto, ne ricorderò solo alcuni come The Candidate (1972), The Sting (1973), The Great Gatsby (1974), Three Days of the Condor (1975), The Electric Horseman (1979), Brubaker (1980), The Natural (1984)  Out of Africa (1985),The Horse Whisperer (1998), The Last Castle (2001), Our Souls at Night (2017) …

Addio Robert, per noi, come recita la traduzione italiana del film “The Natural”, sei stato “Il Migliore”.

THE GOLDEN AGE OF ROCK AND ROLL

_The Power, The Glory and the Hammer of the Gods.

The Toronto Star (August 3, 1977)

_Intervista a Cozy Powell – Kerrang! No. 14 (April 22 – May 5, 1982)

Cozy Powell interview Kerrang! No. 14 (April 22 – May 5, 1982)

Cozy Powell interview Kerrang! No. 14 (April 22 – May 5, 1982)

_La classifica dei migliori album tratta da Classic Rock Uk n.46 novembre 2002

Classic Rock Uk n.46 novembre 2002

Classic Rock Uk n.46 novembre 2002

_Physical Graffiti dei Led Zeppelin

Per il 50 esimo anniversario (si fa per dire, l’album uscì in febbraio) i Led Zeppelin fanno uscire un risibile LP con 4 pezzi dell’album in versione live (tratte dal DVD uscito nel 2023). Physical Graffiti, il secondo disco dei Led più venduto (solo negli USA 16.000.000 di copie), avrebbe certamente meritato qualcosa di meglio. 

Led Zep ad 1975 PG ad from Daily News ’75

Physical Graffiti advert 1975

GATTI ALLA DOMUS

Gli studi più aggiornati confermano che, anche per quanto riguarda i gatti, gli umani creano un legame unico alimentato dalla chimica del cervello. Non che per me sia una novità, ma che anche la scienza confermi questo è importante. Sono sentimenti profondamente radicati nel cervello e non solo nella routine quotidiana, come si legge in un recente articolo su La Repubblica dove la neuroscienziata Laura Elin Pigott della London Sounth Bank University espone il tutto. Legami dello stesso tipo di quelli che si hanno con figli, famigliari, amici, innamorati, etc etc. La neurochimica è davvero una meraviglia.

Sono decenni che lo vedo, dapprima col mio gatto Fidèl,

Fidel e Tim, Nonatown 2006 – autoscatto

poi con Palmiro – l’indimenticato coprotagonista di questo Blog,

Palmiro – primavera 2013 – foto TT

e oggi con Honecker e la Minnie,

Il Gattino Honecker – ott/nov 2023 – foto TT

Minnie, nuovo arrivo alla Domus settembre 2019 – foto TT

ma potrei dire lo stesso per la dozzina di gatti con cui ho interagito profondamente in tutti questi anni.

Lo sguardo di Honecker quando la sera lo porto su in casa è davvero eloquente; dopo una giornata passata a controllare i suoi territori, non appena mi vede mi viene incontro, si struscia sulle mie gambe, si fa prendere in braccio e si fa portare in casa. Mentre salgo le scale gira la testa e mi guarda, ed è uno sguardo che dice tutto, una cosa del tipo: “sì, sei proprio tu Tyrrell, il mio umano, e sì, ti voglio bene”. Fatto questo, naturalmente continua con la sua vita da gatto: svuota la ciotola con la sua cena e quindi si va a buttare sul divano per una bella dormita.

Honecker se la dorme – settembre 2025 – foto Tim Tirelli

Il riposo di Gianburrasca – settembre 2025 foto Tim Tirelli

I gatti, gli animali … sono meravigliosi.

FILM

_Il club dei delitti del giovedì (The Thursday Murder Club) – (ENG 2025) – TTT¼

Diretto da Chris Columbus il è l’adattamento dell’omonimo primo romanzo della serie scritta dall’autore britannico Richard Osman. E’ una commedia, genere che raramente frequento, ma essendoci Helen Mirren, una delle mie attrici preferite, non potevo esimermi. Gradevole.

_La Isla Minima (SPAGNA 2014) – TTTT

Gran bel giallo con Raúl Arévalo, nel ruolo di Pedro Suarez … degno uomo di blues. Profondo sud della Spagna, tra le paludi dell’Andalusia; inquadrature del paesaggio, anche dall’alto, davvero suggestive. la trama si snoda in maniera fluida e porta a galla con chiarezza la coscienza politica e sociale, il passaggio per un Paese dalla dittatura alla libertà non è mai semplice ed è sempre ruvido e aspro. Su Prime video.

Nel 1980, mentre è ancora in atto la transizione dal franchismo a una democrazia compiuta, due ragazze scompaiono in un piccolo villaggio andaluso delle paludi del Guadalquivir. Per cercare di risolvere il caso, vengono inviati da Madrid due ispettori della omicidi. Diversi per metodo e stile e animati da una diversa sensibilità, si troveranno ad affrontare ostacoli e situazioni a cui non sono preparati. Le indagini riveleranno una complessa rete di silenzi e insabbiamenti.

_Police (Francia 2020) – TTT¾

Abbandonarsi a film d’autore non USA risistema l’umore e nutre il cervello.

_L’ultima Vendetta (In the Land of Saints and Sinners) – (Irlanda, Stati Uniti d’America, Svizzera, Regno Unito, Francia 2023) – TTT¾

Vedi sopra (anche se lo zampino Usa comunque c’è). Con i grandi Liam Neeson, Ciarán Hinds e Colm Meaney. Irlanda 1974, un assassino in pensione viene coinvolto in uno scontro messo in piedi da un trio di terroristi IRA assetati di vendetta.

SERIE TV

_Detective Cormoran Strike  – stagione 6 (UK 2025) – TTTT+

Nuova stagione per il Detective Cormorano Colpo, serie tratta dai romanzi di Robert Galbraith, pseudonimo di Joanne Rowling ovvero l’autrice di Harry Potter. Un cuore nero inchiostro è una miniserie (la sesta) in quattro episodi. Anche stavolta Strike (Tom Burke) e Robin Ellacott (Holliday Grainger sono spettacolari. Serie per le donne e gli uomini di blues.

PLAYLIST

Il blues che torna di Count Basie e della sua orchestra – 1953

I Nazareth del 1973

Kate Bush l’acchiappanuvole (1985)

Una delle più belle del terzo album dei Van Halen (1980)

Sciocchezzuola di fine estate …

Sunshine, sunshine reggae, don’t worry, don’t hurry, take it easy!
Sunshine, sunshine reggae, let the good vibes get a lot stronger!

 

FINALE

Ultimi spicchi d’estate qui alla domus, domani arriva l’autunno e il giorno dopo il relativo equinozio,

Ultimi bagni di fine estate alla Domus – Settembre inoltrato 2025 – foto Tim Tirelli

mi preparo al cambio di stagione, mi tengo stretto, resto unito, non mollo e cerco di non passare troppo tempo nel “mio museo delle lamentazioni moderne” come diceva Philip Roth, d’altra parte Ever Onward, predicava il Dark Lord.

Blues Boy Tim – fine settembre 2025

Philip Roth “Portnoy” (1969 – Adelphi 2025) TTTTT+

14 Set

Philip Roth è stato, ed è tuttora, un gigante della letteratura nordamericana. Lo scoprii nella seconda metà degli anni Ottanta, quando ero ancora solo un ragazzo. Ma già allora sentivo una fame profonda di sapere, di ideali, di letteratura e, naturalmente, anche di musica rock di qualità.

Avevo un bisogno quasi viscerale di figure adulte a cui guardare, di mentori ideali. Roth lo divenne immediatamente, appena conclusi la lettura de Il professore di desiderio (1977). Quel libro accese qualcosa in me. Da lì fu un’immersione totale: Il lamento di Portnoy (1969), La mia vita di uomo (1974), e L’orgia di Praga (1985) si susseguirono rapidamente. Mi legarono a Roth in modo definitivo. E poi, ovviamente, venne tutto il resto, in particolare Pastorale americana (1997) e Nemesi (2010), due capolavori che confermarono la sua statura di scrittore epocale.

Il critico James Wood, con lucidità rara, scrisse:

“Più di ogni altro scrittore americano del dopoguerra, Roth ha scritto il sé — il sé è stato analizzato, blandito, deriso, romanzato, reso fantasma, esaltato, disonorato, ma soprattutto costituito dalla e nella scrittura.”

Un ritratto, a mio avviso, definitivo.
I romanzi di Roth sono infatti celebri per il loro tono intensamente autobiografico, per la capacità di dissolvere i confini tra realtà e finzione, e per l’audacia con cui interrogano — spesso provocatoriamente — le nozioni di identità, ebraica e americana.

Il lamento di Portnoy (ripubblicato da Adelphi con il titolo Portnoy) resta, a distanza di 56 anni, un’opera potentissima. Un romanzo che conserva una forza dirompente, capace di colpire ancora oggi con la stessa veemenza.

Lo lessi per la prima volta negli anni Ottanta, nell’edizione dei Tascabili Bompiani del 1988, tradotta da Letizia Ciotti Miller. Fu una rivelazione, un’esperienza letteraria che segnò per sempre il mio rapporto con la scrittura — e con l’identità stessa.

P. Roth Lamento Di Portnoy edizione 1988 Bompiani – foto Tim Tirelli

A tanti anni di distanza, il romanzo mi ha di nuovo impressionato — e travolto — con la stessa forza di allora.
La nuova edizione pubblicata da Adelphi, a cura di Matteo Codignola, è stata per me una rilettura sorprendente. Non è stato immediato abituarmi alla nuova traduzione: è certamente più aderente al mondo di oggi, con un linguaggio più diretto, spoglio di filtri e mediazioni.

Benché io non sia tipo da eufemismi — l’uomo di blues che sono preferisce parlare chiaro — ammetto che, in fatto di traduzioni, tendo a rimanere affezionato a quelle “del tempo che fu”. Tuttavia, riconosco al nuovo traduttore (che sia chiaro: ha fatto uno splendido lavoro) un approccio brillante, spigliato, e soprattutto fedele allo spirito dell’originale.

Un esempio emblematico: il titolo del capitolo IV.
In inglese, si intitola Cunt Crazy.
Nella traduzione italiana del 1988, divenne La fissazione.
Oggi, finalmente, si ha il coraggio di restituire il tono e la forza dell’originale: Pazzo per la figa.
Una scelta forse spiazzante, ma indubbiamente centrata.

La sinossi della nuova edizione riassume alla perfezione lo spirito del libro:
un monologo travolgente del protagonista, Alexander Portnoy, sospeso tra una seduta psicoanalitica senza censure e la più scatenata stand-up comedy mai trascritta su pagina. Un flusso inarrestabile, brillante, grottesco e irresistibile, da cui si esce barcollando.

Sì, Portnoy è ancora oggi capace di provocare vertigini.
Di piacere letterario — e non solo.

◊ ◊ ◊

https://www.adelphi.it/libro/9788845940118

SINOSSI

«Questo libro rischia di provocare un secondo Olocausto» scrisse all’uscita di Portnoy uno studioso generalmente posato come Gershom Scholem. La profezia fortunatamente non era fatta per avverarsi, ma è difficile negare che da allora il monologo di Alexander Portnoy abbia investito, e travolto, tutto quanto ha incontrato sul suo cammino. A cominciare dalle abitudini dei lettori, e dalla loro percezione di cosa possa, e soprattutto non possa, raccontare un libro. Poi, gran parte delle idee ricevute sui cosiddetti rapporti fra maschi e femmine, su noialtri quaggiù e le varie forme che diamo all’entità lassù. La vertigine comincia subito, quando chi legge pensa di affrontare il resoconto senza censure di una seduta analitica – cosa che, molto più di quanto si pensi, è vera – e si ritrova in mano un tipo diverso, e almeno altrettanto scabroso, di materiale: quello della standup più divertente e irrefrenabile mai messa sulla pagina; da cui si esce barcollando, e senza essere certi di volerne veramente uscire. Dopo molti anni, e infinite repliche, lo spettacolo aveva però bisogno di un nuovo allestimento, che qui presentiamo invitandovi alla prima.

Prima di assumere la sua forma attuale, il materiale di Portnoy è stato varie altre cose – fra cui un commento parlato alle diapositive di zone erogene illustri, che Kenneth Tynan avrebbe voluto inserire nel suo celeberrimo e allora sacrilego musical Oh, Calcutta! Solo dopo lunghi ripensamenti il monologo ha finito per diventare, nel 1969, il quarto libro di Philip Roth (1933- 2018). Quello della sua consacrazione (o sconsacrazione): e anche quello da cui, inevitabilmente, Adelphi comincia la pubblicazione di tutte le sue opere.

Philip Roth 1967 – Foto di Bernard Gotfryd
 Fonte: Library of Congress Prints & Photographs Division
“No known restrictions on publication”.

Van Halen – Balance (Expanded Edition – Warner/Rhino Records 2025) – TTT¾

3 Set

Nuova edizione di Balance dei Van Halen pubblicata poco fa in occasione del trentesimo anniversario dell’uscita dell’album; il cofanetto consiste in 2LP/2CD/Blu-ray, è tuttavia possibile acquistare le singole versioni a 2 CD e 2 LP. Questo è il mio album preferito del periodo che va dal 1991 al 2012, era non particolarmente brillante per il gruppo. Approfitto di questa uscita per riascoltare il disco e per scriverne, chissà che dopo tutti questi anni non mi arrivi qualcosa di diverso.

Balance è un album che per certi versi si discosta dal carattere californiano tipico di molti lavori del gruppo, già dalla copertina si intuisce che i toni sono differenti: due gemelli congiunti (anche detti gemelli siamesi) su di una altalena in un desolato ambiente postatomico, il font usato che richiama caratteri del medioevo, l’Uomo Vitruviano di Leonardo Da Vinci raffigurato sul CD. Anche il titolo del primo pezzo, Il Settimo Sigillo (vedi il film del 1957 di Ingrid Bergman), contribuisce a fare di Balance un album più serio del solito, lo stesso dicasi per il nuovo look della band, anni novanta e piuttosto composto. Diversi critici scrissero che i VH avrebbero dovuto tornare al Rock divertente e meno impegnato dei primi anni, io non ho mai condiviso queste sciocchezze e ho sempre pensato che, sebbene fosse un album più oscuro degli altri e non del tutto riuscito, era da apprezzare l’intento del gruppo nel prendere una direzione diversa. L’album comunque arrivò al primo posto della classifica USA conquistandosi il triplo di disco di platino (3.000.000 di copie vendute).

The Seventh Seal si apre con un canto di monaci tibetani prima che un riff di chitarra, al contempo tenebroso e frizzante, inneschi il gruppo. Brano particolare, al passo coi tempi (siamo nel 1995 appunto), senza cadere nei gemiti strascicati tipici di quel decennio. Can’t Stop Lovin’ You cambia subito registro, ariosa, orecchiabile e probabilmente richiesta dal produttore Bruce Fairbairn; costruita su un giro armonico usatissimo i VH riescono comunque a renderla spumeggiante. Bello l’assolo di Eddie, efficaci certe aperture e l’arrangiamento.

Don’t Tell Me (What Love Can Do) rimane in bilico tra luce e tenebra, chitarra ritmica che gioca sull’effetto tempi dispari prima di rigettarsi sui canoni più consoni. Non amo particolarmente il modo di cantare di Hagar, in questo pezzo lo capisco una volta di più. Amsterdam è super, ritmo possente e a tratti funk; il testo riflette le considerazioni (piuttosto banalotte) di Hagar (tipica visione statunitense turistica) sulla città. Belle prove dei fratelli Van Halen. Gran pezzo.

“Big Fat Money” è un heavy Rock scatenato con un cantato che a tratti ricorda It’s the End of the World as We Know It (And I Feel Fine) dei R.E.M. (1987). Molto particolare la base ritmica che fa da sfondo all’assolo di chitarra. “Strung Out” è uno degli strumentali dell’album, proviene dagli anni ottanta, ad essere generosi la si potrebbe chiamare avant-garde, in realtà è Eddie che si diverte, durante una vacanza estiva, a giochicchiare con un pianoforte agendo direttamente sulle corde dello strumento stesso. Al produttore Bruce Fairbairn, a cui furono dati diversi nastri da ascoltare, piacque e finì così sul disco.

Trovo che “Not Enough” sia molto bella, un’agrodolce canzoncina d’amore, ben cantata, ben suonata, ben interpretata. Testo semplice tuttavia efficace. L’assolo di chitarra suonato su una tonalità minore, per quanto classicissimo, è delizioso.

“Aftershock” ha una scrittura standard in campo VH, pezzo minore (con tracce dei Metallica). “Doin’ Time” è il secondo strumentale, basato sul lavoro della batteria. A me Alex Van Halen come batterista piace, dunque ascolto questo strumentale senza fatica, certo, anche qui, scelta bizzarra. Segue “Baluchitherium”, brano a cui semplicemente non è stata aggiunta una melodia e un testo. L’inizio ricorda certi strumentali di Steve Vai dei primi anni novanta.

Si prosegue con “Take Me Back (Déjà Vu)”, uno dei momenti migliori di quest’album, basato su un riff  scritto da Edward Van Halen negli anni settanta. Il lavoro sulla chitarra acustica non è complicatissimo ed è di una purezza e bellezza disarmanti … tra l’altro suonato con un tocco magnifico, che gran chitarrista che era Edward Van Halen; l’elettrica, il basso e la batteria entrano bene movimentando il brano. Indovinato, come spesso accade, il break dedicato all’assolo di chitarra e molto carino anche il finale.

“Feelin’” ha un inizio tipico del Classic Rock di quegli anni, evocativo e misterioso, il ritornello è più convenzionale; nella base dell’assolo di chitarra la velocità aumenta e Edward, con la solista, cerca sentieri meno canonici.

Il materiale bonus contiene tre brani in studio rari, e un set dal vivo Live At Wembley Stadium, London, England (June 24, 1995).

“Crossing Over”, che uscì come B-side del singolo “Can’t Stop Lovin’ You” per la versione statunitense e bonus track nel CD per ilo mercato nipponico, ha il suo perché, traccia inusuale ma intensa … in alcuni brevi momenti ci sento Kashmir dei Led Zeppelin (minuto 3:48 e nella coda finale). “Humans Being” uscì nel 1996 come singolo per la colonna sonora del film Twister. Nulla di eclatante ma, ancora, nell’intermezzo a tempo dimezzato succedono cose buone. “Respect The Wind” è uno strumentale, anch’esso proveniente dalla colonna sonora del film Twister, la chitarra solista vanhaleggia, piuttosto bene, in modalità seriosa.

Valido il live del 1995, il gruppo suona con convinzione e facilità, certo, sono i VH degli anni novanta, con suoni suoni e approcci diversi, ma rimangono pur sempre loro.

  • Data di Uscita: 15/08/2025
  • Formato: Doppio CD / Doppio LP / 1 Blu ray
  • Etichetta: Rhino records

Balance (Expanded Edition) 2LP/2CD/Blu-ray tracklisting

LP One: Original Album: 2023 Remaster

Side One
“The Seventh Seal”
“Can’t Stop Lovin’ You”
“Don’t Tell Me (What Love Can Do)”
“Amsterdam”

Side Two
“Big Fat Money”
“Strung Out”
“Not Enough”
“Aftershock”
“Doin’ Time”

LP Two

Side One
“Baluchitherium”
“Take Me Back (Déjà Vu)”
“Feelin’”

Side Two
Etching

CD One: 2023 Remaster
“The Seventh Seal”
“Can’t Stop Lovin’ You”
“Don’t Tell Me (What Love Can Do)”
“Amsterdam”
“Big Fat Money”
“Strung Out”
“Not Enough”
“Aftershock”
“Doin’ Time”
“Baluchitherium”
“Take Me Back (Déjà Vu)”
“Feelin’”

CD Two
“Crossing Over”
“Humans Being”
“Respect The Wind”
Live At Wembley Stadium, London, England (June 24, 1995)
“The Seventh Seal” *
“Feelin’” *
“Ain’t Talkin’ ‘Bout Love” *
Guitar Solo *
“You Really Got Me” *
“When It’s Love” *
“Jump” *
“Right Now” *

Blu-ray
“Don’t Tell Me (What Love Can Do)” – Promo Video
“Can’t Stop Loving You” – Promo Video
“Amsterdam” – Promo Video
“Not Enough” – Promo Video
“The Seventh Seal” – Live at Target Center, Minneapolis, MN (July 30, 1995) *
“Humans Being” – Promo Video

* Previously Unreleased

Quando i pini frusciano mossi da una brezza intermittente …

30 Ago

Un’amica mi recapita un messaggio, dove mi segnala una considerazione sulla musica letta nel libro sull’estetica che sta leggendo:

Mi piace molto questo intruglio tra poetica e la ripetizione del ritmo e dello stesso tema per suscitare incantesimo e trance.

La mia amica, finita anche lei chissà come nell’orbita del Blues” che sembro aver creato, finisce il messaggio salutandomi con un: “e come dice un mio saggio amico, un uomo di Blues, “Let the good times roll”! A presto!”. 

Un “saggio amico” (uomo blues va da sé) … è così che mi vedono le mie giovani amiche? Dopo una serata qui sotto al bersò della Domus Saurea con alcune amiche dell’umana con cui vivo, quest’ultima riceve complimenti e ringraziamenti via messaggio tra cui un “E poi Tim … un uomo dolce e sensibile che tutte noi donne vorremmo avere al fianco ma che invece hai tu”. Ovviamente sono lusingato, meglio apparire così che un testa di caxxo qualunque, però, mi chiedo …”un uomo dolce e sensibile che tutte noi donne vorremmo avere al fianco ma che invece hai tu” … Un “saggio amico” … sono davvero io? No perché io mi sento tuttora un ventitreenne inesperto, pieno di dubbi e di domande e alla ricerca del proprio equilibrio o comunque un uomo (di Blues, ovvio) che fa sue certe domande che si poneva Alexander Portnoy nel libro che parla del suo “Lamento” scritto da Philip Roth (tutti in ginocchio!):
Che ne è stato di quello che sentivo a nove, dieci, undici anni? Come sono potuto diventare un nemico implacabile di me stesso? E perché sono così solo? Esisto solo io. Sono sprangato dentro di me. Che fine hanno fatti i miei buoni propositi, tutti traguardi onesti e condivisibili. Casa? Non ce l’ho. Famiglia? Come sopra. Potrei, basterebbe schioccare le dita … ma allora perché non le schiocco, e vado avanti? Perché invece di mettere a letto i bambini e coricarmi accanto ad una moglie fedele (e ricambiata), a letto ci ho portato una puttana italiana piccoletta e in carne, e una modella americana e squinternata?”

Sono le sei del mattino di questo grigio e fresco sabato di fine estate, è da poco passata l’alba, vi sembra sia questo il momento per rimettersi a ricamare i pensieri e i soliti, soliti, soliti blues? Ieri sera una salto nei deserto dei tartari della nuova Festa Dell’Unità di Regium Lepidi, cenetta al ristorante (ah no, aspetta, allo stand gastronomico) Gente di Mare, una capatina a verificare la situazione nella arena del liscio e in quella dello “spazio giovani”, per poi rintanarci nella libreria … e stamattina di buon ora già a qui a rimestare i blues dell’essere umano, mentre la pollastrella dorme il sonno dei giusti. Ora piantala Tim Tirelli, Aramis Reinhardt, Lowell Leroy Ebenezer Stephen Tyrrell o come diavolo ti chiami, rilassati e pensa a qualcosa che ti calma … ci sono: i Pini Marittimi, quelli che ti piacciono tanto … ah senti, che bella sensazione, che pace, che tranquillità … no fermo, non incominciare di nuovo, lascia la maruga in stand by … oh no, ci risiamo.

No, non devo chiamarli Pini Marittimi, perché non lo sono, a volte mi capita di incappare in questo errore che fanno quasi tutti, ma devo riuscire a correggerlo. Luca Lombroso, meteorologo extraordinarie e mio conterraneo, li chiama giustamente pini domestici, trattasi  insomma di Pinus Pinea, conifera sempreverde, albero maestoso e iconico per il suo portamento ad ombrello, ideale per climi mediterranei e costieri. Di questo Pino meraviglioso ne ho già parlato qui sul blog, perché da sempre mi affascina e mi irretisce; quando mi reco in Romagna, a Roma, o in qualche altra località vicino alla costa, non faccio altro che rimirarli, che riempirmi gli occhi delle loro fronde e delle suggestioni che propagano verso le mie pupille.

E’ un vero peccato che insensati luoghi comuni portino le amministrazioni comunali e i proprietari di case e villette dei paesi marittimi ad ostacolarli e a disdegnarli. Questi due brevi post di facebook, creati da chi ha titolo per parlare di alberi, chiariscono la cosa in maniera esemplare.

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Sì, un vero peccato, perché sono alberi magnifici, resistenti, con una adattabilità sorprendente per quanto riguarda climi e terreni e un’alta tollerabilità ai venti marini. E poi … e poi, quando si rimira il mare ed essi frusciano mossi da una brezza intermittente … beh, non ce n’è per nessuno.

Vele Bianche – Greendale – Romagna  – foto Tim Tirelli

FRANCESCO DE GREGORI, 28 AGOSTO 2025, TEATRO AL CASTELLO, ROCCELLA JONICA (RC) – di Paolo Barone

Il nostro Polbi l’altra sera è andato a vedere De Gregori (artista che entrambi amiamo moltissimo), mi manda il resoconto, e io non posso che pubblicarlo qui sul Blog. Polbi, oltre ad essere mio soul brother, Scuba Diver extraordinaire, Led Head reverendissimo, Rock Music lover supreme è financo penna sopraffina.

Molto molto bello il concerto di De Gregori a Roccella Jonica ieri sera.
Scenario incantevole, pubblico casuale che a noi fessacchiotti nobili del rock dà sempre un po’ fastidio.
Si è capito subito, dalle prime note, che il nostro avrebbe fatto un gran concerto. Band compatta, suono rock americano da radio, e lui che ora ha deciso di seguire il suo faro guida Dylan diventando un frontman. Quanta differenza dall’elegante timidezza di una volta, ma l’eleganza De Gregori ce l’ha nel DNA, qualsiasi maschera dylaniana decida di indossare. Stavolta gli arrangiamenti non hanno stravolto le canzoni e la voce era al centro della scena. La sua voce, inconfondibile, quella che ci portiamo dentro da decenni, anzi forse da sempre. Con un repertorio come il suo potrebbe fare una scaletta diversa ogni sera, e non sbagliare mai. Essendo il tour di Rimmel credevo aprisse i concerti con quel disco fatto per intero,  ma De Gregori è un fuoriclasse ed è imprevedibile, quindi tutta la prima parte è una meraviglia che ti scava direttamente un tunnel nell’anima.

Roccella Jonica teatro De Gregori 28 agosto 25 – Filmato di Paolo Barone

Cercando Un Altro Egitto, Caldo e Scuro, Atlantide (!), Bufalo Bill, Caterina arrivano una dopo l’altra. Poi Desolation della povertà un po’ innocua senza alcun riferimento alla realtà, o forse sono io che non l’ho colto. Ecco forse è mancato un po’ questo. Non è un momento qualsiasi per questo paese e per il mondo, Palestinesi in testa. Un suo ex amico diceva, voi avevate voci potenti, e la sua ieri poteva battere un po’ il tamburo. Glielo avrebbe perdonato anche il PD, ma va benissimo anche così. E’ un poeta, una preziosa creatura, e basta anche solo aver fatto una Storie Di Ieri da brividi per aver detto tutto.

Roccella Jonica teatro De Gregori 28 agosto 25 – foto Paolo Barone

I brani di Rimmel fatti magnificamente, qualche altro pezzo splendido, un inevitabile pezzo karaoke e poi una chiusura con Buonanotte Fiorellino più Dylan che mai.
Quasi due ore di emozioni fortissime per me, per noi, e probabilmente anche per lui che ha 74 anni portati favolosamente. Mi sono emozionato più volte, i suoi brani hanno una forza evocativa incredibile.
Avevo una persona con me e il cuore che volava sopra tutto quello che ho vissuto dal 1979 a oggi. Mi sono scese le lacrime con Atlantide e Bufalo Bill.

Il tour di Banana Republic fu il mio primo concerto, un giorno di fine estate in Calabria. Avevamo 12 anni io, e 28 lui. Una vita vecchio mio. Una vita.

©Paolo Barone 2025

GOLDEN AGE OF ROCK AND ROLL

_Classifiche Ciao 2001 n. 18 del 9 maggio 1976

Quando riguardo queste classifiche vengo avvolto da un brivido e mi sento fortunato ad essere stato ragazzino quando certi album arrivavano in alto, anche nelle classifiche italiane. Battisti, Bob Dylan e i Genesis ai primi tre posti, poco sotto De Gregori e Wish You Where Here. A seguire, tra gli altri, Station to Station di Bowie. Negli Stati Uniti tra i primi dieci ci sono Eagles, Wings, Queen, Bad Company e Bob Dylan. Sarò anche un boomer nostalgico, ma … me cojoni! (come direbbe il Vicequestore Schiavone).

Classifiche Ciao 2001 n. 18 del 9 maggio 1976

Classifiche Ciao 2001 n. 18 del 9 maggio 1976

PLAYLIST

_La Vanoni del 1970.

Canzone scritta da Roberto Carlos e Erasmo Carlos (titolo originale in portoghese: Sentado à beira do caminho), con testo italiano di Bruno Lauzi.  Una vera meraviglia.

_ Le stelle della tosta Nina Simone – Montreux 1976

_La Rosetta del 1944

_Mississippi John Hurt e la valle solitaria …

_Steven & Jimmy (Crespo) 1982

FINALE

Scampoli di fine estate, giornate ancora calde, grossi temporali, tempo e umori mutevoli, d’altra parte come canta De Gregori

“Pioggia e sole
cambiano
la faccia alle persone
fanno il diavolo a quattro nel cuore e passano
e tornano
e non la smettono mai”

e allora mi avviluppo in un circolo vizioso che sembra senza fine, entro in campagne intrise di caldo umido e schiacciate da nuvoloni neri e gonfi di pioggia ed esco su fette di pianura assolate dove un leggero zefiro ribelle accompagna l’estate verso l’orizzonte.

Non mi resta altro che restare in equilibrio grazie alle coordinate insegnatemi dagli Dei (e dal Blues).

Hey everybody
Let’s have some fun
You only live but once
And when you’re dead, you’re done

So let the good times roll
Let the good times roll
Don’t care if you’re young or old
Get together, let the good times roll

Don’t sit there mumblin’
And talkin’ trash
If you wanna have a ball
You gotta go out and spend some cash

And let the good times roll
Let the good times roll
Don’t care if you’re young or old
Get together and let the good times roll

Hey Mr. Landlord
Lock up all the doors
When the police comes around
Tell ‘em the joint is closed

Let the good times roll
Let the good times roll
Don’t care if you’re young or old
Go out and let the good times roll

Hey y’all, tell everybody
Mr. Jordan’s in town
I got a dollar and a quarter
And I’m just rarin’ to clown

But don’t let nobody
Play me cheap
I got fifty cents more
That I’m gonna keep

So let the good times roll
Let the good times roll
Don’t care if you’re young or old
Get together and let the good times roll

No matter whether it’s rainy weather
Birds of a feather gotta stick together
So get yourself under control
Go out and get together and let the good times roll

Quadranti Settentrionali Blues

23 Ago

Terza decade di agosto, manca ancora un mese alla fine dell’estate ma in questo sabato mattina nebbioso annuso già gli odori del fine stagione ormai dietro l’angolo;

Foggy day – fine agosto 2025 – Domus Saurea – foto Tim Tirelli

sono in attesa dei venti provenienti dai quadranti settentrionali, chissà cosa porteranno la Tramontana, il Grecale e il Maestrale quest’anno.

Sono le 7 del mattino e sono qui giù ad aspettare le impressioni di settembre che prima o poi faranno capolino, faccio due passi tra l’usuale paesaggio in cui sono immerso, cerco di fare evaporare del tutto il Rum bevuto ieri sera qui sotto al bersò insieme ad una coppia di vicini coi quali andiamo molto d’accordo. Il cellulino passa in riproduzione casuale Arthur “Big Boy” Crudup, Blind Blake e Leroy Carr e mi chiedo appunto da quanto tempo è partito il treno della sera, da quanto per dio, perché “a volte mi sento così disgustato e mi sento così giù che quasi non so cosa, in questo mondo, amore, devo fare. Per quanto, quanto, quanto a lungo, amore, quanto a lungo?”…

How long babe how long
Has that evenin’ train been gone?
How long, how, how long, baby how long?

Went and asked at the station: ‘why’s my baby leavin’ town?’
You were disgusted, nowhere could peace be found
For how long, how, how long, baby how long?

I can hear the whistle blowin’ but I cannot see no train
And it’s deep down in my heart baby, there lies an achin’ pain
For how long, how, how long, baby how long?

Sometimes I feel so disgustin’ and I feel so blue
That I hardly know what in this world baby just to do
For how long, how, how long, baby how long?

And if I could holler, like I was a mountain jack
I’d go up on the mountain and I’d call my baby back
But for how long, how, how long, baby how long?

And someday you gonna be sorry that you done me wrong
But it will be too late baby, I will be gone
For so long, so long, baby so long

My mind gets a ramblin’, I feel so bad
Thinkin’ about the bad luck that I have had
For how long, how, how long, baby how long?

Tuttavia, come puntualmente accade, il sole torna a splendere … eccolo qui l’unico dio a cui inginocchiarsi (va beh, ce ne sarebbero un altro paio, entrambi suonano la chitarra), il Sol Invictus.

29 Palms meno 27 – fine agosto 2025 – Domus Saurea – foto Tim Tirelli

GOLDEN AGE OF ROCK AND ROLL

_Led Zeppelin –  “Dazed & Confused” dal vivo ad Amsterdam 05/10/1969

Sembra che nella versione del documentario Becoming Led Zeppelin che sta per essere messo sul mercato (uscirà il 30 settembre), vi sia come bonus il filmato di Dazed & Confused” dal vivo ad Amsterdam 05/10/1969 in ottima qualità (ripreso dalla TV dei Paesi Bassi all’epoca). Nel link qui sotto pochi secondi del nuovo video in questione riguardanti John Bonham.

https://relix.shop/products/becoming-led-zeppelin-limited-collectors-edition-steelbook-blu-ray-dvd-box-set?_pos=31&_sid=f41b0eda5&_ss=r

_Van Halen Donington ’84

Non so se questo video rimarrà a lungo su Youtube, visto che lo hanno già bandito, ma è davvero qualcosa di strepitoso, la qualità è altissima per essere un filmato non esattamente legittimo. All’epoca il gruppo era nella fase “orizzonti perduti”, seppur ancora in formissima e in un momento di successo straordinario. Vedere Edward Van Halen per più di un ora in qualità pro è una soddisfazione immensa per il ragazzino che ero.

_Joe Perry Project – Boston 19/08/2025

Joe Perry ritorna on the road con il JP Project e lo fa una formazione davvero particolare: Perry, Whitford, Chris Robinson dei Black Crowes, Robert DeLeo dei Stone Temple Pilot e il batterista che sostituiti Joey Kramer negli ultimi giorni degli Aerosmith. Scaletta sorprendente visto che contiene cose tipo Get The Lead Out/Heartbreaker, My Fist Your Face (da Done With Mirrors del 1985, disco obliquo che a me piace moltissimo), un paio di Cover degli STP e un paio dei Black Crowes.

Mi piacerebbe molto vedere una data di questo tour, anche se Joe chitarristicamente parlando non sembra esattamente in gran forma (tutt’altro):

Concerto completo:

FILM

_Black Box – La scatola nera (Boîte Noire) – (Francia 2021) – TTT½

Bel Triller

_Sleeping Dogs (Usa 2024) TTT½ con Russell Crowe.

Qualche trovata davvero buona, ma finale che invece di essere inaspettato diventa scontato. Old Man di Neil Young nella colonna sonora.

PLAYLIST

I Corvi Neri al debutto, 1990 …

Allan Holdsworth con gli UK, 1978

Lo smilzo di Memphis

Muddy 1975 …

I’m going to be standing on the corner, Twelfth Street and vine
I’m going to be standing on the corner, Twelfth Street and vine
With my Kansas City baby and my bottle of Kansas City wine

Drummer Billy Cobham + Tom Scott on tenor, soprano + guitarist Steve Khan + electric bassist Alphonso Johnson 1978 …

FINALE

Prima di andare a fare la spesa settimanale, mi fermo a far colazione nel bar di Gavassae, la frazione di Regium Lepidi contigua a quella dove vivo; un cappuccino e un cannellino in una atmosfera un po’ “sguasta” da vecchio bar di una volta. Di fianco al mio tavolo due uomini con un paio di lustri più di me parlano fitto fitto in dialetto reggiano strettissimo, ovviamente capisco alla perfezione quello che dicono … si raccontano gli impicci reciproci riguardo la loro salute. Il dialetto è scorrevolissimo, è chiaro che è quella la loro lingua madre principale, mi chiedo se quando scomparirà la gente di quella età (ed oltre) il dialetto emiliano centrale che parliamo qui rimarrà una lingua viva. Per adesso mi godo questi scampoli del territorio che portano ad epoche passate, osservo gli avventori, quasi tutti avanti con gli anni, appartenenti ad una generazione contadina legata a doppio filo al cuore pulsante di questa terra, lo faccio mentre i gestori del bar, cinesi, vestiti delle loro espressioni inesplicabili continuano impassibili il loro lavoro.

Esco dalla Grande Muraglia di Gavassae e torno a pensare ai miei blues.

Uomo di Blues – Fine Agosto 2025 – Tim Tirelli