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TT’s SCHOOL OF ROCK XIII: Van Halen

9 Nov

Tredicesima School of Rock quella dell’equinozio d’autunno del 2025 e dunque – qui faccio il solito  copia incolla – nuovo ritrovo modello “Dopolavoro” nei locali della azienda per cui lavoro. Sospinto dalla volontà del nostro dirigente GLB eccomi di nuovo davanti al gruppo dei fedelissimi e affezionati colleghi che con dedizione e passione si assiepano – dopo l’orario di lavoro – nella (mia amatissima) Sala Blues (where the dreams come blue), la grande sala informale dell’azienda dotata di un vero e proprio impianto hi-fi. Avendo saltato la puntata estiva per motivi logistici, staserà c’è il sold out, anzi siamo in sovra prenotazione (vabbeh, over booking), non tanto per i Van Halen in sé, quanto per la voglia di stare di nuovo insieme ad ascoltare un po’ di buona musica.

Mi prendo una mezz’oretta prima dell’inizio per raccogliere i pensieri, immergermi nella silenziosa sala vuota e preparare ellepì e cd.

Sala Blues – settembre 2025 foto Tim Tirelli

 

Sala Blues VH – settembre 2025 foto Tim Tirelli

 

Sala Blues VH – settembre 2025 foto Tim Tirelli

Verso le 18 arrivano i primi colleghi, alcune groupie voglio farsi una foto, accontentiamole …

Groupies – Sala Blues – settembre 2025 foto Siuvio do Brazil

spiego ai colleghi che questa puntata della School Of Rock ha preso corpo dopo che qualcuno di loro mi ha inviato un messaggio, di cui riporto solo un paio di frasi (la prima e l’ultima), molto lusinghiero per la School Of Rock tutta:

“Ho riletto alcuni articoli del tuo blog in questi giorni, tra cui quelli delle prime School of Rock e ho sentito un senso di malinconia, anche se non le ho vissute … Ho scoperto che la potenza di un istante puro può cambiare profondamente l’identità di qualcuno.”

Parto quindi con la School Of Rock vera è propria introducendo la puntata di questa sera:

Io rompo sempre le scatole con la musica, con il Rock “contenutistico”, quello che deve dire qualcosa di profondo.
Eppure, se parliamo dei Van Halen, bisogna riconoscere che la loro è una musica da intrattenimento puro: il sole della California, le belle ragazze, il Rock duro ma pieno di melodie accattivanti, testi frizzanti e mai banali, anche se semplici e votati principalmente al divertimento.

E allora, perché parlare dei Van Halen, potrebbe chiedersi qualcuno di voi …
Beh, perché Eddie Van Halen (EVH) è stato uno dei chitarristi Rock più influenti e importanti della musica che tanto amo.
Prima di lui, i quattro cavalieri dell’apocalisse della chitarra erano Eric Clapton, Jeff Beck, Jimi Hendrix e Jimmy Page.
Quando arrivò lui, i quattro appena citati entrarono di colpo nella categoria della “vecchia scuola” (anche se, per Jeff Beck, qualche distinzione andrebbe fatta).

EVH ha modernizzato la chitarra Rock, portandola a un livello superiore con il suo stile, fatto di hammer-on e tapping.
Come raccontava lui stesso, durante un concerto dei Led Zeppelin al Los Angeles Forum, (direi nel marzo 1975 o più probabilmente nel giugno del 1977), vide Page eseguire l’assolo di Heartbreaker tenendo la mano destra sollevata. Van Halen si chiese: “E se, mentre faccio quello, aggiungessi le dita della mano destra sulla tastiera?”

Quella tecnica esisteva già — ci sono perfino video di chitarristi italiani che nel 1965 la usavano su chitarre classiche — ma è stato Eddie Van Halen a portarla a un livello cosmico.

Sfortunatamente, il suo genio ha anche aperto la strada a una marea di segaioli: migliaia di chitarristi tecnicamente impressionanti ma che, troppo spesso, sono diventati giocolieri della sei corde. Straordinari nelle dita, sì, ma poveri nella musica vera, quella che arriva al cuore.

Tim Tirelli’s School Of Rock VH sett 2025 – foto Marcella Tin

Racconto in breve la storia del padre di due fratelli Alex e Edward, ovvero Jan Van Halen: il musicista che mise le basi per una leggenda del rock.

Prima ancora dei Van Halen che hanno fatto la storia del rock, c’era infatti Jan Van Halen, il padre di Alex ed Eddie, un uomo la cui vita fu segnata dalla musica, dal sacrificio e da un’instancabile passione.

Dalle radici olandesi al jazz europeo

Nato ad Amsterdam nel 1920, Jan mostrò fin da giovane un grande talento musicale. Suonava clarinetto, sassofono e pianoforte, esibendosi in orchestre jazz e swing in tutta Europa, fino allo scoppio della Seconda Guerra Mondiale.

La guerra e il destino in Indonesia

Nel 1939 si arruolò nella Forza Aerea Olandese, ma il suo talento musicale lo tenne lontano dal fronte: fu infatti destinato a esibirsi nelle bande militari anche durante l’occupazione tedesca.
Dopo il conflitto si trasferì in Indonesia, allora colonia olandese, dove conobbe Eugenia van Beers. I due si sposarono nel 1950 a Giacarta, prima di rientrare nei Paesi Bassi.

Una nuova vita in America

Dal loro matrimonio nacquero Alex (1953) ed Eddie (1955). Nel 1962 la famiglia decise di emigrare negli Stati Uniti, stabilendosi a Pasadena, California.
Jan continuò a suonare in piccoli locali come il Continental Club e il La Miranda Country Club, ma per mantenere la famiglia dovette svolgere lavori umili: faceva il lavapiatti, addetto alle pulizie e guardiano notturno.
Nonostante le difficoltà, trasmise ai figli un profondo rispetto per la disciplina e la musica. Eddie ricordava spesso:

“Sapevo cosa significava la musica fin dal mio primo ricordo di mio padre che teneva una nota sul clarinetto più a lungo possibile.”

Dalla tragedia alla nascita di una band

Nel 1972, un grave incidente gli costò un dito, ponendo fine alla sua carriera musicale. Ma proprio in quell’anno, Alex ed Eddie formarono la loro prima band, i Mammoth, che poco dopo sarebbe diventata Van Halen.

L’ultimo riconoscimento

Nel 1982, Jan ebbe la sua rivincita personale: partecipò come ospite all’incisione del brano “Big Bad Bill (Is Sweet William Now)”, contenuto nell’album Diver Down dei Van Halen.

Gli ultimi anni

Jan Van Halen morì nel 1986, a 66 anni, in California. È sepolto al Forest Lawn Memorial Park di Glendale.
La sua influenza — tra talento, rigore e anche momenti difficili legati all’alcol — lasciò un segno profondo nella vita e nella musica dei suoi figli, che ne raccolsero l’eredità trasformandola in leggenda.

Tim Tirelli’s School Of Rock VH sett 2025 – foto Marcella Tin 2

Proseguo entrando nel merito. Tutto comincia negli anni ’60, quando Alex ed Eddie Van Halen iniziano a suonare insieme da ragazzini. Curiosamente, all’inizio i ruoli erano invertiti: Eddie era alla batteria e Alex alla chitarra — finché, per puro istinto, decisero di scambiarsi gli strumenti, trovando così la combinazione perfetta. Eddie, oltre a chitarrista, era anche un eccellente pianista, talento che lo accompagnerà per tutta la carriera.

La loro prima band, i Broken Combs, nacque nel 1964, seguita da diversi progetti fino ai Genesis (1972) e poi ai Mammoth. Fu solo con l’arrivo del carismatico David Lee Roth che arrivò anche l’idea del nome definitivo:

Dovremmo chiamarci Van Halen!

Da lì cominciò la scalata. Suonando instancabilmente nei locali di Pasadena e dell’area di Los Angeles — come il mitico Gazzarri’s — il gruppo si costruì una solida reputazione. Un demo prodotto da Gene Simmons dei Kiss attirò l’attenzione di addetti ai lavori come Doug Messenger, chitarrista di Van Morrison, che segnalò la band al produttore Ted Templeman della Warner Records.

Nel 1978 uscì il primo, leggendario album: “Van Halen”.
Il disco ha venduto oltre 10 milioni di copie solo negli Stati Uniti e conteneva brani entrati nella storia del rock come “Runnin’ with the Devil”, “Ain’t Talkin’ ’bout Love”, “Jamie’s Cryin’”, la cover dei Kinks “You Really Got Me”, e soprattutto “Eruption” — l’assolo strumentale di Eddie Van Halen che rivoluzionò la chitarra elettrica e rese celebre la tecnica del tapping a due mani.

Da quel momento, la band non fu più solo un gruppo locale: i Van Halen divennero un simbolo del rock moderno, aprendo una nuova era di virtuosismo, energia e spettacolo.

School of Rock VH settembre 2025 e – foto Siuviu

Accelero, il tempo stringe e rendo partecipi i cari colleghi che dopo l’esordio travolgente del 1978, i Van Halen non si fermarono più. Iniziò difatti un periodo di attività frenetica, fatto di pubblicazioni a ritmo serrato e lunghissimi tour che li consacrarono come una delle band più potenti del rock americano.

Nel 1979 uscì “Van Halen II”, il secondo album in studio, pubblicato dalla Warner Bros Records. Il disco raggiunse il sesto posto nella classifica Billboard e conteneva brani di successo come “Dance the Night Away” e “Beautiful Girls”quasi sei milioni di copie solo negli Stati Uniti. La critica lo accolse positivamente: la Rolling Stone Album Guide ne lodò “l’atmosfera piacevole e festaiola”, perfettamente in linea con lo spirito della band.

Negli anni successivi, i Van Halen mantennero un ritmo impressionante:

  • “Women and Children First” (1980) – oltre 3 milioni di copie vendute in USA

  • “Fair Warning” (1981) – circa 2 milioni di copie

  • “Diver Down” (1982) – più di 4 milioni di copie

Ma fu con “1984”, pubblicato proprio in quell’anno, che la band toccò l’apice del successo: oltre 10 milioni di copie vendute, trainate da hit come “Jump”, “Panama” e “Hot for Teacher”.

Quella fase storica, caratterizzata dal carisma di David Lee Roth alla voce e dal genio di Eddie Van Halen alla chitarra, si concluse nel 1985, chiudendo il primo capitolo leggendario della band.

School of Rock VH settembre 2025 f- foto Siuviu

Ovviamente faccio ascoltare al gentile pubblico i momenti più significativi degli album del gruppo, compresi i primi due con Sammy Hagar, difatti annuncio che dopo il trionfale tour del 1984, i Van Halen attraversarono un momento di svolta: David Lee Roth lasciò la band per dedicarsi alla carriera solista, mentre Eddie Van Halen cercava un nuovo equilibrio musicale.

Roth, nel frattempo, stava vivendo un grande successo con il suo EP “Crazy from the Heat”, trainato da cover come “California Girls” e “Just a Gigolo”. Ma le divergenze artistiche e il desiderio di maggiore controllo creativo portarono inevitabilmente alla separazione.

Dopo vari tentativi di trovare un nuovo cantante — tra i nomi contattati anche Patty Smyth e Daryl Hall — Eddie conobbe Sammy Hagar, ex voce dei Montrose e autore del successo “I Can’t Drive 55”. La chimica fu immediata.

Nel 1986 nacque così l’album “5150”, registrato nei nuovi 5150 Studios di Eddie a Los Angeles. Il disco segnò l’inizio della “fase Hagar” e un nuovo stile più melodico e radiofonico, senza perdere la potenza del rock Van Halen.
Trainato dal singolo “Why Can’t This Be Love”, 5150 raggiunse il numero 1 della Billboard 200 e vendette oltre 6 milioni di copie solo negli Stati Uniti.

Due anni dopo, nel 1988, uscì “OU812” (da leggere “Oh You Ate One Too”), secondo capitolo con Hagar alla voce. L’album replicò il successo del precedente, debuttando anch’esso al primo posto in classifica e vendendo più di 4 milioni di copie.
Brani come “When It’s Love”, “Finish What Ya Started” e “Black and Blue” consolidarono la nuova identità della band: un rock più maturo e raffinato, ma sempre energico e trascinante.

Con 5150 e OU812, i Van Halen dimostrarono di poter rinascere anche dopo un cambiamento radicale, inaugurando una nuova era di successi che li avrebbe portati a dominare le classifiche per tutto il decennio.

Il tempo stringe, ma vale la pena accennare agli ultimi capitoli della storia dei Van Halen con Sammy Hagar alla voce.
Dopo il successo di 5150 (1986, oltre 6 milioni di copie vendute in USA) e OU812 (1988, più di 4 milioni), la band pubblicò nel 1991 “For Unlawful Carnal Knowledge”, spinto dal singolo “Right Now” e vincitore di un Grammy Award come miglior album hard rock. Anche questo lavoro raggiunse il numero 1 della Billboard 200 e vendette oltre 3 milioni di copie negli Stati Uniti.

Nel 1995 arrivò “Balance”, l’ultimo album con Hagar alla voce: un disco più cupo e introspettivo, ma comunque di grande successo, capace di toccare ancora una volta la prima posizione in classifica e di vendere circa 3 milioni di copie negli USA.

https://timtirelli.com/2025/09/03/van-halen-balance-expanded-edition-warner-rhino-records-2025-ttt%c2%be/

Dopo un periodo di tensioni interne, David Lee Roth fece temporaneamente ritorno nel 1996, aprendo la strada a una lunga fase di cambiamenti e reunion intermittenti. La band tornò stabilmente con lui nel 2012, pubblicando “A Different Kind of Truth”, ultimo album in studio, accolto positivamente dai fan storici.

Purtroppo, la storia dei Van Halen si è chiusa con una nota dolorosa: il 6 ottobre 2020, Eddie Van Halen è scomparso dopo una lunga battaglia contro il cancro. Con lui se ne è andato non solo un chitarrista rivoluzionario, ma uno dei più grandi innovatori della musica rock e per quel che può valere, uno dei miei musicisti Rock preferiti.


Il tempo è scaduto, ringrazio di cuore tutti gli amici intervenuti e chi ha condiviso per la 13esima volta questa passione per la  School of Rock di Tim Tirelli.

Chiudo come sempre, con la mia solita frase di congedo:

New York, goodnight! 🎸

Video filmato da Siuviu Zanzi e Marcy Tin

◊ ◊ ◊

RP New York Goodnight

◊ ◊ ◊

 

la School Of Rock sul blog:

XII

TT’s SCHOOL OF ROCK XII: The Who

XI

TT’s SCHOOL OF ROCK XI: Queen

X

TT’s SCHOOL OF ROCK X: Santana

IX

TT’s School Of Rock Episodio IX PFM è contenuta all’interno di:

When the blues is in league with the freeway

VIII

TT’s SCHOOL OF ROCK VIII: Free & Bad Co

VII

TT’s SCHOOL OF ROCK VII: Led Zeppelin

VI

TT’s SCHOOL OF ROCK VI: DEEP PURPLE

V

TT’s SCHOOL OF ROCK V: Eric Clapton

IV

TT’s SCHOOL OF ROCK: Emerson Lake & Palmer

III

– TT’s School Of Rock Episodio 3 GENESIS è contenuta all’interno di:

https://timtirelli.com/2022/07/29/il-terrore-del-sabato-mattina-e-altri-blues-assortiti/

II

Tim Tirelli’s School Of Rock – episode 2

I

Tim Tirelli’s School Of Rock

TT’s SCHOOL OF ROCK XII: The Who

21 Apr

Dodicesima School of Rock quella dell’equinozio di primavera del 2025 e dunque – qui faccio un copia incolla – nuovo ritrovo modello “Dopolavoro” nei locali della azienda per cui lavoro. Sospinto dall’inarrestabile volontà del nostro dirigente GLB eccomi di nuovo davanti al gruppo dei fedelissimi e affezionati colleghi che con dedizione e passione si assiepano – dopo l’orario di lavoro – nella (mia amatissima) Sala Blues (where the dreams come blue), la grande sala informale dell’azienda dotata di un vero e proprio impianto hi-fi.

Mi prendo una mezz’oretta prima dell’inizio per raccogliere i pensieri, immergermi nella silenziosa sala vuota e preparare ellepì e cd.

Tim Tirelli’s School Of Rock XI – foto Tim Tirelli

Tim Tirelli’s School Of Rock XI  – foto Tim Tirelli

Avendo sola un’ora o poco più vado di buon passo, parlo delle origini, della formazione del gruppo, dei quattro componenti, dei primi singoli e dell’inizio del successo.

TT School Of Rock The WHO – foto Siuviu

TT School Of Rock The WHO – foto TinMarcy

Mi concentro soprattutto sul loro periodo migliore, ovvero 1969-1978. Il primo concept album Tommy e il primo clamore internazionale con un disco che ha fatto la storia del Rock.

TT School Of Rock The WHO – Tim – foto Mar

Tim Tirelli’s SoR The Who – Tommy 1969 – AG Sala Blues 25-3-25 – Filmato da Siuviu e Marzia P

Qualche accenno a Live At Leeds, che nella sua edizione originale rimane uno degli album dal vivo più esposivi.

TT School Of Rock The WHO – Tim – foto Mar b

Con Who’s Next si toccano vette ancora più alte, uno dei 33 giri di musica Rock tra i più belli in assoluto, un album che tutti gli amanti della musica che amiamo dovrebbero avere: Baba O’Riley, Getting In Tune, We Dont’ Get Fooled Again, Behind Blue Eyes … la spinta emotiva adolescenziale e le sue sfumature descritta magistralmente…

“Ma i miei sogni non sono così vuoti
come la mia coscienza sembra essere
ho ore, solo solitudine
il mio amore è vendetta che non è mai libera.””

TT School Of Rock The WHO – Tim – foto TinMarcy

Tim Tirelli’s SoR The Who – Whos’ Next – AG Sala Blues 25-3-25 – Filmato da Marzia P

Il tour seguente, le tensioni tra Townshend e Daltrey, i problemi con le sostanze chimiche di Moon, una pausa di riflessione e di nuovo un capolavoro: Quadrophenia, che “l’amore regni su di noi”.

TT School Of Rock The WHO – Tim – foto b TinMarcy

Tim Tirelli’s SoR The Who – Quadrophenia – AG Sala Blues 25-3-25 – Filmato da Siuviu

TT School Of Rock The WHO – Tim – foto Siuviu

Nel 1975, il disco The Who By Numbers e il film Tommy,

TT School Of Rock The WHO – Tim foto TinMarcy

e nel 1978 l’album Who Are You?, l’ultimo disco con Moon e la fine degli Who come li conoscevamo.

TT School Of Rock The WHO – foto TinMarcy

Tim Tirelli’s SoR The Who – Who Are You – AG Sala Blues 25-3-25 – Filmato da Marzia P

Nel 1979 ultimi squilli con il film Quadrophenia e il film-documentario The Kids Are Alright.

Niente male anche stasera direi, serata più intima (rispetto al sold out/overbooking della penultima puntata, quella dedicata ai Queen, gruppo certamente più commerciale e pompato, ma si sa gli Who sono un gruppo per intenditori o perlomeno per volenterosi.

Il solito finale un po’ sopra le righe, le foto con le groupies e il party dopo lo show al Red Lion Pub di Mutina. New York, goodnight. It’s been great.

Tim Tirelli’s SoR The Who – Finale- AG Sala Blues 25-3-25 – Filmato da Siuviu

TT School Of Rock The WHO – le Adidas della Marzia – foto Siuviu

TT’s School Of Rock – Groupies – foto Siuviu

Mar-Siuviu-Tim – after the show party

◊ ◊ ◊

RP New York Goodnight

◊ ◊ ◊

 

la School Of Rock sul blog:

XI

TT’s SCHOOL OF ROCK XI: Queen

X

TT’s SCHOOL OF ROCK X: Santana

IX

TT’s School Of Rock Episodio IX PFM è contenuta all’interno di:

When the blues is in league with the freeway

VIII

TT’s SCHOOL OF ROCK VIII: Free & Bad Co

VII

TT’s SCHOOL OF ROCK VII: Led Zeppelin

VI

TT’s SCHOOL OF ROCK VI: DEEP PURPLE

V

TT’s SCHOOL OF ROCK V: Eric Clapton

IV

TT’s SCHOOL OF ROCK: Emerson Lake & Palmer

III

– TT’s School Of Rock Episodio 3 GENESIS è contenuta all’interno di:

https://timtirelli.com/2022/07/29/il-terrore-del-sabato-mattina-e-altri-blues-assortiti/

II

Tim Tirelli’s School Of Rock – episode 2

I

Tim Tirelli’s School Of Rock

TT’s SCHOOL OF ROCK XI: Queen

31 Gen

Undicesima School of Rock quella del solstizio d’inverno del 2024 e dunque nuovo ritrovo modello “Dopolavoro” nei locali della azienda per cui lavoro. Sospinto dall’inarrestabile volontà del nostro dirigente GLB eccomi di nuovo davanti al gruppo dei fedelissimi e affezionati colleghi che con dedizione e passione si assiepano – dopo l’orario di lavoro – nella (mia amatissima) Sala Blues (where the dreams come blue), la grande sala informale dell’azienda dotata di un vero e proprio impianto hifi.

Mi prendo una mezz’oretta prima dell’inizio per raccogliere i pensieri, immergermi nella silenziosa sala vuota e preparare ellepiì e cd.

Tim Tirelli’s School Of Rock XI – Queen – foto Tim Tirelli

Tim Tirelli’s School Of Rock XI – Queen – foto Tim Tirelli

Tim Tirelli’s School Of Rock XI – Queen – foto Tim Tirelli

Tim Tirelli’s School Of Rock XI – Queen – foto Tim Tirelli

Tim Tirelli’s School Of Rock XI – Queen – foto Tim Tirelli

Stasera c’è il completo sold out, siamo in overbooking, anzi no, piantiamola con questo maledetto inglese, siamo in numero superiore ai posti disponibili, d’altra parte il gruppo in questione è borderline, Rock ma non solo, infatti una volta inviato l’invito di questa undicesima School of Rock ho ricevuto feedback variegati, alcuni si sono mostrati molto soddisfatti della scelta (in primis il grande Albi “Tim, erano 4 anni che aspettavo questo momento) e altri più scettici (“Tim, ti hanno pagato per fare la puntata sui Queen”).

Questa ambivalenza mi ha ricordato un articolo (provocatorio) scritto parecchi anni fa sul  blog:

 

MA I QUEEN, SONO UN GRUPPO ROCK?

Parto con una prima visione d’insieme facendo, ahimè, una sorta di compitino veloce:

I Queen sono stati fondati nel 1970 a Londra da quattro musicisti che combinavano background artistici molto diversi ma complementari: Freddie Mercury, Brian May, Roger Taylor e John Deacon. Sono diventati uno dei gruppi rock più influenti della storia, noti per il loro stile eclettico, spettacoli dal vivo potenti e innovazioni nell’uso di tecnologie musicali e video. Aggiungo anche che la componente grandeur/kitsch – vista la debordante personalità del cantante – è stata, particolarmente nella seconda parte della carriera, una costante. Qualche notizia biografica su Farrokh Bulsara, Brian Harold May, Roger Meddows Taylor e John Richard Deacon, l’impatto commerciale (enorme successo, soprattutto negli anni ’70 e ’80, vendendo complessivamente oltre 300 milioni di dischi a livello mondiale) e una ancor più veloce storia del gruppo, storia che inizia inizia nei tardi anni ’60, quando Brian May (chitarrista) e Roger Taylor (batterista) formarono il gruppo Smile insieme al bassista Tim Staffell, che abbandonò la band nel 1970. Fu proprio grazie a Staffell che May e Taylor conobbero Freddie Mercury (al tempo, Farrokh Bulsara appunto), un giovane cantante e artista con un’evidente vena creativa. Con l’ingresso di Mercury, che suggerì il nome “Queen”, e successivamente del bassista John Deacon nel 1971, la band trovò la sua formazione definitiva.

Il loro album di debutto, “Queen” (1973), pur non ottenendo subito grande successo, fu seguito da “Queen II” (1974), con cui cominciarono a guadagnare popolarità. Con “Sheer Heart Attack” (1974) e soprattutto “A Night at the Opera” (1975), i Queen si affermarono come fenomeno mondiale. “Bohemian Rhapsody”, dall’album del 1975, è diventata una delle canzoni più iconiche della storia del rock.

Con dischi come “News of the World” (1977) e “Jazz” (1978), i Queen consolidarono il loro successo internazionale. Con brani come “We Will Rock You”, “We Are the Champions”, “Don’t Stop Me Now”, e “Bicycle Race”, il loro stile divenne sempre più riconoscibile e amato dal grande pubblico. L’album “The Game” (1980), grazie a “Another One Bites the Dust”, segnò un altro punto di svolta nel suono della band, le influenze decisamente ballabili del fortunatissimo (bel) singolo scritto da Deacon li mantenne su vette altissime.

Durante i primi anni ’80, la band tuttavia attraversò una fase controversa con “Hot Space” (1982), un album che per metà propone disco music e che deluse gran parte dei fan storici (compreso il sottoscritto). “The Works” (1984) segnò in qualche modo un ritorno al rock e una discreta rinascita commerciale, con successi come “Radio Ga Ga” e “I Want to Break Free”. Nel 1985, i Queen parteciparono al Live Aid a Londra, con una performance considerata con buona ragione la migliore di quel grande evento.

L’album “A Kind of Magic” (1986) confermò il successo della band anche nelle colonne sonore (dopo il mezzo pasticcio di Flash del 1980) associandosi al film Highlander. Nel 1987, a Mercury fu diagnosticato l’AIDS, ma continuò a lavorare con la band. Il modesto (artisticamente parlando) “The Miracle” (1989) e il ben più convincente “Innuendo” (1991) riflettono la faccia dei Queen in questa fase. La morte di Mercury nel novembre 1991 significò ovviamente la fine dei Queen (sebbene May e Taylor abbiano continuato con un paio di cantanti assunti come “guest”), “Made in Heaven” (1995) diventò il classico album postumo  completato dai membri rimasti usando le ultime registrazioni di Freddie.

Aggiungo qualche dato tecnico sui primi tre album che comunque salto quasi a piè pari (ben sapendo che i fan in senso stretto non mi perdoneranno).

Queen (1973)

  1. Keep Yourself Alive
  2. Doing All Right
  3. Great King Rat
  4. My Fairy King
  5. Liar
  6. The Night Comes Down
  7. Modern Times Rock ‘n’ Roll
  8. Son and Daughter
  9. Jesus
  10. Seven Seas of Rhye (strumentale)
  • Tecniche: Registrato ai Trident Studios, prodotto da Roy Thomas Baker.
  • Classifiche e vendite:
    • UK: posizione n. 24; oltre 100,000 copie vendute (Disco d’argento).
    • USA: circa 500,000 copie.
    • Giappone e Italia: Riconosciuto successivamente, con modeste vendite iniziali.

Queen II (1974)

  1. Procession
  2. Father to Son
  3. White Queen (As It Began)
  4. Some Day One Day
  5. The Loser in the End
  6. Ogre Battle
  7. The Fairy Feller’s Master-Stroke
  8. Nevermore
  9. The March of the Black Queen
  10. Funny How Love Is
  11. Seven Seas of Rhye
  • Tecniche: Album più orchestrale e sperimentale.
  • Classifiche e vendite:
    • UK: n. 5; Disco d’oro. 150.000 copie
    • USA: vendite inferiori rispetto al Regno Unito.

1974: Sheer Heart Attack

Il terzo album dei Queen rappresenta il primo successo commerciale del gruppo. Dopo l’uscita di “Queen” e “Queen II”, che avevano avuto riscontri positivi soprattutto in Inghilterra, “Sheer Heart Attack” si apre al mercato internazionale, grazie a un suono più accessibile, vagamente glam e singoli niente male.

  • Brani principali:
    • “Killer Queen” (singolo di successo in UK e USA, con elementi di pop rock e cabaret)
    • “Now I’m Here” (un pezzo più hard rock scritto da Brian May)
    • “Stone Cold Crazy” (considerata una delle prime canzoni proto-thrash, influenzando generazioni di band hard rock e metal)
  • Classifiche e vendite:
    • UK Albums Chart: Raggiunge il n. 2 –  600,000+ copie (disco di platino)
    • USA Billboard 200: Entra in classifica alla posizione n. 12 – circa 1.000.000 di copie (disco di platino)
    • Giappone: circa 100,000 copie
    • Italia: circa 70,000 copie

Video TT’s SoR – primi anni – filmato da Jona H & Marzia P

 Passo quindi al periodo d’oro dei Queen, quello che va dal 1975 al 1980.

1975: A Night at the Opera

Considerato uno dei massimi capolavori dei Queen, sottolineo che “A Night at the Opera” segna un nuovo standard nella produzione musicale per complessità e costi. Registrato utilizzando tecnologie avanzate per l’epoca, è un album che esplora rock, ballate, opera e cabaret, culminando in “Bohemian Rhapsody”. Quasi inutile farla ascoltare ma non si può evitare anche perché divenne un enorme successo globale, grazie anche all’iconico video musicale trasmesso in anteprima sulla BBC, aprendo la strada all’era del video musicale.

  • Classifiche e vendite:
    • UK: Primo posto, tre volte disco di platino, pari a circa 1.100.000 copie vendute. L’album è stato il primo della band a raggiungere il primo posto nella classifica britannica, restando in vetta per settimane​
    • USA: Multi platino, raggiunge il quarto posto, 3.000.000 di copie
  • Giappone: circa 300,000 copie
  • Italia: circa 200,000 copie

Video TT’s SoR – ANATO – filmato da Jona H & Marzia P

1976: A Day at the Races

L’album con cui mi sono arrivati i Queen. Dico ai colleghi che proseguendo sulla scia di “A Night at the Opera”, “A Day at the Races” riprende alcuni temi e lo stile del precedente, ma con arrangiamenti forse più accessibili benché la produzione rimanga sofisticata. È il primo album dei Queen interamente autoprodotto. I pezzi cardine sono “Somebody to Love” (ispirata dal gospel e uno dei brani più emotivi di Mercury) e “Tie Your Mother Down” (un classico hard rock scritto da Brian May)

  • Classifiche e vendite:
  • USA: 1,000,000+ copie (platino)
  • UK: quasi  600,000+ copie (due dischi di platino)
  • Giappone: circa 200,000 copie
  • Italia: circa 150,000 copie

Tim Tirelli’s School Of Rock XI – Queen – foto Jona H

Tim Tirelli’s School Of Rock XI – Queen – foto MARZIA P

Video TT’s SoR – ADATR – filmato da Marzia P

Arriva poi il momento di quello che forse è il mio disco preferito, di certo uno dei due a cui sono più affezionato.

1977: News of the World

Certo, due delle canzoni più iconiche e rappresentative della band, “We Will Rock You” e “We Are the Champions”, che sono diventate inni universali, ma anche diverse deep cut, ovvero i brani forse meno conosciuti ma profondi, come Spread Your Wings, All Dead All Dead, Sleeping On The Sidewalk, Who Needs You, la meravigliosa (!!!) It’s Late e il blues notturno da cuore infranto di Melancholy Blues.

La copertina dell’album “News of the World” dei Queen, pubblicato nel 1977, è a mio avviso l’unica copertina del gruppo ad essere di livello superiore, la più iconiche nella discografia della band. L’immagine raffigura un gigantesco robot che tiene in mano i corpi senza vita dei membri della band, trasmettendo un senso di drammaticità e fantascienza.

La copertina fu creata da Frank Kelly Freas, un celebre illustratore di fantascienza appunto. L’immagine originale, disegnata nel 1953 per la rivista Astounding Science Fiction, mostrava un robot che teneva un uomo ferito.

La band chiese a Freas di adattare l’opera, sostituendo l’uomo con i membri dei Queen.

Il robot è rappresentato con un’espressione malinconica, come se fosse addolorato per ciò che ha fatto. Questo contrasto tra la potenza meccanica e la fragilità emotiva o comunque umana è parte del fascino dell’immagine. Questa copertina è diventata un simbolo del periodo più ambizioso della band. Il design ha contribuito a rendere l’album visivamente memorabile, abbinandosi perfettamente all’energia innovativa e ai temi di sfida dell’album.

  • Classifiche e vendite:
  • USA: 4,000,000+ copie (quadruplo platino)
  • UK: 600,000+ copie (multi-platino)
  • Giappone: circa 250,000 copie
  • Italia: circa 180,000 copie

Tim Tirelli’s School Of Rock XI – Queen – foto Jona H.

Tim Tirelli’s School Of Rock XI – Queen – foto Jona H

Video TT’s SoR – NOTW – filmato da Marzia P

Inizio ad accelerare, il tempo scorre in fretta:

1978: Jazz

“Jazz” è un album di Rock vario, eccentrico e vario tipico dei Queen.

  • Brani principali:
    • “Bicycle Race” (pezzo irriverente con un famoso videoclip)
    • “Don’t Stop Me Now” (inno all’energia e alla vitalità di Mercury)
    • “Fat Bottomed Girls” (brano rock classico scritto da Brian May
  • Classifiche e vendite:
    • UK: n. 2, disco di platino, 300.000
    • USA: n. 6, disco di platino, 1.000.000
  • Giappone: circa 150,000 copie
  • Italia: circa 150,000 copie

1980: The Game

Con “The Game”, i Queen sfornano il loro secondo album più venduto negli USA. Due i singoli di enorme successo: “Another One Bites the Dust” (un bel Rock in formato funky scritto da John Deacon) e”Crazy Little Thing Called Love” (brano in stile rock and roll anni cinquanta)

  • Classifiche e vendite:
  • USA: 4,000,000+ copie (quadruplo platino)
  • UK: 900,000+ copie (multi-platino)
  • Giappone: circa 300,000 copie
  • Italia: circa 200,000 copie

1982: Hot Space

“Hot Space” rappresenta l’album più controverso della band, caratterizzato da un forte orientamento verso la disco music, con pochi brani rock classici. Per il giovane Tim di quegli anni fu un colpo al cuore. Tuttavia contiene Under Pressure” (collaborazione con David Bowie).

  • Classifiche e vendite:
    • UK: n. 4, disco d’oro 150.000
    • USA: disco d’oro, 500.000
  • Giappone: circa 75,000 copie
  • Italia: vendite modeste, circa 50,000 copie

Video TT’s SoR – JAZZ/THE GAME/FLASH HOT SPACE – filmato da Marzia P

1984: The Works

“The Works” segna un ritorno dei Queen a uno stile rock più tradizionale dopo l’esperimento dance di “Hot Space”. L’album riflette la risposta della band alle critiche e il desiderio di ritornare al proprio nucleo rock. Non è un album spettacolare, ma pur con influenze anni 80 è un disco ben più che dignitoso che  personalmente mi riconcilia col gruppo. “Keep Passing the Open Windows”, “Radio Ga Ga”, “Hammer to Fall” i brani a me più cari.

  • Classifiche e vendite:
    • USA: circa 1,000,000 copie (platino)
    • UK: 600,000+ copie (multi-platino)
    • Giappone: circa 200,000 copie
    • Italia: circa 150,000 copie

1986: A Kind of Magic

“A Kind of Magic” è un album strettamente collegato al film Highlander – L’ultimo immortale, diversi pezzi sono stati creati come colonna sonora della pellicola. Il suono del disco e del Rock dei Queen si veste di anni ottanta e inevitabilmente diventa più grossolano seppur funzionale a quel periodo.

  • Classifiche e vendite:
    • USA: circa 1,000,000 copie (platino)
    • UK: 600,000+ copie (multi-platino)
    • Giappone: circa 250,000 copie
    • Italia: circa 180,000 copie

1989: The Miracle

“The Miracle” segna il ritorno dei Queen in studio dopo un periodo difficile per la band. Freddie Mercury scopre di essere malato di AIDS, ma la band decide di continuare a registrare e conseguentemente far uscire il nuovo album. “Breakthru”, “The Miracle”, “The Invisible Man” i pezzi di maggior valore a mio avviso. Il resto piuttosto bruttino.

  • Classifiche e vendite:
    • USA: circa 500,000 copie (oro)
    • UK: 600,000+ copie (multi-platino)
    • Giappone: circa 150,000 copie
    • Italia: circa 130,000 copie

1991: Innuendo

Con “Innuendo”, ultimo album pubblicato dai Queen durante la vita di Freddie Mercury, la band torna ad avere credibilità Rock. Nonostante le sue condizioni di salute peggiorino, Freddie registra cose egregie. “Innuendo” è una meraviglia … epica, rococò, intensa, bellissima. “I’m Going Slightly Mad” e “These Are the Days of Our Lives” le altre due perle. A me è sempre piaciuta anche Headlong.

La copertina dell’album è senza dubbio una delle più artistiche e significative della band.

  • Classifiche e vendite:
    • USA: circa 500,000 copie (oro)
    • UK: 300,000+ copie (disco di platino)
    • Giappone: circa 200,000 copie
    • Italia: circa 100,000 copie

1995: Made in Heaven

Pubblicato postumo dopo la scomparsa di Mercury, “Made in Heaven” è composto da tracce vocali registrate prima della sua morte, con arrangiamenti e produzione finale curati dai membri rimasti. L’album è caratterizzato da toni malinconici ma celebra anche il contributo artistico di Freddie. Questo quello che si dice. Non roba per me, quindi evito di giudicarlo.

    • Classifiche e vendite:
      • USA: circa 500,000 copie (oro)
      • UK: 1,200,000+ copie (multi-platino)
      • Giappone: circa 400,000 copie
  • Italia: circa 150,000 copie

Un accenno anche a Live killer de 1979, e poi via verso i saluti finali (vedi video qui sotto). Un’altra serata niente male, un’altra illusione che il Rock sia ancora quello che era.

NEW YORK GOODNIGHT! Sant’Orsola thank you … it’s been great.

Video TT’s SoR – Finale – filmato da Marzia P

◊ ◊ ◊

RP New York Goodnight

◊ ◊ ◊

◊ ◊ ◊

la School Of Rock sul blog:

X

TT’s SCHOOL OF ROCK X: Santana

IX

TT’s School Of Rock Episodio IX PFM è contenuta all’interno di:

When the blues is in league with the freeway

VIII

TT’s SCHOOL OF ROCK VIII: Free & Bad Co

VII

TT’s SCHOOL OF ROCK VII: Led Zeppelin

VI

TT’s SCHOOL OF ROCK VI: DEEP PURPLE

V

TT’s SCHOOL OF ROCK V: Eric Clapton

IV

TT’s SCHOOL OF ROCK: Emerson Lake & Palmer

III

– TT’s School Of Rock Episodio 3 GENESIS è contenuta all’interno di:

https://timtirelli.com/2022/07/29/il-terrore-del-sabato-mattina-e-altri-blues-assortiti/

II

Tim Tirelli’s School Of Rock – episode 2

I

Tim Tirelli’s School Of Rock

TT’s SCHOOL OF ROCK: Emerson Lake & Palmer

30 Mar

Lavorando in un’azienda come quella per cui lavoro uno dei miei compiti è anche quello di tenere alcune lectio magistralis (e sia chiaro, lo scrivo con tutta l’autoironia possibile) sulla musica Rock. D’altro canto il presidente me lo disse già durante il colloquio due anni fa: “In caso scegliessimo te, sappi che ti chiederò di tenere alcune lezioni sul Rock per i colleghi”. Eccomi dunque qui per la nuova “lezioncina”. Rispetto alle prime si è deciso di cambiare formula, non più un coinvolgimento generale da tenersi in orario di lavoro, bensì piccoli eventi da svolgersi dalle 18:15 alle 19:30 nella – a me tanto cara – Sala Blues, la sala riunioni informale, come dico sempre la sala where the dreams come blue, capacità: 25 posti a sedere.

Sala Blues – foto Tim Tirelli 

Un pubblico dunque selezionato che si prende la briga di fermarsi in azienda dopo l’orario di lavoro per ascoltare storielle e brani musicali di gruppi del bel tempo che fu. Credo sia questa la cosa bella, troppo facile trovarsi in orario di lavoro e parlare che so dei Pink Floyd, più temerario appunto è riunirsi la sera per affrontare gruppi (a loro quasi) sconosciuti. 25 aficionados (un quarto dei dipendenti), in maggior parte intorno ai trent’anni, pronti a calarsi nelle profondità cosmiche della migliore musica Rock. Visto che una buona parte di quest* giovanott* gradisce quello che oggi viene chiamato prog rock, continuo su questo sentieri e in questa IV puntata della School Of Rock parlo dei miei amati Emerson, Lake & Palmer.

Introduco le loro vicende fine anni sessanta e poi racconto brevi stralci della loro storia come ELP, sempre legandoli alla mia esperienza personale, questo per cercare di fare comprendere ai giovani colleghi il contesto, la meraviglia che suscitavano sui giovinetti di allora, etc etc. Scelgo di porgermi col mio solito fare schietto ed emiliano, così facendo magari rischio di diventare una macchietta, ma sono convinto che il rock vada vissuto e raccontato con passione e pochi filtri, le lezioncine non hanno senso, quello che è possibile raccontare sono osservazioni, emozioni, scombussolamenti spirituali e fisici. 75 minuti non sono tanti se devi anche far ascoltare dei pezzi (seppur non nella loro completezza), e dunque mi soffermo solo sul periodo magico del gruppo, ovvero 1970-74. Queste le tracce finite sul giradischi della Sala Blues:

THE BARBARIAN

TAKE A PEBBLE

LUCKY MAN

TARKUS

PROMENADE/THE GNOME

THE SAGE

THE ENDLESS ENIGMA PT1

FUGUE

JERUSALEM

TOCCATA

STILL YOU TURN ME ON

BENNY THE BOUNCER

KARN EVEIL 1° IMPRESSION PT2

Qui di seguito qualche breve videoclip e qualche foto

clip ELP 1 (clip di LadyJ)

TT School Of Rock 2023-03-21 foto Lady J

TT School Of Rock Elp a 2023-03-21 at 09.53.05 – Foto Laura Z.

TT School Of Rock Elp 2023-03-21 – Foto Mar & Fran

clip TARKUS / BRAIN SALA SURGERY (clip di LadyJ)

TT School Of Rock Elp a 2023-03-21 at 09.53.07 – Foto Laura Z.

clip BENEDIZIONE FINALE ( in nomine Emerson, Lake et Palmer) (clip di Mar&Fran)

Anche questa volta spero di aver catturato l’attenzione dei colleghi, di averli accompagnati attraverso la musica articolata degli ELP, di aver fatto capire loro che gli anni tra la fine dei sessanta e la fine dei settanta furono davvero l’apice della musica popolare di questo piccolo pianeta. A tal proposito mi sono arrivate parole che mi confortano:

The Fab One (the President): Ciao Tim! Sei stato fantastico! Sei cosmico. All’inizio non sapevo cosa aspettarmi, è una musica che pensavo ostica, ma con te che ci hai accompagnati nel percorso, che li hai collocati nello spazio e nel tempo (citazione involontaria di Fab ndTim) tutto cambia e sono riuscito ad apprezzarli. Grande Tim!

The Queen Of Spades: Tim!!! Fantastico! Non mi aspettavo nulla del genere. Quando hai scritto sulla chat aziendale per informarci della cosa e hai messo qualche link, pensavo che fosse musica che non facesse per me, ma poi con le tue spiegazione, con il tuo fare hai reso tutto fluido e interessantissimo. Grazie mille.

My Sweet Lady Jane: Ciao Tim number one, ieri sera è stato un viaggio bellissimo, grazie di averci condotti nell’iperspazio!

The Laurel Girl: Tim! Grazie ancora per la bellissima lezione, mi apri sempre tanti mondi di pura emozione.

E via via tutte le belle parole di Simsca, di Mar, della Stremmy Girl etc etc.

Dunque per un’oretta ho ritrovato uno dei motivi che mi tengono ancorato alla Terra, un brivido che per qualche ora ha lavato via i blues atavici dal mio animo. Giusto un attimo, ma essenziale. Mia cara musica Rock … still you turn me on.

 

 

 

La canzone “IN MY ROOM” e la gola dell’alloro (Laurel Canyon Blues)

22 Feb

Il documentario Echo In The Canyon, ora disponibile su una TV a pagamento, mi ha rigettato nel mood spirituale del Laurel Canyon∗, quel quartiere montuoso nella regione di Hollywood Hills delle montagne di Santa Monica, all’interno del distretto di Hollywood Hills West di Los Angeles, in California. Un canyon è una gola prodotta per erosione da un corso d’acqua che scorre tra rocce prive di vegetazione, tipica di zone montuose dell’America settentrionale. Negli anni ’60 il quartiere era diventato un centro locale per la controcultura e molti importanti musicisti folk e rock si trasferirono nell’area, rendendolo un fulcro per la collaborazione musicale.

Io iniziai a capire qualcosa una volta che mi capitò in mano l’album di John Mayall “Blues From Laurel Canyon” (fine 1968), il primo disco di Mayall dopo il periodo Bluesbreakers.

Una volta messo a fuoco la (bella) zona e il crogiuolo che diventò nella seconda metà degli anni sessanta, iniziai ad affezionarmi all’idea di un luogo in cui vennero a contatto e si amalgamarono elementi e culture diverse. Vedere il documentario in questione mi ha riportato a quei miei sogni quasi fanciulleschi e a quel mondo underground che presto sarebbe diventato una fortissima corrente culturale e musicale dal successo tipico delle faccende mainstream.

Laurel Canyon, Los Angeles

Eccomi dunque qui a riascoltare a manetta Byrds e Beach Boys; di solito con questi ultimi tralascio le canzonette surf (anche se una di queste sia in pratica Sweet Little Sixteen di Chuck Berry) e mi immergo in cosucce più articolate e rese immortali dal songwriting pazzesco di Brian Wilson (e di chi collaborò con lui alle stesure). Arriva il momento di In My Room e d’improvviso vengo dal vento rapito e incomincio a volare nel cielo infinito.

In My Room fu scritta da Brian Wilson (deus ex machina del gruppo) e Gary Usher (autore e produttore californiano) e fu pubblicata nel loro album del 1963 Surfer Girl.

Usher ricorda:  “In My Room” ci fece prendere un po’ più sul serio il nostro mestiere. Brian e io tornammo a casa una sera dopo aver giocato a ‘over-the-line’ (una partita di baseball). Io suonavo il basso e Brian era all’organo. La canzone fu scritta in un’ora… tutta la melodia di Brian, la sensibilità… il concetto significava molto per lui. Quando finimmo, era tardi, ben oltre il nostro coprifuoco di mezzanotte. In effetti, Murry [il padre dei fratelli Wilson] venne un paio di volte e voleva che me ne andassi. Ad ogni modo c’era Audree [la madre dei fratelli Wilson] che si stava sistemando i capelli prima di andare a letto, e la suonammo suonata per lei. Disse: “Questa è la canzone più bella che tu abbia mai scritto”. Murry disse: “Non male, Usher, non male”, che è stata la cosa più carina che mi avesse mai detto.

Gary Usher disse inoltre che “Brian diceva sempre che la sua stanza era tutto il suo mondo”, e lo stesso Brian dichiarò: “Avevo una stanza e la consideravo il mio regno. E ho scritto quella canzone a proposito del fatto che non hai paura quando sei nella tua stanza. È assolutamente vero.”

Come dice il nostro Pike Boy, In My Room è una sorta di Doo Wop, ma – aggiungo io – ha un qualcosa nella melodia, negli accordi usati che la rende magica, universale, unica. È una di quelle canzoni così belle da lasciare senza fiato, semplice eppur particolare con giochi d’armonia e d’accordi riuscitissimi. Lo scrivere canzoni è da sempre la mia attività preferita a questo mondo e perciò sono molto sensibile all’argomento, però davvero questa mi sembra una delle canzoni più toccanti che mi sia mai capitato di ascoltare.

There’s a world where I can go and tell my secrets to
In my room, in my room
In this world I lock out all my worries and my fears
In my room, in my room

Do my dreaming and my scheming
Lie awake and pray
Do my crying and my sighing
Laugh at yesterday

Now it’s dark and I’m alone
But I won’t be afraid
In my room, in my room
In my room, in my room
In my room, in my room

Rivedo il giovane Tim, laggiù negli anni settanta, nella sua cameretta, un armadio, il letto, una libreria, una scrivania, una chitarra, un giradischi e i tanti poster attaccati alla parete … quelli dei Led Zeppelin, poi Emerson Lake And Palmer, Rolling Stones versione 1978, Genesis versione Seconds Out, Aerosmith, Blondie … ricordo le sue malinconie adolescenziali, i suoi wildest dreams, le sue speranze … ah, cameretta, quanto ti ho vissuta … adesso è buio e sono solo ma non ho paura, nella mia cameretta, nella mia cameretta, nella mia cameretta, nella mia cameretta.

Tim ai tempi di IN MY ROOM

Tim ai tempi di IN MY ROOM

a NEW ROSE for OZONE BABY

7 Gen

La fascinazione di Jimmy Page per il movimento punk, o perlomeno per alcuni gruppi, è nota da decenni, in quel fermento musicale il Dark Lord trovava le radici del rock and roll, l’impeto rivoluzionario e giovanilista di quella musica degli anni 50 che infiammò lui e la sua generazione. Ricordo che in quel tempo mi colpì molto leggere il suo apprezzamento per i Damned, io ero solo un ragazzino pelle e ossa in preda al fervore per l’aria sonora che oggi viene chiamata Classic Rock e per il Blues ma che ovviamente viveva anche la musica che usciva in quegli anni. Sul mio giubbotto vi erano le spille di Jimmy Page e dei Ramones, ma se ne avessi trovata una vi sarebbe stata certamente quella dei Damned. Sì, certo, anche Sex Pistols e Clash, ma erano i Damned i miei preferiti.

Le cronache riportano che Page li andò a vedere all’opera al Roxy di Londra nel 1977. Attivo tra il 1976 e il 1978 e sito a Convent Garden 41-43 Neal Street London WC2 H9PJ, il Roxy disco club in quegli anni appariva più o meno così:

ROXY CLUB - London Convent Garden

ROXY CLUB – London Convent Garden

ROXY CLUB - London Convent Garden 1977

ROXY CLUB – London Convent Garden

Tra la fine del 1976 e l’inizio del 1977 i Led Zeppelin erano rinchiusi ai Manticore Studios di Londra (locali di proprietà degli Emerson Lake & Palmer) per preparare il tour americano del 1977.

ELP Manticore Studios in the 70s

Led Zeppelin manticore Studios 1976-77

Led Zeppelin Manticore Studios 1976-77

Led Zeppelin manticore Studios 1976-77 b

Led Zeppelin manticore Studios 1976-77

Led Zeppelin Manticore Studios 1976-77

I Damned suonarono al Roxy le seguenti sere: 17/01/1977, 30/1/77, 31/01/77, 14/02/77, 21/02/77, 31/03/77, si presuppone che Page li andò a vedere in gennaio visto che in febbraio sarebbe partito il tour americano dei LZ (ma poi posticipato ad aprile per i problemi alla gola di Plant). E’ tuttavia solo una supposizione. Ad ogni modo vi andò una sera con Robert Plant e vi tornarono  con Bonham (il quale, come sempre succedeva quando era sotto gli influssi dell’alcol, si comportò malissimo con il gruppo). Fino all’inizio del 1977 Page era attento alle nuove uscite discografiche e ai nuovi gruppi, benché vivesse ormai da tempo nella “bolla” che il management del gruppo aveva creato per lui e per gli altri tre membri dei LZ, era in qualche modo ancorato alla realtà; purtroppo una volta iniziato il lungo tour del 1977, tour di successo inimmaginabile per i tempi, Jimmy Page si estraniò dal mondo, consolidò il rapporto con sostanze chimiche pesanti e si rinchiuse nella torre d’avorio. Tanto per far capire la situazione, basti pensare che solo nel 1983 scoprì Edward Van Halen, il chitarrista olandese di Pasadena (CA) che con l’uscita del primo disco dei Van Halen nel 1978 rivoluzionò la chitarra elettrica …se ci pensate questa è la cartina di tornasole.

Torniamo a noi. Mi è sempre interessata moltissimo la genesi dell’ultimo album in studio dei Led Zeppelin, In Through The Out Door (pubblicato nell’agosto del 1979) e dunque anche decifrare le influenze che i Damned e il movimento punk ebbero in alcuni pezzi di quelle session. Influenze ovviamente non riscontrabili nell’album in sé, ma certamente presenti in un paio di outtakes poi pubblicate postume su Coda (uscito nel novembre 1982).

Dopo la tragica scomparsa del figlio di Plant nel luglio del 1977 e la conseguente interruzione del tour americano, il gruppo lasciò al proprio cantante il tempo necessario per elaborare il lutto. Si ritrovarono insieme nel maggio 1978 al Clearwater Castle per alcune prime informali session.A quanto si sa, ancora oggi le sale del Clearwell Castle che negli anni settanta fungevano da sale prove e studio di registrazione sono rimaste tali e quali a quelle di un tempo visto che sono spazi non più utilizzati (oggigiorno buona parte del Clearwell Castle è adibito ad ospitare soprattutto matrimoni, ma in altre parti del castello), e siccom che non ci sono foto del gruppo in quel contesto possiamo dunque immaginare una ambientazione del tutto simile a quella di cinque anni prima quando furono i Deep Purple ad usare quella location.

Deep Purple al Clearwell Castle – settembre 1973

In ottobre del 1978 i Led Zeppelin si raggrupparono agli studi Ezy Hire Studio di Londra per le sessioni di preparazione vere e proprie. Per la prima volta John Paul Jones presentò non solo idee musicali come fatto in passato, ma anche pezzi completi. Il 6/11/1978 il gruppo quindi volò al Polar Studio di Stoccolma visto che Björn Ulvaeus e Benny Andersson degli Abba, proprietari dello studio, offrirono l’uso gratuito della facility ai Led Zeppelin in modo da promuovere il Polar a livello internazionale. 

Benchè i Led Zeppelin stessero vivendo una fase interlocutoria e Jimmy Page non fosse più il chitarrista dell’immaginario collettivo, le session furono assai produttive; nonostante quello che erroneamente si è sempre letto, il gruppo fu efficiente e risoluto. Solo Page perse un paio di giorni a causa di problemi gastrointestinali. Parecchie furono le canzoni registrate: le 7 che finirono nell’album,

led zep in through the out door

le 3 che furono pubblicate anni dopo su Coda (Ozone Baby, Darlene e Wearing And Tearing)

e almeno un’altra che a tutt’oggi Page tiene chiusa in un cassetto e di cui è reperibile su bootleg e su youtube solo la traccia di batteria.

Visto che stiamo parlando delle influenze punk nella musica dei Led Zeppelin mi soffermo esclusivamente su Ozone Baby e Wearing And Tearing.

Ozone Baby fu la prima canzone registrata al Polar Studio, composta da Page e Plant fu dunque una delle poche canzoni di quelle session scritta musicalmente per intero da Page. E’ un bel rock sostenuto che personalmente ho sempre amato e che penso sia stato ispirata dal primo singolo dei Damned, New Rose uscito nell’ottobre del 1976 (nello specifico, dal ritornello)

Naturalmente Ozone Baby non è un canzone punk, ma credo di essere nel giusto quando dico che New Rose dei Damned influenzò Page nell’intenzione e nella stesura di qualche accordo.

Wearing And Tearing ha un impeto sicuramente più affine al punk ed inoltre è un brano molto veloce; certo, l’anima hard rock è presente ma l’approccio del gruppo (e del cantato di Robert Plant) lascia poco spazio ai dubbi.

Personalmente sono orgoglioso del fatto che la band Rock che più amo in quel periodo fosse attenta a quello che succedeva intorno ad essa, e che forse i LZ erano davvero meno dinosauri (e più punk) di tanti altri. Come già scritto qui sul blog se solo si fosse deciso di rendere In Through The Out Door un po’ meno Little Feat (e dunque togliendo South Boud Saurez e Hot Dog) e più attuale (aggiungendo appunto Ozone Baby e Wearing And Tearing) forse l’album oggi avrebbe una valenza maggiore.

Segnalo inoltre che nell’ellepì del 1982 Strawberries, i Damned inserirono il pezzo Bad Time For Bonzo. Certo, si gioca sul titolo del filmetto del 1951 Bedtime For Bonzo (featuring Ronald Regan) e si critica aspramente lo stesso Regan allora presidente degli USA ma … teniamo presente che John Bonham (detto Bonzo appunto) conosceva il gruppo e votò Rat Scabies come miglior batterista nel referendum dei lettori del 1979 del Melody Maker.

Concludo questa riflessione sugli influssi punk che ebbero i Led Zeppelin sottolineando che nel tour europeo del 1980 la band ebbe di certo un approccio punk. Alla faccia di chi li accosta ancora all’heavy metal.

 

Ma come cazzo mai DARLENE non è finita su IN THROUGH THE OUT DOOR?

16 Feb

Sabato mattina, diretto alla Coop per la solita spesa settimanale. Sul sedile di fianco al mio la pollastrella contempla la campagna, la blues mobile avanza a velocità di crociera, la chiavetta – in modalità random – inonda l’abitacolo col Rock. Ad un certo punto arriva Darlene dei Led Zeppelin e la giornata svolta: il sole diventa più lucente, la campagna proletaria in cui viviamo si trasforma in un paesaggio bucolico del sud degli States e l’impeto vitale detona in tutta la sua potenza dentro di noi. Polly esclama “Va beh, non ce n’è più per nessuno!”. Da quella musicista talentuosa che è mima perfettamente il lavoro al piano di Jones, gli stacchi di batteria di Bonham, il riff e gli accordi di Page. Quando quest’ultimo poi inizia il primo assolo Polly si mette a lavorare di stringbender facendo le stesse faccette che immaginiamo avrà fatto fatto lo stesso Page al momento di quella registrazione. Poco prima Polly, presa dal sentimental blues, mi aveva stretto a sé e detto “per me ci sei solo tu, non mi interessa nessun altro“. Lusingato e colpito dalla cosa poco dopo vedo disintegrarsi il tutto, quando – sospinta dall’assolo del nostro chitarrista preferito – mi dice: “Ti devo confessare una cosa: io amo anche Jimmy Page“.

◊ ◊ ◊

“The first name Darlene is derived from the Old English darel-ene, meaning “little dear one”.

Nel maggio del 1978 – dopo nove mesi di silenzio dovuti ai fatti che sappiamo – i Led Zeppelin si ritrovano allo Clearwell Castle, Forest Of Dean, Gloucestershire, UK, per provare nuovo materiale.

Forest Of Dean, Gloucestershire, Clearwell Castle (Nick-Murray-Photography)

Nel novembre (e dicembre) dello stesso anno si trasferiscono per alcune settimane (dal lunedì al venerdì) ai Polar Studios di Stoccolma di proprietà degli ABBA. Gli studi, aperti il 18 maggio 1978, sono situati a piano terra di un grosso edificio degli anni trenta del secolo scorso chiamato Sportpalatset (palazzo dello sport), nello spazio che fino a poco prima era occupato da un cinema.

Sportpalatset, Stockholm – 2010

Polar Studios Stoccolma, maggio 1978

ABBA Museum

Il gruppo registra (almeno) 11 pezzi: In the Evening, South Bound Saurez, Fool In The Rain, Hot Dog, Caroulselambra, All My Love e I’m Gonna Crawl finiscono su In Through The Out Door che esce in agosto del 1979,

Ozone Baby, Darlene e Wearing And Tearing su Coda, album compilation di inediti che esce nel novembre del 1982 a due anni dallo scioglimento del gruppo.

led zeppelin Coda a

led zeppelin Coda c

led zeppelin Coda d

led zeppelin Coda inner

Dell’undicesimo brano sappiamo che esiste ma non cosa sia né quando (e se mai) verrà pubblicato.

Il gruppo valutò l’idea di fare uscire in occasione dei due concerti di Knebworth nell’estate del 1979 anche un EP contenente Wearing And Tearing e qualcos’altro, ma la cosa non si concretizzò. Nel 2006 uscì un singolo non ufficiale di Wearing And Tearing / Darlene, ma si trattò di una contraffazione.

Led Zeppelin Special limited Edition Wearing And Tearing-Darlene

Su questo blog abbiamo già trattato il tema per cui In Through The Out Door sarebbe stato un album diverso se al posto di South Bound Saurez e Hot Dog fossero stati pubblicate due delle outtake poi messe su Coda. Proviamo a pensare a Darlene al posto di SBS e Wearing And Tearing (o Ozone Baby) al posto di HD. L’album avrebbe certamente avuto uno spessore rock più significativo. Magari certe scelte furono fatte anche per questione di spazio relativo alle due facciate del disco, ad ogni modo per quanto possa essere sembrata divertente a Page e Plant, Hot Dog non è esattamente un brano da album dei LZ. Il gruppo raggiunge lo zenit quando affronta drammaticità, quando si lascia trasportare dall’intensità, quando cerca di raggiungere le profondità cosmiche, quando si getta(va) nella carnalità suonata a regola d’arte, raramente risulta credibile quando è alle prese con motivetti scanzonati.

Certo, Darlene è good time music, ma la carica e la caratura musicale ne fanno un brano potente, vibrante, di godimento assoluto. Altro che Hot Dog!

Immagino che Plant abbia in qualche modo posto il veto, la sua prova vocale non è impeccabile (ma lo stesso potremmo dire del piano di Jones e della chitarra di Page) e il testo praticamente non esiste, ma il risultato è comunque sensazionale, un boogie rock furibondo, letteralmente irresistibile, possente e leggero al tempo stesso.

La fascinazione del gruppo (o meglio di Page e Plant) per i Little Feat, per il blues nero proveniente dal Mississippi e per certi locali di New Orleans giocarono un ruolo fondamentale nella creazione delle nuove sfumature musicali degli ultimi anni del gruppo. La musica americana proveniente dal blues in In Through The Out Door prende il sopravvento – lo stesso accade coi Bad Company di Desolation Angels (1979) e Rough Diamonds (1982), alfieri anch’essi della Swan Song Records. La copertina come sappiamo è ispirata all’Old Absinthe House, celeberrimo bar di New Orleans (che tra l’altro ho avuto la fortuna di vedere).

Old Absinthe House

Old Absinthe House

Led Zeppelin In Through The Out Door

Alcuni brani delle session di cui stiamo parlando hanno colorazioni riconducibili a New Orleans, al bayou, a quei pianini dissoluti suonati nelle calde e umide notti vicino al fiume Mississippi, naturalmente con l’aggiunta del piombo zeppelin. Darlene è ovviamente una di queste.

Una breve apertura e poi irrompe subito il riff irresistibile di chitarra, seguito dagli interventi di Robert Plant. Un po’ di piombo zeppelin, sempre accompagnato dal piano di Jones, per gli accordi SI, SIb DO e si ricomincia da capo. La prima parte dell’assolo di Page sulla Telecaster con lo Stringbender è formidabile, molto, molto Jimmy Page. La chiusura pare insicura, ma siamo nel periodo in cui Jimmy – non più supportato da una volontà, e quindi da una tecnica, superba e maschia –  fatica a tenere il passo col Jimmy Page fissato nell’immaginario collettivo e si avvicina così pericolosamente e continuamente al precipizio.

Luis Rey, autore, fan e studioso dei LZ extraordinaire fa notare come il lavoro alla solista ricordi quello di una delle primi incisioni che il Dark Lord fece come session man, ovvero Somebody Told My Girl di Carter-Lewis & The Southerners:

L’assolo di piano è delizioso, ma anche per Jones la chiusura pare al limite e non proprio pulitissima. Al minuto 2:30 il pezzo corregge il ritmo, Bonham va sul ride e Page cambia metodo per accordi e riff; il piano di Jones è meno presente nel mix. Robert ha la voce è un po’ tirata, ma ha quell’approccio sporco e blues che risolve comunque tutto. Dopo 30 secondi il ritmo si aggiusta ulteriormente fino a diventare un rock and roll boogie woogie blues scatenato; il piano di Jones torna presente, gli stacchi di batteria tra una giro e l’altro sono un cazzo di meraviglia. Nei sessanta secondi finali il pezzo veleggia veloce accompagnato da un assolo di chitarra di chiusura. Curioso come il volume della solista sia decisamente più basso rispetto all’assolo presente nella prima parte del brano. Il ritmo è irresistibile, uno di quelli da strappa mutande, e gli Zeppelin ci ricordano ancora una volta che cazzo di rock and roll band fossero. Sia chiaro, a me piace molto anche South Bound Saurez e in fondo anche Hot Dog, ma con Darlene l’album In Through The Out Door sarebbe diventato – almeno per me, amante degli album obliqui – ancora più leggendario.

“Darlene”

Oh yeahDarlene
Ooh, Darlene
Ooh Darlene
Ooh, yeah

Darlene
Oh, oh Darlene
Oh, oh, oh Darlene
Ooh, come on baby give me, me some

When I see you at that dance
With your tight dress on
What you got it sure is fine
I want to get me some

Darlene
Ooh baby baby Darlene
Ooh, be my baby Darlene
Ooh, come on baby
Come on, come on, come on my babe

Darlene
Ooh, Darlene
Hey hey, Darlene
Oh oh, come back and be my sweet little girl

When I see you on the street
It makes my heart go flitter
I see you walking with all those guys
It makes me feel so sick

Now I don’t care what people say
And I don’t care what they do
Sweet child I gotta make you mine
You’re the only thing that I want: you, yeah

And baby baby, when you walk down the block
See the people walk by
Woo child, y’know you drive me wild!
I got to do it with you, come on try

Ooh baby, I got my car
I will take you where it’s fine
I am going to take you every place
Do you wanna boogie-woogie-woogie-woogie, that’s fine

I’m going to boogie, Darlene
I’m going to make you my girl
I’m going to boogie, Darlene
I’m going to send you in another world

Cause I love you, Darlene
And I love you, Yes I do
I’ve been saving all my money
I’ve been working all day long
I gotta give it all back to you

Oh but I love you, Darlene
Cause I love you, yes I do
I’ve been working, it’s true
I’ve been working all day long
I’ve been trying to get it home for you

And I love you, Darlene
Yes I love you, yes I do
I got a pink carnation and a pickup truck
Saving it all for you
Oh I love you

Go
Go, go, go, go, go

PS: Esiste un versione più lunga di Darlene contenuta nei bootleg dedicati alle session di fine 1978. Si tratta di una alternative half-mixed version, con un finale più lungo, con ulteriori interventi di Plant e di Page. Molti di quelli eseguiti da Plant non compaiono nella versione finale.


A proposito di Musica Rock …

2 Ott

Cosa sia (o cosa sia stata) la musica Rock per me non è un mistero, lo so benissimo, e so benissimo anche che, pur non volendo, continuo a fare disamine su di essa. Giornali e riviste non leggo più, trovo noioso e stantio il 95% degli articoli odierni, la solita lagna, le solite iperbole, la solita lingua italiana usata in maniera mediocre. Ogni tanto però qualcosa che leggo sui social o mi giunge all’orecchio fa sì che il mio sconfinato amore per tale musica non mi permetta di infischiarmene e passarci sopra, e visto che ho un blog non posso fare altre che cercare di scaricare questa zavorra mentale su di esso.

Jimmy Page sentence

IL ROCK É MORTO A CAUSA DI …

Un tizio su un social scrive che il rock è morto a causa di Pearl Jam e Foo Fighter e sotto decine di persone commentano. Ognuno può lanciare le boutade che desidera, anche Ittod lo fa, e voi – a quanto mi scrivete – gli siete molto affezionati, ma la cosa mi ha fatto tornare a galla un pensiero che cerco di tenere nascosto e di conseguenza innescare l’ennesima elaborazione di concetti e ipotesi. A me Pearl Jam e Foo Fighter dicono poco, non mi arrivano, è una musica che non mi prende per come è scritta, confezionata, eseguita e cantata. A me servono (anche se non sempre) architetture musicali più ardite, ma riconosco in loro (soprattutto nei primi) etica, contenuti, tematiche universali e una grande capacità di toccare le corde di una intera generazione.

70sSongs

Per quanto mi riguarda credo che la fine del Rock sia dovuta all’Heavy Metal, quella deviazione che ha generato un tipo di musica caratterizzato da suoni metallici, violenti, con ritmica d’effetto. Ora, non è facile scrivere certe cose, ci sono legioni (per quanto sempre meno significanti) di adepti che hanno una fede cieca in quel genere, pronti a difenderla a spada tratta e con scarso senso critico, ma resta il fatto che è una convinzione che ormai si è radicata in me. Il metal ha ingoiato il Rock, ne ha compromesso la complessità, ne ha inglobato il nome e il concetto, e per quanto mi riguarda ne ha declassificato il valore. Per Metal non intendo certo AC/DC e Van Halen ad esempio, ma tutto quel mondo forgiato nelle fonderie. Pochissimi i nomi che hanno da dire qualcosa di davvero rilevante benché la  narrazione del genere in questione trascritta sui giornaletti musicali ad esso dedicati o su spazi del web parli di continuo di capolavori o di gruppi seminali. Poi, ognuno la vede come vuole, magari le (sottili ai più) differenze tra Hard Rock e heavy metal potranno apparire marginali, ma per un uomo come me sono invece basilari.

ROLLING FACES

Un amico giornalista musicale sui social scrive pressappoco che nel periodo 1973-75 i Faces erano meglio dei Rolling Stones. Nei commenti quasi tutti sembrano d’accordo, curioso però che l’unico pezzo dei Faces citato sia Stay With Me.

Anche qui, ognuno ha le sue idee e preferenze, personalmente penso che la cosa non stia in piedi. Nel 1973 i Rolling Stones erano al massimo delle loro potenzialità, il tour del 1973 sta lì a dimostrarlo, il live Brussels Affair (per lustri interi disponibile solo come bootleg, poi negli ultimi tempi finalmente pubblicato ufficialmente dalla band) è uno dei più bei live della musica Rock. La band gira a mille e il Rock fluisce limpido (e al contempo torbido).

Nel 1973 il gruppo pubblica Goat’s Head Soup, nel 1974 It’s Only Rock And Roll e nel 1975 lavora a Black And Blue. Mi paiono anni fertili e stupendi. Capisco che i Faces possano piacere o comunque apparire divertenti, ma non avevano i pezzi, diosanto (e per dio sapete chi intendo), ripeto non avevano i pezzi! Se ci si accontenta di giri standard di musica rock and roll e un approccio da band che pensa solo a far festa, benissimo, ma le canzoni e la fighinaggine di Mick & Keith i Faces se le sognavano, anche nel 1975.

Mick & Keith american tour 1975

Mick & Keith american tour 1975

PS: inutile ripetere che l’arrivo di Ron Wood nei Rolling non fu certo un evento positivo per la band di Jagger & Richard, che con quella scelta abbandonò ogni velleità artistica e di crescita per quanto concerne la musicalità.

INSEGNANTI DI CHITARRA

Un amico riprende dopo anni ad andare a lezione di chitarra, si guarda in giro, spigola le varie ipotesi e infine sceglie quella che gli pare più consona. Sapendo che suono la chitarra mi riporta i vari passi di questa nuova avventura.

“Come è andata la prima lezione?” gli chiedo.

“Bene, mi ha fatto improvvisare un po’ è poi mi ha detto che sono troppo blues”.

Il mio amico è uno che di musica ne sa, nei suoi anni formativi ha suonato, ha formato band, e non ha mai smesso di seguire il mondo della chitarra, se vede un amplificatore Marshall 1962 ci mette un secondo ad esclamare “il bluesbreaker!”, sebbene sia molto più giovane di me e sia cresciuto con i Dream Theater.

Marshall 1962 bluebreaker

Vado a vedere un po’ di video che questo insegnante e musicista professionista ha postato sul web e dal primo clip mi accorgo che ha una tecnica sopraffina, una facilità di azione sul manico della chitarra impressionante, una talento vero, un chitarrista sul genere Steve Vai. Continuo la visione dei suoi video, e arrivato al quarto stacco e mi dedico ad altro. Nonostante il cambio di base, di chitarre e di mood, l’assolo sembra sempre lo stesso, tecnicamente impressionante ma gamma espressiva sempre uguale.

E allora mi chiedo che senso ha dire ad un allievo “sei troppo blues” alludendo al fatto che l’uso della scala pentatonica sia da scartare quando tu con la tua preparazione e con il totale controllo di decine di scale alla fine dici sempre la stessa cosa con la chitarra.

E poi noi cosiddetti chitarristi “blues” non usiamo mica solo la pentatonica, ma fa comodo catalogarci come tali. Capisco che i trio rock blues hanno fatto il loro tempo e che c’è bisogno di immettere qualcosa di nuovo in quel tipo di lessico musicale (e il vero uomo di blues lo fa) ma non è sufficiente saper giocare su triadi e rivolti per dire qualche cosa con la chitarra.

ALTRE PERLE ASSORTITE DAL WEB

  • Quelli che si dicono super fan del rock (e alcuni sono musicisti vecchia scuola) e poi scrivono Van Hallen, Jimy Hendrix e Freddy Mercury. (James) Van Allen era un astrofisico statunitense, il gruppo di Eddie erano i Van Halen con una solo L, Jimi con due i, Freddie con la i e la e finali, per dio!
  • Il tipo giovane che scrive su un social postando una foto di ragazzi anni settanta con le capigliature e i vestiti dell’epoca “ma che tipo di problemi avevate negli anni settanta per andare in giro con questi vestiti e quei tagli di capelli?”. Scusa ragazzino, vogliamo parlare di come andate in giro voi oggi? Sembrate tutti dei cretinetti!
  • Quelli che amano gruppi Rock degli anni andati che affrontavano temi etici e che avevano in formazione musicisti neri e di etnie non certo caucasiche ma che poi sostengono con forza posizioni reazionarie, razziste, sovraniste e populiste. E sterzando un momento dalle tematiche Rock quelli che amano i gatti e poi sono iscritti a al gruppo Gun Rights, o quelli che odiano i “negri” e poi in camera hanno ancora il poster di Gullit. 

E niente, non c’è pace per l’uomo di blues. Meglio cercare conforto nella musica …

We can make it in the end,
We must make it, yeah!
We can rise above it all,
We can rise above!
Rise up!
We can rise above all!
We can overcome all!

 

Quel maledetto adesivo dei Grateful Dead attaccato alla Cadillac.

6 Mar

Non avrei mai creduto di arrivare a questo punto, ovvero di smettere di acquistare dischi e di leggere Rock. Certo, per i saturnali faccio acquisti di long playing e cd da regalare agli amici, ogni tanto mi scappa un ordine fatto a oscure etichette americane che commerciano in cd di delta blues anni 20 e 30 del secolo scorso, inoltre se esce qualche nuova edizione di dischi storici e o nuovo materiale d’archivio dei miei gruppi preferiti è ovvio che mi ci butto a testa bassa, ma in generale ho smesso di interessarmi al Rock.

Non so come sia potuto accadere, ma il punto a cui sono arrivato è questo. La noia e lo sdegno mi assalgono quando leggo i commenti sui gruppi facebook dedicati alle band e agli artisti che più amo, quando mi capita di finire su blog musicali italiani o di dare un’occhiata alle riviste musicali. Raramente trovo spunti degni di nota, scritti appassionanti o innovativi, la quasi totalità degli articoli è vittima della pigrizia dei giornalisti (?) i quali raccontano le stesse storie senza aggiungere nulla (!) non dico di nuovo  ma almeno di personale, impantanati inoltre nelle ormai insopportabili iperbole e negli assoluti. Il senso critico, la prospettiva, la differenza tra capitoli importanti della musica e della propria vita sono andati a farsi friggere.

Oltre a tutta questa miseria si aggiunge anche il problema derivante dall’idea che mi ero fatto del Rock, avevo infatti idealizzato questa forma di musica e i suoi relativi contenuti, mi ero costruito castelli nella maruga, fatto viaggi intellettuali e spirituali, innalzato mondi intorno alla immacolata concezione che avevo della musica che tanto ho amato, mentre invece, mi duole moltissimo ammetterlo, mi sa che il Rock – a parte rarissimi casi – sia sempre stato solo una forma di intrattenimento.

Boutade? Forse, ma non ne sono sicuro. Sì, certo, tra il 1967 e il 1971 ci sono stati cinque anni in cui la rivoluzione culturale nata con la musica Rock è stata totalizzante, la summer of love, gli hippies, il sessantotto, la controcultura  … I Grateful Dead, Dylan, i Jefferson, i Doors, CSN con o senza Y (e qualche anno dopo i Clash) … parevano davvero soffiare venti nuovi, ma poi già nel 1973 tutto era terminato, i musicisti divennero rockstar, le rockstar scivolarono nell’edonismo, il Rock divenne una musica con cui fare essenzialmente dei gran profitti. Non che ci sia nulla di male, solo se fai profitti poi puoi portare avanti il tuo disegno, i tuoi sogni, ma la musica avrebbe potuto rimanere anche altro.

Nella canzone The Boys Of Summer del 1984, Don Henley canta:

Out on the road today I saw a Deadhead sticker on a Cadillac” frase che per me (e forse anche per il nostro Pike) significa “the end of innocence”, la perdita degli ideali che si avevano un tempo o in generale l’appannamento degli ideali della musica Rock. Un’adesivo dei Gratetful Dead su una macchina molto costosa non ha tanto senso … immaginiamo una BMW di grossa cilindrata con l’adesivo degli Aerea, o più banalmente dell’hippie che si fuma una canna e che se ne va libero per il mondo rinunciando alle logiche del mondo occidentale. La cosa sarebbe inadeguata e un po’ patetica, un paradosso insomma. C’è addirittura la possibilità che il possessore di quella Cadillac fosse un business man di successo venduto alla logica del capitalismo ma a cui piaceva pensare di essere in fondo ancora il giovane hippie/libero pensatore che era da ragazzo. Questa seconda ipotesi sarebbe ancor più patetica.

Ed è per questo che mi sto affrancando dal Rock, un po’ come quando t’innamori perdutamente di una donna (o di un uomo), la idealizzi ma poi – passata la sbrusia passionle – ti accorgi che forse non è esattamente come te la eri dipinta. Pensavo che il Rock fosse chissà cosa, ma ora non ne sono per niente sicuro

Mi chiedo anche perché io debba sempre farmi intrappolare da questi tarli, non sarebbe meglio godersi la musica per quel che è senza farsi condizionare troppo dal costrutto che può o non può esserci?

Perché poi come ebbe a scrivere Pike qui sul blog già nel 2012, in un articolo che toccava lo stesso tema:

… Il dibattito su cosa sia o meno rock mi pare un po’ sterile. Chi è che decide dove va posta l’asticella per dividere i campi? A me pare molti gruppi ‘rock’ estremamente popolari si limitino a usare una certa iconografia rock da fumetto per sbolognare pessima musica diretta a ‘simple minds’ a cui piacciono gli stivaletti di pitone, le Les Paul zebrate e le foto di gente spappolata col Jack Daniel’s in mano. Lenny Kravitz è un rocker o solo uno che ‘roccheggia’ di comodo? I Guns n’ Roses sono rock o solo una cover band da comic book che ha venduto milioni di dischi di una carnevalata? Il punto è: nel momento in cui il rock significa poco, quanto può essere credibile un rocker? Si tratta di ‘poseurs’ o di gente sincera? E’ possibile riconoscere la sincerità? Ed è così importante? In fondo vogliono tutti diventare ricchi, famosi e giganteschi scopatori, da sempre. Qual è e dov’è il semino etico che distingue il ‘reale’ dal ‘farlocco’.

Se l’accezione del rock è ‘musicista sincero che propone musica scaturita dall’anima suonata con strumenti in variabile distorsione con sezione ritmica prevalentemente in 4/4, che ha forgiato il suo look, il suo sound e la sua ‘attitude’ su modelli riconducibili al blues elettrico e alla prima ondata di rock ‘n’ roll poi sviluppato da Stones, Who e Zeppelin’…beh, allora possiamo cominciare a potare il 75 per cento della gente che dice di suonare rock.”

Credo che Picca abbia ragione, anche perché per gestire il disordine universale che regola le nostre vite dobbiamo pur attaccarci a qualcosa, e l’Inter e gli ordini Adidas – seppur fondamentali – forse non mi bastano mica.

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GRETA VAN FLEET “Anthem of the Peaceful Army” (Republic Records – 2018)

22 Ott

Introduzione

Qui sul blog abbiamo iniziato a parlare dei GVF più di un anno fa. Ci piaceva il fatto che, pur facendo indubbiamente il verso al nostro gruppo preferito, la band sembrasse vera e animata dal giusto senso del rock; di solito non amiamo particolarmente chi scimmiotta i LZ, sia che si tratti di gruppi famosi che di semplici tribute band, chi diventa una macchietta, chi imita la gestualità e il modo di cantare di Plant trasformandosi il più delle volte in un comico e inguardabile clone. Apprezzammo dunque i due EP pubblicati ad inizio e a fine 2017 anche perché tenemmo conto della giovanissima età del membri del gruppo.

Lo scorso luglio poi uscì il nuovo singolo (“When the Curtain Falls“) e le nostre simpatie iniziarono a stemperarsi. I riferimenti ai Led Zeppelin erano ancora molto evidenti e la cosa spense un po’ il nostro interesse. Il gruppo era ancora molto giovane ma un anno e mezzo passato costantemente on the road aiuta a maturare in fretta, dunque ci si aspettava anche dal punto di vista del songwriting un passo in avanti. Scrivemmo due considerazioni personali su facebook e quindi decidemmo così di non interessarci più di tanto del gruppo. La cosa divenne però più ardua del previsto.

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Due sabati fa son li che scarico, dal camion del rivenditore, la prima parte di pellet per il nostro fabbisogno invernale. Il tipo inizia a parlare di rock. Io taccio, non ho voglia di infilarmi in discorsi superficiali circa la musica che preferisco, la pollastrella invece non perde l’occasione per tornare su uno dei suoi interessi principali. Faccio avanti indietro tra il cortile e il lato più oscuro del garage con dei sacchi da 15 kg sulle spalle mentre sento parlare di Deep Purple e di AC/DC e quindi dei Greta Van Fleet. Mi dico, ma guarda un po’ questi ragazzini, sono riusciti ad arrivare anche qui tra i sentieri dell’Emilia più profonda.

Mercoledì scorso vado alla Bottega dei Briganti a vedere una (discutibile) tribute band dei Clash. La Bottega è uno dei locali che di solito frequento. Ci ho suonato più volte col mio gruppo e con Valerio, il titolare, ho un ottimo rapporto. E’ sempre molto occupato, ma mentre ceniamo viene a fare due chiacchiere e, tra le altre cose ci dice: “voglio prendere i biglietti per andare a vedere i Greta Van Fleet a Milano”.

Sabato scorso. Torna il tipo a portarci la seconda parte del pellet. Il primo argomento è “possibile che i biglietti per il concerto dei Greta Van Fleet siano andati esauriti in due minuti”.

Va beh, mi prendo il nuovo album, appena uscito, lo metto sulla chiavetta e me lo ascolto una prima volta. Mi faccio un’idea, ma poi mi dico: “ne devo scrivere sul blog?“, ormai i GVF sono diventati un argomento che genera qualche tensione. Rifletto su quanto carissimi amici hanno scritto e mi hanno detto.

Amico P (musicista: cantante/chitarrista e genio a tutto tondo): “guarda, io li prendo per quello che sono senza farmi tanti problemi sul paragone con i LZ. Jacob Kiszka io lo vivo come chitarrista americano, più che come adepto di Page. Se proprio vogliamo magari mancano i due o tre pezzi di valore superiore”

Amico U (musicista: chitarrista): scrive un concetto che si può riassumere con queste parole: “ma come si fa a criticarli? Sono una delle vere poche nuove rock band venute fuori in questi ultimi tempi. Criticarli significa contribuire a far sparire il Rock”

Amico G (giornalista musicale):  “Lo so molti di voi contestano i GVF perchè “copiano”… Fatti vostri. Dico solo che facendo i saccenti e i criticoni con tutto, abbiamo fatto scomparire le chitarre e ci siamo meritati il trap/rap/rutt/scorregg che ci sta sovrastando. Poi voi fate come volete. “

Amico R (musicista/chitarrista): “Mi piacciono, gran chitarrista, li sto ascoltando compulsivamente da ieri. Datemi retta questi (a parte il batterista) hanno le palle quadre a 20 anni”

Amico B (giornalista musicale): “Ieri ascoltavo i GVF e mi domandavo come facessero a piacere a te che sei molto caustico nei confronti degli imitatori dei LZ. Io non riesco a  trovarci un tratto distintivo”.

Amico P (star della subacquea / scrittore e filoso alternativo di rock): “Bah…”

E ora cosa scrivo? Come li affronto? Mi atteggio a “saccente e criticone” come scrive il mio amico G o li vivo di pancia rallegrandomi delle loro influenze? Mi interrogo sullo stato del Rock (diciamo così, classico) che sembra non andare oltre ai riferimenti dei bei tempi andati o devo felicitarmi perché se non altro una nuova band Rock (voce, chitarra, basso e batteria) sta assurgendo agli onori delle cronache?

E se li critico, con che faccia tosta mi presento? Io che se vado a riascoltare i miei demo del passato non posso che trovare nelle mie canzoni richiami ai Led Zeppelin, io che suono in una tribute band (seppur obliqua) del gruppo di Page?

E poi, anche i LZ presero a man bassa dal blues per i primi due album… certo, mi si obietterà, loro però trasformarono il tutto in una proposta decisamente nuova contribuendo in maniera definitiva a scrivere la storia del Rock, mentre i GVF sembrano semplicemente riproporla; d’altra parte siamo nel 2018, gli alfabeti musicali sono consunti, il terreno del songwriting ormai non è più fertile, non ci si può più aspettare granché, a dispetto di chi pensa che il rock non morirà mai.

Medito un po’ sul da farsi, poi decido: I don’t give a damn! Scrivo in modo schietto e sincero senza curarmi di nulla, questo è un misero blog personale, mica la rivista Mojo. I miei amici mi perdoneranno, il dio del Rock anche, se non li difendo a spada tratta.

Greta Van Fleet “Anthem of the Peaceful Army” (2018 Republic) – TTT½

1. Age of Man – 2. The Cold Wind – 3. When The Curtain Falls – 4. Watching Over – 5. Lover Leaver (Taker Believer) – 6. You’re The One – 7.  The New Day – 8. Mountain of the Sun – 9. Brave New World -10. Anthem

  • Joshua Kiszka – vocals
  • Jacob Kiszka – guitar, backing vocals
  • Samuel Kiszka – bass guitar, keyboards, backing vocals
  • Daniel Wagner – drums, backing vocal

Age Of Man apre l’album in modo positivo. Il sound si arricchisce delle tastiere (suonate dal bassista … altra similarità). La voce di Joshua Kiszka è penetrante, e ancora non so decidere se mi piace o mi infastidisce un po’. Di certo il ragazzo è dotato. Magari esagera un po’ usandola spesso a tutta potenza, come d’altra parte nei primi due album era solito fare Plant. Il pezzo è valido, un buon tempo medio articolato e non privo di fascino. Vuoi vedere che hanno trovato una loro strada?

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The Cold Wind invece si inserisce sul già tracciato. Parte come un rockaccio alla Led Zeppelin (quelle cose un po’ alla Custard Pie) ma si distingue con un bello sviluppo subito dopo la strofa (sviluppo che si conclude citando un passaggio di Over The Hills And Far Away) e per un ponte strumentale potente e scatenato. Delizioso l’assolo di chitarra. Buona prova d’insieme, detto per inciso a me il batterista piace.

When The Curtain Falls è il singolo (o meglio il video dell’album) ed è uno dei momenti che meno apprezzo. Non è male ma è di nuovo un rock generico alla led Zeppelin. Il controcanto della chitarra nel ritornello non è niente altro che il lick che Jimmy Page ripete più volte in In The Evening. Personalmente trovo questo richiamo un po’ imbarazzante.

Watching Over inizia con un sapore anni sessanta poi tenta di darsi alla psichedelia prima di trasformarsi in un riff ostinato. L’effetto sitar della chitarra a me non piace, ma ci sarà chi lo apprezzerà. Anche in questo caso l’assolo termina in modo brusco. Al minuto 3:20 il cantante cita il Robert Plant di Four Sticks mentre al minuto 3:33 il chitarrista cita pari pari il Jimmy Page di No Quarter dal live The Song Remains The Same. (Mi riferisco a quella magnifica frase ripetuta più volte dal minuto 7:22 in poi del pezzo del 1973).

Lover, Leaver (Taker, Believer) è il secondo singolo, un hard rock senza particolarità e che probabilmente risente della influenza di Whole Lotta Love. Il chitarrista cita di nuovo Jimmy Page al minuto 1:40 (assolo di Black Dog da studio e di Stairway To Heaven live 1973) e al minuto 1:45 (riff di Nobody’s Fault But Mine). Dal minuto 2:40 poi i GVF ripropongono il riff di chiusura di Out On The Tiles sempre dei LZ. Poi la gente si infastidisce se vengono accostati costantemente al gruppo del dirigibile.

Con You’re The One le cose non migliorano.  Il pezzo è molto simile a Your Time Is Gonna Come dei LZ. Andamento acustico su tempo medio con tanto di organo. Il ritornello mette in imbarazzo.

Con The New Day mi trovo in uno stato in cui li ascolto solo per scoprire che riferimento zeppeliniano metteranno in campo stavolta. Magari esagero, ma anche qui mi sembra di sentire i Led Zep elettro-acustici di Over The Hills And Far Away.

Mountain Of The Sun è costruito su un buon giro rock blues disegnato con la slide guitar. In un primo momento mi ci ritrovo bene, sento qualcosa di famigliare ma mi godo il bel rock del pezzo. Poi mi sovviene la amara verità: il pezzo discende dall’inedito di LZII La La. Lo riascolto per capire se sono io che mi sto facendo suggestionare o cosa, ma la influenza di quella oscura outtake dei Led Zeppelin mi pare evidente.

Brave New World è un tempo medio che viaggia su coordinate epiche velate da contrappunti pieni di mistero. Verso la fine c’è un intermezzo dipinto di blues.

Il disco è chiuso da Anthem, ballata acustica. L’uso della steel guitar anche qui è sospetto, ma mi impongo di non cercare più tracce di piombo e cerco di godermi questo ultimo bel quadretto

Nell’album è compresa anche la versione più lunga di Lover, Leaver (Taker, Believer).


La copertina non è male e la produzione è discreta.

Riassumendo, non riesco a giungere ad un conclusione precisa. Il mio giudizio rimane interlocutorio. Mi piace come suonano, come si pongono, la baldanza che hanno, mi piace la musica che fanno (seppur rimanga convinto che manchi qualche pezzo di livello superiore), ma mi chiedo se questo mi sia sufficiente. Temo sembrino dei giganti vista la pochezza musicale dei nostri tempi e perché siamo disperatamente alla ricerca di qualcosa che ci faccia credere che il Rock sia ancora vivo. Intendiamoci, è un bel sentire, ma le analogie con i Led Zeppelin sono troppe perché un super fan del gruppo di Page come me non le noti.

Si capisce comunque benissimo che sono un gruppo americano (io ci sento anche il sound degli Allman Brothers, benché il gruppo provenga dal Michigan) e questo è un aspetto da non sottovalutare. Suonano hard rock ma hanno sfumature amabili e non troppo aspre, sono piacevoli da ascoltare anche quando non si è dell’umore adatto per darsi al rock duro. Hanno anche un bel nome, poi sono in quattro … la formazione che prediligo, e adorano il mio gruppo preferito. Avrebbero tutto per essere amati dal sottoscritto. In attesa di vedere se le nebbie si diradano, continuo a tenerli d’occhio.

 

I GVF sul blog:

hthttps://timtirelli.com/2017/08/13/greta-van-fleet/