Questa è la prima registrazione live relativa agli anni settanta di John Miles che trovo, ne sono davvero felice visto che quello del biondo di Jarrow non è un nome di cui ci sia tanto materiale in giro. Nell’aprile del 1977 John e la sua band erano in tour negli Stati Uniti, il secondo album era appena uscito e Miles cercava di farsi strada anche nel Nord America.
In aprile e maggio apriva i concerti dei Boston (a volte insieme ai Journey), oppure di Manfred Mann’s Earth Band (a volte da solo a volte insieme ai Lake e ai Genesis), o anche dei Supertramp. Come si può capire dalla recensione che allego qui sotto del concerto del 5 aprile, la John Miles Band in quel periodo faceva una gran bella figura, il gruppo era rodato, preparato, pronto …cosa avrei dato per poter assister ad un concerto di quel tour.
Recensione concerto 1977 BOSTON- JOURNEY-JOHN MILES
Ho scritto più volte su questo blog come il singolo Music uscito nel 1976 mi catturò completamente, per me e per il mio amico per le palle Biccio (pianista extraordinaire) diventò il manifesto programmatico della nostra adolescenza. Al primo della classifica olandese e belga, al 2° in Italia, al 3° in UK, al 10° in Germania e 88° in USA, Music nel 1976 fu un gran successo in Europa; Biccio lo portò ad uno dei saggi di pianoforte a cui partecipava regolarmente (insieme a mia sorella che – siamo nella seconda metà degli anni settanta – pianista anch’ella in quella occasione portò Maple Leaf Rag versione di Keith Emerson). Miles partecipò anche al Festivalbar del 1976.
Ritorniamo a noi, il tour del 1977 fu una meraviglia, la caparbietà giovanile, i primi due album da promuovere (Rebel del 1976 e Stranger In The City del 1977), la cazzimma (pur di stampo inglese) … la John Miles Band era un nome su cui puntare.
La splendida registrazione audience in questione si apre con House on the Hill, B-side del singolo “Remember Yesterday”, scelta coraggiosa ma forse un tantino azzardata, ma quelli erano anni in cui la musica era una cosa seria, il rigore dell’essere artista non andava confutato. Il brano è un buon Hard Rock elaborato con un ottimo assolo di John alla chitarra; Pull the Damm Thing Down dal primo album mette in circolo l’ottima musicalità prodotta dalla John Miles Band, il pezzo, molto bello, è costruito con l’alternarsi del tight but loose, luci e ombre, forza e tenerezza. John lo canta con la sua voce STRAORDINARIA con passione e anima. Certi passaggi delle tastiere sono un po’ dozzinali, ma la metà degli anni settanta è tipica per questo uso molto discutibile delle stesse. Elegante l’assolo di chitarra. Sette minuti di bellezza Rock. Grande apprezzamento da parte del pubblico, evidentemente colpito dal savoir faire del gruppo.
Stand Up (and Give Me a Reason) dal secondo album e un altro gran pezzo, chitarre Rock, ritornelli spensierati e la solita classe ineguagliabile. Difficile non ripetersi e non perorare la causa di Miles, un musicista completo, voce magnifica e abilità straordinarie alla chitarra e al piano. Finale denso di improvvisazioni tra chitarra e voce. Altri sette minuti di leggiadria.
1977 tour BOSTON – JOURNEY-JOHN MILES
Music è presentata come quarto pezzo pezzo e con quell’inizio delicato e melodico riempie la Music Hall di Boston di magia, peccato solo per le tastiere ordinarie. Parte quindi la sezione Rock e il conseguente assolo di chitarra. John ritorna poi al piano e il pubblico si emoziona tanto; certo non è facile sostituire l’orchestra della versione in studio con una tastiera, ma il risultato regge. Di nuovo il tempo Rock ed ostinato su cui le tastiere cercano di riprodurre gli archi dell’orchestra, John torna a cantare … e quell’ultima doppia strofa riesce a darmi i brividi anche adesso, dopo tutti questi decenni
Music was my first love And it will be my last Music of the future And music of the past To live without my music Would be impossible to do In this world of troubles My music pulls me through
Il pubblico gradisce tantissimo e tributa alla band un applauso a tutto tondo, l’emozioni riempiono l’aria. Highfly fu il primo singolo dell’era che conta di Miles, pubblicato nel 1975 arrivò al 17° posto delle classifiche UK e al 68° di quelle USA, posizioni davvero niente male per un artista sconosciuto, e infatti quando John lo introduce il pubblico sottolinea il gradimento. High Flyer è un gran pezzo che colpisce nel vico, è brillante, per certi versi molto inglese: un sfumatura rococò, una glam, una decisamente Rock. John la canta con il piglio giusto, la band lo segue con la consueta abilità. Tre minuti e mezzo tirati, lucidi, assolutamente convincenti. Il pubblico esplode … è gratificante sentire il pubblico così caldo per un artista che alla fine dei conti non riuscì mai a sfondare del tutto nel mercato statunitense. Chiude il concerto Slow Down, quello che all’epoca era l’ultimo 45 giri uscito e che arrivò 10° in UK e 34° in USA, un ottimo successo per John Miles. Slow Down ha un ritmo ballabile su cui si innestano chitarre Rock, il clavinet e una grinta mica da ridere. Il pubblico a questo punto è tutto dalla sua parte, batte le mani a ritmo e accompagna il brano. John canta benissimo, spingendo la voce con passione scatenata. Buono l’assolo di tastiere, molto anni settanta. John si lancia quindi nell’assolo di chitarra trattata con l’effetto Talk Box (Peter Frampton, Jeff Beck e Joe Perry anyone?). John Miles qui è travolgente, la vibrazione della musica nera è evidente, il funk e il rock che si accoppiano con foga, il gruppo e il pubblico in perfetta e sfrenata sintonia … baby won’t you please slow down … finale da pelle d’oca. Thank you, goodnite, God bless you. la John Miles Band lascia il posto ai Journey e ai Boston.
Io sono di parte, lo so, John Miles è uno dei miei artisti preferiti, ma sfido chiunque a non ammettere che, al di là dei gusti, John Miles in quei primi due anni era una forza della natura capace di unire eleganza e approccio decisamente (Hard) Rock. Qui sotto il link al concerto competo. In John Miles we trust!
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JOHN MILES Music Hall Boston Mass April 2nd 1977 Hezekiahx2 Analog Master to 1st Gen Reel to Reel at 7.5 ips Transferred and Presented By Krw_co
LINEAGE HEZEKIAHX2 MASTER CASSETTE TO REEL TO REEL 1ST GENERATION AT 7.5 IPS > TEAC A-7300 REEL TO REEL W/MANUAL AZIMUTH ADJUSTMENT>CREATIVE SOUNDBLASTER X-FI HD MODEL #SB1240 WAV(24/96KHZ)>MAGIX AUDIO CLEANING LAB FOR KRW TRACK MARKS VOLUME ADJUSTMENT AND EDITS>WAV(16/44.1KHZ)>TLH FLAC 8 Sony TC 153ECM-99 1 point stereo mic on a cane Analog masters no longer exist (recycled after transfer to reel).
THE BAND John Miles lead vocals keyboards guitar Bob Marshall bass Barry Black drums Gary Moberley keyboards
SETLIST 1 Intro 2 House on the Hill 3 Pull the Damm Thing Down 4 Stand Up (and Give Me a Reason) 5 Music 6 Highfly 7 Slow Down
Questi video amatoriali potranno anche sembrare poca cosa ai cosiddetti casual fan vista la qualità … dopotutto sono riprese appunto amatoriali fatte da qualcuno che era tra il pubblico, ma per i veri amanti dei LZ del Rock sono gemme di grandissimo valore. Mi sorprendo sempre quando viene pubblicato su Youtube qualche nuovo video mai visto prima, dopo decenni all’improvviso qualcuno si ricorda di aver visto i LZ e di averli filmati in Super 8, ritrova la pellicola, la gira ai fan specializzati con capacità tecniche, questi la ripuliscono e con pazienza e abilità certosina la sincronizzano con l’audio ricavato da bootleg e registrazioni audience (anch’esse fatte da qualcuno del pubblico) già esistenti, et voilà, il gioco è fatto.
E’ così che testimonianze visive del periodo d’oro della musica Rock arrivano sino a noi. Decenni fa, quando mi dilettavo nel raccogliere quante più audiocassette o bootleg live possibili del mio gruppo preferito, vi erano sere in cui mi ascoltavo in cuffia concerti nella loro interezza, mi immergevo completamente nella situazione, mi pareva così di essere al Budokan, al L.A. Forum, al Madison Square Guarden, al Capitol Centre, e la mia mente viaggiava, mi costruivo castelli, rappresentavo mentalmente nella mia maruga di ragazzino le varie houses of the holy dove i Led Zeppelin tenevano le loro messe nere. E guarda un po’, oggi abbiamo la possibilità di dare forma reale a tutti quei costrutti musicali adolescenziali.
Tokyo 1971, uno dei momenti magici dei LZ in versione live, Landover 1977 gli orizzonti perduti del colossale tour del 1977 e Copenhagen 24 luglio 1979 (warm up di Knebworth) il momento migliore degli ultimi due anni del gruppo e data che ho sempre amato molto.
I Led Zeppelin, ah!
1979-07-24-Copenhagen_Led Zeppelin
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LED ZEPPELIN – Live in Copenhagen, DK 24th July 1979 – Super 8 film (NEW FOOTAGE)
LED ZEPPELIN – Live in Tokyo, Budokan 23 sept 1971 (Films & other images) LONG VERSION
Di Tokyo 1971 è uscita da pochissimo anche una versione (corta) di maggiore qualità:
[UPGRADE/NEW] Live in Tokyo, Budokan 23 sept 1971- Super 8 film (Source 2)
LED ZEPPELIN – Live in Landover, MD 28th May 1977 – Super 8 film
Nel 1996 ero un lettore assiduo di Comix e dunque i capitoli di questo libro non mi sono del tutto nuovi; trattasi infatti di una nuova versione non solo rimasterizzata bensì rimixata, evidentemente per renderla più attuale e godibile al pubblico del 2025.
Amo Guccini, siamo nati nella stessa provincia, alcune (meglio dire molte) delle sue canzoni sono capitoli importantissimi della canzone d’autore italiana e dunque della mia vita, siamo di generazioni diverse ma lo sento molto vicino, bazzichiamo le stesse pianure alla ricerca del Sol dell’Avvenire, lo stimo molto come uomo, come intellettuale, come fine interprete della lingua italiana. Come lui amo il lambrusco (quello meno secco, il Grasparossa o il Reggiano) e come lui – benché la mia stirpe sia da secoli tutta di origine reggiana – ho un forte accento modenese (e relativa cadenza).
Non potevo dunque non acquistare questa nuova edizione de la Legge Del Bar, libro che che si legge col sorriso e con un po’ di nostalgia e malinconia. Temo che questi quadretti fossero perfetti per il 1996, oggi sono faccenduole adatte alla periferia di un mondo che io, e immagino anche Francesco, fatichiamo a riconoscere e ad amare. Sì perché quello di cui racconta(va) Guccini è un mondo che sta sfumando, che forse non esiste nemmeno più e che solo gli uomini di una (in)certa età ricordano. Due i momenti del libro che a parer mio toccano vette elevatissime: La Legge Del Viaggiatore (pag 49) e La Legge Del Vivere Da Soli (pag 55) … ho riso come poche volte mi capita.
Caro Francesco, sei sempre uno dei più grandi. A t’voi un ben da mat.
La legge del bar e altre comiche era il titolo della prima edizione di questo libro che fu pubblicato nel 1996 da Comix. Quasi trent’anni dopo ecco che “La legge del bar” riappare senza disegni e in una forma molto mutata, con nuovi titoli, tutti gli incipit riscritti e ampliati e con il nuovo sottotitolo: “E altre irresistibili leggi dell’essere”.
Ma che cos’era quel fortunato libriccino, che apparteneva alla prima fase della produzione letteraria di Francesco, uscito dopo Cròniche epafániche e Vacca d’un cane? E che cosa è diventato adesso? “La legge del bar” è già il racconto di un mondo che non esiste più, di un ambiente che, anche se non sembra poi tanto cambiato, oramai non è più quello e chi ancora lo frequenta, e conserva certe caratteristiche di un tempo, è da considerarsi un sopravvissuto. Ma tanto, niente è più lo stesso: i giochi di carte, il calcio, i Natali, i viaggi e la politica, niente. In questa nuova, profondamente rilavorata versione, è come se tutti i racconti fossero stati ripassati dagli occhi di un uomo che, pur avendone viste molte, ne ha viste ancora di più, perché altro tempo è passato. Ma c’è qualcosa che non è cambiata: l’ironia, l’amore per il paradosso, l’esercizio dell’intelligenza, il gusto per lo scherzo e per la battuta, la gioia di vivere, di meravigliarsi ancora.
Questa è la ristampa di una ristampa del 1976 di un libro pubblicato nel 1963 che racconta da un punto di vista “storico” la vita del leggendario frontier man Hugh Glass (vedi film The Revenant con Leonardo Di Caprio). A me interessava proprio cercare di verificare i fatti (e la vita) di Glass, scevri dalle tante leggende e interpretazioni. Questo libro ne traccia i brandelli di storia che nel 1963 si riuscì a ricostruire; stiamo parlando dei circa cinque decenni che vanno dal 1780 al 1830 circa, un epoca a cui sono da sempre legato per quanto riguarda i territori selvaggi del Nord America.
Il libro è in inglese, ho faticato un poco a leggerlo perché è scritto nella sua variante statunitense di 60 anni fa, non certo un inglese arcaico, ma di certo a me più ostico rispetto all’ inglese più moderno.
Resta il fatto che ho gradito molto imparare nuove e veritiere sfumature delle vicissitudini di questo ex pirata e mountain man ferito a morte da un grosso orso e abbandonato – dopo essere stato derubato dai suoi compagni. Glass sopravvisse e condusse una vita spericolata in quei territori magnifici e spietati.
Non una lettura per tutti, ma chi fosse interessato all’argomento potrebbe trovare questo libro essenziale.
Immagino che libri del genere interessino solo ad un piccolo numero di lettori, io sono fra questi e ho trovato queste pagine di Manzi stimolanti. Certo, la (paleo) antropologia mi interessa, ma credo che in generale l’autore abbia scritto qualcosa di comprensibile e al contempo avvincente per (quasi) tutti. I Neanderthal appartenevano ad una specie umana diversa da noi Homo Sapiens, ma nella loro storia evolutiva possiamo trovare anche tracce di noi stessi (d’altra parte tutti noi possediamo nel nostro DNA una piccola percentuale del loro).
Il libro ne racconta l’inizio e la fine, la convivenza con le altre specie umane e le ragioni della loro scomparsa. Manzi ci aiuta anche a districarci nella preistoria, segnando lungo il cammino scritto pietre miliari che aiutano il lettore a raccapezzarsi, soprattutto per quanto riguarda il Pleistocene. Questi sono libri di preistoria, qualcuno andrebbe letto. Questo di Manzi è uno di quelli.
I Neanderthal sono un buon modo per raccontare la scienza delle nostre origini e i suoi formidabili progressi. Ne abbiamo bisogno ancora di più oggi, noi esseri umani dell’Antropocene, con tutte le sfide che dobbiamo affrontare.
«Sono seduto su un grande masso di fronte al mare. Alle mie spalle la grotta del Monte Circeo frequentata dai Neanderthal». Con queste parole ha inizio un sogno: un incontro immaginario tra un paleoantropologo e l’ultimo dei Neanderthal. I due condividono le competenze di oggi e le esperienze vissute nel tempo profondo. Dialogano così sull’origine, sulle caratteristiche e sui comportamenti dei Neanderthal, come pure sul loro destino. Ne deriva l’affascinante narrazione di una specie simile alla nostra, ma anche profondamente diversa da noi, con la quale ci siamo confrontati dopo centinaia di millenni di separazione evolutiva. Non solo, però: la vicinanza genetica ha reso possibili incroci che hanno lasciato tracce durature in tutti noi. I Neanderthal sono ancora qui.
Giorgio Manzi è professore di Antropologia alla Sapienza – Università di Roma. Accademico dei Lincei, è stato direttore del Polo museale Sapienza e segretario generale dell’Istituto Italiano di Paleontologia Umana. Editorialista di «Le Scienze», collabora con quotidiani, periodici, trasmissioni radio e tv. Fra i libri per il Mulino: «Il grande racconto dell’evoluzione umana» (2018), «Ultime notizie sull’evoluzione umana» (2017).
Di Mike Millard su questo blog ne abbiamo parlato più volte, amante del rock proveniente dalla west coast americana, dal 1973 al 1992 registrò parecchi concerti tenutisi in quell’area. Lo fece con una strumentazione di qualità, per quei tempi davvero notevole, portandola all’interno delle arene in questione usando diversi stratagemmi (a volte anche fingendosi disabile e quindi su una sedia a rotelle). Le sue sono dunque registrazioni audience, cioè prese dal pubblico, ma di una qualità micidiale; non è un un caso che ancora oggi – tra il giro di appassionati – siano considerate tra i documenti migliori per quanto riguarda l’epoca d’oro della musica rock. Sì perché con le registrazione audience si ha l’idea esatta di cosa fosse andare ad un concerto rock, la performance dell’artista catturato nella sua essenza più pura: l’umore e le scosse emotive del pubblico, la musica messa su nastro senza artifici (e dunque senza le modifiche e i trucchetti presenti nei dischi dal vivo ufficiali), i commenti dei fans che a tratti finivano sul nastro. La fortuna ha voluto che i LZ fossero tra i suoi gruppi preferiti e, ad esempio, le sue registrazione di alcuni dei sei concerti tenuti nel 1977 a Los Angeles sono per tutti noi testimonianze preziosissime. Nel 1994 Millard decise di togliersi la vita, decisione che non ci permettiamo di giudicare e quindi tralasciamo di commentare gli abissi di dolore a cui deve essere andato incontro. Per moltissimo tempo le sue cassette rimasero archiviate nella sua stanza a casa di sua madre, le registrazioni che circolavano provenivano infatti da copie che lo stesso Millard aveva fatto per amici e altri collezionisti. Successe poi che sua madre finalmente affidò ad amici intimi di suo figlio le tante cassette (si parla di 280 concerti registrati) in modo che potessero essere trasferite e quindi salvate su DAT. Sotto all’articolo riporto (oltre al testo che accompagna la registrazione di cui tra poco parleremo) tutta la lunga storia in caso qualcuno fosse interessato. Per chiudere questo breve riassunto, quando si pensava che i master originali di Millard fossero andati persi, ecco che vengono ritrovati, rimasterizzati e messi gratuitamente in circolo da generosi collezionisti e amanti del rock come noi. E’ dunque doveroso mandare un pensiero a Mike Millard perché grazie ai suoi nastri il rock si mantiene vivo e noi possiamo ancora illuderci di vivere in prima persona i momenti più esaltanti della musica che amiamo.
Led Zeppelin, L.A. Forum March 25, 1975, Mike Millard Master Tapes via JEMS, Mastered By Dadgad Edition,The Lost and Found Mike the MICrophone Tapes Volume 125
Il tour americano del 1975 si sviluppa – da gennaio a marzo – in 35 date, le ultime tre (24-25-27 marzo) al Forum di Los Angeles, più precisamente a Inglewood, California. Sappiamo bene che – a parte qualche eccezione – dal vivo i Led Zeppelin dell’immaginario collettivo cessano d’esistere il 29 luglio 1973, dopo quella data, nei tour successivi Jimmy Page e Robert Plant non sono più gli stessi. Plant soprattutto nel tour del 1975, Page dal 1975 al 1980 (e oltre). Il nostro chitarrista preferito obnubilato dall’edonismo e dalle sostanze chimiche smette in pratica di applicarsi sulla chitarra come dovrebbe, i risultati sono assai meno brillanti che in passato e le esibizioni live del gruppo ne risentono. Ci sono momenti nei concerti dei tour dell’ultimo lustro comunque suggestivi, cerchiamo di capire se anche in questo sono presenti.
Aerial view of the Forum in the 1970s.
La registrazione di Rock And Roll non è completa (manca la prima strofa) comunque già dai primi minuti si capisce che la serata è frizzante, il gruppo pare vivace. Robert ha qualche problema di voce (come d’altra parte in quasi tutto il tour) ma la sorpresa è Page, consistente e fluido. Sick Again è affrontata con grande sicurezza. Bonham è uno spettacolo.
RP: Good evening, The Forum. A very aptly titled building. That spotlight’s gonna catch us sooner or later. In the light. Everybody makes it thru. Look at that, see? That guy’s jerkin’ himself off up there. …, what? We, last night we had a really really good time. We had a great concert here. Ah, it was one of the finest that we’ve had in California, I think, for a long time. On our part, and also, um, on the part of the audience. So tonight we’d like to try and get it a little bit better. This is determined by us and you. Ooh, we intend, for those people who aren’t already aware, to take, to take you down a sort of, um, a road of Led Zeppelin music passing, passing all different areas and all different climates of, of feelings of the music that we’ve performed in six years, six and a half years. And we must start it like this, looking into the distance.
Over The Hills & Far Away è snocciolata senza intoppi; ottima prestazione, l’assolo di Page è davvero intenso.
RP: So you remember that one, yeah? Ah, shut up, sshh. I’ve got something to tell you. It can hardly be called news really, but, uh, it’s important to us because it marks, I think, uh, five, six, fourteen sides of plastic in six and a half years. At last we got Physical Graffiti in the shops. A great … cry, I can imagine, but, uh, we’re gonna do some of the tracks from it tonight and this is, um, this is the first one. It comes from, I suppose it’s roots, long before we ever heard it, it must have been used as, uh, an evening song after the chain gang had stopped for the day. It goes like this.
Dopo il precedente momento gioioso il gruppo propone la tenebrosa In My Time Of Dying. Page è in accordatura aperta di sol con lo slide nell’anulare della mano sinistra. Il gruppo è davvero in forma. La qualità audio è stupefacente, tenendo conto – come dico sempre – che stiamo parlando di una registrazione audience. Già di per sé la registrazione è stellare se ci si mette anche il nostro amico dadgad a masterizzare il tutto, i giochi sono fatti.
RP: I feel the, uh, the atmosphere is starting to create itself between you and us. We must try and get it a little bit warmer than it is though, you know? I wanna see you sweat as much as me. Total satisfaction, you know, you, it’s like, you can’t give a lady satisfaction and you can’t get satisfaction yourself without giving it to the lady first, yeah? So we’d like to think that it’s a male and female relationship where we should both sweat. You and us. Hey. Try and work that one out. Ah, to enable us to try and take you to the point of, of, um, satisfactory climax, thank you very much, madame. I’m on me way. I’m on me way. We’d like to do a thing that you might have heard before when we came here. I think we’ve been to California before. t’s called ‘The Song Remains the Same
The Song Remains The Same corre come un treno, Robert è quasi in controllo, Page è molto sciolto, anche sugli assoli sulla 12 corde.
The Rain Song è magnifica, sporcata solo dal Mellotron sempre leggermente scordato e poco altro.
RP: Good evening. That, uh, was quite a simple, cut and dried, song of love. Ah, I don’t think that it could have been appropriate the day after it was written or the day before. It’s just that day was the day. Never again will it be like that until the next time. And as I only fall in love once a week, it’s pretty hard to keep writing. This is, uh, I’m sorry, I didn’t catch that. This is another track that features John Paul Jones on mellotron, a very, um, cheap form of orchestra, John Paul Jones. Ha ha ha. This is a song about the wasted wasted wasted lands, and it’s not the lobby of the Continental Hyatt House either. It’s ‘Kashmir
Al di là di piccole sbavature Kashmir è davvero bella..
RP: Thank you very much. John Paul Jones, mellotron. Right, now we intend to, um, John moves across a keyboard or two, and takes to the piano and a piece which consists of a great deal of improvisation. It would be a good idea to have a brandy glass on top of the piano and pop a dollar in, you know? He’s so cheap, ha. Of course we’re crazy. This is a track called ‘No Quarter.’
No Quarter si dipana avvolta nella consueta aurea misteriosa. L’assolo di Jones è articolato e ben si ascolta (benché nei primi minuti vi sia un fastidioso rumore di sottofondo dovuto al probabile malfunzionamento di qualche cavo). Segue l’interludio tra tastiere e batteria e quindi l’assolo di chitarra. Page si esprime bene, magari non sempre le varie frasi sono collegate a dovere, ma ciò che racconta con la solista è da ascoltare con attenzione. Ed è un sollievo sentire una data del 1975 in cui il Dark Lord è di nuovo sciolto e chitarristicamente all’altezza. Sulla coda del pezzo Page è il Page dell’immaginario collettivo.
RP: John Paul Jones, grand piano, John Paul Jones. Ah, this next piece should be dedicated to, uh, all the good ladies of America who’ve helped us get rid of the blues from time to time on the road. That boils down to about two. This is a thing, ah, if your starter won’t start and you’ve got low compression, and maybe your oil isn’t circulating good enough, maybe you’re just a little bit ‘Trampled Underfoot.’
Trampled Underfoot è coesa e sfrenata, l’assolo di Page è furioso e convincente, con molta probabilità il miglior assolo live di TU mai sentito. Gran versione.
RP: Thank you very much. Was that alright? It’s amazing the similarity between a motor car and a human body, isn’t it? Uh, are we still crazy, what a question to ask? That man in the second row asks, Are we still crazy? We ain’t crazy. It’s our road crew who are crazy. We’re all very astute businessmen. I was training to be a chartered accountant. Jimmy was gonna be a poet. Right now we bring you something, that should never be missed. The man who broke every window in ten, in room ten nineteen last night. The man who smashed wardrobes. The man who set fire to his own bed. The amazing man with only two cavities, Mr. Quaalude, John Bonham! ‘Moby Dick!’
La chitarra in Moby Dick non sembra accordatissima, o meglio non sembra esserlo la sesta corda abbasata a RE. Comunque Page è di nuovo tecnicamente all’altezza.
RP: Mr. Ultraviolence. The only man who can purr like a cat and roar like a bear in three minutes. Mr. John Bonham’s playing guitar, no? John Bonham! We’re a very happy little musical outfit. There’s Mr. Peter Grant, Panama Pete with the white hat, by the curtain there. Peter Grant! Here’s a song that, um, gosh I feel quaint. I just had a wonderful experience in the drum solo. Um, here’s a song that came to us about four hours after we got together. When we got through the how do you do’s and shaking hands, and, and what sort of music do ya dig, man, and what sign are you, baby, and as soon as we’d rolled our first joint, this was it.
Dazed & Confused nel tour del 1975 raggiunge vette di improvvisazione mai toccate, in certe serate il pezzo dura fino 40 minuti, e se il gruppo è in una forma decente l’espressività si fa cosmica. Qui al Forum stasera il gruppo non fa quasi rimpiangere la versione di se stesso del lustro precedente. Jimmy Page è un portento. Veloce, preciso, infervorato, spettacolare, il sommo Jimmy Page davanti al quale noi ci inginocchiamo, l’unico dio che riconosciamo. La band lo segue con caparbietà e sentimento. Anche Robert è ispirato, nonostante i problemi alla voce. Versione quasi superlativa.
RP: Jimmy Page, master guitarist! Here’s, uh, here’s a song that should be dedicated to, uh, the sweeter, more gentle moments in life, that can occasionally be experienced in this year of 1975. This is for you.
Stairway To Heaven è ispirata e in più sospinta dalla eccellente qualità audio. Molto buono l’assolo di chitarra … uno si chiede come Page facesse ad avere ancora cose da dire dopo una Dazed And Confused come quella appena suonata.
RP: Ladies and gentlemen, you’ve been a most approving audience. We’ve had a good time. Thank you very much. Good night.
Good evening! Ah ha. I said good eveeeeening! (Everybody needs it so bad. Everybody needs it so bad.) Whole Lotta Love è assai meno caotica del solito (sappiamo che i fine concerto del 1975 e 1977 furono quasi tutti slabbrati ), bello il giro d’accordi dopo Sex Machine e prima dell’ultima parte dedicata Theremin dove tra l’altro c’è un grande John Paul Jones.
Black Dog conferma quanto scritto finora e mi spinge a domandarmi se questo non sia davvero la migliore testimonianza del tour nordamericano del 1975. C’è un momento divertente: Robert dimentica le parole di una strofa, rimane quasi silente, il gruppo non ha riferimenti per riprendere il riff, Page improvvisa qualcosa in modo che tutti possano ritornare in careggiata. Guitar solo di carattere, sembra di ascoltare i LZ del 1973. Degno finale di un gran concerto.
RP: People of the Forum, thank you very much, ta. We’ve had a good time. It is the summer of all our smiles. Good night
In sostanza uno dei bootleg del 1975 da avere. Risentirlo (ri)masterizzato dal grande dadgad è stato un godimento.
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Led Zeppelin The Forum Inglewood, CA March 25, 1975 Mike Millard Master Tapes via JEMS Mastered By Dadgad Edition The Lost and Found Mike the MICrophone Tapes Volume 125
Transfer: Mike Millard Master Cassette > Yamaha KX-W592 Cassette Deck > Sony R-500 DAT > Analog Master DAT Clone > Focusrite Scarlett 6i6 > Sound Forge Audio Studio 13.0 capture > Adobe Audition > Dadgad Mastering > Audacity > TLH > FLAC
01 Rock And Roll 02 Sick Again 03 Over The Hills & Far Away 04 In My Time Of Dying 05 The Song Remains The Same 06 The Rain Song 07 Kashmir 08 No Quarter 09 Trampled Underfoot 10 Moby Dick 11 Dazed & Confused 12 Stairway To Heaven 13 Whole Lotta Love 14 Black Dog
Known Faults: “Rock and Roll” joined in progress.
Introduction to the Lost and Found Mike the MICrophone Series
Welcome to JEMS’ Lost and Found Mike the MICrophone series presenting recordings made by legendary taper Mike Millard, AKA Mike The Mike, best known for his masters of Led Zeppelin done in and around Los Angeles circa 1975-77. For the complete details on how tapes in this series came to be lost and found again, as well as JEMS’ long history with Mike Millard, please refer to the notes in Vol. One: http://www.dimeadozen.org/torrents-details.php?id=500680.
Until 2020, the Lost and Found series presented fresh transfers of previously unavailable first-generation copies made by Mike himself for friends like Stan Gutoski of JEMS, Jim R, Bill C. and Barry G. These sources were upgrades to circulating copies and in most instances marked the only time verified first generation Millard sources had been directly digitized in the torrent era.
That all changed with the discovery of many of Mike Millard’s original master tapes.
Yes, you read that correctly, Mike Millard’s master cassettes, long rumored to be destroyed or lost, have been found. Not all of them but many, and with them a much more complete picture has emerged of what Millard recorded between his first show in late 1973 and his last in early 1993.
The reason the rediscovery of his master tapes is such a revelation is that we’ve been told for decades they were gone. Internet myths suggest Millard destroyed his master tapes before taking his own life, an imprudent detail likely concocted based on the assumption that because his master tapes never surfaced and Mike’s mental state was troubled he would do something rash WITH HIS LIFE’S WORK. There’s also a version of the story where Mike’s family dumps the tapes after he dies. Why would they do that?
The truth is Mike’s masters remained in his bedroom for many years after his death in 1994. We know at least a few of Millard’s friends and acquaintances contacted his mother Lia inquiring about the tapes at the time to no avail. But in the early 2000s, longtime Millard friend Rob S was the one she knew and trusted enough to preserve Mike’s work.
The full back story on how Mike’s master tapes were saved can be found in the notes for Vol. 18 Pink Floyd, which was the first release in our series transferred from Millard’s original master tapes:
Led Zeppelin, The Forum, Inglewood, CA, March 25, 1975
As we’ve written in recent weeks, Mike Millard loved the Stones, Yes, all things Genesis, Linda Ronstadt, The Who and many other artists. But one band was inarguably at the top of the list and that was Led Zeppelin.
Vol. 125 in the Lost and Found series drops us into the second show of Led Zeppelin’s three-night stand at the Forum in March 1975. As Jim notes below, it was Led Zeppelin’s return to Southern California for the first time since 1973 that prompted Mike to upgrade his equipment to the now legendary Nakamichi 550 and AKG 451e rig.
Two weeks prior, Millard recorded both shows at the Long Beach Arena. Ultimately he did all five So Cal dates, including the night before this one on March 24 and two nights later on March 27 at the Fabulous Forum.
There is so much to like about the 1975 tour. Compared to the inconsistency that followed in 1977, 1975 had more good nights than off nights. Fortunately, no matter what the tour, Zep always brought their A-game to Southern California.
It’s hard to quibble with the core 1975 setlist, especially the first seven songs, which for me showcase everything I love about Led Zeppelin’s musicianship and potency. Their performances this night are uniformly excellent. While I am less drawn to some of more ponderous numbers that follow, there’s no getting around these are fine version of “No Quarter” and “Dazed & Confused” in terms of their improvisations and explorations. “Moby Dick” you either love or skip past.
Beyond the music, the band is in fine spirits and Robert Plant in particular makes sure the SoCal audience knows how much they love playing for them.
We’re fortunate that Millard’s recordings of his favorite band also happen to be some of the very best captures of his illustrious career. March 25, 1975 is no exception, with outstanding up-close sound and full fidelity. The quality of John Bonham’s playing on this tape is especially striking, bass drum to toms to snare to cymbals. The way in which John Paul Jones’ bass comes through in a track like “The Song Remains The Same” is also a sonic marvel, a credit both to the volume and mix from the PA and Mike’s uncanny ability to pull it down to tape. Jimmy Page’s guitar is the blade that slices, crunches and trudges through it all.
As is the case with all of Mike’s Led Zeppelin recordings, our source transfer was made by Rob S in the early 2000s from Mike’s cassette masters to DAT. The DAT was then ripped to a .flac file. That .flac was provided to esteemed LZ mastering engineer dadgad to again assist on this release. He prepared both a flat transfer edition (fixing only levels, pitch and phase issues, with no EQ or other mastering applied) and a second, “respectfully mastered” edition as he puts it, that fine tunes the sound for what we feel is optimum listening pleasure. Samples provided.
Here’s what Jim R recalled about Led Zeppelin’s second show at the Forum in 1975:
I went with Mike Millard to the Led Zeppelin concert on March 25, 1975. It was the middle date of a three-night stand at The Forum. A show that’s a little overlooked, you know? It’s not opening night or closing night. A case of middle-child syndrome?
Keep in mind, this was still only the fifth show of the Nakamichi 550 + AKG 451e era and only the 15th show Millard had ever taped. At this time, his recordings were only known to a handful of friends in the LA area.
We got our equipment into the building using Mike’s dad’s wheelchair, the classic method. We were escorted by security down to floor level in the service elevator–full VIP treatment. Little did they know what was inside Mike’s seat cushion. LOL.
Mike and I sat in Section A, Row 3, Seats 3-4. Seat 1 is on the inside aisle, closest to the center. Our seats put us a little closer to PA, maybe 15 feet away, so you might hear a bit of buzzing due to our proximity and the volume.
March 25 was an excellent show. All four members were in top shape. Great jamming in “No Quarter” and “Dazed & Confused.” After the concert, we continued our new tradition of drinking beers in the parking lot listening to the recording on headphones. Those walking by Mike’s car would get a listen.
I am pretty sure the pictures included in the artwork are from this March 25 show, but don’t hold me to it. Keep in mind, this was almost 47 years ago. Man, I’m getting old!
As usual, I hope you enjoy the sights and sounds of this great show. Cheers to my buddy Mike. RIP.
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JEMS is proud to partner with Rob, Jim R, Ed F, Barry G and many others to release Millard’s historic recordings and to help set the record straight about the man himself.
We can’t thank Rob enough for reconnecting with Jim and putting his trust in our Millard reissue campaign. He kept Mike’s precious tapes under wraps for two decades, but once Rob learned of our methods and stewardship, he agreed to contribute the Millard DATs and cassettes to the program. Our releases would not be nearly as compelling without Jim’s memories, photos and other background contributions. As many of you have noted, the stories offer an entertaining complement to Mike’s incredible audio documents.
This week’s honor roll is topped by Dadgad who handled both the flat and mastered versions. We’re pleased to continue our partnership with him on Mike’s Led Zeppelin releases. Extra shoutouts to Rob S for his original transfer, Jim R for providing his great notes, photos and ticket stub, and to mjk5510 for final post production support and artwork.
Finally, here’s to the late, great Mike the MICrophone. His work never ceases to impress. May he rest in peace.
Sabato mattina, giornata fredda, cielo terso. Al Café Des Antilles Franca mi prepara il solito, cappuccio e krapfen.
Il bel blu del cielo che filtra dal tetto trasparente del centro commerciale fa a botte con l’illuminazione elettrica che avvolge il bar. La crema del krapfen che scende lungo la gola e il cappuccino aiutano il mio equilibrio sul mondo. La gente passa, stamane non la osservo, sono assorto nei miei pensieri.
Entro alla Coop. Ci sono due addette accanto ad una specie di urna e cartelloni elettorali, i soci coop sono chiamati a scegliere il nuovo Consiglio di Zona. Mi avvicino. “Buongiorno signore vuole votare?” mi chiede la addetta che ho già visto mille volte all’interno del supermercato. “Sì, ma non conosco nessuno dei nomi e delle faccine del manifesto elettorale, quindi le chiedo una cosa in modo schietto: mi indicherebbe tre nominativi di sinistra? Un uomo e due donne se possibile. Mi fido di lei.” La addetta coglie al volo la richiesta e mi indica – spiegandomi per sommi capi chi sono le persone in questione – i nomi. La ringrazio molto e lei aggiunge “Guardi, un tempo ero di sinistra anche io, lo sono ancora, sebbene oggi non si capisca più tanto dove trovarla la sinistra o cosa significhi essere di sinistra”. “E’ vero” le dico “ma dobbiamo pur continuare a cercare di fare qualcosa e a credere in certe valori, no? E voi che siete donne cercate di prendere in mano questo mondo, non vedete cosa ne stiamo facendo noi uomini? 2022 ed ecco un’altra guerra…” L’ addetta mi guarda, siamo più o meno della stessa generazione, nel suo sguardo vedo il carattere dell’Emilia dell’immaginario collettivo, la osservo aggiustarsi la felpa rossa della Coop che indossa, un cenno d’intesa, un mezzo sorriso ed entrambi torniamo alle nostre faccende, sotto ai pallidi raggi del Sol dell’Avvenire.
In farmacia devo acquistare qualcosa contro il mal di blues:
“Buongiorno vorrei una confezione di … Nurofen?“
“Non lo so, me lo dica lei, vuole il Nurofen?” mi dice la farmacista.
“Ha ragione, non avrei dovuto usare il tono da punto interrogativo, ma è che in passato spesso non riuscivo a ricordare esattamente il nome del farmaco …”
La farmacista sorride, si avvicina allo scaffale e me ne consegna una confezione. Mentre pago le dico: “Scusi ancora per il punto interrogativo, ha ragione, chissà quante stranezze da parte dei clienti deve sopportare ogni giorno…”
“Si figuri, anzi, mi ha fatto sorridere. Buona giornata.” Fossi un cantante ne avrei approfittato per attaccare bottone.
Da lontano la pollastrella guarda la scena, la raggiungo. “Niente, non c’è niente da fare, cadono sempre tutte ai tuoi piedi!” “Cadono ai miei piedi? Mo’ magari, ma non è così, non sono mica Jimmy Page!“
Jimmy Page
Al banco della gastronomia, in fila in attesa del mio turno. La giovane nuova commessa, di cui ho parlato nel post del 30 gennaio scorso, mentre chiama il numero da servire incrocia il mio sguardo, mi riconosce e con la solita cortese enfasi mi saluta sottolineando il lei. Nel frattempo un coppia di persone avanti negli anni è intenta a chiedere un pollo arrosto all’addetta della gastronomia. Sono vestiti nello stile sportivo-elegante-neutro da gente della terza età con la pilla (con possibilità economiche insomma). Trattano la commessa con un tono che non mi piace nemmeno un po’, è chiaro che si sentono di un’altra casta, le danno del tu ed aggiungono alla cosa una malcelata forma di disprezzo, la trattano come una serva. Li osservo ancora un po’, continuano con il loro fare annoiato e altezzoso. Impiegano interi minuti a scegliere il pollo. Mi passano vicino, si accorgono che li sto osservando, ho l’impulso di dir loro “Che ci fate qui? Andate all’Esselunga borghesi di melma”, ma faccio rientrare Ittod nei ranghi e mi sforzo di rientrare in modalità Stefano.
Io e la pollastrella siamo in reparti dell’ipermercato diversi, essendo un uomo sono un po’ inetto nel trovare gli articoli segnati sulla lista della spesa, dunque il mio compito è essenzialmente spingere il carrello (e al limite scegliere birre, lambrusco e frutta). Una giovane donna seguita da un figlio è vestita di tutto punto, un completo bianco un po’ retrò, un basco in testa, un viso da bambolina annoiata. Porta tacchi altissimi contro i quali sbatte il carrellino della spesa che trascina.
Ritorno a casa e ricevo una telefonata inaspettata, a quanto pare in giro c’è ancora qualcuno che mi corteggia, professionalmente parlando. Mi dirigo poi a Corrigium ad acquistare sacchi di pellet; ormai costano come l’oro, ma chi vive in campagna e non ha l’allacciamento al gas di città (il metano insomma) fare un pieno di GPL nel bombolone dietro casa al giorno d’oggi significa chiedere un mutuo ad una banca o vendere le proprie Gibson Les Paul
Mentre torno mi fermo al cimitero di Saint Martin On The River, porto i fiori a Brian e a Mother Mary, un momento di raccoglimento in cui puntualmente mi commuovo, quindi risalgo in macchina. Rifaccio per partire ma non riesco. C’è una forza magnetica che mi tiene incollato, una vibrazione atavica, un sentimento che mi scoppia nel cuore, che inonda l’anima, deborda, travolge il mio essere e come un fiume dirompente si dirige over the hills and far away … verso le colline che vedo a sud insomma. Mi chiedo ancora come sia possibile che un uomo di una (in)certa età quale sono sia ancora così incapace di governare i sentimenti e i blues, e continui a perdersi nelle profondità cosmiche dalle quali poi è difficile fare ritorno sani di mente.
Eppure sono razionale, so perfettamente che il nido di stelle non esiste, ma allora perché spendere così tante energie in una attività tanto futile? Venerdì ho partecipato ad un corso nella azienda in cui lavoro …diversity management, intelligenza emozionale, empatia … un corso diretto da due docenti di altissimo livello e in cui occorre interagire molto con se stessi e con gli altri. In uno dei vari momenti ci è stato chiesto di scrivere su cinque post it, da apporre sopra ad una nostra foto da bambini, cinque cose che ci descrivono. Oltre a scrivere che sono nato in una stazione dei treni il giorno del solstizio d’inverno (un classico per TT) e sciocchezzuole simili, in uno ho semplicemente vergato “sono irrequieto”. Ecco, appunto irrequieto, e quindi, come cantava McKinley Morganfield, Can’t Be Satisfied.
Lo si vedeva già da quando ero piccolo che ero irrequieto, ero già un ometto di blues
Little Tim (in te sixties)
Eppure pur sentendomi sperduto, qui nel buco del culo del mondo, al contempo mi sento vivo, col cuore che batte forte. Sono ormai 40 minuti che sono qui fermo nel parcheggio del cimitero di Saint Martin … dietro di me un piccolo parco, poco più distante il campo da calcio e poi tanta campagna, la campagna brulla di febbraio pronta ad esplodere al primo fiotto di vita, un po’ come succede a me, e su in alto il cielo blu dell’Emilia.
Il cielo sopra Tim Tirelli – 27/02/2022 Emilia Romagna, Regium County – foto TT
Torno in me, accendo la Sigismonda, la blues mobile insomma, e faccio ritorno a Borgo Massenzio. Attraverso il paese che era di mia madre, rivedo i posti in cui sono stato da piccolo con lei, poi viro verso sud. Campagna aperta a vista d’occhio e il car stereo che passa Nonfiction dei Black Crowes; me lo suggeriscono anche loro, devo lasciare le mie fantasie e tornare alla realtà, ma il cuore continua battere forte …
I’m no builder, I’m no gardener I sing some songs …. Some like their water shallow And I like mine deep …
Avrei bisogno di parlare col mio amico di Roma, lui saprebbe cosa dirmi, ma c’è una guerra in atto, tutte queste paturnie individuali mi mettono in imbarazzo, non voglio che pensi che sono ripiegato su me stesso, anche se è il mio amico voglio che mi veda con gli occhi di sempre.
Ma intanto i Corvi Neri continuano a circumnavigare la mia anima…
Seconda metà anni settanta, provincia modenese, sono già l’appassionato di musica Rock che vive in funzione di essa. Il sabato pomeriggio andare al Peecker Sound di Formigine (di fianco alla storica discoteca Picchio Rosso), il più grande negozio di dischi della provincia, è il clou dell’intera settimana: qualche ora passata ad aggirarsi tra i tanti scaffali e ad immergersi in quel mondo da sogno fatto di centinaia, migliaia, di LP. Sono in compagnia di Biccio, il mio amico fraterno nonché tastierista della band di cui faccio parte (la Sallow Band, ora tramutatasi in The Strangers) e di suo fratello più piccolo, Màrcel, batterista del gruppo. Biccio compra Trilogy degli ELP, Marcel News Of The World dei Queen e io Force It degli Ufo. Su Ciao 2001, la rivista più in voga tra noi appassionati, un recente articolo parlava di questo gruppo inglese dedito all’Hard Rock di stampo Zeppelin (ma il riferimento al dirigibile di piombo era presente in ogni articolo e in ogni recensione che avessero a che fare con l’Hard Rock). Nel tardo pomeriggio, a casa di Biccio, iniziammo ad ascoltare, quei tre dischi sarebbero diventati album che avremmo amato molto, a me in particolare avrebbero fatto parte delle fondamenta su cui costruire il mio essere.
Force It fu il primo album degli UFO ad entrare nella TOP200 americana, la classifica ufficiale più importante al mondo, arrivando sino al 71esimo posto. E’ il secondo album con Schenker alla chitarra e il primo vero album davvero corposo del gruppo. La copertina della copia che acquistai (printed in USA) aveva le due figure nel bagno sfumate (la censura statunitense è sempre stata ridicola) così da ragazzino in balia delle prime vere pulsioni date dal testosterone, immaginavo che nella vasca fossero raffigurate due donne. L’artwork è della famosa Hipgnosis, io ci ho sempre visto un po’ di Magritte, ad ogni quella prospettiva volutamente sghemba la ho sempre apprezzata.
UFO 1975 (L to R) Andy Parker- Pete Way – Phil Mogg – Michael Schenker
Let It Roll è un po’ centurionica nell’andamento, ma è trascinante e le chitarre soliste di Schenker sono uno spettacolo. Costruzione elementare, sezione ritmica giusto sufficiente ma la voce di Mogg e i fraseggi di Schenker sono stupefacenti. Ricordo il Tim adolescente rapito dalla sezione lenta dove i ricami chitarristici si fanno magnifici. Pezzo che è un classico della band ancora in scaletta.
Shoot Shoot è un Hard Rock And Roll di gran livello pur nella sua semplicità, di nuovo gli interventi della solista di MS sono fenomenali. Anche Shoot Shoot a tutt’oggi è considerato un classico del gruppo.
High Flyer mi irretì completamente, quadretto acustico delizioso, belle melodie, chitarra acustica gentile e assolo ispirato. Le tastiere (di Chuck Churchill dei Ten Years After) sono invece lofi, quei tappeti che riempiranno anche ma che sono noiosi e dozzinali.
Love Lost Love è di nuovo hard rock con un respiro melodico apprezzabile. La ritmica teutonica e quadrata della chitarra di Schenker è scalfita meravigliosamente dall’ennesimo bell’assolo del biondo di Sarstedt. La sequenza di bei pezzi continua con Out In The Street, un grazioso pianino su cui emerge la bella voce di Phil Mogg e la chitarra geometrica di Schenker. L’alternarsi tra momenti dolci e ruvidi, l’inizio incntevole dell’assolo di Schenker, la genuinità del gruppo.
Mother Mary parte decisa, Hard Rock europeo cazzuto trascinato da un gran cantante e da un giovane asso della chitarra. Quello che fa vincere questo gruppo è l’aspetto melodico (ma mai mieloso), anche nei brani più duri c’è sempre un momento di dolcezza che poi dà ancora più corpo agli sviluppi chitarristici sempre riusciti. Dopo sei grandi pezzi ci sta che arrivino un paio di brani meno incisivi come Too Much of Nothing e Dance Your Life Away che comunque contengono momenti validi al loro interno. La sezione ritmica sembra qui meno efficace. This Kid’s / Between the Walls è una sorta di pezzo diviso in tre parti: dapprima il capitolo hard rock, poi quello blues (un po’ troppo quadrato e pesante) e infine la chiusura psichedelica che in qualche modo riporta ai primi due album del gruppo. Niente male. Degna outro di un gran disco.
L’outtake A Million Miles inizia come una ballata, magari non proprio originalissima, ma una di quelle in cui mi ci riconosco sempre …
Seems I lost my direction Was it all just in a word? Thought I found that something’s real Now I’m lost, don’t know where to go
poi si fa hard rock prima di ritornare al mood iniziale. Giusto che al tempo non sia finita sull’album, roba per fan come me.
Il secondo CD/LP contiene il concerto del 23 settembre 1975 allo studio Record Plant di Sausalito (California) davanti ad un ristretto numero di fan. In formazione era arrivato da poco d Danny Peyroneli alle tastiere, che col suo stile percussivo cercava di dare un colore in più alla musica degli UFO. In scaletta soprattutto brani presi dai primi due album con Schenker (dunque Phenomen del 1974 e appunto Force It) e un paio di cosette dal primo periodo. La qualità della registrazione non è il top, in più all’inizio Schenker a tratti sembra un po’ fuori fuoco (le prime fasi di Doctor Doctor traballano), ma poi la band prende confidenza e porta a casa un buon risultato.
La deluxe edition dunque non è male, anche se non contiene nulla di nuovo (se non il remaster), visto che la outtake e il concerto furono già pubblicati in edizioni passate. Detto ciò va ribadito che Force It è stato, è, e rimarrà sempre uno dei più fulgidi esempi di hard rock britannico degli anni settanta. Probabilmente il culmine dell’era Schenker è Lights Out del 1977, ma Force It vi è subito dietro. Per chi segue questo blog, album da avere.
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2LP vinyl • 2CD set • Remastered audio
Tracklist
(nella versione 2 LP, la outtake non è presente / il concerto di LA 1975 esce per la prima volta su LP con questa edizione)
CD1
1. Let It Roll (2021 Remaster) (3:55)
2. Shoot Shoot (2021 Remaster) (3:36)
3. High Flyer (2021 Remaster) (4:04)
4. Love Lost Love (2021 Remaster) (3:20)
5. Out in the Street (2021 Remaster) (5:13)
6. Mother Mary (2021 Remaster) (3:48)
7. Too Much of Nothing (2021 Remaster) (3:58)
8. Dance Your Life Away (2021 Remaster) (3:32)
9. This Kid’s / Between the Walls (2021 Remaster) (6:14)
10. A Million Miles (2021 Remaster) (4:46) BONUS TRACK
CD2
1. Intro (Live at Record Plant, NYC, 1975 / 2021 Remaster) (1:12)
2. Let It Roll (Live at Record Plant, NYC, 1975 / 2021 Remaster) (5:01)
3. Doctor Doctor (Live at Record Plant, NYC, 1975 / 2021 Remaster) (5:15)
4. Oh My (Live at Record Plant, NYC, 1975 / 2021 Remaster) (4:17)
5. Built For Comfort (Live at Record Plant, NYC, 1975 / 2021 Remaster) (4:42)
6. Out In The Street (Live at Record Plant, NYC, 1975 / 2021 Remaster) (5:29)
7. Space Child (Live at Record Plant, NYC, 1975 / 2021 Remaster) (4:43)
8. Mother Mary (Live at Record Plant, NYC, 1975 / 2021 Remaster) (4:43)
9. All Or Nothing (Live at Record Plant, NYC, 1975 / 2021 Remaster) (4:39)
10. This Kid’s (Live at Record Plant, NYC, 1975 / 2021 Remaster) (4:39)
11. Shoot Shoot (Live at Record Plant, NYC, 1975 / 2021 Remaster) (3:51)
12. Rock Bottom (Live at Record Plant, NYC, 1975 / 2021 Remaster) (9:07)
Qualche giorno fa la Fat Possum Records ha pubblicato su Youtube il documentario sul Memphis Country Blues Festival del 1969, non potevo dunque che scrivere due righe a tal proposito; è vero che per noi il termine Uomo di Blues ha una valenza più ampia e dunque non solo musicale, ma è indubbio che il Blues è la musica (almeno nella sua versione rurale) che più inquieta le nostre anime.
Diversi i nomi poco noti e accanto a questi giganti come Bukka White, Mississippi Fred McDowell e Johnny Winter. Riguardo quest’ultimo devo dire che mi ha un po’ sorpreso la versione di Memory Pain suonata senza la Gibson Les Paul. Il brano comparve sull’album Second Winter uscito alla fine d’ottobre del 1969 e registrato in otto giorni tra luglio e agosto dello stesso anno, e si contraddistinse per il suono pieno e caldo della chitarra Les Paul, appunto.
Sentirgliela fare al Memphis Country Blues Festival nel giugno del 1969 con una chitarra diversa e dal suono pulito mi ha meravigliato, l’attacco non è ovviamente lo stesso, ma per uno come me vedere un filmato fino ad oggi inedito di Johnny Winter nel 1969 è sempre un evento.
Dopo i primi cinque thriller dedicati alle inchieste dell’Ispettore Capo Chen recensiti qui sul blog con molto entusiasmo, ecco arrivare la prima increspatura; intendiamoci è sempre un thriller di buon livello, ma solo verso la fine il romanzo decolla (sebbene la conclusione mi sembri forzata), buona parte del libro procede un poco lenta. Può darsi che sia solo una mia impressione e ad ogni modo non potevo non leggere anche questo sesto capitolo, ormai l’Ispettore Chen Cao è uno di noi, un po’ come Rocco Schiavone, benché i due personaggi abbiano atteggiamenti diversi. Thriller comunque da 7+.
La giovane Jiao, nipote di una delle favorite di Mao, si è trasferita in un lussuoso quartiere di Shanghai e conduce una vita dispendiosa, tra locali alla moda e feste danzanti nella casa di un certo signor Xie, dove gli invitati si scambiano nostalgici aneddoti sulle glorie pre-Rivoluzione, abbandonandosi al languore della musica anni Trenta. La sicurezza interna sospetta che sia in possesso di documenti in grado di danneggiare la reputazione del Grande Timoniere e il Partito. È un nuovo caso per l’ispettore capo Chen Cao, che in pochi giorni dovrà riuscire a infiltrarsi nella mondana cerchia di Jiao per scoprirne i segreti. E la sua indagine sarà anche un viaggio nella sfera privata dell’uomo che decise il destino di un popolo, in un passato che condiziona un presente in cui Chen non riesce a identificarsi del tutto, e in cui è ancora possibile morire all’ombra di Mao.
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